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Autore: Mary P_Stark    16/05/2015    3 recensioni
Stheta mac Lir è il principe ereditario della casata dei mac Lir, prossimo re di Mag Mell e valente condottiero fomoriano. Il suo essere primogenito è stato spesso fonte di drammi interiori, così come di conflitti con il padre e la madre. L'aver tradito, seppur inconsapevole, il fratello minore Rohnyn, ha causato in lui ulteriori dubbi e ulteriori sofferenze, portandolo a rivalutare concretamente tutta la sua esistenza. E' giusto che il suo popolo sia così chiuso in se stesso, che i sentimenti vengano banditi dalla vita quotidiana? Perché, l'essere come gli umani, è visto come un difetto, quando la vita sulla terraferma pare, ai suoi occhi curiosi, piena di meraviglie? Ciara, suo capitano delle guardie e fidata amica di una vita, è preoccupata dalla svolta pericolosa presa dai pensieri del suo principe, soprattutto quando scorge in lui un interesse sempre crescente per l'umana Eithe, amica di Sheridan. In questo triangolo di interessi sovrapposti, Stheta scopre anche una nuova realtà, creature ancor più mistiche di quanto già loro non siano e che, per ironia della sorte, lo aiuteranno a scoprire le verità che cercava. - 2° RACCONTO SERIE "SAGA DEI FOMORIANI"- Riferimenti presenti nel racconto precedente. Crossover con ALL'OMBRA DELL'ECLISSI
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Saga dei Fomoriani'
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10.
 
 
 
 
Il sole era splendido, l'aria profumata le scaldava la pelle esattamente come a me e, in quel piccolo angolo di Paradiso, nessuno ci avrebbe disturbati.

Riemersi dopo un paio d'ore di navigazione nell'Oceano, diretti verso sud.

Raggiunto l’isolotto dove intendevo fermarmi, uscii dall’acqua assieme alla mia amata e, con attenzione, percorremmo gli ultimi metri nell’acqua bassa.

«Dove siamo?» mi domandò Ciara, guardandosi intorno con aria affascinata.

L'isola, piccola e allungata, era completamente disabitata, niente più di un piccolo punto sperduto nell'oceano infinito. Ma era tutta nostra.

«Siamo poco a nord-est di Santa Maria, un'isola nel bel mezzo dell'Oceano Atlantico. Questo sperone di roccia è completamente disabitato e, a parte gli uccelli marini e le palme, siamo le uniche creature viventi, qui» le spiegai, prendendola per mano per uscire dall'acqua.

Non appena mettemmo piede sulla sabbia calda, Ciara sorrise, guardandomi come una bambina eccitata.

Erano millenni che non scorgevo più quello sguardo libero da dubbi, da paure, da regole.

Era nuovamente la bambina dei tempi delle senturion.

Bambina che, un attimo dopo, tornò adulta e, con curiosità mista a dubbio, mi domandò: «Perché mi hai portata qui?»

«Perché volevo che tu fossi mia lontano dal palazzo, lontano da ciò che ti fa soffrire, da ciò che ti rende cupa e fredda, quando so benissimo che non lo sei.»

Le carezzai le spalle, il collo, le guance, poi tornai alle sue mani e le sollevai, baciandole con tenerezza.

«Sai bene che, anche se daremo libero sfogo a quello che sentiamo, non cambierà niente, alla fine?» si premurò di dire, imitandomi.

Sentire di nuovo la pressione delle sue labbra sulla pelle, fu elettrizzante.

«Non lascerò che un'altra donna si insinui tra noi due, e scusami se ti ho fatto credere di essere stato interessato a Eithe in quel senso. Avrei dovuto chiarirmi prima, con te.»

Mi sorrise timida, una cosa che non avrei mai pensato di trovare, in lei, e replicò: «E io non avrei dovuto tenerti il broncio per così tante settimane, o morderti per mera gelosia. E' stato sciocco.»

«Ma molto gratificante, ora che ti ho sentita dire che l'hai fatto per questo.»

«Sbruffone» mugugnò, storcendo la bocca.

«Sono un principe. E' un sinonimo» ridacchiai, chinandomi un poco per baciarla.

Stavolta, Ciara mi lasciò fare e, quando sentii le sue mani farsi largo nella tunica per carezzare la mia pelle, gioii dentro di me.

Approfondii il bacio e, lentamente, la accompagnai a terra con me, lasciando che i nostri corpi provassero le sensazioni della sabbia calda sulla pelle.

Il mantello di capelli di Ciara si sparpagliò sotto di lei, simile a una colata d’oro fuso.

Lo carezzai debolmente, lasciando che la mano, poi, tornasse sul suo corpo tonico, di donna e guerriera.

Mentre il sole ci scaldava la pelle, e lo stridore dei gabbiani ci teneva compagnia, liberai Ciara della tunica verde scuro che indossava, lasciando che il vento la accarezzasse.

Così come io la stavo accarezzando con lo sguardo.

Ammirai estasiato i suoi seni, li baciai con reverenziale rispetto ma, quando Ciara fece lo stesso con il mio torace, persi di vista l'autocontrollo che tanto avevo tenuto tra le mani.

