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Autore: Kiki S    15/05/2015    1 recensioni
"Inverni dello stesso sangue" è una raccolta composta da cinque racconti, tutti accomunati dagli stessi punti chiave: il rapporto tra le sorelle e le stagioni fredde, le quali fanno da contorno alle singole vicende.
Ogni storia è un piccolo mondo che si snoda attraverso ricerche disperate, sogni coperti di polvere e, a volte, realtà incomprese e afferrate troppo tardi.
Ad accompagnare tutto questo solo il vento, la neve, il gelo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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TROPPO TARDI
 
Non dirai niente, Liz, non è vero?
No, non l’avrebbe fatto; sapeva che era una cosa sbagliata, ma con i suoi genitori sarebbe stata muta come un pesce. Avrebbe fatto qualunque cosa per Keira, non si sarebbe mai permessa di perdere la sua approvazione.
Per Liz, sua sorella era tutto: tanto per cominciare, per lei Keira era bellissima, e poi aveva un modo tutto suo di ridere, che la rendeva splendida.
Era vero che a volte faceva delle cose stupide (come quando la sera tornava troppo tardi, oppure come quando fumava di nascosto), ma lei era troppo presa dall’adorazione che nutriva nei suoi confronti per potergliene fare una colpa.
Se non fosse stata troppo piccola, motivo per il quale i suoi non la prendevano in considerazione quando facevano la ramanzina a Keira, avrebbe sicuramente preso le sue difese; e se per caso qualcosa fosse andato storto, l’avrebbe fatto anche quella sera.
Aveva nevicato fino a quella mattina, poi le temperature si erano abbassate e la neve si era tramutata in ghiaccio, ma mamma e papà erano dovuti uscire ugualmente: non avevano potuto mancare alla cena natalizia organizzata dall’azienda per la quale lavoravano entrambi.
Paul, suo padre, era giornalista e Lauren, sua madre, faceva la fotografa; tutti e due erano impiegati presso il Chicago Sun Time: qualche volta capitava che lavorassero allo stesso articolo, ma non sempre e, a volte, uno dei due era obbligato a spostarsi per far fronte alle esigenze professionali.
Evitavano però sempre di dover viaggiare nello stesso momento, per non allontanare Keira e Liz da scuola, dicevano. E poi, a Keira (sebbene sarebbe stata ben felice di poter saltare le lezioni), non sarebbe piaciuto viaggiare con i genitori; partendo da questo presupposto, avrebbe preferito evitarlo anche Liz. Se una cosa non andava a genio a sua sorella, allora doveva valere lo stesso anche per la più piccola. A lei andava bene così; la sua felicità era quella di Keira.
E quella sera Keira avrebbe dovuto badare a sua sorella, durante l’assenza dei suoi.
Probabilmente sarebbero tornati tardi, aveva anticipato la madre, quindi Keira aveva la responsabilità di preparare la cena e di mettere Liz a letto, ma la ragazza non sembrava volersi accontentare di trascorrere la serata seduta sul divano a guardare la televisione.
E dire che per un po’ Liz l’aveva sperato. L’idea di poter stare da sola con Keira l’aveva riempita di gioia, sperava che questa si dedicasse a lei come non faceva da tanto tempo, ma non appena sua madre e suo padre si erano chiusi la porta alle spalle, le vere intenzioni della ragazza erano venute a galla. Subito aveva sollevato la cornetta del telefono e aveva preso a chiamare tutte le sue amiche, invitandole a casa per un voi sapete cosa, così aveva detto.
Aveva anche aggiunto che lei di roba non ne aveva, e che quindi avrebbero dovuto portarla loro.
Era tutta felice ed esaltata dopo aver concluso l’ultima telefonata, e infine si era inginocchiata di fronte a Liz, le aveva sorriso come solo lei sapeva fare, e le aveva spiegato che quella sera sarebbero venute a casa delle sue amiche, che avrebbero fatto una piccola festa approfittando dell’assenza di mamma e papà, e che questi non dovevano venirlo a sapere.
Non dirai niente, Liz, non è vero? L’aveva pregata infine, con quei suoi adorabili occhioni azzurri.
Liz venerava gli occhi di Keira, avrebbe tanto voluto averli come lei, ma la più piccola li aveva scuri.
La bambina le aveva subito risposto di sì, perché non avrebbe mai rifiutato niente alla sua amata sorella maggiore, ma per una volta aveva provato stizza per la richiesta formulata da Keira; e in seguito se ne era quasi vergognata.
Aveva pensato di essere stata un’egoista; si era sentita infastidita, dall’idea che le amiche di Keira sarebbero state presto da loro, perché avrebbe preferito averla tutta per sé.
Si era detta che doveva pensare alla felicità della sorella, non alla propria, e se lei era più felice con le amiche che non lei, allora era con loro che doveva stare. E poi, aveva aggiunto una vocina nella sua testa, assecondandola, avrebbe fatto in modo che Keira le volesse più bene.
Il bacio che era venuto in seguito alla sua risposta affermativa era stato impagabile; e lo stesso valeva per quel sorriso radioso che le aveva donato.
Liz avrebbe dato la vita per uno solo di quei sorrisi.
A quel punto Keira si era allontanata cantando; era davvero felice quella sera, e Liz si era detta che avrebbe dovuto esserlo per lei.
Però aveva fame, e sembrava che sua sorella, per l’euforia del momento, si fosse dimenticata di essere stata incaricata di prepararle la cena.
Sua sorella cantava e si stava dirigendo al piano di sopra, verso la sua camera da letto.
Liz non si sarebbe posta grandi problemi a digiunare per far piacere a Keira, ma se per caso i suoi genitori fossero venuti a saperlo (e Liz dubitava di riuscire a nascondere il fatto di non aver mangiato per tutta la notte), per la maggiore sarebbero stati guai seri; e allora Keira l’avrebbe odiata. Quello non l’avrebbe permesso mai, il solo pensiero che potesse accadere le dava i brividi.
Così, alla fine, aveva deciso di seguirla nella sua stanza, e di provare a dirle qualcosa al riguardo; non avrebbe preteso sul serio che Keira le preparasse la cena, non voleva guastare i suoi piani, ma desiderava soltanto rendersi conto che sua sorella le voleva bene, e si preoccupava per lei.
In fondo era tutto ciò a cui anelasse.
Così Liz salì le scale, e sostò per qualche istante sulla porta della camera di Keira: quella stanza in cui tutto era disordinato e lasciato alla rinfusa, dove gli unici oggetti tenuti da conto erano i poster dei cantanti e attori preferiti della ragazza. Soprattutto quello di Brad Pitt; a Keira piaceva tantissimo.
Ma Liz non faceva caso né ai poster né al disordine. Lei restò subito incantata a guardare sua sorella, mentre questa, seduta su di uno sgabello davanti allo specchio, si pettinava i capelli.
Quei meravigliosi capelli biondi scuri, lisci e morbidi come seta; perfetti: la bambina li trovava semplicemente perfetti. Come d’altra parte era certa che fosse tutta la figura di Keira.
A volte si domandava se, quando anche lei avesse avuto diciassette anni, sarebbe stata come sua sorella; ma si diceva sempre di no, che non sarebbe mai diventata tanto bella.
Keira era unica e non l’avrebbe mai e poi mai eguagliata.
E poi i suoi capelli, come erano belli!
Liz li osservava mentre dalle setole della spazzola le ricadevano sulle spalle.
Poteva esistere una creatura più celestiale? Più meravigliosa? Liz si diceva di no; era sicura che, sua sorella, fosse la ragazza più bella del mondo.
Che qualche volta facesse qualcosa di stupido era di poco conto.
 
