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Autore: oSally    18/05/2015    4 recensioni
"Ovunque sono uomini, lì dimoreranno anche dèi"
Gottfried Benn
Può l'uomo spingersi oltre il confine del possibile?
Può l'uomo mettersi veramente al posto di Dio?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Al congresso sono tanti, dotti, medici e sapienti,

per parlare, giudicare, valutare e provvedere

e trovare dei rimedi per il giovane in questione."

Edoardo Bennato 

 

 

 



 

 

 

 

 

Il tappeto rosso che accompagnava i suoi passi, i tacchi di non troppo aggraziate signore che calpestavano quella stoffa, le luci e tutti quei volti toccarono immediatamente i nervi di Céline. Poi le voci. Tantissime, diverse, rumori insopportabili che si accavallavano tra loro dando origine quell’insopportabile mormorio. Erano sicuramente l’elemento più intollerabile.
Céline si fermò di botto per inquadrare la situazione. Il palazzo che le si stagliava davanti era incredibilmente diverso dal giorno prima. Aveva preso le sembianze di una di quelle milioni di antichissime regge di cui aveva studiato: intorno a tutto l’edificio erano state applicate migliaia di luci e ologrammi dei più illustri scienziati della storia camminavano sui muri, da Darwin ad Eisten, passando per Boyle, Mariotte, Avogadro e Higgs, fino ad arrivare ai più recenti. Insomma, per ogni disciplina ne appariva uno.
La ragazza storse il naso; in confronto la gente che camminava a testa alta sotto quel palazzo era un ammasso di formiche. Si voltò verso Daniel e si compiacque nel vedere l’espressione che immaginava dover avere assunto lei dipinta sul viso del suo complice.
 “Allora, Daniel?”
 “Mi aspettavo qualcosa di più decente effettivamente.”
 Céline ridacchiò, “Sono un mucchio di montati. Non sarà una serata divertente.”

  “Guarda lì”, Daniel posò una mano sulla spalla di Céline, si abbassò per arrivare all’altezza della ragazza in modo per avere la sua visuale e poter indicare con precisione, “Lì vicino quell’auto. Guarda chi c’è”
 Céline seguì la direzione tracciata dall’indice di Daniel finché non si imbatté in un paio di baffi fin troppo noti. Sgranò gli occhi, “Cosa ci fa quel tipo qui? Non è mica uno scienziato!”
 “Non lo so, magari è un famoso inventore, che ne sai.”
 “Con il cervello che si ritrova? Non direi, impossibile”, Céline storse il naso. In un istante il suo volto assunse però un’espressione più preoccupata che innervosita, “Non troveremo mai qualcuno che ci appoggi, Daniel, qui sono tutti così…falsi? Cioè guardali! Guarda le donne, tutte tacchi e colori. Scommetto che sono tutte mogli di scienziati mediocri che nessuno conosce che per avere un minimo di attenzioni si sono dovuti portare le belle donne. Magari non sono nemmeno realmente loro coniugi”, si voltò verso Daniel, “A nessuno di queste persone interessa realmente il progresso scientifico. Nessuno dei più importanti si presenterà a questa sottospecie di congresso, vedrai.”
 “E’ il più importante dell’anno, Sally. Inoltre, se ci sei venuta tu, vedi come vengono anche gli altri. Bisogna saper cercare qualcuno che abbia un cervello.”
Céline sbuffò e, scoraggiata, abbassò la testa.
Non mancò molto che un sorriso beffardo le catturasse di nuovo il volto.
Si concentrò sui suoi stivali neri e le calze rigate che aveva indossato e il buonumore la riavvolse.



 “Guarda qua che ti hanno portato”, Daniel entrò dalla porta sotto il peso di un enorme pacco.
 “Cos’è?”, Céline si alzò dal divano e corse verso il ragazzo per strappargli di mano il suo ‘regalo’. Lo aprì velocemente, per poi rimanere in silenzio a fissarne il contenuto.

