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Autore: liberty_dream    08/05/2015    0 recensioni
Ogni grande avventura inizia con un “c’era una volta”, ogni finale rimpicciolisce sempre quello che aveva avuto un imponente incipit concludendo tutto con un semplice e atono “fine”.
Tarana, scrittrice, lo sa fin troppo bene. L’orologio segna le sue ore, la scadenza dell’editore si avvicina.
Ma cosa succede quando l’autrice non ha ancora pensato al finale?
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Scrivere la parola “fine” era sempre stato difficile per Tarana:  i pensieri dovevano fermarsi, l’inchiostro arrestare la sua corsa sulla carta vergine. Il fascino di quella parola scritta con arabeschi era sempre stata un’attrattiva ripudiata, allontanata e respinta, mai voluta ma sempre accettata.
Ogni storia deve giungere necessariamente a un epilogo, che sia un lieto e triste poco importa; c’è, tanto conta.

Una morte, un matrimonio, l’eterno “felice e contenti” sono tutti lati di una stessa moneta che un dio si diverte a lanciare; testa o croce, gioia o tristezza, la fortuna è bendata e alla sorte non è possibile sfuggire. Tarana credeva che tutte le vicende della sua vita fossero decise secondo la logica della bilancia dove i piatti rappresentavano le scelte e la loro pendenza era determinato dal fato e talvolta si divertiva a immaginare che non solo le sue storie, ma anche la sua vita, fossero scritte da qualcuno. E certe volte sentiva la presenza di quest’autore giganteggiare dietro la sua schiena ricurva!

Quando univa le parole per dare un senso compiuto alle sue frasi avvertiva quello spirito, Omero lo chiamava Musa, c’era chi lo nominava talento, per lei non era altro che un soffio travolgente e inarrestabile che pervadeva la sua mente e fluiva da solo nelle sue vene, muovendo il suo braccio, controllando la sua esile mano che scriveva, le sue lunghe dita affusolate che tenevano ferma la stilo e i suoi occhi che febbrilmente correvano dietro quei piccoli disegni convenzionali che altro non sono se non le lettere dell’alfabeto.

La parola “fine” occupava un’intera pagina, ferma nel suo carattere gotico, immobile a sancire un termine che in realtà non esisteva. Aspettava ferma, in attesa di qualcosa, forse di un segnale o di un gesto, per scomparire e lasciar libero le catene che teneva imbrigliata nel suo lucchetto. Cos’era nascosto dietro quella parola? Quali altre storie sarebbero state sussurrate all’orecchio di Tarana se solo avesse deciso di cancellare quella scritta? Non era necessario un gesto faticoso: avrebbe dovuto soltanto strappare la pagina dal fascicolo e non rilegarlo, cancellare, annientare quel peso che un epilogo avrebbe lasciato con sé. È nota la sensazione di vuoto lasciata dalla fine di qualcosa, manca sempre e non è mai colmata; e quando credi l’abisso sia infinito, ecco che termina qualcos’altro e scopri di avere ancora altro da perdere.

Addio amici, compagni fidati di mille avventure, amati personaggi di una storia fittizia e destinata all’epilogo.

Addio città, foreste, laghi, mari e monti, silenziosi e rumorosi spettatori di fiabe da “Mille e una notte”.

Addio, addio, addio.

Tarana chiuse la pagina, si alzò dallo scrittoio e uscì dalla stanza.







 
  
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