Absence-that
common cure of love
Capitolo terzo: Dysfunctional is the new
black
«Many years ago, it was the fashion
to ridicule the idea of “love at first
sight”; but those who think, not less than those who feel
deeply, have always
advocated its existence[1]»
Edgar
Allan Poe,
The Spectacles
«Ti
sei bevuto il cervello».
Era
ciò che ogni persona sana di mente
avrebbe detto ed era proprio ciò che Tachery aveva detto
alla fine della loro
discussione.
Christopher
non lo biasimava. Poteva
comprendere le sue ragioni.
Chi
sarebbe mai rimasto con una donna fuggita
dall’altra parte dell’oceano insieme a uno dei suoi
possibili e numerosi
amanti?
Vedeva
una sorta d’insensatezza nella
sua stessa decisione e capiva che Tachery fosse rimasto quantomeno
sbigottito,
quando gli aveva detto di non aver alcun intenzione di divorziare da
sua
moglie.
Victoria
Lyndon dal giorno delle loro
nozze le aveva provate tutte per disfarsi di lui, per sfinirlo e
indurlo a
lasciarla.
Il
contratto prematrimoniale prevedeva
che in caso di divorzio, reciso il legame tra Christopher e i Lyndon,
la
gestione dell’azienda sarebbe ritornata direttamente ai
suddetti per via della
clausola testamentaria che vincolava l’impresa alla famiglia.
L’unica
scappatoia consisteva in un eventuale tradimento della donna.
Christopher
sapeva che Victoria soffriva
di una certa soggezione da parte del padre e che non
l’avrebbe mai sfidato
apertamente chiedendo lei stessa la separazione, ma niente le impediva
di
lavorare nelle retrovie per far sì che ciò
accadesse comunque.
Certo,
August Lyndon si sarebbe infuriato
come un toro con la figlia per aver causato il divorzio, ma in fondo
era una
vincita per tutti: Christopher avrebbe mantenuto il controllo
dell’azienda per
la felicità del capofamiglia e Victoria sarebbe stata
finalmente libera di
vivere la sua vita senza nessun peso.
Un
piano perfetto se Christopher Price
fosse stato un uomo qualunque con un minimo di amor proprio.
Con
sommo dispiacere di Victoria, non lo
era.
Nonostante
le sollecitazioni del suo
migliore amico, Christopher rimaneva determinato a non procedere per
vie legali
e il motivo era ancora più assurdo: non aveva alcun
desiderio di umiliare in
quel modo sua moglie, rovinandole la reputazione e screditandola agli
occhi
della sua intera famiglia.
Il
che dopotutto era il minimo, considerando
come Victoria si divertiva a trattarlo.
Ma
Christopher non conosceva né il
rancore né la vendetta e non sentiva l’impellente
bisogno di fargliela pagare.
Non
si reputava migliore di lei, perché
non era stata l’unica ad aver ottenuto il suo tornaconto da
quel matrimonio.
Lui l’aveva sposata per i suoi soldi.
Non
ne andava fiero e cercava di placare
la sua coscienza comportandosi nella maniera più giusta e
decorosa possibile, a
costo di risultare pedante.
D’altronde
non aveva mai considerato
quelle nozze combinate come un grosso sacrificio; niente in confronto
alla
vergogna che sarebbe caduta sul nome dei Price se non avesse
acconsentito.
Un
paio di investimenti sbagliati
avevano segnato la rovina dell’albergo di lusso di
proprietà della famiglia.
Era necessaria una grossa somma di denaro per poterlo salvare. Senza
molte
altre speranze, suo padre si era rassegnato a dover svendere
l’hotel e mettere
all’asta la casa e i mobili per pagare i debiti.
August
era corso in loro aiuto nel
momento opportuno offrendo al suo vecchio amico una grossa cifra per
risanare
le casse.
Duncan
Price aveva inizialmente
rifiutato. Sapeva che si sarebbe trattato di un prestito praticamente a
fondo
perduto dato che ci sarebbero voluti anni prima di poter perfino
cominciare a
restituire i soldi.
August
allora aveva proposto un accordo:
anche la Lyndon s.r.l. non navigava in buone acque ai tempi e
necessitava di un
cambio radicale di gestione, di nuove idee. A Christopher venne offerta
la
carica di amministratore delegato, a patto che parte del suo stipendio
fosse
andato a ripagare mensilmente il prestito.