La risata di Daniel echeggiò nella stanza, finendo per morire, oppressa da un silenzio agghiacciante.
 “Sul serio ?’’
All’interno di ciò che rimaneva del cartone era stato adagiato con fin troppa cura un vestitino di un celeste accesissimo, con tanto di pietre applicate sul merletto che caratterizzava tutta la parte di sopra del vestito.
Céline era disgustata.
Daniel continuava a ridere.
 “Non lo metto Daniel,ridi pure. Ma che schifezza è questa? Ma che vado al gran galà del 1800? Ma in che epoca vivono questi? Ma che si sono messi in mente?”, si alzò di scatto, volse la schiena e Daniel ed iniziò a gesticolare. Sembrava che stesse tenendo un discorso, eppure le sue labbra erano serrate.
  “Sei completamente pazza, Sally”

Céline si voltò furibonda verso il ragazzo, “Che affronto. Vogliono che sia elegante? E’ questo che vogliono? Che succede, hanno paura che possa far sfigurare le loro belle donnette? Le mie gambe attirano troppo l’attenzione?”, scoppiò a ridere, “Non mi conoscono. Non hanno capito chi sono Daniel. Non hanno capito nulla.”

 

 

 “Hai finito di ammirare i tuoi stivali alternativi?”, Daniel le diete una spinta, “Su, che ti guardano già tutti, almeno cammina.”
 “Tutti devono guardarmi, Daniel!”, Céline si mosse, alzò la testa a fissare la porta di quell’enorme palazzo e stese le mani lungo i fianchi. Man mano accelerò il passo, fiera del diverso rumore che i suoi stivali emettevano a contatto con la terra, fiera di non star procedendo a braccetto del suo coniuge. Fiera di essere la protagonista di quella serata.
Daniel la seguiva camminando, non troppo distante, ma abbastanza perché le attenzioni non si concentrassero su di lui. Paradossalmente la gente era più interessata a quella strana ragazza con i capelli blu e il viso dipinto che a lui, un essere umano completamente “costruito”, e di questo Daniel era immensamente grato alla stravaganza di Céline.

D’innanzi la porta d’ingresso, ritto nelle sue scarpe nere lucide accoglieva gli ospiti quello che a Cèline sembrò tanto simile a quei damerini dei libri di storia.

 “Sembra uscito da quel tipo del mito della tipa del camino”, bofonchiò Cèline, “Veramente roba d’altri tempi.”
 “Intendi ‘Cenerentola?’”
 “Quella roba là.”
Cèline estrasse i biglietti d’invito dalla giacca di pelle nera con fare altezzoso e li porse all’uomo.

 “Non ce n’è bisogno”, egli scosse la testa con un sorrisetto sulle labbra, “divertitevi.”
Cèline inarcò le sopracciglia, rivolse una fugace occhiatina a Daniel, quindi varcò la porta con un senso di gratificazione.

 “Ormai ci conoscono tutti”, si rivolse a Daniel non appena anche il ragazzo ebbe oltrepassato l’ingresso.

“Credo che la gente ti conoscerebbe anche se non fossi la più promettente delle scienziate, Sally. Ti ricordo che vai in giro con una parrucca blu e la faccia dipinta di nero e bianco. Effettivamente credo che in televisione ci andresti comunque, magari saresti un’esponente del femminismo, o forse una di quelle che si ritirano nei boschi e rinnegano il loro essere esseri pensanti. Non saprei, ma non resteresti nell’anonimato.”
Cèline rise, “Chi lo sa. Comunque, se da fuori questo palazzo mi sembrava disgustosamente rovinato, temo di averlo considerato troppo male per avere parole peggiori per descrivere l’interno.”

Davanti agli occhi della ragazza si apriva un’enorme stanza, con tanto di divanetti e cuscini e tavoli adibiti al buffet.

Céline mosse i primi passi.

 Daniel notò una certa esitazione nei movimenti della ragazza.