*
Certo che aveva proprio dei capelli splendidi, pensava Keira mentre se li spazzolava con cura, non avevano niente a che vedere con quel cespuglio che aveva in testa sua sorella.
Keira sapeva bene di essere molto più bella di Liz, ma in fondo dava questo aspetto per scontato: la sua sorellina minore era abbastanza insignificante; lei ricordava che, a otto anni, era già molto più graziosa e spigliata.
Oltre a non essere particolarmente carina, Liz non avrebbe nemmeno mai fatto strada in niente: era troppo silenziosa, troppo buona. Ci sarebbe voluto che qualcuno svegliasse quella bambina, ma non ne aveva certamente voglia lei.
No, Keira preferiva darsi al voi sapete cosa, nome in codice delle feste con musica a palla, dove girano bevande alcoliche di ogni genere, e qualche sostanza stupefacente, giusto per sballarsi un po’. Fino ad allora Keira aveva provato solo gli spinelli e l’ecstasi, ma sperava di potersi anche dare a qualcosa di più forte.
Sperava anche che Tina, la sua migliore amica, quella sera portasse qualche chicca speciale, come magari la cocaina. Era tempo che voleva provarla.
Alla fine, che senso doveva avere la vita senza il divertimento estremo?
Lei non sarebbe mai stata come Liz, sapeva che in quel caso si sarebbe annoiata a morte. A volte le sembrava di vedere il futuro di sua sorella, e immaginava come sarebbe stata quando fosse diventata adolescente: Liz sarebbe stata una ragazza sempre obbediente con mamma e papà, brava a scuola, rispettosa, diligente e responsabile.
In altre parole, una creatura esageratamente noiosa.
Già lo era abbastanza essendo ancora bambina; tutta colpa di quella puttana di sua madre, si diceva Keira, era lei a mettere in testa quelle idiozie a Liz, a farle credere che dovesse comportarsi da brava bimba.
E Liz era una stupida perché le dava retta.
Keira preferiva comportarsi come preferiva, facendo tutto ciò che le andasse di fare; qualche volta le toccava sorbirsi la predica dei suoi, ma per il resto era tanto di guadagnato.
In conclusione, la ragazza credeva che Liz fosse proprio sfigata.
Le faceva quasi venire i nervi mentre se ne stava lì, sull’uscio, a guardarla fissa con quegli occhi da cane bastonato; le veniva voglia di mandarla via, e forse l’avrebbe fatto senza troppi problemi, se non fosse stato che aveva davvero bisogno del suo silenzio riguardo a quella sera.
Probabilmente quella fessa di bambina si era convinta che il bacio che le aveva dato prima fosse stato un segno d’affetto, e che lo stesso valesse per il sorriso.
A dire il vero l’aveva fatto solo per tenersela buona, perché Keira sapeva bene che bastava poco per convincere Liz di ogni cosa; quella bambina la adorava, e pendeva sempre e letteralmente dalle sue labbra.
In fondo un po’ per questo le dispiaceva, soprattutto quando faceva quella faccia per troppo tempo; Keira finiva per provare pena per lei, perché era davvero triste che Liz pensasse di dover trascorrere la vita a venerare sua sorella. Keira, una cosa del genere, non l’avrebbe mai fatta.
Meglio pensare a se stessi prima che agli altri, questo era il suo modo di pensare.
Lei voleva un po’ di bene a Liz, solo che non aveva intenzione di dedicarsi a lei; per il suo bene avrebbe voluto che fosse un po’ più sveglia. In quel caso, forse, sarebbero andate anche un po’ più d’accordo; forse, in quella circostanza, Keira l’avrebbe anche considerata di più, ma sua sorella le faceva proprio venire il latte alle ginocchia.
Però era vero: le faceva pena. Soprattutto perché era ancora sulla porta e non si arrischiava a entrare. In fondo doveva riconoscere che, con lei, stava facendo la brava.
Non avrebbe detto niente ai genitori di quella festa, ne era più che sicura; almeno per questo motivo, si disse, avrebbe potuto dimostrarle un po’ di attenzione.
Affetto no. Quello sarebbe stato troppo.
-Vieni Liz, ti va di aiutarmi a scegliere cosa mettermi?- fece sorridendo e posando la spazzola sul ripiano di fronte allo specchio.
Gli occhi della bambina, in quel momento, si illuminarono come due scintille, e subito si fece avanti.
Certo che ce ne doveva volere di idiozia, per reagire con tanta gioia a una richiesta simile; e pensare che Keira non aveva certo bisogno dell’aiuto della piccola per decidere che cosa indossare. Sicuramente, in fatto di vestiti, se ne intendeva molto di più lei.
Continuando a sfoggiare il suo sorriso-farsa, la bionda si alzò e prese la sorellina per mano, poi la condusse con sé verso l’armadio; lo aprì. Straripava.
-Cosa mi consigli? Una gonna o un vestito intero?- Liz stette un attimo a pensarci. –Vestito- si espresse infine, anche se un po’ titubante.
Keira avrebbe preferito la gonna, ma si impose di farla contenta; si trattava di un dare e avere: lei si sforzava di dare attenzione a Liz, e questo era ciò che la bambina voleva, e Liz sarebbe stata in silenzio, oltre a fare tutto ciò che le avrebbe detto.
In fondo ci guadagnavano un po’ entrambe, non importava per chi questo valesse di più.
-Bene, vestito sia!- riprese la ragazza ancora sorridendo, suscitando ancora una volta la felicità totale della sorellina, poi estrasse dall’armadio due capi di vestiario diversi: erano entrambi abiti, ma uno era nero, con la gonna corta, le spalline sottili e una generosa scollatura, l’altro era azzurro, un po’ trasparente e senza spalline.
-Quale di questi, secondo te?-
-Quello azzurro- rispose la bambina dopo qualche altro istante di riflessione.
Se non altro, pensò Keira, per una volta Liz stava dimostrando di avere un pizzico di buon gusto: in effetti, quello era l’abito migliore, ricordava di aver indossato proprio quello, l’anno precedente, la sera della sua prima volta. Era stato facile da sollevare fino ai fianchi.
Improvvisamente si domandò che fine avesse fatto Jeremy … o come diavolo si chiamava.
L’aveva visto quella sera, a casa di Tina (lui aveva già vent’anni), e l’avevano fatto sul letto dei genitori della sua amica. In seguito si erano visti ancora per qualche mese, saltuariamente, poi era sparito. Non che le importasse granché: con la bella mercanzia che metteva in mostra, non aveva mai faticato a trovare qualcuno a cui offrirsi.
Anche quello era divertente; in fondo era un peccato che, quella sera, a casa, non ci fosse anche qualche maschietto.
Ad aprire le gambe non rinunciava mai, anche perché, quando lo faceva sotto l’effetto delle droghe, era ancora più eccitante.
Keira si disse che, probabilmente, Liz sarebbe stata una di quelle che restavano vergini per tutta la vita, oppure che l’avrebbe fatto solo dopo il matrimonio, con un unico uomo per tutta la sua esistenza.
Un’idea da panico; si sarebbe suicidata piuttosto che essere costretta a una vita simile.
-Brava, Liz! Anch’io avrei scelto questo, sai? È davvero il migliore- si complimentò, lasciando perdere le proprie considerazioni mentali.
-Veramente?- domandò la bambina incredula, felice come non mai per essere stata lodata da Keira. -Certo!- rispose l’altra, intensificando il proprio sorriso.
A quel punto, Liz andò a sedersi sul letto, mentre la sorella maggiore si cambiava.
Alla bionda quasi veniva da ridere mentre, attraverso lo specchio, vedeva gli occhi adoranti di Liz che la fissavano: in fondo, quel modo di fare di sua sorella era comico.
Una volta indossato l’abito e infilato le scarpe (quelle con il tacco alto, le stesse che quella puttana di sua madre le impediva sempre di mettere), si sedette di nuovo allo sgabello e iniziò ad occuparsi del trucco, poi si legò i bei capelli in una coda alta, dalla quale lasciò volutamente fuoriuscire qualche ciuffo, per darsi un aria un po’ sbarazzina e ribelle. Tina le aveva detto che così era più sexy e, in effetti, aveva notato che, con quell’acconciatura, acchiappava più ragazzi di prima.
Alla festa della settimana precedente (a casa di chi era? Forse di Kim. Era talmente fatta che non lo ricordava neanche), l’avevano addirittura voluta in due, e lei li aveva accontentati entrambi.
Quella sera era troppo fatta anche per ricordarsi quali fossero i loro nomi.
Ripensò al fatto che l’assenza di maschi quella sera fosse proprio un vero peccato; ma, in effetti, convincere i ragazzi a sloggiare era sempre difficile, soprattutto quando si stavano dedicando ai loro affari, e la sola idea dei suoi genitori che tornavano dalla cena di lavoro, e trovavano lei e le sue amiche a gambe spalancate era davvero allarmante.
Almeno, le ragazze, si potevano mandare via in qualunque momento e, nel caso una o qualcuna di loro fosse rimasta per qualche motivo, avrebbe sempre potuto inventare la scusa che questa, dopo una festa a casa di un’altra, fosse andata da lei per smaltire la sbornia, onde evitarsi la predica dei suoi. Giustificazione più che credibile.
-Keira, tu cosa vuoi fare da grande?- le chiese all’improvviso Liz, mentre dondolava le gambe avanti e indietro oltre il bordo del letto.
La ragazza non poté contenere un’espressione di compatimento, ma forse sua sorella non la notò, impegnata com’era nel guardarla ammirata. Quella era la classica domanda stupida e scontata propria delle bambine piccole; e soprattutto di quelle noiose.
-Non lo so, forse l’estetista- rispose, ancora per farla contenta. A dire il vero non ci aveva mai pensato: non le interessava affatto del suo futuro professionale; lei voleva solo divertirsi.
-Ah- riprese la più piccola -allora anch’io-.
Quell’ultima frase Keira la considerò davvero penosa: sua sorella voleva imitarla in tutto e per tutto, era davvero una cosa deprimente.
Si ripeté che a quella bambina sarebbe servita una bella svegliata, ma lei non aveva voglia di addossarsi quella responsabilità.
-Keira, a che ora arrivano le tue amiche?- tornò a chiedere Liz -tra mezzora sono qui- le comunicò l’altra, -e viene anche Tina?-.
-Ovviamente!- contrattaccò subito Keira, quasi con stizza. Sembrava sempre che Liz ce l’avesse con Tina, forse perché era gelosa di lei, ma se pensava, per caso, di poter essere considerata da lei più importante della sua migliore amica, si sbagliava di grosso, e avrebbe fatto meglio a disilludersi fin da subito.
Liz, alla sua risposta, sembrò delusa.
-Lei è la prima che ho avvisato. Sai che è la mia migliore amica- spiegò come a volerle far capire che, in quella competizione, non avrebbe avuto futuro.
Liz allora alzò le spalle e abbozzò un sorriso.
-Keira, posso mangiare qualcosa prima che vengono?- chiese con timore, quasi facendosi più piccola. In quel momento, alla maggiore, Liz fece di nuovo pena. Si alzò e andò a sedersi vicino a lei -Liz, non ho tempo per prepararti la cena, ti va di mangiare latte e biscotti per stasera?-.
Liz le sorrise a annuì.
-Brava la mia sorellina. Ora vai in cucina e tira fuori tutto, io arrivo tra due minuti che ti verso il latte nel bicchiere, così non lo rovesci- fece dolcemente, sempre sorridendole.
Liz annuì di nuovo, poi si sporse per darle un bacio sulla guancia.
-Avanti, fila! Io arrivo subito-.
Quando la bambina uscì dalla stanza, Keira si pulì con la mano la guancia che lei aveva baciato.
 