E
poi, ovviamente, fu presentata
l’ultima condizione: le nozze con la primogenita dei Lyndon.
Duncan
e Sybil si mostrarono titubanti,
poco propensi a condizionare così definitivamente la vita
del proprio figlio.
Fu
Christopher ad accettare senza tanti
problemi, sorprendendo tutti quanti. Teneva in gran conto la
reputazione della
sua famiglia e non avrebbe mai permesso che venisse infangata. Un
matrimonio
senza amore era poca cosa in paragone.
In
ventinove anni di vita non si era mai
innamorato. Non aveva neanche nutrito più di un discreto
interesse nei
confronti di qualcuna.
Aveva
fatto le sue esperienze, aveva
pure avuto un paio di relazioni piuttosto serie, ma dire di aver
provato un
sentimento tale da legarsi a qualcuno per sempre, questo no.
A
volte credeva che ci fosse qualcosa di
fondamentalmente sbagliato in lui, come se l’avessero
costruito dimenticandosi
un pezzo.
Era
sempre stato un tipo solitario.
L’unico vero amico di cui poteva vantarsi era Tachery; il
resto si limitava a
mere conoscenze o rapporti di lavoro.
Nessuna
donna lo aveva mai sconvolto per
davvero. La curiosità iniziale spesso scemava in una routine
straniante: quella
che sembrava la compagna perfetta diventava una sconosciuta agli occhi
di
Christopher e ogni intimità o connessione si frantumava.
Ogni tentativo lo
svuotava sempre più.
Così
aveva smesso di rincorrere
l’impossibile e aveva accettato il fatto che semplicemente
non era in grado di
amare e ancora meno di provare amore.
Non
riusciva a superare il confine di un
tiepido affetto.
Un
limite piuttosto stressante per uno
come lui che odiava deludere e soprattutto illudere le persone. Non era
uno
sciupafemmine, non era Tachery Sullivan.
Christopher
aveva un gran rispetto di
ogni ragazza che aveva conosciuto e frequentato, dei loro sentimenti e
delle
loro aspettative.
Si
criticava per non essere mai stato in
grado di fare quel passo in più. Aveva desiderato
più di ogni altra cosa
trovare una soluzione logica per il suo temperamento anaffettivo.
Alla
fine, si era rassegnato a suppore
che al mondo nascessero persone difettose. Semplicemente un
po’ rotte.
Perciò
non aveva preso così male la
faccenda delle nozze preparate a tavolino. Sapeva di non poter aspirare
a
qualcosa di più.
Victoria,
al contrario, era una donna
tremendamente appassionata. Carica di vita, di sete e fame per il
mondo. Era
quasi un animale selvaggio e la sua famiglia aveva deciso di domarla
nel
peggiore dei modi.
Un
matrimonio trasformatosi in una
gabbia da cui non riusciva a liberarsi per colpa delle sue stesse
azioni
sconsiderate e di una padre che le voleva bene un po’ troppo
a modo suo.
Diversi
su molti fronti, Christopher e
Victoria erano sul piano emotivo inequivocabilmente disturbati.
E
poi c’era la questione che mandava
fuori di testa Tachery: per quale motivo un uomo che permetteva certe
libertà
alla moglie non se le prendeva a sua volta?
Christopher
era sempre stato molto retto
nel suo comportamento, giusto, di parola, decoroso,
legato alle tradizioni e ubbidiente alle
regole sociali.
Quel
matrimonio non era solo una
faccenda di favori e soldi, comportava anche una serie di
responsabilità cui Christopher
non aveva voluto sottrarsi. Non aveva preso il suo voto alla leggera e
non
aveva intenzione di mancare di rispetto a sua moglie solo per uno
sfizio, un
piacere fisico.
Tachery
lo avrebbe ucciso se avesse
potuto. Continuava a ripetergli che Victoria non meritava tale
cortesia, non
meritava proprio alcunché.
Ma
Christopher non lo ascoltava mai.
Fosse stato per lui neanche avrebbe messo nel contratto prematrimoniale
la
clausola del tradimento. Non gli interessava come Victoria impiegasse
il suo
tempo libero, purché usasse un po’ di criterio, di
discrezione. Scappare
oltreoceano con l’amante di turno non era il modo migliore di
mantenere le
apparenze. E questo infastidiva Christopher più di mille
tradimenti.