Effettivamente non aveva fatto i conti con il fatto che in quella sala lei sarebbe rimasta sola. Tutt’intorno vedeva solamente sfarzo, fintissimi sorrisi e chiacchiere. Troppe chiacchiere. Man mano che indagava la sala, si rendeva sempre più conto che non conosceva una delle persone nella stanza. Nemmeno una.
 “Daniel”, bisbigliò.
Il ragazzo si abbassò alla sua altezza per poterla sentire, “Cosa facciamo adesso?”
Il ragazzo si voltò verso di lei incredulo, “Cosa? Saresti in difficoltà?”
 “No”, bofonchiò Céline, “Semplicemente non è mio ambiente.

Daniel alzò le spalle, “Io mi fiondo sul buffet, vuoi qualcosa?”

Attese invano una risposta, quindi si allontanò.
Cèline rimase sola in mezzo alla sala ad osservare la situazione. Sapeva che tutti gli occhi erano puntati su di lei e che tutti gli argomenti delle conversazioni erano cambiati da quando lei era entrata. Si era aspettata di destare scalpore, ma non aveva riflettuto su come avrebbe affrontato la situazione.

Una strana sensazione iniziò a farsi largo nella sua mente, per trasformarsi pochi attimi dopo in una percezione fisica. Panico. Ecco cos’era. Erano anni che non avvertiva quello strano brivido sulla pelle, quella consapevolezza di essere sola in un mondo di estranei, di individui radicalmente diversi.
Avvertiva gli sguardi e le voci di tutti, eppure non riusciva a muovere un passo. Non capiva. Il suo autocontrollo stava cedendo per una situazione tanto stupida, tanto banale. Si trovava in mezzo ad una massa di imbecilli ai quali si sentiva altamente superiore. Eppure era bloccata, ferma al suo posto, le gambe che davano i primi segni di cedimento.
Il suo sguardo correva veloce da una parte all’altra dell’enorme salotto, cercando invano qualcuno che potesse aiutarla. Dopo istanti che le parvero infiniti, finalmente la sua attenzione fu catturata da un uomo anziano che usciva da una porta a destra della sala. Doveva essere sulla sessantina considerando che la barba doveva invecchiarlo parecchio.
Lei era così persa nei suoi pensieri che realizzò effettivamente che l’uomo si era avvicinato solo nel momento in cui sentì la sua salda presa sulla sua mano.
Si riscosse quando l’uomo si presentò.
 “Sr. Jofer”
E finalmente lo riconobbe. Si aprì immediatamente in un enorme sorriso e riacquistò in un istante il completo controllo delle sue espressioni, “Finalmente la conosco”, strinse la mano intorno a quella dell’uomo.
 L’uomo sorrideva, “In tali circostanze, solitamente si notano somiglianze con i genitori, cara Cèline, eppure tu mi metti in serie difficoltà. Il tuo volto è completamente coperto.”
 “Si fidi di me se le dico che ho somiglianze con mio padre più che con mia madre”, il tono della ragazza divenne ad un tratto molto serio.
 “Sì, sì, immagino. La ricordo da bambina, sempre assomigliato a Karen. Sono molto contento che abbia accettato l’invito, effettivamente non ci speravo molto. Eppure non credevo che venirla a cercare fosse una cosa particolarmente carina, ma devo ammettere che se oggi non si fosse presentata, la sarei venuta ad imprtunare.”
 “Non mi avrebbe recato fastidio, non lei.”
 “Sono contento di sentire queste parole. E vorrei sentirne tante altre, cara Cèline, il suo esperimento mi interessa molto, e lei non accetta interviste, non si fa sentire! Ha prima condannato l’intero mondo scientifico e religioso ad una profonda crisi e poi si è nascosta, ha rifiutato di dar qualunque spiegazione. Ha mandato in tilt i miei neuroni e poi è scomparsa.”
 Cèline non poteva far altro che sorridere, ma era visibilmente a disagio. Erano anni che non aveva una conversazione più lunga di qualche minuto con una persona. Per di più, si era resa conto che le domande sul suo conto sarebbero fioccate da quel momento in poi.
Lo scienziato si dovette accorgere dell’imbarazzo della ragazza, perché non le diede il tempo di rispondere, che subito attaccò nuovamente, “Credo che le mie visite a casa sua inizieranno e saranno anche molto frequenti. E’ diventato un bisogno primario sapere come è riuscita a mandare avanti quest’esperimento, come a raccogliere tutte le informazioni che io e suo padre avevamo trovato, come a risolvere il nostro enigma. E, soprattutto, voglio parlare con Daniel. Dov’è ora? L’hai portato con te?”
A quella domanda Cèline si riscosse, era una semplice domanda, poteva rispondere, “Sì. E’ lì”, indicò il tavolo del buffet.
Il biondo stava tornando da lei con un bicchiere di quello che credette essere champagne.