*
 
Latte e biscotti. Sì, poteva andare. Era ovvio che non avrebbe avuto tempo di prepararle le cena, non si aspettava che lo facesse, ma che le avesse proposto quel pasto serale insolito, era già più di quanto desiderasse. Comunque sua sorella le voleva bene, perché non le imponeva di morire di fame. Keira era buona in fondo, solo che i suoi genitori non se ne accorgevano.
E le cose stupide che faceva importavano davvero poco; lei era troppo bella, era normale che si comportasse di conseguenza. E poi, Liz ne era convinta, se sua sorella arrivava a fare certe cose, era soltanto colpa di Tina. Quella ragazza era davvero stupida; e anche brutta.
Liz non capiva perché Keira perdesse tempo con lei e come facesse a volerle tanto bene.
Diverse volte Tina veniva a casa loro, il pomeriggio e anche qualche sera, e se Liz era educata con lei e la salutava, era soltanto per non incorrere nel disprezzo di sua sorella.
Non fosse stato per Keira, l’avrebbe certamente mandata al diavolo.
Questo era strano per lei, la bambina brava e tanto diligente, ma non avrebbe potuto resistere davanti a quella faccia da scema. Liz pensava che non potesse esistere al mondo una creatura più irritante di lei. Keira era sprecata ad averla come migliore amica.
E anche quella sera ci sarebbe stata: era sempre in mezzo quell’antipatica e, a dirla tutta, Liz non aveva alcuna intenzione di sentire la sua risata da oca e le idiozie che uscivano dalla sua bocca.
Tina non faceva altro che parlare di ragazzi, di trucco e capelli, e questo influenzava Keira. Senza quella cretina tra i piedi, sua sorella sarebbe stata diversa, non avrebbe fatto stupidaggini e, probabilmente, le avrebbe voluto più bene.
Ma Liz sapeva bene di non poter competere con l’affetto che sua sorella provava per la sua migliore amica; non sarebbe mai stata abbastanza importante per lei. Eppure la bambina si accontentava del più misero gesto d’attenzione da parte di Keira. Come poco prima in camera sua: Keira le aveva addirittura chiesto di aiutarla a scegliere il vestito, e poi aveva affermato che avesse optato per il migliore. La sensazione provata era stata indescrivibile: quella era pura gioia.
Aveva pensato che sarebbe stato bello davvero, se le cose fossero andate così un po’ più spesso, se Keira le avesse permesso di starle accanto come era avvenuto pochi minuti prima.
Anche perché, mentre si rivolgeva a lei, sua sorella le era sembrata ancora più bella.
Ma in fondo, la cosa importante era che Keira le volesse bene e, una volta che la piccola riceveva affetto da sua sorella, non avrebbe chiesto niente di più; ed era sicura che quell’affetto esistesse: Keira era grande, bella, popolare, spigliata e intraprendente, eppure trovava comunque qualche momento da dedicarle, come poco prima. Sì, non poteva che volerle bene a propria volta; forse non quanto ne voleva Liz a lei, ma comunque abbastanza per renderla felice.
Quando Keira la raggiunse in cucina, stava ancora cantando. La bimba trovava splendida anche la sua voce. Secondo lei sua sorella avrebbe dovuto fare la cantante: la sua foto sarebbe stata benissimo sulla copertina di un disco, e Liz pensava che se ne sarebbe fatta fare una copia gigante da appendere alla parete.
Se non avesse provato timore all’idea che sua sorella potesse ridere di lei, glielo avrebbe sicuramente consigliato.
Ma Keira era intelligente (perché non importavano le cose stupide che faceva, lei stupida non lo era), e probabilmente ci sarebbe arrivata da sola, senza bisogno dei suoi consigli.
La ragazza versò il latte nel bicchiere per la più piccola, e le aprì la confezione di biscotti.
-Domani, a mamma e papà, dico che i biscotti li abbiamo mangiati insieme dopo cena, va bene? Così non ti chiedono perché sono aperti- iniziò Liz, preoccupata per l’eventualità che un’inezia tradisse il segreto della maggiore.
Non se lo sarebbe mai perdonata, se quell’inezia avesse avuto a che fare con lei; anche perché, ancora una volta, in quel caso Keira l’avrebbe odiata, e questo non doveva accadere.
-Brava. Fai così.- rispose l’altra, atona e disinteressata; Liz si sentì delusa: non sperava certo in particolari lodi per la sua idea, ma si sarebbe aspettata perlomeno un sorriso.
E invece niente. Ma Keira le aveva già sorriso più volte quella sera, e lei avrebbe dovuto accontentarsi.
-Quando ci sono le tue amiche posso venire di là, o devo stare nella mia camera?-
-Fai come preferisci. Vieni se vuoi.-.
Le parole le erano piaciute, ma ancora era mancata l’attenzione. Però avrebbe dovuto capirla: Keira era in fermento, perché non vedeva l’ora che le sue amiche fossero lì.
 