Lasciai che mi esplorasse, mentre io esploravo e conoscevo lei, carezzando quella pelle che, fino a quel momento, avevo solo immaginato di poter toccare.

Mi sorprese con la sua intraprendenza, con il suo modo sensuale di muovere quel corpo splendido contro il mio, eccitandolo, bramandolo.

Sorrise lasciva quando sfiorò le mie parti intime, facendomi quasi perdere la testa e, solo a stento, la trattenni dall'andare oltre.

Volevo durasse per sempre, non che finisse subito.

Ed ero molto vicino a rovinare tutto, grazie al suo tocco inaspettatamente esperto.

Per un attimo, mi chiesi quanti altri uomini avessero condiviso piaceri simili con lei, e fremetti.

L’idea di tagliare la testa a ciascuno di loro mi sfiorò per un attimo, ma fui costretto a fermarmi lì.

Che diritto avevo di farlo, dopotutto? Io avevo potuto dilettarmi con molte donne, prima di avere Ciara.

Lei avrebbe potuto chiedere giusta vendetta allo stesso modo, e cosa avremmo risolto?

Uno stuolo di giovani fomoriani sarebbero morti per un colpo di testa di entrambi.

No, meglio darsi una calmata e pensare solo a godere di quei momenti magici con lei.

Le bloccai i polsi sopra la testa, portandola sotto di me e, sardonico, mormorai: «Sei perfida, lo sai?»

«Sei tu che hai voluto scoperchiare il cosiddetto Vaso di Pandora.»

«Mea culpa

Affondai la bocca sul suo collo, e lei si inarcò sotto di me, chiedendo di più.

Era così strano pensare che, la donna che stavo amando, era la Ciara dura e combattiva che difendeva il mio palazzo.

Erano due persone così diverse!

«Non voglio più vederti così chiusa e seriosa. Sei così bella, quando sei libera da freni...» mormorai, tra un bacio e l'altro.

«Se mi presentassi così, chi spaventerei?» replicò, dandomi un morso leggero alla spalla.

Ansimai, e le diedi ragione.

D'altro canto, io mi ero innamorato della guerriera indomita, e avevo solo sperato che vi fosse, sottopelle, quella tigre scatenata che ora mi stava facendo impazzire.

«Allora mi correggo. Solo con me, sarai così.»

«Più... credibile...»

Liberò una delle mani, affondò le unghie nella mia natica e mi condusse a forza verso di lei, facendomi intendere cosa volesse da me.

Risi della sua impazienza, ma la accontentai, affondando in lei con una spinta lenta, morbida.

Ciara reclinò indietro il capo, e mi parve di sentirla miagolare, pure se non ne fui molto sicuro.

In quel momento, la mia mente stava vagando nel piacere più assoluto, perciò non fui del tutto certo di avere percepito bene.

Mi mossi lentamente su di lei, dentro di lei, e Ciara mormorò: «Non sarà... mai più... la stessa cosa...»

«Non ne avrai la possibilità. Nessun uomo ti avvicinerà. Mai più

Odiai il pensiero di altri uomini nella sua vita, del primo che l'aveva instradata nelle arti dell'amore carnale, e non potei fare a meno di provare nuovamente un istinto omicida davvero primordiale.

La marchiai con il mio corpo, la feci mia più e più volte e, quando mi ritenni infine soddisfatto, lasciai che lei facesse di me quello che voleva.

E Ciara mi accontentò.

Si dimostrò dirompente, frenetica e instancabile e, quando il sole cominciò a reclinare a ovest, crollai sui nostri mantelli assieme a lei, stremato e sazio.

Il mio corpo non aveva ancora perso la sua luminescenza, pur se ora appariva più fioca, stanca al pari mio.

Sorrisi sornione alla donna che mi aveva ridotto in quello stato e, un po' provato, mormorai: «Sapevo che avrei trovato questo, in te.»

«E io che pensavo di essermi mascherata meglio» replicò, sorridendomi con aria sonnolenta.

Mi carezzò la pelle e sorrise quando, i punti da lei sfiorati, brillarono con notevole intensità.

Mi parve fiera di scatenare un simile stravolgimento emotivo nel mio corpo.

Se le donne avessero avuto lo stesso tipo di reazione chimica, Ciara sarebbe apparsa ai miei occhi come un'autentica dea.

Non che nuda, e asservita al mio sguardo, non lo sembrasse.

Quel corpo mi chiamava a sé come, un tempo, le sirene avevano richiamavato con l'inganno i naviganti tra le loro braccia.

Scivolai verso il basso per darle un bacio sull'ombelico, e lei ridacchiò.

«Il tuo onore, la tua dedizione, il tuo coraggio, il tuo rispetto verso i sottoposti, il tuo buon cuore... tutte queste qualità hanno plasmato la donna che sei ora... e che io amo.»

Mi sollevai a sedere, volgendomi a mezzo per guardarla, lei ancora distesa sui nostri mantelli.

«Lo hai sempre fatto con modestia e parsimonia di emozioni, ma io sapevo che le tenevi ben strette dentro di te. Nessuna persona arida si sarebbe mai comportata come te, nel corso dei secoli. E questo mi ha sempre affascinato. Desideravo con tutto me stesso che, un giorno, questi tuoi sentimenti scaturissero.»