«Ammetto
di non essere il legale più precisino
del mondo, ma se non ricordo male il contratto redatto dal mio studio
recita
che in caso di infedeltà da parte della signorina, tu hai il
diritto di tenerti
il tuo dannato posto in quella cazzo di azienda» gli fece
notare Tachery poco
garbatamente.
«Sono
consapevole dei miei diritti, ma
apprezzo il tuo tentativo di tutelarmi» fu la risposta pacata
di Christopher «E
tira giù i piedi dal quel tavolino» lo
sgridò.
Tachery
si sedette sulla poltrona del
salotto in una posa più composta e congiunse le mani sotto
al mento con fare
pensieroso «Due anni fa ti servivano soldi e hai acconsentito
all’unione più
folle dell’universo. Hai sposato quella disgraziata con la
prospettiva di non
liberartene mai più, perché la
proprietà dell’impresa è legata per
testamento
alla famiglia e la gestione è legata alla
proprietà per statuto aziendale. In
termini tecnici eri fottuto, non esistevano scappatoie: o prendevi il
pacchetto
completo o niente. Adesso ti si presenta
l’opportunità di tenerti il lavoro e
disfarti della zavorra, e tu rinunci all’unica occasione che
mai ti si
presenterà? Ora dammi una buona ragione per cui non dovrei
chiedere una perizia
psichiatrica?»
«Credevo
di essermi spiegato a
sufficienza la prima volta» replicò Christopher.
«Sarà
che hai detto una tale miriade di
cagate che non mi sono entrate in testa».
Tachery
Sullivan e l’aplomb inglese: due
realtà separate.
Christopher
sospirò rumorosamente e si
maledisse per aver invitato l’amico a pranzo.
«Non
mi va di trattare mia moglie come
una pezza da piedi» chiarì.
«Lei
non si fa tutti questi problemi nei
tuoi confronti».
«Be’,
sembra che io sia rimasto l’unico
al mondo a ritenere il rispetto verso gli altri un valore»
osservò un po’
amareggiato.
«Nessuno
qui sta parlando di mancanza di
rispetto: quella donna ti sta supplicando di lasciarla» disse
Tachery come se
fosse un’ovvietà «Certo, è
una mossa stupida e da codarda, ma peggio per lei!»
«Victoria
si sta rovinando con le sue
mani e io le faccio un favore a non darle corda» rispose
Christopher «Questi
uomini sono tutte distrazioni per infastidire me. Se mai
s’innamorerà davvero
di qualcuno, sarò felice di lasciare libera. Per ora vorrei
evitare che tutti
l’additassero come un’adultera. Perché io
tengo ancora in considerazione gli altri, perché io sono fatto così. E forse
se qualcuno seguisse il mio esempio,
adesso non staremmo a discutere di divorzi e ripicche!»
Tachery
piegò le labbra in una smorfia
scettica e alzò le sopracciglia «Sai, in questi
casi mi trovo a dare ragione a
Victoria: sei il solito saputello delle elementari».
«Nemmeno
ti accorgi di quanto le
somigli» lo prese in giro Christopher.
«Avrei
dovuto sposarla io. A quest’ora
sarei stato straricco e single».
«Sì,
l’avresti ammazzata durante la
prima notte di nozze».
«Guadagnandomi
la gratitudine della
società londinese per essermi sbarazzato di una tale
piaga».
Christopher
si rese conto che qualunque
obiezione sarebbe stata inutile, quindi tacque. Perlustrò
stancamente la stanza
in cerca di qualcosa che potesse mettere fine a quella conversazione
così
spinosa, ma tutto nell’appartamento rimandava a Victoria. Se
n’era andata,
eppure era ancora lì: nelle mobili,
nei discorsi, nel gatto.
Christopher
aveva sempre la brutta
sensazione di essere spiato quando Morgana era nei paraggi. A volte
credeva che
fosse l’alter-ego di sua moglie: stessi occhi freddi e
calcolatori, stesse
orecchie che si drizzavano non appena udivano qualcosa che non
gradivano. Erano
simili nel portamento e nella ferocia, sebbene in più di
un’occasione la donna
avesse dimostrato di aver artigli ben più affilati di quelli
del suo animale.
Metaforicamente,
s’intende. Victoria non
era mai stata un tipo appariscente e preferiva portare le unghie molte
corte,
quasi sempre senza smalto.
Si
avvaleva della sua lingua biforcuta
per affondare i colpi.
