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Autore: Michan_Valentine    13/05/2015    3 recensioni
"Mi sento sciogliere quando realizzo che quest'attimo è assolutamente perfetto: io, lui e lei. Non c'è nulla che manchi..."
Versione alternativa in cui Papasuke è più presente nella vita di sua figlia e di sua moglie a dispetto dell'Uchiezza che lo contraddistingue da sempre.
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sakura Haruno, Sarada Uchiha, Sasuke Uchiha, Un po' tutti | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Piego la schiena, poggio il gomito sulle ginocchia e posiziono la mano sotto il mento, gli occhi fissi sulla porta della sala parto. Se potessi, ci scaverei un buco sopra. E intanto non riesco a stare fermo col piede, che continua mio malgrado a battere col tallone sul pavimento di linoleum.

La cosa m’irrita non poco; e più di quanto non sia già irritato. Complicazioni. Una parola che dice tutto e non dice niente. E intanto mi hanno sbattuto fuori, ad aspettare in questo corridoio, su di una scomoda e stupida sediolina di plastica; mentre lì dentro potrebbe succedere di tutto.

Serro la mandibola e poggio la bocca contro la mano, ora chiusa a pugno. Abbasso leggermente il capo e assottiglio pericolosamente le palpebre, fissando con maggior intensità la porta bianca dirimpetto.

Potrei sempre infischiarmene ed entrare. Sarei proprio curioso di vedere chi avrebbe il coraggio di mettersi in mezzo. Quella vecchia di Tsunade, probabilmente. Tsk! E poi perché a lei hanno permesso di restare? È in pensione e con un piede praticamente nella fossa!

Digrigno maggiormente i denti, mentre l’attesa continua a stiracchiarsi e l’istinto mi suggerisce di fare a modo mio… e di buttare direttamente giù la porta per aprirmi la strada fino a loro.

Gli ammonimenti striduli di Sakura mi tornano in mente, esattamente come me li ha urlati nell’orecchio mentre mi stritolava la mano e iperventilava per via delle doglie, e resto col sedere incollato alla sedia.

“Tu, tieni a posto Rinnegan e Sharingan e comportati bene! Shannarooooo, che dolore! Questa è la prima e ultima volta che faccio una simile follia! Giuro che m’infilo un tappo dove non batte il sole, piuttosto!”

L’ultimo punto stride terribilmente col proposito di ripopolare il Clan Uchiha – da lei stessa millantato in lungo e il largo con aria spavalda dipinta in volto e un sorrisino malizioso sulle labbra. Sul momento ho evitato di contraddire una donna carica d’ormoni e in pieno travaglio. Una strategia perdente in partenza. E i suoi pugni spaccano la roccia, non devo mai –mai – dimenticarlo.

Trattengo il piccolo sbuffo che mi è salito alle labbra e continuo a puntare la porta come se fosse la mia nemesi, pestando inesorabilmente il tallone a terra. Accanto a me il signor Kizashi Haruno si muove nervosamente avanti e indietro per l’ampiezza del corridoio.

Una presenza che calcolo appena, intrappolata sulla coda dell’occhio. Di quel passo scaverà un solco a terra, comunque.

“Maschio o femmina fa’ lo stesso. Maschio o femmina fa’ lo stesso. Basta che la mia bambina stia bene. Aaaah, fa’ che stiano bene! Preferirei un maschietto, ma fa’ lo stesso, l’importante è che stiano bene entrambi e che questo supplizio finisca in fretta, sì.”

L’incessante farneticare di mio suocero contribuisce alla mia suprema irritazione; quasi non me ne accorgo, ma il mio piede prende un ritmo più incalzante. Il sopracciglio, poi, mi schizza direttamente verso l’alto: il nascituro è una femmina. Lo so.

Un tocco inaspettato si posa sulla mia mano. Senza cambiare espressione dirigo lentamente lo sguardo da quella parte e incappo nella signora Haruno – Mebuki, la donna che ha dei seri problemi per il rispetto dell’altrui fisicità. La mia fisicità, in particolare. Da piccola doveva essere molto simile alla figlia. E intanto aspetto che mi agguanti per le guance da un momento all’altro, nemmeno fossi un bambino di tre anni e non un ex nukenin di livello S.

