Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Skred    19/05/2015    1 recensioni
«È triste. Davvero triste. Quel giorno fosti proprio tu a dirmi di non dimenticarti. Di cercarti... e invece. Però... non importa, non mi arrenderò così facilmente. A costo di dover farti innamorare di nuovo di me...»
Non capivo se mi stesse prendendo o meno in giro, eppure mentre diceva quelle parole, sembrava così seria e sincera. Strinse con forza la tracolla della borsa e, nonostante tenesse il viso chino, notai che si stava mordendo un labbro.
Subito dopo scattò, dandomi le spalle e iniziò a muovere dei passi. Non appena si allontanò abbastanza, si voltò nuovamente verso di me, alzò il braccio e mi puntò il dito contro.
«... perché io ti amo!»
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario, Sovrannaturale
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

La ragazza aveva dormito fino alla fine della giornata. Io mi rassegnai, e recuperato un sacco a pelo, il pavimento divenne per quella sera il mio letto... ma lei me l'avrebbe pagata cara. La mattina successiva, ancora tutto dolorante, fu quasi una liberazione alzarsi da terra. Lei era ancora lì, che dormiva.
La situazione stava diventando insostenibile, dovevo fargli vedere che non poteva fare quello che voleva. Eppure un po' mi dispiaceva... stava dormendo così bene, però, in parallelo, io avevo dormito così male che non mi sembrò nemmeno così cattivo farle qualche dispetto.
In effetti, non ero un tipo dalle mezze misure, quindi, senza nemmeno farci caso, mi gettai di schiena su di lei... ma non vi fu nessun cenno di vita.
«Non è possibile.»
Quasi in preda alla disperazione, pensai di aprire la radio, gettarle un secchio d'acqua in testa, buttarla direttamente giù dal letto. Lentamente, mi rialzai, sedendomi accanto a lei. Mi balzò quindi in testa un'idea stupida, ma al tempo stesso si sarebbe rivelata geniale. Allungai una mano, che ora penzolava sopra la sua testa, successivamente, la feci scendere di scatto, dandole una leggera pacca fra i capelli. Con mio grande stupore, lei aveva appena stropicciato gli occhi. In pratica, le ero letteralmente piombato addosso e lei non aveva battuto ciglio, ma ora, semplicemente sfiorandole i capelli, si era svegliata. Spalancò gli enormi occhi, mi sembrava quasi di vivere un déjà vu della mattina precedente.
«Buongiorno.»
Mormorai io. Lei si mise seduta, continuando a fissarmi silenziosamente. Non riuscivo a leggere alcunché dalla sua espressione, avevo paura di quale potesse essere la sua prossima mossa.
«Gin?»
Provai a dire. Volevo davvero sapere se quello fosse il suo nome, ma avevo anche paura della risposta. Lei sobbalzò e la sua espressione cambiò all'istante. I suoi occhi iniziarono a brillare e sul suo volto vi era ora stampato un sorriso stupidissimo. Spaventato da quel repentino cambiamento, mi portai subito una mano davanti alla bocca, conoscendo ormai le sue cattive abitudini.
«Ti sei ricordato il mio nome!»
Esclamò lei, lanciandosi addosso, nel tentativo di abbracciarmi. Fui totalmente sorpreso, persi l'equilibrio e caddi con lei dal materasso. Per fortuna, atterrammo sul morbido sacco a pelo posizionato lì vicino. A mia volta, io attutii invece la caduta della ragazza. Ora era sdraiata sul mio petto, e mi aveva intrappolato nella sua presa intrecciandomi le braccia dietro al collo.
«Allora? Cos'altro ricordi?!»
Non riuscivo più a sostenere quella situazione, era tutto così dannatamente imbarazzante!
Allora perché lei non faceva una piega?
«Che sei una rompiscatole!»
Esclamai, spostandola di peso. Io scattai in piedi, tenendomi a distanza di sicurezza da lei.
Questa volta ero pronto: che avesse provato a baciarmi o ad abbracciarmi, sarei riuscito ad evitarla.
Anche lei aveva seguito il mio esempio, ed ora rimaneva lì, immobile a fissarmi, come sempre.
«Oh, bé. Sono felice anche così!»
Sorrise, piegando un po' la testa di lato, com'era solita fare.
«E quiiindi... questa è la tua stanza!»
Iniziò a muoversi con nonchalance, analizzando ogni elemento presente in quelle piccole quattro mura.
«Spero di non trovare giornaletti poco adatti...»