«Per questo hai passato gli ultimi duecento anni a punzecchiarmi su ogni argomento possibile? A farmi ammattire con le tue uscite non programmate? A darmi il tormento con mille e più combattimenti?» ironizzò, carezzandomi un braccio con dita leggere.

Annuii, sentendomi un po' sciocco nell'ammetterlo.

«Allora è vero che sono tarda» rise sommessamente, sollevandosi a sua volta per darmi un bacio sulla spalla. «Io facevo di tutto, invece, per non cedere ai tuoi tentativi di spezzare il mio autocontrollo. Non avevo capito che lo stessi facendo per liberare... me

«Mi avresti creduto, se ti avessi semplicemente detto che mi piacevi?»

«No.»

«Ci è voluta la tua gelosia nei confronti di Eithe, per spezzare il tuo autocontrollo» la irrisi bonariamente, dandole un buffetto sul naso.

Lei storse la bocca, ma annuì.

«Le devo delle scuse. Anche se non sapeva del mio odio, dovrei comunque scusarmi.»

Scossi il capo, dicendole per contro: «Lei sa che ero interessato a te.»

«Le hai parlato... di me?» esalò, avvampando in viso.

Curioso come, su certe cose, Ciara si imbarazzasse ancora.

Annuii, parlandole di ciò che ci eravamo detti, dei consigli di Eithe e di ciò che avevo compreso, stando con lei.

Carezzandole distrattamente il contorno del viso con un dito, mormorai: «Ero furioso con te, perché non ti comportavi come lei. Desideravo vederti più espansiva, più sorridente, più... beh, più un sacco di altre cose che, scioccamente, pretendevo da te perché volevo che le provassi stando con me.»

Risi contrito, e aggiunsi: «Fu sciocco. Perché avrebbe voluto dire cambiarti, farti diventare una donna diversa da quella che avevo imparato ad apprezzare, e amare, nel corso degli anni.»

«Desideravo esserlo, ma non sapevo come. Ma, più di tutto, avevo paura di esternarti ciò che provavo, perché sapevo benissimo che non avrei mai potuto trattenerti, averti per me solo» ammise Ciara, reclinando il viso.

I suoi lunghi capelli glielo incorniciarono, velando anche il suo corpo statuario.

«Mi batterò per averti, Ciara. Non desidero una moglie con cui non potrò avere un futuro lieto e sereno. Rovinerei la mia, e la sua, di vita, e non è giusto. Farò ragionare i Saggi. Savarhne è già dalla mia parte. Grazie a lui, forse avrò qualche possibilità di spuntarla.»

Ciara sbatté le palpebre, confusa, ed esalò: «Non dirmi che ne hai parlato anche con lui?!»

Risi di gusto, scuotendo il capo di fronte alla sua preoccupazione crescente.

«No! Ho solo parlato con lui di alcuni dubbi che mi arrovellavano, e che riguardavano anche la scelta della mia sposa.»

«E lui cosa ti ha detto?»

«Che le cose sono in continuo mutamento, e che quindi è giusto puntare a un cambiamento. Nella sostanza, mi ha detto questo.»

«E'... una buona cosa» mormorò, pensierosa.

Nel cielo, quasi oscuratosi per la notte, scivolò solitaria una stella cadente e, nell'osservarla, sperai che fosse foriera di buone nuove.

«Credo sia tempo di tornare indietro. Che dici?» asserii, rivolgendo uno sguardo malinconico a Ciara.

«Il mondo continua a girare. Noi dobbiamo muoverci con esso» assentì, levandosi in piedi per indossare nuovamente tunica e mantello.

La aiutai, liberandola dalla sabbia che era rimasta attaccata alla sua pelle e, nel darle un bacio leggero, dichiarai con veemenza: «Troveremo il modo. Te lo prometto.»

«Sei il mio principe. Mi fido.»

Mi sorrise e, con un risolino, corse verso l'acqua e si gettò nell'oceano, mutando in delfino.

Un attimo dopo, la seguii a mia volta.

 
***


Notte e giorno, a Mag Mell, erano scanditi dall'andamento in mare delle correnti.

La luminosità accresceva, o diminuiva, in base al rifulgere della barriera di Savarhne, che delineava quali fossero i ritmi sulla terraferma.

Quando infine giungemmo a casa, la barriera era scura e, oltre essa, potevamo scorgere le creature di profondità e i loro strani corpi bioluminescenti.

Parevano stelle in movimento su un cielo notturno e, per un attimo, mi tornò in mente la stella cadente che avevo visto con Ciara, poche ore prima.

Nell'avvicinarmi con lei a palazzo, l'uno vicino all'altra senza esserlo realmente, seri entrambi ed entrambi pacifici, trovammo piuttosto strano vedere giungere di corsa un trafelato Konag.

Quando ci vide, sorrise spontaneamente e, accelerata l'andatura, ci raggiunse quasi senza fiato, l'aria sconvolta e preoccupata.