Istintivamente m’irrigidisco, sulla difensiva. Invece la donna mi sorride, mi prende per mano e mi adagia l’arto sul bracciolo della sedia.

“Andrà tutto bene, vedrai. Tsunade-sama è con lei. E la mia bambina è una donna forte, ormai. E per quanto riguarda Kizashi… beh, è un tipo rumoroso! Ignoralo.”

Il suo sorriso si fa più dolce, più comprensivo.

“Scoprirai presto che figli e preoccupazioni vanno a braccetto per noi genitori,” dice, come se mi avesse letto nel pensiero.

Sciolgo appena la morsa dei denti e arresto il piede. Questa non me l’aspettavo. Beh, non che io abbia bisogno di… rassicurazioni? Ho la situazione sotto controllo, so perfettamente quanto ostinata e forte sia mia moglie e di certo qui il problema non sono io, ma quelli che hanno avuto la brillante idea – e l’audacia – di mettersi tra me e la mia famiglia. A partire da quella stramaledetta porta bianca. Tsk!

Faccio lo sforzo di annuire e di non sfuggire al contatto della donna. Magari per oggi – o meglio, per il tempo che mi resta da aspettare in sala d’attesa – posso concedere a Mebuki una piccola tregua e un po’ di sostegno. Posso avvertire dalla mano che sosta sulla mia quanto in realtà sia tesa, nonostante cerchi di dimostrarsi forte. Anche in questo mi ricorda Sakura…

Il solo pensare a mia moglie mi fa sentire nuovamente fuori posto, soprattutto in questo momento, e miei occhi tornano automaticamente alla porta della sala parto.

Tendo le orecchie ai rumori e cerco di captare qualcosa, qualsiasi cosa possa aiutarmi a capire cosa stia succedendo all’interno, ma tutto ciò che riesco a sentire sono i passi di mio suocero e i suoi vaneggiamenti. Ok, adesso basta, o faccio irruzione o ficco il vecchio in un genjutsu!

Poi, d’improvviso, come se avesse percepito i rischi corsi dal nonno e dalla struttura ospedaliera in generale, dalla sala parto irrompe il poderoso vagito di un neonato. Mia figlia.

Drizzo il collo, le spalle e mi alzo automaticamente dal sedile, mentre considero che in quel lamento si percepisce chiaro e forte il disappunto. Disappunto alla Uchiha, come direbbe mia moglie, di quello che schiaccia col suo peso specifico; e quasi arriccio le labbra verso l’alto in un moto d’orgoglio.

Voglio entrare. Voglio vedere con i miei occhi. Eppure resto incollato con i piedi lì dove sono per attimi che sembrano addirittura infiniti, senza che sappia spiegarmi il perché di questa improvvisa esitazione.
Che sia…

È di nuovo Mebuki a scuotermi. Mi affianca e mi sorride. Sarà perché è una madre, perché mi ricorda Sakura o perché quando non mi riempie d’attenzioni – e tiene la bocca ermeticamente chiusa – la sua presenza non è troppo noiosa, ma quando la porta bianca si apre la sensazione fastidiosa è passata. Sono pronto.

A uscirne è Tsunade. Con l’espressione seria ci squadra a turno; e mio suocero si è praticamente scapicollato da questa parte quando l’ha vista sulla soglia. Le vado incontro e faccio per sorpassarla senza degnarla di ulteriore attenzione, ma la vecchiaccia mi agguanta per la spalla.

Il suo tocco è deciso, ma non perentorio. Le mie iridi si spostano da quella parte.

“È una femminuccia,” mi dice, evidentemente compiaciuta.

Lo sapevo. Arriccio appena le labbra, le riservo un cenno del capo e proseguo dritto verso la meta. Alle mie spalle, eccitata come una ragazzina, Mebuki mi fa eco strillando ai quattro venti che era certa fosse una bambina.

Sarada Uchiha.