Esattamente come la sua padrona,
Morgana era
tremendamente ostile nei confronti di Christopher e si avvicinava solo
se ne
aveva stretta necessità.
L’uomo
aveva sperimentato spesso il suo
malumore e i segni sulle sue mani lo dimostravano con chiarezza.
Quasi
stesse percependo i suoi pensieri,
il felino alzò il capo dal pouf
su
cui era acciambellato e puntò le iridi verde-acqua sulla
figura dell’uomo.
Evidente segnale di avvertimento e di sfida. Era lei a comandare in
assenza
della signora Price.
Christopher
distolse lo sguardo, mentre
un brivido gli saliva lungo la schiena.
Tachery
seguì la traiettoria dei suoi
occhi e percepì lo stesso formicolio «Ma
è stata qui tutto il tempo? Da dove è
saltata fuori?»
«Quella
gatta ha poteri occulti» mormorò
Christopher.
«Degna
della sua proprietaria.
D’altronde ogni strega possiede il suo animale».
«Mia
moglie non è una strega, Tachery».
«No:
è una stronza, ma questa parola non
ti piace, perciò sono costretto a ricorrere alla versione
più soft» poi
gettò un’altra occhiata al
gatto «Ma deve stare per forza con noi in questa
stanza?» domandò ansioso.
«Se
hai il coraggio di prenderla e
portarla da qualche altra parte, fa’ pure. L’ultima
volta che ci ho provato, mi
ha piantato i denti nel pollice» raccontò
sventolando in aria il dito su cui
erano ancora visibili due puntini rosa leggermente in rilievo
«È una tigre
travestita da persiano».
Tachery
batté all’improvviso le mani e
si dondolò sulla poltrona «Basta parlare della
megera e del suo aiutante. Anzi,
ti dirò che è un sollievo che se ne sia andata.
Temevo già di doverla
sopportare venerdì sera».
«Abbiamo
impegni venerdì?» chiese
Christopher confuso.
Tachery
sciolse le spalle allibito e
lasciò cadere la mani sulle ginocchia «Te ne sei
dimenticato?» più che una
domanda sembrava un’accusa.
Christopher
aggrottò la fronte. Ci mise
un po’ capire di che cosa stesse parlando e quando finalmente
ricordò, strizzò
gli occhi e scosse il capo «Il tuo compleanno»
disse debolmente «C’è la festa
per il tuo compleanno».
Gli
era passato di mente con tutto
quello che era successo. Scordarsi del compleanno del proprio migliore
amico
non era esattamente una cosa di cui andare fieri.
«Indovina?
Ho prenotato al Corsica Studios: tutto il
locale riservato per noi».
Christopher
per poco non sentì male. O
meglio, sperò di aver sentito male.
«Quel
vecchio scantinato sotto la
ferrovia?»
Christopher
ricordava di essere stato al
Corsica Studios quando era più giovane: un vecchio magazzino
trasformato in
locale notturno, sede di molti eventi musicali, situato appena dietro
all’Elephant
and Castle Shopping Centre, in una zona conosciuta per le sue
discoteche
chiassose e famose in tutto il mondo come il Ministry Of Sound.
Non
era mai stato un amante di posti
simili: tanta bolgia e tanto rumore. Adesso si sentiva davvero troppo
cresciutello.
«Mi
aspettavo qualcosa come il Circus[2] o qualche rooftop»
ammise perplesso sulla scelta dell’amico.
«Perché
non il circolo del bridge tanto
che ci siamo» lo sbeffeggiò Tachery
«Abbiamo trent’anni, non sessanta».
«Trentuno»
lo corresse Christopher.
«Io
non ancora» precisò l’altro
«So che
l’hai provato poche volte in vita tua, ma il divertimento non
ti uccide. Se
continui così finirai come quel pazzo di quel film che
voleva sterminare la sua
famiglia ed è morto congelato».
«Jack
Torrance e Shining[3]
nasce
come libro».
Tachery
alzò infastidito un sopracciglio
«Appunto».
«Non
sono molto in vena di fare festa.
Se uscissimo a cena noi due?» propose Christopher.
«Stai
scherzando, vero?» si scandalizzò
Tachery «Eloise, diglielo anche tu. “Tanto
lavoro e niente svago
fanno di Chrissie un uomo ottuso”[4]»
proruppe interpellando la cameriera entrata in quell’istante
in sala ad
annunciare il pranzo.
