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Autore: L o t t i e    14/05/2015    1 recensioni
Con quel sorriso beffardo ed inquietante della pallida luna costantemente alta nel cielo, una carrozza viaggiava placida tra la fitta e nera foresta. I rami degli abeti scuri battevano come grottesche braccia rinsecchite sul vetro della portiera, mentre il conducente iniziava a movimentare il viaggio frustando le magnifiche bestie puro sangue a guida della carrozza. Oltre la vegetazione, due curiosi guardavano la scena sghignazzando. Che magnifico quadro!
Tra pizzi e merletti, ricci, gemelli dalla dubbia sanità mentale e uno zio alquanto problematico, riuscirà Marishka a riconquistare i suoi poteri? Smetterà di usare le lentine colorate e farà capire al Conte che i ricci sono animali innocui?
...o meglio, riuscirò io, autrice, a dare un senso a questa storia?
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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01. Il Collegio.








Qualche ora dopo ― l'orologio a cucù segnava le due e trenta minuti, una figura lattea attraversò la porta, in modo letterale.
Marishka non si sarebbe accorta di nulla se nella stanza non fosse calato un improvviso gelo ed il piccolo Momo non si fosse rintanato nella sua casetta di plastica. Si voltò verso la ragazza bianca e la osservò con gli occhi imbevuti nella cruenza del sangue, non poteva far più nulla per quello spontaneo sguardo assassino. Anche lei la osservò, le iridi così nere che anche con la sua vista affinata non riusciva a distinguerne le pupille. Lo spettro le si avvicinò, fluttuando a qualche centimetro dal pavimento, mesto; poi la figura fece penetrare la propria mano nel petto nella vampira. Quest'ultima si irrigidì sussultando in seguito. Era strano ed opprimente riuscire a percepire le dita di quella ragazza carezzarle il cuore, studiarla con quelle pozze oscure.
«Cos...», riuscì a biascicare prima che il fantasma si ritraesse nuovamente.
«Marishka Katrina Von Dracula, vampira, nobile, molto nobile; nata il―»
«Ehy! Non sono cosa da dire ad alta voce!», la interruppe la diretta interessata.
«Mi scuso. Io sono Reika: kanji di spirito e fiore. Oh, che sbadata», forse, quella doveva essere un'esclamazione, suppose Marishka. Lo spirito ― Reika, oltrepassò nuovamente la porta in legno. Subito dopo, questa volta, la maniglia girò e quella che aprì la porta era sempre la ragazza fantasma però con una busta tra le mani: non era più opalescente. «I libri e la tua divisa. Qualche volta dimentico di assumere una forma “palpabile” e le cose che porto con me rimangono in corridoio.»
«Ah, bene», fece sarcastica Marishka, alzandosi di mala voglia per agguantare il tutto. Chissà come avrebbe preso, la sua compagna di stanza, il fatto che avesse usato anche la sua cassettiera. Osservò con aria di sufficienza gli indumenti: una gonna di un grigio molto delicato, camicia bianca e giacca rigorosamente blu notte a far pendant con le pareti dei corridoi. Orridi. «Non si possono cambiare? O, che ne so, modificare in qualche modo?»
Reika scosse il capo facendo ondeggiare i lunghi filamenti platinati che aveva per capelli. «Proibito dalle regole.»
«Neanche qualche merletto sul bordo della gonna?»
Stavolta l'altra si limitò ad osservarla mentre con una mano estraeva dalla cassettiera un abito alquanto succinto.
«Oh, quello? Non penso che a te serva la cassettiera, no?», le sorrise.