 “Daniel!”, lo scienziato gli porse la mano.
Daniel gliela strinse dopo aver porto il bicchiere alla ragazza. Il suo viso si aprì in un sorriso. Nessuno, mai nessuno oltre Cèline si era rivolto a lui con quella semplicità.
L’anziano lo guardò per qualche istante, prima di abbracciarlo.
Sia Daniel che Cèline sgranarono gli occhi.

 Lo scienziato si staccò e gli diede qualche pacca sulla spalla, “Come stai ragazzo?”
 “Bene”, rispose semplicemente Daniel, “Bene, direi.”
 “Perfetto, perfetto”, l’uomo si guardò intorno sorridendo, “Venite con me, non è la sala per voi questa. Indicò ai ragazzi di seguirlo e si avviò verso la porta dalla quale era entrato.
La gente, visibilmente interessata alla questione, tentò di avvicinare Cèline nel mentre che lei seguiva il professore, ma venne scortesemente allontanata dai toni della ragazza.
Quella che Cèline credette essere una porta di una stanza, apriva invece un corridoio scomodamente stretto.
La stanza verso la quale il professore si stava dirigendo si trovava a destra del corridoio.
 “Cèline”, il professore si fermò davanti la porta, “Sei una persona che credo stimerò molto bene in particolare per il temperamento molto forte che ti caratterizza.”
 Cèline rimase in silenzio, disorientata.
 “Ti prego, però, non prestare fede a ciò che potrebbero dirti le persone che troverai dietro questa porta. Certamente avrai a che fare con gente illustrissima, degna della mia più grande stima, ma, come in ogni ambiente, ti troverai a contatto con imbecilli di prima categoria. Ma, come ben sai, il paradosso di tutte le grandi società è che si reggono proprio sull’operato di questi cretini. Perché questo discorso? Perché, come la società lascia che essi operino per fini maggiori, così devi fare tu. Non adirarti, non insultare, gioca bene le tue carte e vedrai che la tua situazione non si complicherà.”
 Cèline piegò la testa verso sinistra, “La mia situazione è complicata, scusi?”
Il professore inclinò la testa, “Vivi troppo fuori del mondo, ragazza”, aprì la porta e fece segno a Cèline e a Daniel di oltrepassarla.

Se l’aria nella stanza era già pesante, quando Cèline ebbe mosso i primi passi, le sembrò che un’enorme quantità di ossigeno le fosse stata sottratta d’improvviso.

Era calato il silenzio, anche i pochi musicisti su quello che sembrava un palco improvvisato con cartoni di plastica rialzati si erano fermati.

Contrariamente a quanto era avvenuto nel salone principale, Cèline rimase calma, nonostante l’accoglienza così fredda, a scrutare la situazione. Le persone nella sala non erano molte, eppure in quel momento a Cèline non interessavano. Ella vedeva solo ombre, ombre che si muovevano all’interno di un angusto spazio. La sua attenzione era concentrata essenzialmente sulla sua figura. La sua mente era – doveva – essere concentrata, ogni suo muscolo doveva apparire rilassato, il suo sguardo non doveva lasciar trasparire nessuna espressione. Una macchina. Questo la gente doveva pensare di lei. Non un’emozione ella doveva provare o dar impressione di star provando, non rabbia, non ansia. Niente.
Eppure silenzio costante della ragazza sembrò innervosire ancor di più tutti i presenti.
Il professore intervenne a risanare la situazione. Si parò velocemente davanti a Cèline, quindi le pose una mano sulla spalla, “Non credo ci sia necessità che sia presentata a voi”, indicò Cèline, “Date il benvenuto alla figura più promettente in ambito scientifico degli ultimi due secoli.”
Cèline azzardò un sorrisetto. La stanza era così piccola: un covo di pochi eletti la cui intelligenza poteva in qualche modo essere ritenuta superiore rispetto a quella di tutti quei vermi che affollavano le altre sale. Eppure anche quella volta le sue aspettative furono deluse. Se pur piccolo, quello spazio, così riccamente decorato, forse anche più della precedente sala,  era più simile ad un salotto letterario dell’800 che ad una sala di un congresso. Che poi, quella farsa tutto era fuorché un congresso.