Aggiunse, continuando ad indagare.
«P-per chi mi hai preso?! E smettila di fissare ogni cosa!»
Volteggiando su di un piede, riportò la sua visuale su di me.
«Cos'è che fai nella vita? Lavori? Studi? Fai il mantenuto a casa di mamma e papà?»
Stava diventando davvero insopportabile. Intanto, preso un libro dalla scrivania, iniziò a far sfogliare velocemente la pagine.
«Per tua informazione, studio! E sono già al terzo anno di università. A differenza tua, io ho una mia vita.»
Le tolsi di colpo il libro dalle mani e lo rimisi a posto. Lei gonfiò le guance e mi fissò un po' offesa.
«Cosa vuoi insinuare?! Guarda che anch'io studio, sapientone.»
«L'unica differenza è che io non te l'ho chiesto!»
Mi posizionai dietro di lei, e poggiandole le mani sulla schiena, iniziai a darle diverse spinte.
«E ora forza, va' via prima che i miei rientrino e inizino a farsi strane idee.»
«Aaah? Andare via? Senza nemmeno far colazione?!»
In qualche modo, nonostante lei si opponesse, ero riuscita a farla uscire dalla stanza. Ora mi bastava semplicemente farle scendere le scale e il gioco era fatto. Non mi interessava nemmeno più sapere cosa fosse successo il giorno prima, volevo solo tornare alla mia noiosa e tranquilla esistenza. O meglio, era quello che avrei voluto.
«Daichi, che stai combinando?»
Alzai leggermente lo sguardo, richiamato da quella voce. Perché lei era qui? Perché niente poteva andare come volevo io?
«Mamma posso spiegar-»
Mi sarebbe piaciuto poter finire la frase e invece quello che accadde in seguito mi creò soltanto più sgomento.
«Prof Minamoto!»
Urlò lei, saltellando sui gradini che componevano le scale, fino a raggiungere mia madre, che si trovava ai piedi di questi.
«Voi... vi... conoscete...»
Sentivo che da un momento all'altro sarei potuto svenire.
Loro si erano messe a sedere nel tavolo della cucina, così, a malincuore, decisi di raggiungerle.
«Non sapevo vi conosceste!»
Disse mia madre. Afferrai una sedia e, trascinandola fuori dal tavolo, mi ci sedetti su.
«Già... nemmeno io sapevo di conoscerla.»
Mormorai, lanciando occhiatacce alla ragazza, che ora sogghignava tutta soddisfatta.
«Ma dimmi mamma... perché ti ha chiamato “prof”?»
«Perché è la mia professoressa, mi sembra ovvio.»
«Mia madre insegna all'università... non alle medie...»
Dopo quella affermazione, mi sentii fulminato. Vedevo il fuoco ardere negli occhi di Gin, e potevo sentire il suo sangue ribollire.
«Quando ti ho detto che anch'io studio... intendevo che anch'io frequento l'università, idiota.»
Rimasi qualche secondo in silenzio. Fisicamente parlando, Gin poteva essere tutto fuorché un'universitaria.
Non era bassa, forse fra tutte le ragazze che avevo conosciuto fin ora, era la più alta. Però, intorno a lei si creava una sorta di aura di “fragilità”, forse perché la sua figura era davvero esile, partendo dalle mani piccole, alle spalle strette. Ora che la guardavo meglio, sembrava davvero una bambola di porcellana, quelle con la pelle bianca e gli occhi grandi. Come se non bastasse, i capelli argentati con quella piccola ciocca che sfumava all'azzurro, la rendevano ancor più delicata. Poi, mi bastava semplicemente ricordare il suo pessimo carattere, che quella figura quasi angelica, ai miei occhi diveniva il peggiore degli incubi.
«Sai, Gin è una delle mie migliori alunne, la mia preferita, se vogliamo dirla tutta!»
“Eh, guarda che fortuna...”
Pensai, facendo una smorfia.
«Non dica così prof, o mi imbarazzo! È solo grazie a lei che rende la storia così affascinante ed è impossibile non star lì ad ascoltarvi!»
Continuarono a farsi complimenti a vicenda per almeno altri cinque minuti. Per intenderci... mia madre è professoressa universitaria di storia antica. Ipotizzai quindi che lei frequentasse il primo anno dei suoi corsi. Chissà, forse lei sapeva già fossi suo figlio o dove abitassi. Tutto ciò mi metteva ancor più ansia.