Aveva raggiunto un'accordo con la sua compagna di stanza e ne era soddisfatta, qualcun altro non sarebbe sopravvissuto al dibattito. Forse la trasparenza e l'apatia della sua coinquilina erano un ottimo vantaggio contro qualcuno come Marishka. La vampira avrebbe potuto utilizzare la metà dei cassetti destinati a Reika, ovviamente questo perché gli averi dello spettro erano davvero pochi in confronto.
A quanto pareva, quella era l'ora di pranzo e la sua nuova conoscenza, nonostante non avesse bisogno di cibo od altro la stava accompagnando alla mensa. Questo la aiutò a memorizzare meglio la strada. Un via vai di ogni sorta di creatura ghermiva gli ampi corridoi e, contrariamente al pensiero della vampira, nessuno la osservava in modo particolare ― anzi, un gruppetto di Licantropi la fulminò con gli occhi.
«Quindi, spiegami, qui non ci sono umani?»
«Non proprio. Ci sono le streghe e... loro due», Reika alzò un braccio indicando ad indice teso un ragazzo ed una ragazza che ridacchiavano. Stavano arrivando dalla parte opposta del corridoio e sembravano intenzionati ad entrare pure loro in mensa. Quei due paia d'occhi color ametista fecero ricordare a Marishka che quelli erano i tipi fastidiosi che aveva incontrato qualche ora prima. La vampira si chiese perché quei tipi potevano girare vestiti come volevano, in quanto lei dovette cambiarsi d'abito ed indossare quell'orribile uniforme. Guardò livida di rabbia il magnifico abito in pizzo e raso nero di Dominique abbinato al completo elegante in gilet e pantaloni di Dominik: sembravano una coppia di ballerini, più che altro.
«Loro? Che hanno quelli lì?»
«Nessuno sa cosa siano in verità e nei loro fascicoli la specie è stata cancellata in modo assai violento. Sembrano dei normali ragazzi circensi e molto abili nel contorsionismo ma non invecchiano. Nemmeno io lo capisco, inoltre...» e si osservò la mano, ovviamente senza mostrare alcuna emozione, «non si fanno analizzare da me.»
«Intendi dire la cosa strana che hai fatto prima? Beh, ci credo che non ne hanno voglia», ironizzò l'altra.
Dominik e Dominique non perdevano di vista la vampira nemmeno tra la confusione e ovunque si girasse questa, loro erano sempre lì ad osservarla divertiti, con quel sogghigno dipinto in rosa confetto sulle labbra della ragazza ed in una elegante linea nera per quanto riguardasse il maschio. Avevano scordato che vi fosse l'ora di pranzo e cena, quindi avevano rischiato anche di far ritardo al loro primo vero incontro con la loro preda. Che peccato che sarebbe stato! A fare la prima mossa, quando si parlava di ragazze, era sempre Dominik, per quanto la sorella poi sfociasse in quelle crisi di gelosia alquanto eccessive. Le uniche volte che lo risparmiava era quando avevano a che fare con ragazzi omosessuali. Mh.
La sala da pranzo era illuminata da quattro enormi lampadari in cristallo appesi all'alto soffitto color avorio: se si osservava bene, e seguendo i quattro punti che convergevano al centro, ci si accorgeva che quella, in realtà, era un'enorme volta a crociera. I tavoli, disposti in cinque lunghe file, erano apparecchiati in modo impeccabile con tovaglie blu e nere mentre sulla superficie spiccavano i piatti bianchi in porcellana e le posate argentate ― Marishka sperava non fosse argento vero.
«Ognyi posto è già stato assegnyato!», la voce acuta della donna che l'aveva accompagnata in stanza le perforò i timpani. Alzò gli occhi al cielo sforzandosi di non mostrarsi pignola per gli errori di pronuncia della donna e sforzò un sorriso. «Signyorinya Marishka, se vuole posso accompagnyarla. Reika.»
«Buona giornata, Miss.» le rispose quella.
«Sarebbe gradito, sì», accettò la vampira scorgendo ancora un luccichio violaceo tra i presenti. «Mi dica, le posate sono in puro argento?», approfittò quindi per domandarle mentre la seguiva affiancata da Reika al proprio posto. Solo allora scorse una coda color miele oscillare dietro la guida. Rimase un poco sbigottita, doveva ammetterlo.
«Certo che nyo, anche se non abbiamo altri della vostra specie, in ogni caso rischieremo delle serie ustionyi ad altri studenti e nyon vogliamo che ciò accada.»
«Mi sembra una cosa più che sensata», convenne la vampira.

«O~ha~yō~ Ojōchan; sembri nuova, ti andrebbe di visitare un po' il Collegio?»
Ciò che veniva servito e chiamato coraggiosamente pranzo altro non era che una bistecca al sangue dannatamente disgustosa e di basso rango, non adatta ad un palato sopraffino della vampira che adorava nutrirsi esclusivamente di sangue umano. Il maiale era orripilante. Come orripilante era il modo di porsi di quel ragazzo nei suoi confronti. Con stizza e la forchetta fra le mani, alzò gli occhi per incontrare quelli luccicanti e bramosi del ragazzo “speciale”.
«Prego?», sollevò un sopracciglio.
«Non ho potuto far altro che notarti, da questa mattina rimugino sul poter avere l'onore di essere il primo a―»
«Continua pure a rimuginarci su finché non troverai il modo di rivolgerti a me», detto questo, con molta nonchalance ripose la posata sul piatto e si alzò per potersi allontanare da quell'individuo. Doveva ammettere che si aspettava un comportamento dal tutto diverso da quel ragazzo: è proprio vero che l'abito non fa il monaco. Però, prima che potesse trovarsi a più di due metri da lui, questo le prese la mano ed elegantemente le baciò le nocche con quelle labbra fredde e lisce. Ah! Si era inchinato!
«Mortificato, milady», Dominik sentì distintamente le pupille fredde della sorella graffiargli la pelle: pazienza. «Non volevo rivolgermi a voi con quei volgari termini.»
«Oh, vedo che ragioni. Ebbene, puoi anche alzarti, a questo punto.»