Sento il petto gonfiarsi, ma non aspetto di decifrare la sensazione che mi sta nascendo dentro. Né mi soffermo ad ascoltare le spiegazioni circa il parto di cui Tsunade sta disquisendo con i miei suoceri, tra sofferenza fetale e cordoni ombelicali attorno al collo. L’unica cosa che m’interessa è che la bambina sia sana. E che mia moglie stia bene.

La stanza mi si apre innanzi, ricolma di apparecchiature disposte sui lati, ma mi concentro nel mezzo, dove c’è il lettino su cui sta sdraiata Sakura, illuminata dalla lampada scialitica.

Ha il viso stanco, provato. Le occhiaie sono marcate, i capelli scomposti le si attaccano alla pelle umida e il pallore risalta particolarmente sotto la luce intensa. Ciononostante è serena e le sue labbra sono piegate in un sorriso che fa scomparire tutto il resto. E i suoi occhi colmi di lacrime puntano verso il basso, al fagottino che tiene fra le braccia e di cui appena distinguo le braccine, che fanno capolino dalla stoffa.

I flebili versetti che sento mi danno l’impressione di qualcosa di piccolo e indifeso. Eppure so già che ha due polmoni forti e sani con cui farsi ascoltare e farci passare le notti in bianco.

C’è anche Shizune nella stanza, me ne accorgo soltanto quando percepisco un fruscio e un lieve spostamento d’aria.

“Congratulazioni Sasuke-kun. La piccola è sana e forte!”

Ovvio, si tratta di mia figlia! Ed è una Uchiha. E intanto Shizune mi guarda di sottecchi. Come se non bastasse nel passarmi accanto mi riserva un sorriso malizioso e vagamente divertito; e solo allora mi accorgo di essermi imbambolato come un cretino a guardare la scena di mia moglie e di mia figlia strette l’una all’altra.

Il ninja medico esce dalla stanza ma l’orgoglio mi brucia lo stesso. Eppure, per quanto stupido io mi senta in questo momento, non riesco a distogliere l’attenzione da quanto mi si profila innanzi, almeno finché Sakura solleva lo sguardo su di me e mi riserva lo stesso, luminoso sorriso che poco fa era tutto per il fagottino.

“Sarada Uchiha,” me la presenta con orgoglio; e torna a puntare verso il basso.

“È bellissima, più di quanto potessi immaginare. Pesa circa tre chili e mezzo, è sana come un pesce… e strilla che è un piacere! E… forse è un po’ presto per dirlo, ma ti somiglia moltissimo! Ha il tuo stesso broncetto!”

Broncetto… io? Inarco il sopracciglio e sollevo di poco il mento. Se lo dice così mi fa sembrare un bambino capriccioso, altroché. Per farmi prendere sul serio devo forse assaltare un altro summit dei kage?

La mia espressione è… severa, ecco. Questo termine è decisamente più adatto a un adulto.

Tralascio la questione e torno con l’attenzione alla piccola. Dalla mia posizione riesco appena a vedere i ciuffi neri che spuntano dalle fasciature.

Deglutisco involontariamente; poi mi avvicino e mi pongo di fianco al lettino, riscoprendomi stranamente impacciato. Per fortuna Sakura è così presa dalla pupa da non essersene accorta, altrimenti mi avrebbe già preso in giro. Per poi proseguire vita natural durante, temo.

In compenso allunga il braccio e mi prende per mano. Le dita le tremano un po’; deve essere emozionata. Io agisco di rimando e stringo. Infine mi affaccio per osservare di persona la nuova arrivata.

Alla vista mi si presenta un rospetto tutto rosso e rugoso, con gli occhietti chiusi, i pugnetti stretti al petto e una zazzera nera sulla sommità del capo.

Non mi assomiglia per niente.

Anzi, a giudicare da come strilla so già che è tutta sua madre. E gli “shannaro” si sprecheranno. E dato che c’ho azzeccato col sesso, significa che ho proprietà da veggente più sviluppate di quanto credessi. Perciò, fra madre è figlia, i miei timpani sono già belli che spacciati, posso affermarlo con certezza. Ciononostante sollevo gli angoli della bocca verso l’alto, mentre constato che è talmente piccola da starmi in una mano.