E le amiche di Keira arrivarono prima del previsto, a pochi minuti di distanza l’una dall’altra: c’erano quell’odiosa di Tina, Kim (quella con i capelli rossi), Terry, Francine e Sandra. Più o meno erano sempre loro quelle che venivano a casa.
Tutte quante si dimostravano sempre ben poco simpatiche con Liz; la guardavano dall’alto dei loro tacchi, attraverso i loro occhi impiastricciati dal trucco, e le riservavano un’espressione di sufficienza, quasi si trovassero di fronte a una povera scema.
In fondo, Keira, anche se faceva delle cose stupide, non era come loro; sua sorella non assumeva mai quell’aria superiore e beffarda, eppure Keira era la più bella tra tutte loro. E lo era di gran lunga; forse sarebbe stata l’unica a poterselo permettere, anche perché, ammettendo che la ragazza l’avesse mai guardata in quel modo, Liz l’avrebbe amata comunque.
Non appena suonò il campanello la prima volta, Keira si era fiondata fuori dalla cucina, tutta eccitata, senza più rivolgere nemmeno uno sguardo a sua sorella, ed era corsa ad aprire. La prima ad arrivare, ovviamente, era stata Tina.
Liz l’aveva capito subito, non appena al suo udito era giunto quell’urletto stupido e stridulo.
Reprimendo il fastidio e il disgusto si era alzata dal tavolo per dirigersi verso l’ingresso; a dire la verità avrebbe preferito rifugiarsi nella sua cameretta, e magari andarsene subito a letto, per non essere costretta ad assistere alla performance di cinque adolescenti idiote e fuori di testa, (e tra queste Keira non era inclusa, perché lei era diversa; lei era migliore), ma voleva che Keira la apprezzasse e, magari (ma no, quello sarebbe stato anche troppo), fosse fiera di lei.
Quando raggiunse l’ingresso, Keira e Tina si stavano abbracciando e saltellavano felici; la seconda stava bofonchiando qualcosa che la bambina non capì. Per terra, accanto alla porta, c’erano tre scatole di …probabilmente qualcosa da bere.
Liz attese pazientemente che le due finissero di dimostrarsi la loro contentezza, poi si sforzò di salutare la povera demente; in fondo, per lei, Tina non era altro.
-Ciao Tina- si rivolse a lei addirittura con un sorriso, ed era stato un grande sforzo.
Quella si chinò e guardò negli occhi la bambina; in viso aveva disegnato un risolino idiota, di quelli che si fanno quando si è consapevoli di essere superiori a qualcuno.
Ma Liz era ben lungi dal credere che Tina potesse esserle superiore; Keira sicuramente sì, ma quella faccia da ebete proprio no.
-Ciao Elizabeth, stasera se vuoi ti imparo a truccarti-.
Sì, aveva detto proprio ti imparo. La faccenda era preoccupante, se si pensava che quell’oca aveva diciassette anni, come Keira. E persino la ragazza bionda stava evidentemente tentando di trattenere una risata.
Anche Liz, nonostante i suoi otto anni, sapeva che si diceva ti insegno.
Quella ragazzaccia, oltre che brutta e stupida, era anche ignorante.
Liz si limitò a sorriderle, ma non le disse niente; avrebbe voluto correggerla ma, molto probabilmente, facendole subire un’umiliazione simile, Keira l’avrebbe disprezzata. Alla fine, nemmeno la stessa ragazza aveva osato farle notare l’errore.
Fortunatamente per Liz, l’idiota smise subito di prestare attenzione a lei.
-Allora, hai portato un po’ di roba?- le stava domandando Keira tutta contenta; Tina si batté sulla borsa con la mano -è qui- annunciò trionfante -ho portato anche quella roba- precisò, facendo scappare all’altra un gridolino festante. -Devo spararmela assolutamente!- esclamò, poi entrambe scoppiarono a ridere in modo sguaiato.
Liz, dal canto suo, non capiva proprio cosa ci fosse di tanto divertente in quelle parole.
A breve arrivarono anche le altre quattro e, in men che non si dicesse, Liz si era trovata seduta a un angolo del divano, con la musica assordante (e orribile) a rimbombarle nei timpani, a subire le urla e gli schiamazzi delle ragazze.
A terra c’erano svariate bottiglie di birra vuote, e una di queste lo era perché il suo contenuto si era rovesciato quasi per intero sul tappeto della sala; e quel liquido mandava un odore insopportabile.
Keira teneva in mano una della bottiglie, mentre era in piedi e ballava accanto a Tina, e ogni tanto prendeva da questa una lunga sorsata.
Liz trovava che il vestito azzurro le stesse davvero bene, la rendeva molto slanciata. E poi era incredibile come riuscisse a stare in piedi con tanta grazia sui tacchi alti; per Keira mai niente era impossibile, era così perfetta.
Prima di scendere in pista e aprire le danze, Tina aveva tirato fuori dalla borsa la sua roba, che consisteva in un sacchettino di plastica, contenente una strana polverina bianca che da lontano sembrava quasi zucchero.
Ne avevano presa tutte un po’, ma Keira si era dimostrata la più entusiasta; l’aveva tirata su aspirando con una narice, e Liz non aveva compreso tanto bene la dinamica della faccenda.
Solo una cosa le era apparsa molto chiara: quello era un altro aspetto del quale i suoi dovevano restare all’oscuro.
In quel momento Tina si era accesa una sigaretta, ma Keira le diede una spinta.
-Ehi, vai vicino alla finestra se devi fumare- sbottò, e Liz, in cuor suo, si sentì soddisfatta. Sperò addirittura che sua sorella e l’amica litigassero, finché Keira l’avrebbe sbattuta fuori di casa.
La bambina non si sarebbe persa una scena del genere per nulla al mondo.
-Ma non mi rompere- esclamò Tina, restituendole la spinta -guarda che i miei tornano stanotte- le fece presente l’altra -e se sentono odore di fumo il culo lo fanno a me, non di certo a te- proseguì alterata.
Liz si disse che Keira non doveva aver notato la bottiglia di birra rovesciata sul tappeto; perché anche quell’odore si sentiva, e per di più si vedeva bene anche la macchia. Mamma e papà non sarebbero stati contenti nemmeno di quello, e di certo le avrebbero chiesto spiegazioni.
-Oh- oh, qualcuna qui è diventata un po’ scontrosa!- enfatizzò Tina, prima aspirando dalla sigaretta, e poi espellendo il fumo direttamente in faccia all’amica -so io cosa ti ci vuole, bella mia- proseguì.
-Cosa?- domandò Keira cadendo dalle nuvole, e a quel punto l’altra rise di gusto -cosa vuoi che sia, tesoro?! Una bella scopata, no?- fece come se si trattasse della cosa più naturale del mondo.
-E con chi me la devo fare? Con la tua sigaretta? Sono abituata a cose un po’ più grandi, sai?-.
Nel frattempo, anche le altre ragazze si erano avvicinate alle due, e dimostravano di essere molto interessate alla conversazione.
-Andiamo al Lithium. Lì ci si sballa di brutto e c’è sempre qualche bonazzo da appalacchiare-; tutte le ragazze risero in coro. Kim abbracciò Tina alla vita e le rise direttamente nell’orecchio -si dice accalappiare, cretina!-. L’altra mise subito il broncio.
A quel punto fu Sandra a smuovere la situazione, avvicinandosi a Keira da dietro.
-Ma sì, andiamo al Lithium, non hai voglia di farti toccare un po’ le tette?- e dicendo così, le strinse i seni nella mani; Keira sobbalzò, poi rise.
-E la fica- si intromise Kim, dandole una toccatina in mezzo alle gambe.
Keira rise di nuovo.
-Allora, tesorino, che ne dici? Andiamo?- la punzecchiò Tina, tornata a sorridere, già dimentica della figuraccia di poco prima. -A dire il vero abbiamo tutte bisogno di una scopata-; a quelle parole, la altre si espressero con esclamazioni piene d’enfasi. Due di loro, Sandra e Francine, si abbracciavano saltellando, e ripetevano -Scopata! Scopata! Scopata!- con tono cantilenante.
-Bella idea, ma mia sorella dove la lascio?- rispose Keira tentando di essere seria, ma senza potersi impedire di continuare a ridere.
-La mocciosa puoi anche portartela dietro, tanto ci stiamo tutte nella mia macchina, e poi all’entrata del Lithium c’è sempre tanto casino che nemmeno controllano chi entra!- fece sempre Tina.
Kim le ripropose il gesto di poco prima, della toccatina in mezzo alle gambe.
-E falla divertire un po’ questa fichetta!- esclamò, poi sfilò di mano la bottiglia di birra all’amica, e ne terminò il contenuto.
Oramai stavano insistendo tutte e cinque, e alla fine Keira accettò di buon grado.
In breve tempo si erano ritrovate tutte nella macchina di Tina, Liz era seduta sulle gambe di Keira, che prendeva posto sul sedile posteriore insieme a Kim e Francine.
A dire la verità, quella di uscire (per andare oltretutto in un luogo che non conosceva), non le era sembrata affatto una buona idea, ma quando Keira si era accovacciata di fronte a lei per parlarle, e le aveva detto che sarebbero andate in discoteca, e se lei era disposta ad andare con loro e a fare la brava, Liz non aveva potuto far altro che acconsentire.
Perché a Keira non avrebbe mai detto di no, per nessun motivo al mondo, anche se sua sorella aveva le pupille dilatate e l’alito che sapeva di birra.
Liz, mentre era in macchina con le ragazze eccitate e urlanti, mentre la vettura a tratti slittava sul ghiaccio, intimorita da quell’imprevisto fuori programma, si diceva che, se avesse fatto tutto ciò che le diceva sua sorella, l’indomani lei le avrebbe voluto ancora più bene.
E questo era ciò che contava.
 