La
domestica rimase incerta sulla soglia
del salotto «Non so come dovrei rispondere».
«Non
preoccuparti, Eloise, non farci
caso. E tu smettila di importunare il mio personale» lo
riprese Christopher.
«Parlavamo
della mia festa di
compleanno» chiarì Tachery ignorando la richiesta
dell’amico «Il tuo datore di
lavoro non vuole partecipare. Non ti pare che sia un po’
scortese?»
Christopher
preferì restare in silenzio
e ignorarlo. Era abbastanza evidente che non volesse uscire di casa per
evitare
di giustificare l’assenza di Victoria. Non ci voleva un genio
a capirlo.
«Se
posso permettermi signor Price, un
po’ di divertimento non ha mai ucciso nessuno» gli
consigliò Eloise.
Normalmente non si intrometteva nelle faccende della famiglia, ma non
aveva
potuto fare a meno di notare la fuga della signora, e un po’
di svago avrebbe
aiutato il marito a distrarsi.
«Visto!»
esultò Tachery «Sempre detto
che questa ragazza è sprecata a sgobbare per te. Eloise,
perché non vieni anche
tu alla festa? Magari troviamo qualcuno che ti dia un vero
impiego in un vero
ristorante».
«O
be’, io…» balbettò la giovane
imbarazzata. Da una parte avrebbe dato qualsiasi cosa per partecipare a
un
party come quello, dall’altro non era sicura che fosse
professionale dato che
il festeggiato era il migliore amico del suo “capo”.
«Con
la quantità di alcol che girerà
dubito che si potrà mai parlare di lavoro»
osservò Christopher con un tono che
non nascondeva di considerare inappropriato quell’invito;
più che altro per la
tendenza di Tachery ad allungare la mani. Non che ci avesse mai provato
in modo
esplicito con la sua cameriera, ma era meglio non fidarsi.
«Così
la metti a disagio» lo rimproverò
l’altro uomo.
«Io?»
domandò sbigottito Christopher.
«Un’esperta
di eventi come lei mi farà
sicuramente comodo e tu la stai ostacolando» lo
canzonò e poi si rivolse di
nuovo a Eloise «A proposito, conosci qualcuno che potrebbe
fare da fotografo?
Quello che avevo contattato mi ha dato buca per una cena di
beneficienza o roba
del genere».
Lo
sguardo di Eloise s’illuminò «In
effetti avrei la persona giusta».
Tachery
sorrise soddisfatto in direzione
dell’amico «Te l’ho detto che si sarebbe
resa utile».
Inventare
una scusa credibile per la
partenza di Victoria fu più facile del previsto: suo
fratello Peter si trovava
a Parigi per questioni di studi, o così l’aveva
spacciata a suo padre.
Christopher credeva che fosse andato nella capitale francese per
spassarsela
lungo la Senna lontano dagli occhi di August, ma almeno gli aveva dato
la base
perfetta per costruire una storiella su come sua sorella fosse andata a
trovarlo, colta da un improvviso moto di nostalgia.
Superato
il primo problema, bisognava
affrontare il secondo: come scappare da quella dannata festa senza
offendere
Tachery.
Il
Corsica Studios era esattamente
come se lo ricordava: spartano, rumoroso e buio.
Il locale era stato affittato per l’evento ed era meno
affollato del solito, ma
la gente era sempre troppa e soprattutto Christopher non aveva alcun
interesse
a parlare con persone che non vedeva da anni o per le quali non nutriva
particolare simpatia.
Non
era mia stato un festaiolo, lui.
Lo
stesso non si poteva dire di Tachery,
afflitto da baldoria acuta fin dai tempi delle scuole superiori.
Christopher,
invece, preferiva cene
tranquille o al più, occasioni formali in cui era richiesta
la sua presenza
come amministratore della Lyndon s.r.l..
Le discoteche proprio non erano di sua competenza.
Soprattutto
in un momento come quello in
cui il bilancio della sua vita non toccava esattamente picchi positivi:
un
lavoro ottenuto con un accordo, un matrimonio infelice, una moglie
imposta e
vendicativa.
Si
appoggiò alla ringhiera della prima
balconata e guardò giù in pista: conosceva forse
la metà delle persone presenti
e onestamente non credeva che Tachery ne conoscesse molte di
più, ma pur di
fare numero, tutti andavano bene.