Si piegò in avanti, poggiando le mani sulle cosce, ed esalò: «Finalmente... vi ho trovato... principe...»

«Che succede, Konag? Perché tutta questa fretta?» gli domandai, chiedendomi cosa fosse successo, di così grave, nella mezza giornata che avevamo passato lontano da Mag Mell.

«Sono salito in superficie non appena la tempesta si è chetata. Ero d'accordo con Eithe di... beh...»

Si bloccò, guardando dubbioso Ciara, ma io lo tranquillizzai, invitandolo a continuare.

Annuendo, Konag allora proseguì nel suo racconto, parlandomi del suo arrivo sulla costa, e di Megan che lo attendeva sulla spiaggia come da programma.

Ci disse di quello che, al loro arrivo a casa di Megan, avevano trovato in giardino, e di quello che la donna era riuscita a fiutare.

L'odore di Caitlinn.

Questo li aveva messi in allarme, portandoli a cercarli nel vicino boschetto, ma senza esito alcuno.

Sempre più in ansia, Megan si era vista costretta a chiamare una delle sentinelle del branco per avere notizie sull'amica, ma di lei non si era vista traccia, nel circondario.

«Megan mi ha spiegato che, di solito, i combattimenti al primo sangue devono avere almeno un testimone, oltre a essere convalidati dal capoclan. Primo, per via della loro aura, come abbiamo potuto testimoniare noi stessi. Secondo, perché qualcuno deve dichiarare ufficialmente la fine dello scontro e il suo risultato. Terzo, perché Fenrir deve essere d’accordo nel consentire lo scontro. Ma nessuno degli interpellati ha detto di averle viste.»

Il suo tono si fece nervoso, concitato, e aggiunse: «Questo, per loro, è un periodo di transizione, perché la loro Fenrir sta delegando tutti i suoi poteri al nuovo capobranco. A quanto pare, si sente ormai troppo stanca per continuare, perciò c'è in atto un cambio di potere al vertice, e Caitlinn pare interessata a diventare Prima Lupa.»

Spiegai succintamente a Ciara cosa fosse una Prima Lupa, ovvero la compagna del capoclan, e quali gerarchie vi fossero all'interno del branco, ivi compresa la figura di Fenrir.

Lei annuì, torva in viso, e asserì: «Un'arrampicatrice sociale, eh?»

«Evidentemente, finché la loro Fenrir era in carica, le bastava la figura di un Freki, per sentirsi importante. Ma ora punta al massimo,… alla Corona» borbottai contrariato quanto furente. «Se penso che ha tartassato Eithe per un uomo che neppure vuole veramente, mi viene voglia di sgozzarla con le mie stesse mani.»

«Temo vi dovrete mettere in fila. A quanto pare, il Freki in questione, saputa della sparizione di Eithe e Caitlinn, si è messo alla loro ricerca, e pare avere un diavolo per capello» ci spiegò Konag, torvo in viso.

«Andiamo a dare loro una mano. Possiamo tenere sott'occhio la costa molto meglio di loro... anche al buio» disse a quel punto Ciara, il cipiglio del comando ben evidente sul suo viso. «Se sono nelle sue immediate vicinanze, le troveremo.»

Annuii, dandole una pacca sulla spalla, e aggiunsi: «Io e Konag conosciamo lo spettro mentale di Eithe. Potremmo rintracciarla anche così.»

«Spettro... mentale?»

Sbatté le palpebre, mi fissò con aria inquisitoria e, alla fine, Ciara aggiunse: «Dovrai spiegarmi un po' di cose, Stheta. Perché ho idea che tu abbia omesso un po' di punti, nel tuo racconto.»

«Non ce n'è stato il tempo» sottolineai, sorridendole sghembo.

Lei non diede adito di avermi sentito – o fece finta di nulla, per non arrossire di fronte al mio velato accenno alla nostra nuova situazione.

Dopo aver scrutato la barriera, dichiarò lapidaria: «Andiamo. Non c'è tempo per discorrere oltre.»

Senza ulteriore indugio, ci dirigemmo verso il limitare della barriera e, dopo averla oltrepassata, nuotammo sotto forma di delfini fino alla riva, dove riprendemmo forma umana.

Lì, sulla spiaggia, trovammo Megan ad attenderci.

Era evidente che Konag le aveva assicurato aiuto, ma che fosse passato parecchio tempo da quando un simile giuramento era stato espresso. Appariva sconvolta e in ansia.

Ci fece un cenno e, nel raggiungerci sul bagnasciuga, lanciò solo una breve occhiata a Ciara prima di dire tesa: «La zona sud di Dublino è interamente perlustrata dalle sentinelle mentre, a est e a ovest, ci sono dei miei amici fidati. Resta la costa a nord.»

«Ci dirigeremo lì» assentì Konag, dandole una pacca consolatoria sulla spalla.

Megan annuì, mormorando pensosa: «E' strano perché, a un certo punto, la traccia olfattiva si è persa. Siamo arrivati su una strada di campagna, e poi più nulla. Probabilmente sono salite in auto, ma per dove?»

«Fin dove potete arrivare, come olfatto?» si informò a quel punto Ciara, pratica come sempre.