*
 
Cavolo, era proprio strafatta. Sentiva che intorno a lei tutto stava girando e, non appena entrata al Lithium, una discoteca da sballo che avevano aperto da poco, le luci stroboscopiche le erano apparse fari giganteschi, che quasi facevano rumore, oltre ad accecarla.
Però tutto quello era una vera figata, si sentiva euforica come non mai.
Le sei amiche si erano gettate subito nella mischia, tra quell’odore di sudore misto a bevande alcoliche, e fin da subito avevano iniziato a darci dentro alla grande: stavano ballando come pazze e ridendo come sceme; per di più, qualcuno aveva fatto immediatamente girare qualcosa. Erano pasticche, Keira non aveva idea di che cosa si trattasse, ma non ci pensò due volte prima di cacciarsene una in bocca.
Lei voleva lo sballo assoluto, il divertimento estremo, solo in quel modo valeva la pena vivere la vita e, se a causa dello stesso si rischiava di lasciarci le penne, lei pensava ben venga. Meglio una vita breve ma intensa, che una lunga e noiosa, tante volte si era ritrovata a pensarlo; chiaramente facendo riferimento a quelle poche occasioni in cui si fermava a riflettere. Keira di solito non pensava, lei agiva e basta, e più le sue azioni erano sconsiderate, più era soddisfatta.
In quel momento si era persino dimenticata che, presto o tardi, i suoi genitori sarebbero rientrati a casa e, se questo fosse avvenuto prima del suo rientro, sarebbe stata senza dubbio fatta a pezzetti.
Ma lei non voleva passare la vita a preoccuparsi, quella sarebbe stata una cosa da Liz.
A proposito, dov’era Liz? La sua mano era scappata dalla sua proprio quando era stata trascinata in mezzo alla ressa e da quel momento non ci aveva nemmeno più pensato.
Non che se ne crucciasse più di tanto: Liz era una brava bambina, nel caso si fosse persa, l’avrebbe aspettata davanti all’ingresso del locale. Poi nessuno le avrebbe dato noia: i ragazzi che frequentavano il Lithium erano interessati solo a puntare quelle come lei.
Ne aveva già visti un paio che la guardavano con un certo interesse, e lei se n’era compiaciuta; quella era una delle cose importanti della vita: quella di essere notata, di essere considerata eccitante.
Passare inosservata non avrebbe fatto per lei. Keira voleva essere sempre al centro dell’attenzione, in particolar modo dei maschi.
E poi, una bella scopata non le sarebbe dispiaciuta sul serio; tutto pur di divertirsi.
Intanto stava bevendo: era alla sua quinta birra, considerando anche quelle scolate a casa e sentiva che ormai era davvero andata. Non sapeva perché, ma non riusciva a smettere di ridere.
Tina e Kim ballavano accanto a lei, mentre le altre erano un po’ più in là.
Sandra stava già baciando un tipo biondo.
Tina aveva avuto ragione, andare in quella discoteca era stata proprio una buona idea: in fondo, una festa a casa solo tra ragazze, alla lunga si faceva noiosa, anche se c’era di mezzo la cocaina.
L’odore di sudore si faceva sempre più intenso: oramai le ragazze ballavano muovendosi appena, schiacchiate dalla folla in delirio.
Nel frattempo Keira continuava a ridere, non poteva proprio farne a meno.
E rise ancora più forte quando uno che a stento riusciva a distinguere da tutti gli altri, le si avvicinò da dietro e iniziò a ballare con lei. Le luci colorate le pulsavano sugli occhi, ma andava bene così, si sentiva in estasi. Solo così poteva considerarsi felice; solo vivendo alla grande.
E Liz? Le sussurrò una voce in testa, ma lei non aveva intenzione di farci molto caso.
Al diavolo quella bambina, al diavolo i suoi genitori. Keira voleva pensare soltanto a se stessa, e se qualcuno avesse scelto di portarsi via la mocciosa, che succedesse, a lei non sarebbe importato più di tanto. Forse erano le sostanze stupefacenti che parlavano per lei, ma in quel momento, di sua sorella, non le importava davvero nulla. Che imparasse un po’ ad arrangiarsi, lei aveva da dedicarsi al suo nuovo amico.
Buttò giù un nuovo sorso di birra, poi si voltò verso di lui, cominciando a ballargli di fronte. Il ragazzo sembrò apprezzare, e la prese per la vita, stringendola a sé.
Quella sì che era vita!
Erano i ciuffi che le uscivano dalla coda di cavallo e la rendevano più sexy, come diceva Tina; grazie a questi poteva attrarre chi voleva.
Intanto continuava a ridere.
Di Liz non le importava un bel niente.
Si guardò intorno: Kim e Tina si erano allontanate, o più semplicemente erano state sospinte più in là dall’accumulo di gente.
-Come ti chiami?- le stava chiedendo il tipo, urlando. Lei non riuscì a capire. Sentiva le sue parole, ma non ne afferrava il significato. Era proprio strafatta.
Non ricevendo risposta, il ragazzo si ripeté: -come ti chiami?- e questa volta parlò ancora più forte.
Niente. Non capì di nuovo. Doveva essersi messa a guardarlo con espressione stralunata, perché questo era scoppiato a ridere; poi, improvvisamente, si era sentita trascinare per un polso.
Il ragazzo aveva parlato di nuovo, ma Keira non aveva nemmeno fatto caso alle sue parole.
La bottiglia di birra le era caduta a terra; il suono del vetro infranto le arrivò amplificato alle orecchie.
Le luci quasi la accecavano. Non aveva idea di dove fossero le sue amiche. Ci vedeva doppio.
Il cuore le batteva all’impazzata nel petto.
E Liz? Le ripeté quella voce, ma Keira di nuovo la zittì.
In pochi minuti si ritrovò all’interno del bagno degli uomini, chiusa dentro a una delle toilette, sbattuta contro la parete, mentre il tizio appena conosciuto la baciava e le si strusciava contro.
Keira lo lasciò fare volentieri; in fondo era quello che voleva anche lei.
Voleva andare avanti così, solo quella poteva essere chiamata vita.
Fu soltanto quando lui le fece scivolare via di dosso il vestito azzurro scelto da Liz (e Liz? Dov’è Liz?), togliendole anche la biancheria intima, e abbassandosi i pantaloni, che capì che c’era qualcosa che non andava.
Ma che cos’era? Andava tutto come al solito: si erano baciati, strusciati, e in quel momento era giunta l’ora di andare al sodo, perché perdere tempo? Quindi cosa non andava?
Abbassò lo sguardo sul sesso del ragazzo, e in un lampo capì: lui non aveva il preservativo.
Questo la allarmò: per quanto non si fosse mai preoccupata di andare con ragazzi diversi a ogni festa, non aveva mai avuto rapporti a rischio. Quello non era previsto e non voleva correre il pericolo né di malattie né di una gravidanza: in fondo, entrambe le cose avrebbero compromesso il suo divertimento.
Avrebbe voluto dire qualcosa, ma la voce non le uscì; e non fu nemmeno in grado di fermarlo.
Durante il rapporto provò piacere, ma non riuscì a togliersi dalla testa l’idea che una cosa del genere non sarebbe dovuta accadere; non era quello che voleva: Keira desiderava godersi la vita, non correre rischi inutili. Non di quel genere, almeno.
Per la prima volta nella sua vita, pensò di aver fatto qualcosa di stupido, ma ormai era troppo tardi per rimediare.
E Liz? Ripeté ancora quella voce nella sua testa, subito dopo che il tale appena conosciuto le era venuto dentro. Sentì di nuovo quella voce, anche mentre lui si riallacciava i pantaloni, la baciava di nuovo sulle labbra, e le diceva, senza che lei riuscisse a capirlo, che sperava di beccarla un’altra volta.
Ci ripensò anche quando Tina entrò nel bagno (forse era andata a cercarla), la trovò nuda e inebetita, e la aiutò a rivestirsi.
 