Tachery
era sempre stato l’uomo delle
esagerazioni e dei grandi gruppi. Al college le sue compagnie
attraversavano ogni
facoltà e categoria. Lui era amico di tutti.
Anche
lì, a quella festa, si potevano
scorgere divisi in capannelli i suoi vecchi compagni di
università, i suoi
colleghi, gli amici d’infanzia e di famiglia. E poi
c’erano amici di amici,
gente incontrata a qualche cena o buona per una bevuta al bar.
Infine
c’era Christopher che da solo costituiva
una realtà a se stante. Tentava in tutti i modi di schivare
la massa, eppure
questa sembrava cercarlo costantemente.
Lo
ammiravano per il suo rigore e per il
carisma che la sua autorevolezza emanava. Adoravano ascoltarlo parlare,
dicevano che ogni suo discorso trasudasse intelligenza e buon senso. Lo
elogiavano
per la calma, l’acume e l’educazione.
Christopher
era turbato da tali
attenzioni che sfioravano la celebrazione e non si sentiva affatto
così tanto
meritevole e sveglio come amavano definirlo. Aveva più di
uno scheletro
nell’armadio e portava avanti ogni giorno una farsa.
Quella
sera aveva dovuto dispensare più
sorrisi e strette di mano di quanto potesse contare, scusandosi per
l’assenza
di Victoria, mostrando una serenità che non gli apparteneva.
Le
sue perplessità vennero spazzate via
da un arrivo totalmente inaspettato. Christopher si sporse oltre la
ringhiera
per controllare meglio quella figura apparsa all’ingresso del
locale. Era senza
dubbio lei.
Non
si aspettava di rivederla così
presto, di sicuro non quella sera, dato che in teoria avrebbe dovuto
essere in
Svizzera per un impegno di lavoro.
Gettò
una veloce occhiata a Tachery che,
ignaro della sorpresa che gli stava per capitare, stava ordinando da
bere al
bancone. Miracolosamente nessuna donna lo accompagnava.
La
passa sempre liscia.
Pensò Christopher stupefatto e quasi
seccato dalla continua fortuna dell’amico. Qualunque altro
uomo sarebbe stato
beccato come un bambino con la mani nella marmellata. Lui la faceva
franca con singolare
facilità.
Mentre
osservava la donna avvicinarsi al
festeggiato, Christopher notò altri invitati girarsi
stupiti, probabilmente colpiti
dalla sua bellezza.
Robyn
Hall aveva sempre avuto il potere
di catalizzare su di sé ogni sguardo. Il suo aspetto fisico
metteva tutti in
soggezione.
Molti
uomini le avevano fatto una corte
spietata, ma solo Tachery l’aveva conquistata per davvero.
Misteri
della vita.
Si
erano conosciuti durante l’ultimo
semestre del college e non si erano più lasciati. Tachery
all’inizio si era
comportato bene, aveva tenuto a bada l’istinto da cacciatore.
La distanza purtroppo
gli aveva giocato un brutto scherzo e quando Robyn si era trasferita in
Svizzera per lavoro, il suo gene da seduttore era ricomparso
più forte che mai.
Diceva di amarla a modo suo, diceva che un giorno avrebbe seriamente
messo la
testa a posto e le avrebbe chiesto di sposarlo. Aveva compiuto trentun
anni e
quel giorno non era ancora arrivato.
Ed
eccolo lì, in piedi su due gambe da
modella, un altro dei motivi per cui Christopher non si sentiva
così in pace
con se stesso come avrebbe voluto. La sua lealtà nei
confronti dell’amico gli
impediva di proteggere da bugie e tradimenti una donna fantastica.
Robyn
proveniva da una famiglia modesta
e si era fatta strada con le sue forze ottenendo prima una borsa di
studio per il
prestigioso King’s College e
poi una
posizione di rilievo in un’importante banca elvetica.
Tutto
il contrario del suo fidanzato che
dopo essersi laureato in legge, si era comodamente sistemato nello
studio
legale di papà. Non che Tachery fosse stupido, ma, avendo il
posto già pronto, non
si era mai sprecato più di tanto.
Christopher
si staccò dalla balaustra e
scese al piano terra intenzionato a raggiungere la coppia e salutare
Robyn. Si
fermò non appena si rese conto che sarebbe stato di grande
disturbo: i due
avevano passato più di un mese separati e sembravano
piuttosto felici di
ricongiungersi finalmente.