«Dalle sei alle dieci miglia, con il vento buono. Se siamo contro vento, invece, è completamente nullo. Ma il punto è un altro. Nessun lupo combatterebbe mai al di fuori dal proprio territorio, e la zona che è controllata dal nostro capo branco non si estende molto a sud, rispetto a Dublino. In città, inoltre, non si sarebbero mai permesse di combattere.»

«Procederemo a nord e...»

Mi bloccai, pensando bene a come fosse composta la costa intorno a Dublino, e dichiarai un attimo dopo: «Se fossero entrate in acqua, avreste perso le loro tracce, vero?»

«Sì, perché?» esalò Megan, prima di iniziare a comprendere dove volessi andare a parare.

«Ci sono isole, nei dintorni?» mi domandò Ciara, già sorridendo speranzosa.

Annuii ma, prima ancora di parlare, un'auto si fermò nei pressi della spiaggia e, a discenderne, fu niente meno che Díomán.

Ancor più oscuro di quanto lo ricordavo, i corti capelli e la barba incolta che gli adombrava il viso aggrottato, discese il breve terrapieno che lo divideva dalla spiaggia.

Muovendosi con rapide falcate, in breve fu da noi e, dopo averci squadrato tutti, mi riconobbe e disse: «Fomoriano. Allora, Megan aveva ragione. Sei qui per dare una mano?»

«Se mi è possibile. Siamo stati informati di ciò che è successo e, visto che possiamo procedere in acqua più speditamente di voi, ci siamo offerti di pattugliare le coste.»

Annuì, sempre più torvo in viso.

«Non ci rimane che il mare, a questo punto, perché la terra è stata scandagliata per bene. Cosa proponi, dunque, fomoriano?»

«Ci sono due isole, nelle vicinanze. Ireland's Eye e Lambay Island. Hanno avuto tutto il tempo di raggiungerle, visto il tempo che è passato da quando sono scomparse, perciò punterei le nostre ricerche lì.»

Díomán annuì e, lapidario, sentenziò: «Quando le troverò, spiegherò bene loro cosa vuol dire farmi arrabbiare

Preferii non dirgli i motivi della sfida e, lanciata un'occhiata al mare calmo, domandai: «Le vostre capacità di nuotatori?»

Megan e  Díomán si guardarono vicendevolmente ma, alla fine, dovettero ammettere che non erano di molto superiori a quelle di un cane comune.

Io e Konag annuimmo all'unisono e, nel lanciare un'occhiata a Ciara, che assentì, dichiarai: «Tu, Díomán, verrai con me e Ciara. Andremo a Ireland's Eye. Konag e Megan punteranno verso nord, a Lambay Island. Chi le troverà per primo, avvertirà l'altro.»

Annuimmo praticamente all'unisono ma, quando ci dirigemmo verso il mare,  Díomán mi domandò: «Come intendi arrivarci?»

Gli sorrisi e, ammiccando, dissi: «Io, nuotando. Tu... a cavallo di un delfino.»

Mi guardò stranito, ma assentì.

Ciara, gettandosi per prima, mutò forma e mi attese in acqua.

Io la raggiunsi, subito seguito dal licantropo che, con un mezzo sorriso, scavalcò la mia groppa e borbottò: «Mai fatta una cosa simile.»

“C'è sempre una prima volta.”

“Oh, bene... così sarà più semplice parlare.”

“Ringrazia Eithe, che mi ha insegnato a farlo.”

Lui ringhiò in risposta, e si limito a dire: “Quando la vedrò, dovremo parlare di un bel po' di cose, io e lei.”

“Non essere duro. Ne ha passate anche troppe.”

“Proprio per questo! Se aveva dei problemi con Caitlinn, avrebbe dovuto dirmelo!”

Risi tra me, chiedendomi se la cecità in amore fosse universale.

Non aprii bocca in merito e, dopo aver fatto un cenno a Konag di allontanarsi con Megan in groppa, io e Ciara ci muovemmo a nostra volta.

Sperando che non fosse troppo tardi per fermarle.

 
***

Non fu difficile notarle, anche nell'oscurità che avvolgeva la piccola isola rocciosa di Ireland's Eye.

Prima ancora di poter avvicinarci alla costa,  Díomán smontò dalla mia groppa per iniziare a nuotare verso riva, un ringhio stampato in viso e gli occhi di un singolare color bianco.

Neppure un attimo dopo, mutò forma, un enorme lupo argentato dalle orecchie e la coda nere.

Fluttuò quasi sull'acqua prima di trovare la sabbia della piccola spiaggia e lì, senza attendere il nostro arrivo, si arrampicò sulla scogliera infilando gli artigli nella roccia.

Fu un'autentica espressione di potenza, oltre che di disperata urgenza.

Quando io e Ciara raggiungemmo la spiaggia, il lupo aveva già quasi raggiunto la radura sovrastante.

«Impressionante» esalò Ciara al mio fianco, iniziando la risalita verso l'alto.

«Abbastanza» assentii, seguendola lungo l'erta. «Ma voglio avvertirti fin d'ora. Non riappariranno gli abiti, quando torneranno umani.»