«Hm... avrei una domanda. La vostra famiglia ha antiche discendenze? »
Ci fu qualche secondo di silenzio. Mia madre iniziò a riflettere, dopodiché...
«In effetti sì! Devi sapere che gli avi del padre di Daichi erano gente illustre del passato! Il mio Daichi ha preso il nome proprio da uno di questi! Era un giovane principe che però si divertiva a fare il samurai. Ora che mi ci fai pensare... sai che sua moglie si chiamava proprio come te? Già, già! I due giovani si chiamavano Daichi e Gin! Che coincidenza!»
Io continuai a rimanere in silenzio, tuttavia l'espressione che Gin ora aveva sul volto mi rattristò parecchio. Non era solita avere un viso così serio, anche quando pensavi stesse per dire qualcosa di sensato, continuava a sorridere o mantenere un'espressione abbastanza neutrale. Ora invece sentivo come se potessi percepire una certa sofferenza.
«In realtà... i due non si sposarono mai. Il giovane morì poco prima che la ragazza potesse compiere diciotto anni, l'età necessaria affinché i due potessero celebrare le nozze. Però, tutto quello che ha detto lei è giusto!»
Per tutto il tempo, aveva mantenuto il viso chino, solo dopo aver finito, lo rialzò mostrando un sorriso, o qualcosa che doveva somigliarci.
«Aaaah! Ecco perché ti adoro! Sai sempre così tante cose che nemmeno in cento libri troverei!»
Sentivo che da un momento all'altro, mia madre le sarebbe saltata addosso riempiendola di baci e abbracci. Sembrava quasi che provasse un senso di adorazione nei suoi confronti, e questo non giocava a mio vantaggio.

«Mi è piaciuto tanto chiacchierare con voi! Mi fate sentire giovane. Però ora devo proprio andare, spero che tornerai a trovarmi qualche altra volta!»
Si alzò dalla sedia e raggiunse velocemente l'uscio della porta: la vita di mia madre era sempre così, tutta una corsa.

«Certo, verrò a trovarvi più spesso, non si preoccupi.»
Pronunciando quelle parole, le tornò quell'ambiguo ghigno sul volto, come se volesse dire “Non ti libererai mai di me”... mi dava davvero i brividi. Con un cenno della mano, salutammo, dopodiché, rimanemmo di nuovo soli. Ogni volta, si creava quell'odioso silenzio che ero solito interrompere, però, questa volta...
«Allora, hai capito?»
«Capito cosa?»
«Hai seguito il nostro discorso o stavi dormendo?!»
Borbottò lei, spazientita.
«Sì che ho seguito! Vendiamo un po'... ora vorresti dirmi che la tua famiglia invece discende da quella tipa col tuo stesso nome e noi siamo destinati a stare insieme come quei due?»
«Noi... non siamo destinati. Noi... siamo loro.»
«Ma che stupidaggini dici. Vuoi dire che siamo delle sorta di reincarnazioni? E che i nostri avi sono... non dirmelo non dirmelo... quei due di cui abbiamo preso l'aspetto ieri?»
«Oh, allora sei sveglio davvero!»
Mi prendeva in giro?
«Tutto questo non ha senso.»
«Come ho già detto a tua madre... la loro storia d'amore... la nostra... non ha avuto un lieto fine, visto che all'età di vent'anni tu fosti ucciso. Per cui... credo che ci sia stata data un'altra possibilità per creare il nostro futuro.»
«E quella collana?»
«Quella... era tua. O meglio, te la regalai io. Tuttavia, prima di morire, decidesti di restituirmela. Credo sia stata proprio quella e le spade, a farci assumere l'aspetto che avevamo circa cento anni fa.»
Non sapevo se crederle o meno. Era tutto così assurdo, sembrava quasi il racconto di chissà quale libro. Però non vedevo nemmeno il senso di mentirmi, oltretutto, avevo ricordato così dal nulla proprio il suo nome.
«Quindi... ora cosa pretendi? Che io...»
«So cosa pensi. Da quel che ho capito, tu non ricordi niente... o forse non vuoi ricordare, non mi è ancora chiaro. Io voglio semplicemente... aiutarti a recuperare questi ricordi. Vedi, già il fatto che tu sappia il mio nome, è un grande passo in avanti!»
«Non potrei mai innamorarmi di una ragazzina odiosa come te, capito?»
«Te l'ho già detto... non mi arrenderò mai, signorino.»