Svoltò
a destra e uscì nel cortile sul
retro, felice finalmente di poter isolarsi per un po’. Con
Robyn nei dintorni,
Tachery non avrebbe perso tempo a cercarlo.
Si
sistemò sui gradini della scala
antincendio e frugò nella tasca della sua giacca. Estrasse
un pacchetto di
sigarette e se ne accese una. Era l’unico vizio che si
concedeva ogni tanto,
specialmente quando aveva bisogno di prendersi un momento per
sé e schiarirsi
le idee.
«Scusami,
te ne posso rubare una?»
esordì una voce alle sue spalle.
Christopher
si girò e scorse attraverso
lo spazio tra i gradini di metallo una sagoma che se ne stava timida
nell’ombra.
«Mi
spiace disturbarti, ma ti ho visto
uscire e ho pensato di potermi fumare una sigaretta inosservata. Non mi
andava
di chiederla a qualche ospite mentre lavoravo»
continuò la ragazza che si era
spostata sotto la luce del lampione.
Pareva
più giovane di lui, doveva avere
vent’anni o giù di lì. Christopher
suppose che si trattasse di una delle
bariste.
Le
porse il pacchetto e l’accendino.
«Grazie»
gli sorrise lei «Mi chiamo
Lucy» si presentò educatamente.
«Christopher»
rispose l’uomo con un
cenno del capo.
La
giovane si guardò un po’ intorno, a
disagio per lo sgradevole silenzio. Poi alzò le spalle e
disse «Be’, grazie
ancora per la sigaretta. Ora ti lascio solo». Non le sembrava
carino rimanere
lì a dargli fastidio e rovinargli la pace.
Christopher
si rese conto che il suo
comportamento sfuggente era apparso decisamente maleducato. La
invitò a sedersi
con lui per rimediare.
Lucy
sorrise ancora, un po’ imbarazzata,
e prese posto accanto all’uomo sulla scala.
«Non
sei di qui, vero? Il tuo accento è
diverso» osservò casualmente lui per fare
conversazione.
«No»
confermò lei «Vengo da Newport, nel
Rhode Island. Mi sono trasferita qui da qualche settimana per motivi di
studio.
Sto da mia cugina».
«Sono
stato a Providence la scorsa
primavera per un ciclo di lezioni alla Brown» le
raccontò Christopher.
«Un
seminario di qualche professore
importante?» s’informò Lucy.
«Veramente
le ho tenute io».
«Oh»
fu la reazione basita della
ragazza.
Bravo
Chrissie, prima eri maleducato, ora ti stai atteggiando da arrogante.
«Come
mai ti sei nascosto qua fuori? Non
sopportavi più il casino?» gli chiese Lucy ansiosa
di cambiare argomento e
sembrare un po’ meno stupida.
«Le
discoteche non sono il mio genere.
Sono qui per un favore a un amico».
«Ah,
ho capito!» ridacchiò furba «Sei
uno degli imbucati. Ne ho visti un sacco là dentro. Li
riconosci subito: sono
quelli che si approfittano dell’open bar. Ma lo farei anche
io se potessi. Ti
hanno detto chi ha organizzato questo party? È sicuramente
straricco ed è pure uno
stronzo. Ha flirtato con tutte le donne presenti e poi si è
scoperto che ha una
fidanzata. Allora, spiegami perché sei venuto? Immagino che
sia un favore bello
grosso per lasciarti trascinare qui. Non sembra il tuo ambiente. A chi
lo
dovevi?»
«Allo
stronzo che ha una fidanzata ma
flirta con tutte le altre» ammise consapevole di aver fatto
per l’ennesima
volta la figura del gradasso.
Lucy
si strozzò con il fumo che aveva
appena inspirato. Tossì rumorosamente, il che la mise
ulteriormente in
imbarazzo.
«Sta
sera non ne dico una giusta»
constatò mortificata con la voce ancora rauca.
«Non
preoccuparti, terrò il tuo commento
per me» la rassicurò «E a proposito, che
rimanga tra noi, ma sono completamente
d’accordo» spese la sigaretta sotto al piede e
improvvisò un’altra domanda,
giusto per farla sentire un po’ più a suo agio
«Ti piace Londra?»
«Sì»
rispose titubante «Mi sto ancora
abituando. Mi mancano le stelle».
«Le
stelle?»