 “Cèline”, si sentì nominare la ragazza. Voltò lo sguardo verso colui che aveva emesso suono, ma dovette abbassare di diversi centimetri gli occhi per incrociare lo sguardo di colui che aveva parlato, “Oh Salve…’professore’? Ammetto di essere abbastanza sorpresa di trovarla qui, l’ho vista all’ingresso. Eppure proprio non riesco a capire quale sia il suo ruolo in questo congresso, ha forse qualche titolo che non conosco?”
Daniel sgranò gli occhi. Aveva osato troppo.
E se ne era resa conto anche lei. L’ansia, che era riuscita a prendere il sopravvento, che egli potesse offenderla in qualche modo l’aveva portata a fare il primo passo, un passo troppo avventato.
A pochi attimi di totale silenzio, seguì una sonora risata, “Spiritosa come sempre, sfacciata come una bambina, quale tu sei, vedo.”
Cèline ammiccò un sorriso, “Una bambina alquanto promettente, mi dicono.”
 “Una bambina troppo capricciosa, che non sa quando tenere la bocca serrata, che non ha imparato l’educazione, che osa mettersi al posto di Dio, convinta di essere al di sopra di ogni essere umano. Sì, una bambina a tutti gli effetti.”
 “Ha sparato un po’ troppi concetti in una sola frase, non crede? Temo di non averne capito il senso.”
 Le parole di entrambi schioccavano nella sala, per poi perdersi, sopraffatti dall’estremo silenzio dei presenti. Nessuno aveva la minima idea di come potersi intromettere nel discorso, per non recar torto né all’uno, né all’altro.
 “Cèline, vorrai conoscere il professor Johnes”, si intromise il professor Jofer, prendendo la ragazza per mano e conducendola verso un uomo che dimostrava la stessa età del professore, ma che, Cèline lo sapeva, aveva molti più anni, “saprai sicuramente chi è”
Bastò la vista di quell’uomo per cancellare dalla mente della ragazza l’immagine dell’ometto sproporzionato con cui aveva appena discusso. Si aprì in un enorme sorriso e eccezionalmente i suoi occhi si illuminarono. Quasi corse verso il professore, “Ben lieta di conoscerla!”, gli strinse la mano con troppa voga, “L’ammiro moltissimo per i suoi esperimenti.”

Si pentì subito della sua reazione. Aveva assunto il patetico atteggiamento di una ragazzina. Non riusciva ancora a controllarsi, non a ripudiare tutti quei sentimenti che le montavano dentro.
 “Il professore accennò un sorrisetto indifferente, “Grazie. Anche tu non sei male, direi.”
Cèline storse il viso, “Beh, grazie, che dire”, si voltò verso Daniel, “Vieni qui, Daniel, ti presento il professore.”
Alla vista del ragazzo, l’uomo sembrò illuminarsi, lasciò la mano di Cèline e si mosse a gran passi verso Daniel, “Ciao Daniel”, gli prese la mano. Più che stringerla, la esaminò scrupolosamente, “Meraviglia…”
Daniel arrossì d’imbarazzo.
La reazione colpì ancora di più il professore, “Incredibile davvero, davvero incredibile”, si voltò di nuovo verso Cèline, stavolta la sua espressione era aperta in un sorriso, “Non avevo mica capito chi tu fossi.”
Cèline sgranò gli occhi, stupita, “Oh, beh, mi scusi per non essermi presentata in tal caso”, era sempre più confusa.