“Vuoi prenderla in braccio?”

La domanda improvvisa quasi mi schiaffeggia. Qui la faccenda si fa seria.

Forse spiazzata dalla prospettiva almeno quanto me, Sarada si appoggia col faccino al petto della madre, piega la bocca in una smorfia tutt’altro che entusiasta e si lascia scappare un lungo, stridulo mugolio di disapprovazione. Ok, in effetti mi assomiglia un po’…

Sakura continua a fissarmi dal basso, tutta speranzosa. Passo con lo sguardo da lei a mia figlia e improvvisamente mi ricordo che non ho ancora comprato quelle sacrosante polpette di polpo.

Sicché mia moglie s’acciglia e mi blocca sul nascere; ogni tanto si riscopre veggente anche lei, specie per quel che mi riguarda.

“Fermo lì. Non ci pensare nemmeno,” esordisce col piglio degli Haruno; e stringe maggiormente la presa.

Era uno scricchiolio quello che ho sentito? Forse dovrei ricordarle che quella è l’unica mano che mi resta…

“Non mi sono mosso,” ribatto, espressione imperturbabile.

“Sì, ma hai fatto quella cosa.”

Batto le palpebre, senza capire di che diavolo sta parlando. Lei manda gli occhi al cielo, come se avesse a che fare col bambino capriccioso di cui sopra. Capriccioso e anche un po’ scemo, a dirla tutta. Il che mi mette maggiormente sulle mie; e infatti mi acciglio, sfoderando il fatidico broncio.

“Hai arricciato gli angoli del naso, caro mio. Sei prevedibile! Un po’ come quando t’arrabbi e tiri fuori lo Sharingan senza accorgertene. E poi dici che sei tranquillissimo,” precisa, sospirando e scotendo la testa. “E poi… Hai idea della fatica che ho fatto? Perciò ora comportati da uomo, da padre soprattutto, e prendila in braccio. Non morde mica!”

Sull’ultimo punto non ci metterei la mano sul fuoco. E cosa farei io con lo Sharingan? Bah! Dev’esserselo inventato di sana pianta in questo momento. Rilascio il fiato sotto forma di sbuffo e torno a guardare il rospetto rosso.

Prendo fiato e mi riscopro rigido come un pezzo di legno, mentre Sakura riprende a sorridere e mi allunga il fagotto con delicatezza. Cerco di assecondarla e tendo il braccio da quella parte, ma sebbene sia sempre stato abile nel maneggiare shuriken, katana e kunai, in questo caso non ho la più pallida idea di come approcciarmi a qualcosa di così… innocente.

La definizione mi colpisce e per la prima volta mi rendo conto del perché di tutta questa esitazione. Non voglio toccarla. Il braccio, le dita che la sfiorerebbero e perfino le iridi con cui la sto guardando in questo momento sono stati abili strumenti di dolore. Non posso toccare qualcosa di così prezioso con questa mano…

È un attimo soltanto, comunque, perché c’è Sakura e in men che non si dica è troppo tardi per i ripensamenti e mi ritrovo goffamente a contatto con mia figlia. M’irrigidisco ancora un po’, quasi possa cadermi da un momento all’altro.

“Mettile la mano sotto la testa, sì… così…” mi guida Sakura con voce gentile.

I polpastrelli incappano nella consistenza della seta; ed è così leggera, morbida e liscia da togliermi il fiato.

Il rospetto non deve aver gradito molto il cambio repentino di abbraccio, perché mugola e increspa la faccia, piega la bocca e si porta le manine alle gote, spremendosi tutta. Per un attimo non so che fare e mi immobilizzo, quasi la più piccola sollecitazione possa scatenare un putiferio di urla e pianti.

Tuttavia Sarada si limita a schiudere le piccole labbra e a saettare con la linguetta rosa fra di esse, come se stesse ciucciando. Infine mi si stringe al petto e si abbandona sul mio braccio, respirando piano.