«Io
abitavo in periferia e di notte mi
capitava di scivolare sul tetto della veranda a guardare il cielo.
È cominciato
tutto con un compito di scienze, poi mi sono appassionata
all’astronomia. La
trovo rilassante. Qui c’è troppa luce, quasi tutte
le stelle sono invisibili».
Christopher
d’istinto alzò gli occhi
verso il nero della notte: in effetti pochi astri brillavano e la loro
aura
appariva molto tenue.
Anche
Lucy buttò la sigaretta e si tirò
in piedi «Mi ci voleva proprio. È stato un
sollievo allontanarmi un po’ dalla
bolgia».
«Neanche
tu sei il tipo da discoteca?»
«No,
a me piace molto ballare.
Normalmente mi diverto tantissimo, quando non
lavoro» specificò «Posso farti una
domanda indiscreta?»
L’uomo
annuì.
«Ti
va di ballare?»
Christopher
strabuzzò gli occhi. Nel
cortile si udiva distintamente la musica: era un brano lento e soffuso.
«Su,
dai! Forza! Non voglio fare la mia
prima notte in un club londinese senza nemmeno un ballo» lo
incitò Lucy. Gli
prese le mani e lo trascinò verso di sé.
Christopher,
suo malgrado, non ebbe
altra scelta che seguire i movimenti della ragazza. Aveva pensato per
un
momento di rifiutare, ma sarebbe stata l’ennesima mossa
scontrosa.
La
assecondò senza avvicinarsi troppo,
mantenendo una certa distanza e soprattutto un certo distacco.
Preferiva
evitare scomodi fraintendimenti.
«Ti
capita spesso di invitare
sconosciuti a ballare?» le domandò ironico.
«Solo
se sono carini» gli rispose e poi
scoppiò a ridere – una magnifica risata a detta di
Christopher – «Di solito non
sono una tale sfacciata. Solamente…ho avuto
l’impressione che ti servisse un
po’ di calore umano».
Lui
perplesso spostò lo sguardo in
basso, verso i riccioli biondi di Lucy «Perché
dici questo?» si incuriosì.
La
giovane scrollò le spalle «A volte le
persone più silenziose sono quelle più bisognose
di contatto» considerò.
«Questa
è una massima comune» obiettò
Christopher «Una teoria generalista».
«È
la verità» s’intestardì Lucy
«E credo
che ti abbia fatto bene. Sei palesemente più
rilassato» si complimentò
sciogliendosi dall’abbraccio «Bene, ora il mio
compito è finito. Torno
all’altro lavoro. È stato un piacere» lo
salutò.
«Aspetta»
la richiamò subito Christopher
«Te ne serviranno altre, è solo mezzanotte e
mezza» e le porse tutto il
pacchetto di sigarette.
«E
tu?»
«Per
i noiosi come me è il momento di
ritirarsi».
Rientrò
nel locale diretto al guardaroba.
Prese il suo cappotto e scivolò tra la folla verso
l’uscita. Tachery avrebbe
capito.
Fece
tutto il tragitto fino alla
stazione dei taxi con il naso all’insù, colto da
una sensazione grave: il cielo
a Londra era senza dubbio di un nero opprimente.
Il
mio spazio:
Purtroppo
stasera non ho molto tempo per
dilungarmi nei commenti.
Vi
ringrazio tantissimo delle recensioni
e spero che questo capitolo vi abbia soddisfatto. Pensato che
Christopher sia
completamente impazzito a non voler divorziare da Victioria?
Ho
creato un profilo facebook sotto il
nome di Sissi Bennett, se volete aggiungermi per parlare della storia o
di
qualsiasi altra cosa.
Alla
prossima,
Sissi
Bennett.
[1] Molti anni
fa andava di moda ridicolizzare l’amore “a prima
vista”;
ma quelli che pensano, non meno di coloro che sentono profondamente,
hanno
sempre sostenuto la sua esistenza.
[2]
Corsica
Studios, Ministry of
Sound e Circus sono
tre famosi locali di Londra. Non sono
mai stati al Corsica Studios, ho solo guardato qualche foto su
internet, quindi
la descrizione è tutta opera mia, non so se effittivamente
corrisponda alla
realtà.
[3]
Shining è
un libro di Stephen King, da cui Stanley Kubrick ha tratto
l’omonimo film.
[4]
Questa
è una citazione
diretta dal film Shining.