Scattò dalla sedia, e la vidi correre fuori dalla stanza. Sentii dei tonfi, probabilmente stava di nuovo tornando nella mia stanza. Decisi di non seguirla. Poggiai una gomito sul tavolo, dopodiché posizionai il mento sulla mano e, sospirai. Da quando Gin aveva fatto la sua entrata in scena, la mia vita era stata completamene stravolta. Quei tipi loschi il giorno prima, ora questa storia degli avi che non sono avi. Ero in pratica l'antenato di me stesso? E, oltretutto, ero morto. Dopo circa dieci minuti, Gin era di nuovo tornata. Si era messa sia le scarpe che il cappotto, e portava sulla spalla la solita borsa, che ormai sapevo contenesse le due katane.
«Forza, datti una mossa!»
Mi afferrò per il braccio, iniziando a tirarlo con forza.
«Calmati, dove vuoi andare?»
Mi alzai, fissandola dall'alto al basso.
«Ti porto a fare un giro!»

Fare... un giro?”
Prima che potesse trascinarmi fuori, tornai anch'io in camera per darmi una sistemata, visto che ero ancora in pigiama. Indossata una normalissima t-shirt e dei pantaloni, tornai dalla ragazza. Lei era rimasta lì, sull'uscio della porta ad aspettarmi come un cane che non vede l'ora di essere portato fuori a fare un giro, tuttavia, questa volta, sarei stato io l'animale da portare a spasso. Sorridente, mi trascinava da una parte all'altra della città. Mi portò a visitare diversi luoghi che io, nonostante vivessi lì da ormai ventitré anni, non avevo mai visto. Mi parlava delle loro origini, la loro storia.
«Oh, guarda questo laghetto! Qui è dove mi portasti la prima volta a pescare!»
Diceva, puntando il dito.
«E invece sotto quell'albero ci sedevamo spesso a pranzare!»
Provavo come un senso di tristezza. Lei si stava affannando così tanto nel farmi visitare tutti i posti che, da quel che avevo capito, “avevamo già visitato”, e io non riuscivo a ricordare nulla. Dall'altra parte, invece lei era così felice, nonostante tutti i miei rifiuti. Quando mostrava questo suo lato era quasi... carina.
“No, no. Cosa mi passa per la testa.”
Inizia a scuotere velocemente il capo, come a voler mandare via quel leggero rossore che avevo sulle guance. Per fortuna lei era troppo affannata nel parlare e a indicare cose per prestarmi attenzione.
«Senti, perché non mi aspetti lì? Vado a prendere qualcosa da mangiare.»
«Vuoi scappare?»
«EH? Ma... vado davvero a prendere qualcosa e torno, giuro!»
Tese una mano, allungando il mignolo.
«È una promessa. E questa volta... non dimenticartene.»
A mi volta, le strinsi forte il mignolo e gli allegai un cenno con la testa. Ricordavo che lì nelle vicinanze c'era un negozio che preparava pietanze davvero deliziose, non potevo di certo farmi sfuggire l'occasione di mangiarle. Avevo deciso di prendere due panini uguali e qualche bibita, in effetti non conoscevo i gusti di Gin, ma se lo sarebbe fatto piacere. Era la prima volta che passavo così tanto tempo con una ragazza; c'è da dire che durante la mia vita, il numero di relazioni che avevo portato avanti puntavano allo zero. No che le ragazze non mi interessassero, per intenderci, ma fra lo studio e altro, non erano il mio principale pensiero. Forse anche per lei era lo stesso, probabilmente l'idea di frequentare un ragazzo che non fossi io non le era mai balzato in testa. Ma erano solo delle mie supposizioni. Non so se furono questi pensieri o altro a farmi perdere l'equilibrio, tanto ché cercai supporto poggiando le spalle contro un muro. Sentii un forte dolore alla tempia e, socchiudendo gli occhi, mi parve di vedere qualcosa. Erano ricordi legati al passato: vi ero “io”, sdraiato a terra, e Gin, che mi sosteneva sulle sue gambe. Potevo semplicemente udire poche parole fuoriuscire dalle mie labbra “Non avere paura... non ti abbandonerò. Un giorno, ci rincontreremo. Te lo prometto. Tu... non dimenticarti di me, però.”
Scossi veloce la testa e, riaprendo gli occhi, tornai al “presente.”
“Anche lei, quella volta... disse che ero stato proprio io a chiederle di non dimenticarmi...”
Già, il giorno prima, Gin mi aveva rimproverato per la mia scarsa memoria. Io ero morto e, nonostante ciò, per tutto questo tempo, le avevo chiesto di aspettarmi e non dimenticarsi di me. Eppure, ero io quello che non voleva avere niente a che fare con lei.