«Cosa?!» esalò, avvampando in viso per l'imbarazzo.

«Non funziona come con noi, mi spiace. Perciò, preparati.»

Un attimo, e poi mi chiese torva: «Hai visto Eithe e Megan nude

«Ehm... sì. Ma giuro, non ho sbirciato!»

Mi fissò malissimo, ma lasciò perdere a causa dell'urgenza che muoveva i nostri passi. Ero sicuro, comunque, che non me l'avrebbe fatta passare liscia.

Quando infine raggiungemmo la radura erbosa, riuscimmo a scorgere le due lupe impegnate nella lotta e, a sorpresa, il ringhio di benvenuto con cui accolsero Díomán.

Eithe, in particolare, gli ringhiò contro furente e, grazie alle mie nuove capacità, riuscii a comprendere perfettamente ciò che disse all'uomo che amava.

“Devi restarne fuori. Ormai, voglio arrivarci in fondo!”

“Ma non capisci che è illegale, Eithe?! Non potete combattere senza testimoni e, soprattutto, senza l’autorizzazione di Felicity! Fenrir vi farà fuori, se verrà a saperlo!”

“Beh, ora ci sei tu! Ci farai da testimone!” sbottò Eithe, fuori di sé dalla rabbia.

Díomán uggiolò contrariato, ribattendo per tutta risposta: “Non me ne starò qui a guardare mentre Caitlinn ti fa del male!”

“Tutto da vedersi!”

Un attimo dopo, Eithe si lanciò nuovamente all'attacco di Caitlinn e, sotto i nostri occhi sconvolti, l'aspra battaglia tra le due lupe proseguì.

Impotente, e obbligato a non intervenire per espresso desiderio di Eithe, a Díomán non restò altro che contenere le loro auree con il suo potere.

Io e Ciara, lì accanto, restammo in religioso silenzio, impressionati dalla violenza e dalla velocità dei colpi inferti.

Non avevo mai visto Eithe così infervorata, così convinta... così sicura di sé.

Non sapevo se fosse per merito di Konag, o se il gesto di Caitlinn l'avesse fatta infuriare al punto da farle perdere di vista le sue paure.

A ogni modo, stava combattendo da vera maestra.

Schivò con abilità i fendenti dell'avversaria, ribattendo con altrettanta velocità.

Díomán tenne le orecchie basse, in ansia, non perdendosi un solo attimo di quella battaglia senza un vincitore.

Allo stesso modo, noi osservammo quei due enormi lupi combattere tra loro, ammaliati da tanta eleganza e forza.

Pur essendo preoccupato per Eithe, fui anche orgoglioso di lei, della sua possanza, della sua capacità di muoversi sotto attacco.

E, a giudicare dallo sguardo di Ciara, anche lei trovò affascinante quel combattimento. Ne rimase rapita.

Fu grazie a un colpo di zampa ben assestato, che Eithe decretò la sua vittoria, ferendo Caitlinn a un occhio.

Subito, Eithe si allontanò, non desiderando infierire ma, prima che tutti noi potessimo congratularci con lei, Caitlinn si rialzò per aggredirla, in barba alle regole.

Fu Ciara che ci precedette.

Avanzò rapida e, calando un pugno sul muso della lupa, la colpì direttamente sul tartufo, facendola uggiolare di dolore.

Questo bastò a sedare le sue ultime velleità e Ciara, rivolgendomi un sorrisino, scrollò le spalle e dichiarò: «E' pur sempre un cane. E ai cani fa male essere colpiti sul naso, o sbaglio?»

Scoppiai a ridere e, raggiuntala, la abbracciai, esclamando: «Tu sei matta da legare! E' grossa il doppio di te, e tu ti metti in mezzo?»

Scrollò nuovamente le spalle, ma accettò l'abbraccio e, lanciando un'occhiata d'intesa con Eithe, asserì: «Basta l'astuzia, a volte, non la stazza.»

 
***

“Che cosa diavolo vi è saltato in mente, si può sapere?! Dovreste saperlo benissimo entrambe che non si può combattere senza testimoni! E' pericoloso, oltre che illegale!”

La voce di Díomán risultò così potente, nella mia mente, da farmi trasalire.

Non osai immaginare quanto stesse urlando in quelle di Eithe e Caitlinn, che ora giacevano ai suoi piedi, i musi rivolti verso il basso.

Ciara mi guardò, dubbiosa, così mi vidi costretto a spiegarle cosa stesse succedendo.

«Sta facendo loro una ramanzina coi fiocchi.»

«Ne avevo il sospetto. Sento un ronzio fastidioso nella testa, e ipotizzavo fosse a causa sua. Avverto onde davvero potenti, anche se non ne distinguo bene la natura.»

Le sorrisi. «Se vuoi, posso insegnarti come si fa a percepirle meglio.»

«Mi piacerebbe.»

Lo disse con sincerità, non per compiacermi, e questo mi rese felice. Non volevo che si limitasse a dirmi sempre di sì, solo perché ero il principe. E il suo amante.

Volevo che potesse fare quello che desiderava per se stessa, non per soddisfare gli altri.