Dominik le spiegò che dopo l'ora di pranzo ci si rivedeva in mensa per la cena: il pomeriggio era tutto dedicato alle attività extra-scolastiche per non annoiarsi. I compiti erano inutili lì, ed anche le lezioni a dirla tutta, ma in qualche modo il tempo lo si doveva occupare quando si era figli di pezzi grossi o creature ripudiate dall'universo umano. Perché sì, si trovavano in una sorta di universo parallelo e quello spiegava la strana inclinazione della Luna e della notte perenne. Il Collegio era stato aperto da una strega molti secoli prima, quest'ultima tutt'ora ne era la preside ma si lasciava vedere raramente ― giravano delle voci su ella. Che forse era già morta da tempo e che il suo cadavere giacesse ancora nella stanza della preside, supponendo ciò, l'edificio sarebbe dovuto essere amministrato dallo spettro della donna. Neppure una creatura però aveva il coraggio di verificare la veridicità di quella diceria. L'edificio aveva solamente quel piano, ma, grazie ad un sortilegio pareva ne avesse più di cinque ― così tante stanze da non riuscire a contarle. Una struttura imponente, di tutto rispetto all'interno ed una grezza, ma accogliente, struttura in pietra fuori.
«Sorprendente, nemmeno il Castello di mio zio―»
«Vlad Terzo di Valacchia», s'intromise il ragazzo.
«Dracula. Se fossimo in un posto minimamente normale a quest'ora un branco di lupi ti avrebbe stanato e poi sbranato.»
«Oh», sogghignò lui, come se questa notizia lo eccitasse, facendolo guizzare euforico. Marishka gli rifilò un'occhiata storta.
«Ora tocca a te presentarti.»
Con uno scatto, dandosi la spinta con la gamba destra ― Dominik fece un salto di almeno tre metri e, capriola inclusa, atterrò di fronte alla vampira coronando il tutto con un teatrale inchino. Contemporaneamente una risatina riecheggiò nel corridoio inseme al rintocco delle quattro in punto. La vampira si voltò nella direzione che ritenesse giusta, ma la risatina si rivelò reale di fronte a sé: alla destra del suo accompagnatore era comparsa la ragazza con la lacrima speculare a quelle di Dominik, col sorriso più ampio ed inquietante che potesse sostare sul viso di qualcuno.
«Noi siamo... Il Duo Dom!», maledettamente sincronizzate, le due voci sembravano fuse tra loro ed i visi dei gemelli, in quell'attimo avvicinati, uno solo, ghignante. «Le Fou è la nostra casa. Il confine del Kantorī Tarotto, dove il mondo dei mortali e quello dei Tarocchi sono pericolosamente vicini.»
«Io, Miss Dracula, sono Dominique. Non mi separo mai da mio fratello», sibilò la nuova presenza quasi fosse più un avvertimento che una presentazione.
«Dev'essere una vera seccatura», ribatté la vampira gonfiando il petto d'orgoglio.
C'era da dire che, per quanto impettita e per nulla scalfita potesse risultare, si era presa uno spavento coi fiocchi ― e mai l'avrebbe ammesso! Se Dominique era riuscita ad ingannare il suo fine anche se indebolito udito, qualcosa in quei gemelli non andava.
«Ah? Parla per te, Dominik gradisce la mia presenza!»
«Non iniziate a litigare, su», le zittì il ragazzo sorridendo. «Marishka, se vuoi, io e Dominique potremmo accompagnarti in camera.»
La vampira soppesò l'idea per qualche istante, poi annuì: da sola non sarebbe mai riuscita a tornare e poi, proprio mentre iniziarono a camminare―aggrottò la fronte. «Quando ti ho dato il permesso di darmi del “tu”?»
I due gemelli si limitarono a ridacchiare sommessamente.
  
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