Che essere spregevole.
Facendo finta di nulla, tornai dalla ragazza.
«Ci hai messo davvero tanto!»
«C'era la fila, che credi.»
«Bé... però, sei tornato.»
Nonostante le rispondessi sempre con minor gentilezza possibile, lei si accontentava, e continuava a sorridermi.
«Certo che sei proprio strana.»
«Ah? Daffero?»
Aveva già addentato il panino. E dire che avevo quasi “paura” che potesse non piacerle!
Continuammo a mangiare e chiacchierare, tirando in ballo qualsiasi cosa che ci venisse in mente. Il tempo trascorse velocemente e il sole, pian piano, iniziò a tramontare. Non era ancora primavera, quindi il cielo diveniva scuro già nel tardo pomeriggio.
«È meglio che ti riaccompagni a casa, prima che si faccia troppo tardi.»
Non potevo rischiare di averla di nuovo nella mia stanza, io avevo bisogno della mia privacy, ma sopratutto del mio letto. Lei disse semplicemente “sì”, successivamente, iniziai a far strada.

Passata mezz'ora, in cui nessuno dei due proferì alcuna parola – per nessun motivo preciso -, mi fermai d'avanti una casa a due piani.
«Stavo pensando... se è casa tua... perché stai seguendo me?»
Me ne ero accorto con un po' di ritardo.
«Questa... è questa casa mia.»
Rispose lei.
«Ah.»
Come era accaduto per il suo nome, ora sapevo persino dove abitasse. Sembravo quasi io lo stalker della situazione.
«Su, su! Non fare quell'espressione sconvolta! Sia la mia vecchia abitazione che quella attuale, sono state costruite nello stesso punto. Non è un caso che ricordassi la strada...»
Cercava in tutti i modi di trattenere una risata, evidentemente la mia faccia era davvero buffa.
«Capisco...»
Tirai un sospiro di sollievo, non che ci fosse qualcosa di cui preoccuparmi... ma iniziavo a farmi paura da solo.
«Senti Gin... hm... ecco. Anche se sei antipatica e continuo a non sopportarti... oggi mi sono divertito. Quindi, grazie.»
Per me, dire quelle parole, era stato estremamente difficile. Non volevo dargliela vinta, farle vedere che la sua compagnia, in fin dei conti, non era tanto male.
Ero abbastanza dispettoso.
Lei spalancò gli occhi e sul suo viso, tornò a disegnarsi quel sorriso stupido, che le faceva risaltare le guance. Senza che potessi reagire in alcun modo, mi si era subito fiondata addosso e mi aveva baciato. Questa volta non feci nessun piega, mi ero limitato a socchiudere gli occhi. Infatti, chi rimase stupito da tutto ciò, fu proprio Gin stessa. Passarono solo pochi secondi e lei si era già staccata da me.
«C...credevo mi avresti bloccata. Che vergogna.»
Affondò subito il viso contro il mio petto. Io, in tutta risposta, scoppiai a ridere.
«Ma come! Fin ora non hai mai fatto una piega... e ora che non ti respingo... tu ti vergogni!»
Le diedi una pacca in testa, scompigliandole un po' i capelli. Lasciai per un po' la mano appoggiata sulla sua testa e smisi anche di ridere.
Vi era di nuovo silenzio.
«Prima... ho ricordato la promessa che ti feci.»
Lei sobbalzò, spostando un po' il viso, affinché potesse guardarmi.
«Come ti ho detto questa mattina... io non mi innamorerò di te.»
«Non importa... ci sono voluti così tanti anni per trovarti... che ora il tempo non ha alcuna importanza, purché possa passarlo con te.»
Si staccò completamente da me, e mosse alcuni passi, in direzione della porta.
«Ti farò cedere, Daichi!»
Aveva già infilato la chiave nella serratura e dopo avergli fatto fare alcuni giri, aveva spalancato l'entrata. Prima di attraversare l'uscio ed entrare in casa, si voltò un'ultima volta verso di me, sorridendomi. La vidi muovere lentamente le labbra, come a voler dire qualcosa, ma pretendeva che lo capissi senza alcun suono. In effetti, il messaggio mi fu ben chiaro. Infine, chiuse la porta. Rimasi a fissarla qualche secondo, poi, con le mani in tasca, me ne andai via di lì con una sola certezza: domani l'avrei sicuramente rivista.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Skred