Tornando a scrutare il trio di lupi a poca distanza da noi, mi chiesi se la manfrina di Díomán sarebbe andata avanti ancora per molto.

Stava veramente mettendoci tutto il suo impegno, per apparire terrificante.

“Questa cosa non passerà sicuramente sotto silenzio, Caitlinn, puoi starne certa! Non ci si impone a questo modo su un altro lupo, e solo per il piacere personale di volerlo vedere sconfitto!”

“Sempre a difendere la povera, piccola Eithe! E' una vita che si va avanti così! Tutto il branco la protegge come se fosse un cucciolo spaurito!”

“Che cosa?!” sbottò Eithe, intervenendo nella discussione tra Caitlinn e Díomán. “E da quando in qua, sono stata protetta e coccolata?! Ho combattuto le mie battaglie esattamente come gli altri e, se ben ricordo, con te ho sempre perso... a parte oggi. Quindi, dimmi quando sono stata portata in palmo di mano!”

Sentirla così furiosa mi fece capire che la sua paura, nei confronti dell'altra lupa, era definitivamente svanita, e nei fui lieto. Il punto, era capire come sarebbe andato a finire quel guaio.

Non ero del tutto certo che, un'infrazione al protocollo, potesse passare sotto silenzio.

“Fenrir ti ha sempre tenuto sotto la sua ala, da quando Sebastian ti ha aggredita! Lo sanno tutti!”

“L'avrebbe fatto con uno qualsiasi dei lupi del suo branco, razza di idiota! E poi, se proprio volevi essere tu al centro dell'attenzione per un motivo simile, ti avrei ceduto volentieri lo scettro, credimi! Non mi è mai piaciuto vedere, negli occhi della gente, quelle occhiate piene di rincrescimento e contrizione!”

Puntò il muso in direzione del suo fianco sinistro, dove era visibile una cicatrice vecchia di anni, non nascosta dal manto di lupo.

“Questa la porterò a vita! E pensi che mi piaccia? E' uno sfregio che porto da quando ho nove anni! Sebastian rischiò di amputarmi una gamba, quella volta! Persi tanto di quel sangue che, per poco, non riuscirono a salvarmi! I miei genitori dovettero portarmi fino al Santuario di Cork, per salvarmi, e solo per l'ingiuria di quell'idiota di mio cugino! Volevi il mio posto? Beh, te l'avrei ceduto volentieri!”

“Ci hai sempre marciato dentro, con quella faccia da innocentina e i tuoi modi delicati!”

L'ingiuria di Caitlinn suonò così querula e infantile, che mi venne voglia di tirarle un orecchio, tanto mi fece arrabbiare.

Ci pensò Díomán a rimetterla in riga.

Le ringhiò contro, mostrando una fila di zanne paurose, tanto che sia io che Ciara indietreggiammo di un passo, sgomenti.

Erano davvero inquietanti.

Caitlinn si stese a terra, a quel punto, del tutto doma... almeno con il corpo. Di certo, non con le parole.

“Non mi vorrai dire che le credi, Díomán? Ma non vedi che fa di tutto per apparire la vittima della situazione?”

“Un'altra parola, Caitlinn, e giuro che ti strapperò la lingua a morsi” gli ringhiò contro il licantropo.

“Se pensi che io sia una vittima, Caitlinn, allora non hai capito nulla di me, e io non perderò altro tempo, con te. Ti ho sconfitta, e questo mi basta. Non devo condividere altro con te, oltre alla terra che calpestiamo. Caccia lontano da me, se puoi, e io farò lo stesso.”

Non compresi bene quell'ultima frase, ma ipotizzai avesse a che fare con qualche loro rituale.

Trattandosi, i lupi, di animali molto territoriali, ipotizzai che la sua richiesta di cacciare lontano da lei sottintendesse anche un altro genere di monito.

“Tieniti pure Díomán, se ti interessa tanto. Io punterò molto più in alto.”

Ciò detto, si alzò zoppicante sulle sue zampe e se ne andò caracollando, dirigendosi verso il lato opposto dell'isola, presumibilmente con l'intenzione di tornare sulla terraferma.

Né Díomán, né tanto meno Eithe tentarono di fermarla. Non erano più interessati a lei.

Quanto, piuttosto, alla bomba che la donna aveva sganciato prima di andarsene.

“Combattevate... per questo?”

“No. Volevo dimostrare a me stessa di potercela fare. E' ben diverso.”

Il muso di Eithe reclinò verso il basso, quasi a smentire in parte la sua affermazione.

“Quando vorrò una donna a questo modo, te lo dirò. Per il momento, io e te, dobbiamo fare un lungo discorso, razza di sciocca che non sei altro.”

Díomán non fu delicato nell'esprimersi, ma le leccò il muso un paio di volte, il che mi fece pensare che, più o meno, le cose erano andate a posto.

Un attimo dopo, dai loro corpi fuoriuscì una patina oleosa e, già conoscendo cosa sarebbe venuto in seguito, afferrai Ciara e la volsi di peso, asserendo: «Se sei debole di stomaco, e non vuoi arrossire fino alla fine dei tuoi giorni, non guardare
In barba alle mie raccomandazioni, si volse a mezzo, replicando: «Ho visto corpi squartati in guerra, Stheta. Cosa vuoi che sia...»