 “Finalmente ti fai viva. Di te e del tuo esperimento si parla in tutto il mondo e tu te ne stai rintanata in casa, nascondi il tuo viso e i tuoi capelli sotto un pesante trucco ed una parrucca. Che dire, un personaggio eccezionalmente particolare.”
 “Non userei il termine ‘eccezionalmente’”.

 “Mi scusi, posso sapere il suo nome e la sua esatta funzione in questo posto?”, Cèline si voltò irritata verso l’ometto.

  “Razza di impertinente…”
 “Egli è il ministro della scienza e del progresso, Cèline”, intervenne Jofer, “presiede tutti i congressi e le manifestazioni scientifiche.”
Ministro. Cèline lanciò un’occhiata preoccupata a Daniel. Non si era mai interessata di politica, né tantomento ne conosceva gli esponenti. La sua vita negli ultimi cinque anni era stata condotta all’interno di un laboratorio, il suo cervello aveva avuto come unica funzione quella di analizzare dati, di calcolare, di sperimentare.
Eppure adesso che stava tentando di creare un’immagine all’esterno, nel mondo, non poteva permettersi passi falsi e confessarsi ignorante di qualunque arte non riguardasse la scienza in senso stretto non era certamente un’opzione da prendere in consierazione.

 Riflettere su una frase che potesse salvarla mentre tentava di tenere sotto controllo i movimenti di tutto il suo corpo non era semplice. Eppure il suo cervello riusciva a lavorare velocemente. Inoltre era schietta e sincera.

 “Oh, scusi”, si rivolse al ministro, “non mi interesso di malavita, mi dispiace.”
Daniel impallidì. Al contrario di Cèline egli era attento agli avvenimenti di quello che la ragazza chiamava ‘mondo esterno’ e sapeva fin troppo bene che un’affermazione del genere non poteva essere ignorata.

La tensione palpabile della stanza innervosì perfino la stessa Cèline.

Il ministro non riusciva ad emettere fiato. Tra l’imbarazzo e la rabbia, preferì aspettare che qualcun altro prendesse parola.
Il signor Jofer avanzò timidamente qualche passo verso Cèline, “Scusati”, le sussurrò, “e forse non vieni denunciata e non passi un guaio.”

Cèline arrossì, anche se nessuno poteva notarlo. La sua mente elaborò in fretta la risposta a quell’affermazione, “No”, eppure qualcosa le fece capire che la situazione questa volta non la reggeva più lei.

 “Mi scusi”, disse semplicemente, “ho esagerato, mi sono fatta prendere dalle parole.”
Passò qualche attimo di silenzio.

 Il ministro scrutava la ragazza senza emettere fiato.

“Sei una bambina, impara la civiltà e forse troverai un posto in questo mondo”, rispose semplicemente.

Cèline, l’imbarazzo e la rabbia che iniziavano ad assalirla, nemmeno si accorse che Jofer la stava portando fuori dalla stanza. Non salutò nessuno, serrò i pugni, cercando di trattenere qualunque tipo di sentimento che tentava di affiorare, comandava al suo corpo di non tremare per la rabbia ed ai suoi occhi di non inumidirsi per l’imbarazzo, mentre veniva condotta per il corridoio dallo scienziato.

Gettò un’occhiata a Daniel che la seguiva. Lo scrutò, analizzò tutti i suoi lineamenti, la sua perfezione. Questo bastò per farle ritrovare la calma ed il controllo di tutto il suo corpo. Eppure non si ribellò alla stretta salda che l’anziano scienziato esercitava sul suo polso.

 

 


 

Eccomi qua.

Allora, lo so, sono in un ritardo spaventoso, ma questa scuola mi ha ucciso 

in questo periodo.


Allora, questo capitolo è un po' più lungo, ma non potevo spezzarlo perché 

non avrebbe avuto senso. Ho preferito inoltre pubblicare un capitolo in cui siano

lasciate aperte molte questioni che, piano piano, attraverso i punti di vista di

altri personaggi, chiarirò. Prometto!


Spero vi piaccia il capitolo,


oSally :3

 

 

 

 

  
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