È tenera, completamente indifesa. E a dispetto di tutto ha bisogno di me.

In quello stesso momento sento la gola stringersi e il petto gonfiarsi a dismisura. Perfino gli occhi mi pungono, mentre delineo con lo sguardo ciascun dettaglio del suo faccino. E realizzo che mi sono appena innamorato di lei a prima vista.

Sakura sembra percepire la mia emozione, perché si porta la mano alla bocca e trattiene un singhiozzo.

“Adesso puoi confessare, no? Che cosa le hai detto?” mi chiede, col tono incrinato.

Deglutisco e riporto alla memoria il momento in cui eravamo sdraiati sul letto. Ricordo la brezza e il frinire dei grilli, il respiro di Sakura e il suo viso rilassato dal sonno, la curva morbida delle sue labbra; e quanto ho sussurrato alla piccola peste, prima che ci catapultasse fuori di casa in piena notte: non vedo l’ora d’incontrarti.

“Mpfh,” esordisco, fingendo indifferenza, “Stavamo tramando. E gli Uchiha non condividono i propri piani.”

Sakura scuote il capo e scoppia in lacrime senza preavviso.

Baka,” dice fra un singhiozzo e l’altro, “ma, qualsiasi cosa stiate confabulando alle mie spalle, deve essere di vitale importanza se la piccola aveva così tanta fretta d’incontrarti.”

A quelle parole il mio cuore si contrae nel petto un po’ più impetuosamente rispetto a prima. Così mi chino sul lettino, metto al sicuro il rospetto fra le braccia della madre e sull’impulso del momento recapito sulla fronte della donna che amo un lungo, intenso bacio.

Le sono grato; per un mucchio di motivi diversi. E ha ragione Mebuki: è forte. E coraggiosa, anche. Ed io sono orgoglioso di lei.

Mentre la guardo asciugarsi le lacrime, con nostra figlia fra le braccia, l’unica cosa cui riesco a pensare è che è questo ciò che voglio proteggere. A qualunque costo.

Qualcuno si schiarisce la voce e sollevo lo sguardo in direzione dell’ingresso, dove Tsunade e i miei suoceri ci stanno guardando con soddisfazione. Shizune ha ancora quel sorrisetto malizioso sulle labbra, noto. E ciò mi pungola. Non quanto le parole di quella vecchia isterica di Tsunade, però.

“Ma che carino il nostro neo papà! Si vede che è commosso! Chi l’avrebbe ritenuto possibile? A quanto pare Sakura è riuscita ad addomesticare l’Uchiha selvatico!”

Kizashi scoppia a ridere alla maniera rumorosa degli Haruno – e aggiunge qualcosa a proposito di quanto belle siano Sakura e Sarada assieme. Per contro io sento qualcosa pulsare sulla mia fronte.

Passino le confidenze che si è presa mia suocera – in quanto tale ogni tanto devo per contratto venirle incontro. E le mie guance già urlano vendetta per i pizzichi indebiti. Passino pure le occhiatine e i sorrisini di quella zitella di Shizune. Ma questo è semplicemente troppo; e mi sento fremere da capo a piedi.

Prima che io possa dire o fare alcunché – giusto per far capire al branco di spioni che li voglio fuori dai piedi – Sakura interviene e mette i puntini sulle “i”; ma non nella maniera che mi sarei aspettato: “Sasuke! Lo Sharingan! Metti via lo Sharingan!”

Ops! Non me ne sono accorto!
 
 
Rieccomi dopo un sacco di tempo, scusatemi ma il fato mi è avverso ultimamente e i problemi piovono dal cielo come fiocchi di neve. E difatti vi lascio questo capitolo Sasukoso e mi congedo dicendovi che ci risentiremo fra un po', dacché ho un trasloco fra i piedi e non credo avrò il tempo di scrivere. >-< 
Per ora... smammo! E spero che la vena di follia che sarà presente in questa storia non vi dispiaccia poi troppo. xD Purtroppo la mia anima demente non riesce a stare buona... °A°
A presto! **
CompaH
   
 
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