*
 
Luci lampeggianti, musica assordante, una massa di ragazzi scatenati; Liz aveva visto solo questo arrivando in quel posto. Fin da subito non aveva capito più niente.
E per di più si era persa: un attimo prima stava stringendo la mano si Keira e l’attimo dopo, non sapeva come, questa era scivolata via dalla sua. Tra quel mare di teste molto più alte di lei non era più riuscita a trovarla.
Quel che era peggio, era il fatto che non riuscisse a vedere più nemmeno la porta da cui era entrata; le sembrava di trovarsi in mezzo alla fine del mondo, schiacciata e sballottata, senza nemmeno avere il tempo di comprendere che cosa stesse accadendo.
Per di più nessuno faceva caso a lei; nemmeno uno, tra quegli adolescenti in estasi, notava quella bambina spaventata che non sapeva dove voltarsi.
E le mancava l’aria. Erano in troppi all’interno di quel posto e Liz era troppo piccola; sentiva solo una gran puzza: un po’ era quell’odore nauseante che aveva sentito anche a casa, proveniente dal liquido uscito dalla bottiglia e rovesciato sul tappeto, ma per il resto si trattava di un tanfo orribile. Si trattava di sudore, era inconfondibile, ma era talmente intenso da risultare insopportabile.
Proveniva da tutti in quel locale.
Liz fin da subito si era spaventata a morte: perché Keira aveva lasciato la sua mano? Perché, una volta accortasi di averla persa, non era tornata indietro a cercarla?
E poi per quale motivo l’aveva trascinata lì? Dovevano restare a casa.
Che sua sorella volesse divertirsi poteva anche capirlo, finché si trattava della festa organizzata a casa con le amiche la questione era passabile, ma lì … quello proprio no.
Liz lo pensò, e avrebbe voluto vergognarsene in seguito, ma non ne fu in grado: quella era la cosa più stupida che Keira avesse fatto, non avrebbe mai dovuto comportarsi così.
Perché Keira doveva pensare a lei. Sì, ma lei è bella, molto bella, vuole divertirsi come è giusto che sia, le suggerì una voce. Però mamma e papà erano stati molto chiari: -Devi badare a Liz, Keira. Stai molto attenta. È una prova di grande responsabilità, lo sai.-.
Ma Keira, di responsabilità, aveva dimostrato di non averne per nulla.
Che dici, Liz? Vuoi forse paragonarla alle sue sciocche amiche? Keira non è come loro, Keira è diversa, è migliore! Eppure, mentre pensava ciò, sentiva qualcosa stonare dentro di sé.
Keira è meravigliosa, punto. Devi fare tutto per lei. Tutto.
E l’aveva fatto; aveva anche accettato di uscire, cosa vietatissima, pur di farla felice. Perché la felicità della sua adorata sorella era sempre contata più di qualunque altra cosa.
Liz, al termine di questa serata, Keira ti vorrà più bene che mai, non sei contenta? No, non lo era.
Liz, in quel momento, aveva soltanto paura; la musica la stava rendendo sorda, e si sentiva soffocare. Dov’era sua sorella? Perché non tornava a cercarla? Oramai doveva essersi accorta della sua assenza. Possibile che con un simile atteggiamento potesse volerle bene?
Certo che ti vuole bene, cosa vai a pensare? È solo troppo bella per starti dietro, ma Keira ti vuole bene, lei non è come le altre.
Intorno a lei c’erano solo le luci intermittenti e un mucchio di adolescenti che la schiacciavano.
Era persa; forse non sarebbe più riuscita a trovare Keira, forse non sarebbe più uscita di lì.
Brancolando nell’oscurità spezzata a tratti dalle luci psichedeliche, aveva cominciato a piangere e singhiozzare; le lacrime le annebbiavano la vista, e Liz pensò che, se stava piangendo, se si era persa e aveva paura, era colpa di Keira.
No. No. Dai la colpa a Tina. È lei che ha proposto l’idea di venire qui. Prenditela con Tina, come sempre.
Keira era stupida. Perché non si era occupata di lei come avrebbe dovuto?
Improvvisamente fu spinta a terra da dietro, non seppe da chi; una volta caduta, qualcuno le pestò una mano con la scarpa.
Liz cominciò a camminare carponi, tentando di farsi strada tra le gambe in movimento, cercando di capire dove stesse andando. Voleva raggiungere l’uscita di quel postaccio, trovarsi finalmente fuori, all’aria aperta; lì avrebbe atteso sua sorella.
Intanto piangeva ancora; paragonò il suono delle sue lacrime al canto spensierato che Keira aveva intonato dopo aver telefonato alle amiche per invitarle a casa.
Keira aveva cantato quella sera, era stata felice, perché avrebbe fatto quel che voleva, ma sarebbe stata Liz a pagarne le conseguenze: di questo non le era importato neanche per un momento.
Era vero che non sarebbe mai stata bella quanto Keira, né l’avrebbe eguagliata in quanto a spigliatezza, ma Liz era certa che mai e poi mai si sarebbe comportata così nei confronti di qualcuno che amasse; e nemmeno verso chi le fosse indifferente. Non avrebbe fatto la stessa cosa nemmeno a Tina, anche se la detestava.
Liz capì in quel momento che non era questione di affetto, ma di testa; e Keira aveva dimostrato di non averne.
Keira è diversa, ricordalo. Se fa così è solo per colpa di Tina, ma lei è intelligente.
In quegli istanti, più che aver vicino Keira, sentiva di volere la mamma; e c’era di più: quando fosse stata a casa, avrebbe detto a quest’ultima che non voleva più essere lasciata sola con sua sorella. Non voleva spiegarle il perché, dato che, nonostante tutto, l’amore che provava per Keira non si sarebbe mai spento, ma qualcosa si sarebbe inventata. Non voleva mai più trovarsi in una situazione del genere, non era giusto.
Lei voleva tanto bene a Keira, ma avrebbe voluto che fosse diversa.
Sei pazza, Liz? Keira non potrebbe mai essere diversa, non la ameresti tanto se non fosse così.
Sì, avrebbe davvero voluto che fosse diversa: tanto per cominciare, sarebbe stato meglio avere una sorella maggiore in grado da atteggiarsi da tale.
Liz voleva una sorella responsabile, che le volesse bene, e glielo dimostrasse.
Era vero che, forse, non avrebbe adorato come Keira una sorella di quel tipo, ma valeva davvero la pena amare tanto in quelle condizioni? Il problema non era che non ricevesse nulla in cambio, quello l’avrebbe accettato volentieri; ma c’era differenza tra quello e la maniera in cui sua sorella si comportava con lei.
Piangeva sempre più forte, non sapeva dove fosse.
Una ragazza le cadde addosso, schiacciandola a terra. Quando questa si rialzò, non la degnò nemmeno di uno sguardo.
Liz, tra le lacrime, si disse che era contenta, e fiera di se stessa, per il fatto che non sarebbe diventata come quei ragazzi; come Keira.
No, Keira è diversa! Keira è diver …
Liz impose alla voce nella sua testa di fare silenzio: non voleva sentire nulla, voleva soltanto trovare l’uscita. Se avesse saputo dove si trovava, pensava che sarebbe anche tornata a casa da sola, ma non dovevano essere tanto vicine, se avevano preso la macchina.
Non avrebbe mai dovuto lasciarsi trascinare in quel posto da sua sorella, non avrebbe mai dovuto darle retta e fare di tutto pur di accontentarla; ma ormai era troppo tardi per rimediare.
Voleva andare a casa.
Speriamo che Keira stia bene! Non avrebbe voluto pensarlo, ma fu più forte di lei. Forse, sua sorella, non era tornata indietro perché si era persa come lei, o perché si era sentita male per via di quella gran calca. Povera Keira, aveva pensato cattiverie sul suo conto. Keira non le meritava.
Liz pianse più forte mentre si sentiva in colpa. La sua adorata Keira, sicuramente sarebbe tornata indietro a cercarla se avesse potuto, ne era certa.
Keira era diversa da tutte le sue amiche, Keira era migliore, e su questo non c’era alcun dubbio.
Improvvisamente si sentì toccare una spalla e istintivamente si mise a urlare; riconobbe quasi subito, però, la ragazza che le si accovacciò di fronte: era Kim, quella con i capelli rossi.
-Lizzy, perché non sei con Keira?- le domandò la ragazza alzando forte la voce. Liz voleva rispondere che l’aveva persa, che la mano di sua sorella era scappata dalla sua, ma riuscì soltanto ad aggrapparsi all’unica figura conosciuta che vedesse intorno, e a cominciare a piangere appoggiata al suo petto.
Kim la prese in braccio.
-Ma come ha fatto a perderti, quant’è scema Keira!- esclamò Kim mentre cominciava ad allontanarsi con la bambina tra le braccia.
-Tu sei scema! Keira è brava, sono io che mi sono persa!- protestò Liz, tirando da dietro i capelli della rossa.
Non si capacitava del motivo di questa sua reazione; in fin dei conti, fino a qualche istante prima, lei stessa pensava le medesime cose nei confronti di sua sorella, ma non aveva potuto tollerare quella parole. In sé aveva sentito rinascere quell’amore profondo, insensato e viscerale.
Keira era meravigliosa, diversa, speciale e, soprattutto, troppo bella.
Kim non poteva permettersi di dire di lei certe cose, e nemmeno lei avrebbe dovuto osare pensarle, poco prima, ma ormai, era troppo tardi per tornare indietro.
Kim non si sprecò a risponderle, e in un baleno la condusse fuori dal locale; lì c’erano anche Sandra, Francine e Terry. Mancavano soltanto Tina e Keira.
Nel giro di pochi istanti, però, dall’uscita, arrivarono anche loro: Tina stava aiutando l’amica a camminare, dato che questa a stento si reggeva in piedi da sola.
Liz, nel vedere la sorella, si divincolò dalle braccia di Kim e fece di tutto per raggiungere Keira.
-Keira, voglio andare a casa. Andiamo a casa, ti prego!- la implorò, ma la sorella maggiore sembrò quasi non vederla.
Liz allora prese a intensificare la sua disperazione: piangendo di più, si scaraventò contro Tina, e iniziò a colpirla con i piccoli pugni sull’addome.
-È per colpa tua. È perché tu sei stupida. Ti odio, Tina! Ti odio! Ridammi mia sorella!-, urlò a squarciagola. Ed era davvero certa che la colpa fosse sua.
Quello che aveva pensato di Keira poco prima non contava, era certa di quel che aveva detto: non poteva essere colpa di sua sorella, no! Era Tina la responsabile. Quella stupida.
La ragazza chiese a qualcuna delle altre di toglierle di dosso la mocciosa, poi, in fretta e furia, salirono in macchina e ripartirono alla volta di casa.
Questa volta Liz si era ritrovata nell’angolo, vicina a sua sorella, ed il capo di quest’ultima pendeva quasi inanimato nella sua direzione. Keira teneva gli occhi chiusi, ma stava respirando.
La bambina si inginocchiò sul sedile, prese la testa di sua sorella tra le mani, e cominciò a parlarle all’orecchio.
-Keira, mi senti? Prima ho pensato delle cose brutte, ma era solo perché avevo paura, te lo giuro. Io ti voglio tanto bene, e anche tu mi vuoi tanto bene, vero? Senti, io non dico niente a mamma e papà di questa sera, non ti preoccupare, però la prossima volta non andiamo da nessuna parte, ti prego! Stiamo da sole io e te. So che non sono tanto divertente come sorella, mi dispiace, però voglio provare a essere lo stesso la sorella che vuoi tu, almeno un po’.
Farò tutto quello che vuoi, te lo prometto. Basta che non facciamo più come stasera.-.
A quel punto, la baciò sulla fronte.
Certo che andavano un po’ troppo forte. Pensò Liz, un attimo prima di sentire le urla.
Poi ci fu lo schianto; poi il rosso, e infine il nero.
 