Si bloccò a metà della frase e, sul suo viso, iniziò a comparire un profuso rossore.

Gli occhi si sgranarono, la bocca si socchiuse per lo shock e, a quel punto, non potei che seguirne lo sguardo.

Díomán era già completamente in forma umana... una splendida, enorme forma umana maschile che mi portò, su due piedi, a forzare Ciara perché si volgesse nuovamente.

D'accordo essere aperti, ma qui si esagerava!

Ciara rimase rigida come un bastone, gli occhi spalancati e l'aria di una che aveva appena visto un dio in carne e ossa.

Storsi la bocca, vagamente indispettito, e borbottai: «Te l'avevo pur detto, no?»

«Ah... già. E'... è grosso. Enorme, direi.»

«Centodieci chili di muscoli per due metri di uomo, più o meno» brontolai, sentendomi molto prossimo a un attacco di gelosia.

«Lo hai esaminato così da vicino?» esalò, fissandomi stranita prima di capire. Sorrise divertita e, maliziosa, aggiunse: «Oh... ti senti... in competizione?»

«Smettila, Ciara. Credi che non sappia che è più grosso di me? Ci vedo benissimo

Il suo sorriso si accentuò e, con un gesto che sapeva di intimità e cameratismo, poggiò il capo contro la mia spalla, mormorando: «Mi piaci tu, però.»

«Lo spero bene!» sbottai, volgendomi poi a mezzo quando sentii ridere Eithe.

Díomán, di spalle, copriva per intero il corpo minuto di lei che, salutandomi da dietro la sua enorme figura, esclamò: «Megan mi ha appena detto di non aspettarla!»

«Oh» esalai, ridacchiando.

Ciara a quel punto si volse verso di me, curiosa, e domandò: «In che senso, scusa?»

«Mi ero dimenticato di dirti che, beh, Konag e Megan hanno una specie di storia.»

Strabuzzò gli occhi, mi fissò stranita e infine esalò un sospiro di esasperazione, chiosando: «Tuo padre chiederà la mia testa, se perderò Konag per una donna che non sia fomoriana.»

«Ci farà il callo» replicai, facendo spallucce.

Con un sorriso divertito, osservai Díomán dare una pacca sul capo di Eithe, scompigliandole i riccioli biondi come se fosse stata una bambina.

Lei sorrise, del tutto incurante delle loro rispettive nudità.

Era proprio vero che, per loro, quel genere di tabù non esisteva.

Díomán si volse a mezzo, guardandoci, e mi disse: «Ti devo un favore, fomoriano, e io pago sempre i miei debiti. Per ora ti ringrazio, ma mi farò sentire.»

«L'importante è aver risolto la situazione prima che potessero succedere guai seri. Mi basta questo» replicai, sorridendo a Eithe, che pareva a dir poco raggiante.

Mi sorrise e, lasciato il fianco di Díomán, corse da me per abbracciarmi, stampandomi un bacio sulla guancia.

«Non potrò mai ringraziarti abbastanza!»

Un attimo dopo, si scostò da me – che ancora avevo difficoltà a muovermi – e si gettò su Ciara, rigida come un palo di legno.

«Grazie anche a te! E' bellissimo vedervi insieme, sapete? Non potevate farmi regalo più bello!»

Il suo sorriso le illuminò a giorno il viso e Ciara, dopo quell'iniziale momento di smarrimento, la scrutò con gratitudine e asserì: «Dovrei essere io a ringraziare te. Mi hai aperto gli occhi su un sacco di cose.»

«Io?» esalò Eithe, scostandosi da lei con espressione confusa.

Ciara annuì e, sorprendendo forse se stessa per prima, si chinò a baciare Eithe sulle guance.

«Mi hai dato un coraggio che non sapevo di possedere.»

Eithe allora sorrise, mi guardò, e disse: «E lui lo ha dato a me.»

«Parlerete approfonditamente dei meriti l'uno dell'altra più avanti, ma ora è meglio sparire. I pescherecci si muoveranno a breve dal porto, e non credo sarebbe saggio farsi vedere in giro» intervenne Díomán, fissandoci con ironia.

Ciara fu lesta ad avvolgere le spalle di Eithe con un braccio e, fissandomi divertita, dichiarò: «Io porterò indietro Eithe, è chiaro.»

Ciò detto, si allontanò per raggiungere la scogliera, lasciandomi solo con Díomán, che fece spallucce, dichiarando: «Mai mettersi contro una donna. Non lo sai?»

«Oh, ne conosco un paio che farebbero rabbrividire persino te.»

Il pensiero corse a mia madre e a Lithar e, con un sogghigno, mi accodai alle signore.








Note: Presto scopriremo come Dioman ha intenzione di ringraziare Stheta, e come il nostro principe deciderà di agire per portare sul trono la sua Ciara. Non dimenticatevi del Santuario di cui ha parlato Eithe, perché tornerà più avanti, nell'ultima storia dedicata a Lithar. (niente va mai buttato). Per ora, grazie per avermi seguita fino a qui.
  
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