*
 
Le sembrava quasi di fluttuare, eppure si rendeva conto di trovarsi su di un letto.
Era ancora viva, di questo era certa, ma non era invece molto sicura di quel che era accaduto.
Aveva solo vaghi ricordi di quella serata, tra una pasticca buttata giù senza pensare, non ricordava dove, e un tale appena conosciuto senza preservativo.
Gli occhi le si aprivano e si chiudevano; si aprivano e si chiudevano.
Qualche punto del corpo le faceva male, ma non capiva da dove provenisse il dolore.
So che non sono tanto divertente come sorella, mi dispiace, però voglio provare a essere lo stesso la sorella che vuoi tu, almeno un po’.
Improvvisamente le venne in mente questa frase, ma non seppe assolutamente dove collocarla.
Nell’aprire gli occhi, si trovò di fronte sua madre: la guardava con occhi arrossati e gonfi e si stringeva le braccia al petto.
Perché aveva quella faccia cupa? Si era risvegliata, era viva. Capiva che fosse in collera con lei, ma non sembrava che nei suoi occhi ci fosse solo quello.
Tese la mano in sua direzione, ma la donna non fece nulla per stringergliela.
Keira restò così per diversi istanti: la mano tesa nel vuoto, in attesa di un contatto che non veniva; infine la riabbassò.
-Mamma- si sforzò di dire -mi dispiace-.
Ancora non capiva bene cosa fosse successo, ma aveva ben chiaro che quelle erano le uniche due parole che avrebbe potuto dire.
-Ti dispiace, Keira? Davvero? E di cosa?- fece la madre, gelida, eppure chiaramente in procinto di riprendere a piangere. Perché che avesse pianto in precedenza era palese.
Keira cercò di ricordare; cos’era accaduto quella sera? Aveva disobbedito, come sempre. Doveva pensare a Liz, ma aveva deciso di approfittare dell’assenza dei suoi per invitare le sue amiche a un voi sapete cosa.
Già, il problema doveva essere proprio quello. Forse si erano sballate troppo, lei era svenuta e una delle sue amiche aveva chiamato un’ambulanza e i soccorsi avevano provveduto ad avvertire i genitori. D’altro canto, lei era minorenne.
Ma questo non spiegava l’espressione di sua madre; né il ricordo del ragazzo che non indossava il preservativo.
Keira osservò la madre senza capire.
-Dovevi badare a Liz, Keira, e invece tu sei uscita con le tue amiche, e Dio solo sa che cosa avete preso.- riprese la donna, rinfrescandole la memoria.
-Andiamo al Lithium-. Nella testa rivide Tina mentre lo diceva.
Doveva aver visto lì, in discoteca, il tizio che non indossava il preservativo. All’idea avvertì un moto di schifo; non per ciò che aveva fatto, ma perché era rischioso e disgustoso.
Forse era stata male lì; ricordava vagamente di non essere stata in grado di parlare a un certo punto. Ma no, quello non era abbastanza, qualsiasi cosa fosse avvenuta, doveva essere successa dopo.
E cosa poteva accadere a delle ragazze ubriache e strafatte che tornano dalla discoteca, guidando sulla strada ghiacciata?
-Ho avuto un incidente, mamma?- domandò nonostante l’avesse già intuito -sì- rispose sua madre, sempre gelida -ma sto bene?- si ritrovò a chiedere la ragazza senza pensare.
Fu in quell’istante che la donna si mosse e le andò più vicina.
-Sì, Keira, stai bene. Ti hanno asportato la milza, ma stai bene- disse questa; e lo disse duramente.
-Ma tua sorella …- aggiunse subito dopo, non potendosi evitare i singhiozzi -tua sorella … oddio, Keira, ma come hai potuto?-.
Solo allora la ragazza sembrò ricordarsi di Liz.
Liz. Dov’era Liz? Si era persa in discoteca? Era rimasta uccisa nell’incidente?
-Cos’è successo a Liz, mamma? Come sta?- domandò, improvvisamente apprensiva.
Aveva anche tentato di tirarsi a sedere sul letto, ma non ci riuscì.
-Tua sorella, Keira. Dovevi pensare a tua sorella! Come hai fatto a essere così stupida? Oddio, Liz!-.
-Lo so che sono stata stupida, mamma, ma ti prego, dimmi come sta Liz. Cosa le è successo?- la ragazza, con gli occhi spalancati, ormai stava urlando.
La madre, di fronte a lei, ormai piangeva senza più risponderle.
-È morta, mamma? Liz è morta? Dimmelo, ti prego!-.
 
-Dimmi di Liz-.
 
-È morta?-.
 
-Come sta Liz?-.
 
Liz.
 
Dov’è Liz?
 
*
 
Quando riaprì gli occhi, non le sembrava più di fluttuare. Era giorno, lo capiva dalla luce che entrava dalla finestra.
Per un attimo volle illudersi di aver sognato ogni cosa, ma fu facile rendersi conto che non era così: si trovava in una camera di ospedale, e quello certamente non poteva essere un sogno.
Però doveva esserlo stato quell’altro, quello dove aveva parlato con sua madre, e lei piangeva nominando Liz, senza spiegarle cosa fosse successo, perché la sua sorellina si trovava nel letto accanto al suo.
Aveva il visino escoriato, però teneva gli occhi aperti, la guardava e sorrideva.
Tese la mano verso di lei.
 
So che non sono tanto divertente come sorella, mi dispiace, però voglio provare a essere lo stesso la sorella che vuoi tu, almeno un po’.
 
-Ehi Liz, stai bene?- le domandò sorridendole a propria volta. La bimba mosse la mano e andò a stringere la sua -sì- le rispose con un filo di voce.
Keira sospirò di sollievo.
Solo credendo di averla persa per sempre, si era resa conto di quanto tenesse a lei.
E pensare che era stata così stupida da rischiare di perderla davvero e, in quel caso, la colpa sarebbe stata soltanto sua. Fortunatamente le veniva data una seconda occasione: forse non era troppo tardi.
-Anche Tina e le altre stanno bene, sai? Non si sono fatte niente- la informò, e Keira sentì nascere dentro di sé un gran moto di affetto nei suoi confronti.
-Meno male; ma sai, Liz: sono più contenta che stia bene tu- fece la ragazza in un sorriso.
Gli occhi della bimba divennero lucidi.
-Davvero?- le domandò commossa e felice.
Sì, lo pensava realmente. Povera piccola Liz, come aveva potuto comportarsi in quel modo? Farle correre tutti quei pericoli? Non sarebbe accaduto mai più. Forse era davvero il caso di cambiare.
Anche perché, si disse, non voleva mai più ritrovarsi a fare sesso con un ragazzo che non indossasse il preservativo, né voleva più essere tanto fatta da non riuscire a fermarlo.
-Tu ti sei fatta male, Keira?-
-No, piccola, niente di grave. Sto bene-.
Liz sorrise. -Meno male- asserì -ero preoccupata che ti eri fatta male. Per questo mi sono fatta mettere nella stanza con te: volevo essere sicura che stavi bene- terminò.
In quel momento, Keira avrebbe voluto sprofondare: nonostante tutto, Liz si era preoccupata tanto per lei, sicuramente più che di se stessa. E pensare che era stata così sconsiderata.
Meritava una sorella simile?
-Sei un amore, Liz- le disse dolcemente, e quelle parole sembrarono consentire alla bambina di toccare il cielo con un dito. Forse avrebbe sempre voluto sentirgliele dire, ma Keira era sempre stata troppo occupata a pensare a se stessa, per rendersi conto del tesoro che aveva accanto.
Capitava sempre così: di queste cose ci si accorgeva solo quando si rischiava di farsele scappare di mano. Ma, per fortuna, la mano di Liz era ancora stretta nella sua.
-Vedrai che torneremo a casa presto-; Liz annuì.
-E la sai una cosa? Quando saremo di nuovo a casa, ce ne stiamo un po’ di tempo insieme, solo io e te, e ci divertiamo un po’ per conto nostro-. Keira quasi non riuscì a credere alle proprie parole e, soprattutto, faticò a rendersi conto che le pensava davvero, che sarebbe stata felice di passare del tempo con sua sorella.
In fondo Liz lo meritava e lei voleva essere, per quella bambina, una sorella maggiore come si doveva.
-Solo noi?- le chiese Liz sorpresa, stupita e sinceramente felice -solo noi, te lo prometto- e, detto questo, la bionda sorrise di nuovo alla sua sorellina.
 
-Buongiorno!- esclamò una voce proveniente dall’ingresso; Keira si voltò: nella stanza stava entrando un’infermiera, che portava con sé un carrello stracarico di occorrente medico.
-Ciao Liz, come stai adesso?- domandò la nuova arrivata rivolgendosi alla bimba –bene- fece quest’ultima -Keira si è svegliata- aggiunse.
L’infermiera guardò la ragazza, e abbozzò un timido sorriso -oh, meno male! Così sei contenta finalmente, vero?-. Liz rispose subito di sì.
A quel punto, la donna vestita di blu si avvicinò al letto di Liz, poi le infilò il termometro nell’orecchio, per prenderle la temperatura.
-Eh, Keira! Sei proprio fortunata ad avere una sorellina come Liz. Non ha fatto altro che chiedere di te, fin dal primo momento, e non è stata tranquilla finché non l’abbiamo messa in stanza con te- affermò convinta, parlando con la ragazza.
Questa sorrise -lo so, sono davvero fortunata ad averla- esclamò sfoggiando addirittura una punta d’orgoglio. Come non essere orgogliosi di Liz?
Nel frattempo, le aveva stretto la mano più forte. Gesto che Liz ricambiò.
Il termometro suonò, e l’infermiera ne osservò il quadrante: -trentasei e sei, benissimo! Niente febbre, campionessa!- fece sorridendo alla bambina.
Anche Keira sorrise di nuovo, perché in quel momento si sentiva davvero felice.
-Va bene, ora cambiamo la medicazione- aggiunse infine l’infermiera.
A quelle parole, l’espressione di Liz cambiò radicalmente.
-No! Non voglio! Non voglio!- piagnucolò -su, fai la brava. Sai che dobbiamo farlo- le intimò l’altra dolcemente, andando ad accarezzarle anche la fronte.
Keira, in quel momento, provò pena per la sua sorellina; non quella pena quasi schifata che tante volte aveva avvertito pensando a quanto fosse noiosa. Il sentimento di quel giorno era diverso, autentico, profondo e, soprattutto, non egoista.
A Keira, Liz faceva pena perché era una bimba che cercava di essere sempre coraggiosa, ma che alla fine aveva paura di farsi toccare dai dottori o chi per loro; e questo avveniva perché, comunque, era ancora piccola.
Toccava a lei starle accanto in un momento simile.
-Dai, Liz. Tranquilla, ci sono io qui con te. Ti tengo la mano, va bene?- le disse dolcemente.
Liz si voltò a guardarla in viso -me la tieni tutto il tempo?- le domandò, tremando lievemente -non te la lascio neanche per un attimo, te lo giuro-.
La bambina le sorrise e sembrò trarre forza da quelle parole; respirando a fondo tornò a guardare l’infermiera e assentì con la testa.
-Brava, Liz. Sei una bambina coraggiosa- esclamò quest’ultima.
A quel punto tirò indietro la coperta e Keira non riuscì a mantenere fede alla sua promessa: lasciò la mano di Liz, e si portò le sue al viso.
Per poco non gridò, quando vide i moncherini fasciati al posto delle gambe.
 
Liz. Dov’è Liz? Liz è qui. E le sue gambe? Quelle no.
 
Keira osservò con orrore l’infermiera che toglieva le bende a Liz; con orrore guardò l’espressione assente e persa di sua sorella, mentre questa rivolgeva gli occhi verso quel quasi nulla che le pendeva dal bacino. Capì in quel momento di non aver sognato le parole di sua madre.
Liz aveva perso le gambe nell’incidente, non sarebbe mai più stata la stessa di prima, e la colpa era stata solamente sua, della sua irresponsabilità, del suo egoismo, della sua sconsideratezza e della sua stupidità.
E ormai, era troppo tardi per rimediare.
 
   
 
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