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Autore: Sissi Bennett    22/05/2015    2 recensioni
«Questa tua costanza è assurda. Perché ti ostini a rimanere fedele a quell’arpia di tua moglie?»
«Parola chiave: mia moglie»
«Il vostro matrimonio è stato praticamente combinato, è una farsa. Tu non sei felice con lei. Che c’è di male a concedersi una piccola distrazione?»
«Chiamami antiquato, ma considero il matrimonio ancora una cosa seria, un atto di responsabilità. Non ho intenzione di rimangiarmi la parola e i miei principi per una distrazione».
«Discorso sensato se fossi innamorato di lei».
«Non sono neanche innamorato di nessun’altra. Non romperò la mia promessa se non ne varrà la pena».
[...]
Victoria e Christopher non erano una coppia atipica, erano proprio mal assortiti. Costretti dalla sorte, puniti dalle circostanze, beffati dal loro stesso egoistico interesse.
Non si amavano e non si erano mai amati.
Christopher provava indifferenza nei confronti di sua moglie, malcelata da una fredda cortesia; Victoria avrebbe voluto attaccare la testa di suo marito al muro come un trofeo di caccia.
Genere: Angst | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Absence-that common cure of love

 

 

 

Capitolo terzo: Dysfunctional is the new black

 

«Many years ago, it was the fashion to ridicule the idea of “love at first sight”; but those who think, not less than those who feel deeply, have always advocated its existence[1]»

Edgar Allan Poe, The Spectacles

 

«Ti sei bevuto il cervello».

Era ciò che ogni persona sana di mente avrebbe detto ed era proprio ciò che Tachery aveva detto alla fine della loro discussione.

Christopher non lo biasimava. Poteva comprendere le sue ragioni.

Chi sarebbe mai rimasto con una donna fuggita dall’altra parte dell’oceano insieme a uno dei suoi possibili e numerosi amanti?

Vedeva una sorta d’insensatezza nella sua stessa decisione e capiva che Tachery fosse rimasto quantomeno sbigottito, quando gli aveva detto di non aver alcun intenzione di divorziare da sua moglie.

Victoria Lyndon dal giorno delle loro nozze le aveva provate tutte per disfarsi di lui, per sfinirlo e indurlo a lasciarla.

Il contratto prematrimoniale prevedeva che in caso di divorzio, reciso il legame tra Christopher e i Lyndon, la gestione dell’azienda sarebbe ritornata direttamente ai suddetti per via della clausola testamentaria che vincolava l’impresa alla famiglia. L’unica scappatoia consisteva in un eventuale tradimento della donna.

Christopher sapeva che Victoria soffriva di una certa soggezione da parte del padre e che non l’avrebbe mai sfidato apertamente chiedendo lei stessa la separazione, ma niente le impediva di lavorare nelle retrovie per far sì che ciò accadesse comunque.

Certo, August Lyndon si sarebbe infuriato come un toro con la figlia per aver causato il divorzio, ma in fondo era una vincita per tutti: Christopher avrebbe mantenuto il controllo dell’azienda per la felicità del capofamiglia e Victoria sarebbe stata finalmente libera di vivere la sua vita senza nessun peso.

Un piano perfetto se Christopher Price fosse stato un uomo qualunque con un minimo di amor proprio.

Con sommo dispiacere di Victoria, non lo era.

Nonostante le sollecitazioni del suo migliore amico, Christopher rimaneva determinato a non procedere per vie legali e il motivo era ancora più assurdo: non aveva alcun desiderio di umiliare in quel modo sua moglie, rovinandole la reputazione e screditandola agli occhi della sua intera famiglia.

Il che dopotutto era il minimo, considerando come Victoria si divertiva a trattarlo.

Ma Christopher non conosceva né il rancore né la vendetta e non sentiva l’impellente bisogno di fargliela pagare.

Non si reputava migliore di lei, perché non era stata l’unica ad aver ottenuto il suo tornaconto da quel matrimonio. Lui l’aveva sposata per i suoi soldi.

Non ne andava fiero e cercava di placare la sua coscienza comportandosi nella maniera più giusta e decorosa possibile, a costo di risultare pedante.

D’altronde non aveva mai considerato quelle nozze combinate come un grosso sacrificio; niente in confronto alla vergogna che sarebbe caduta sul nome dei Price se non avesse acconsentito.

Un paio di investimenti sbagliati avevano segnato la rovina dell’albergo di lusso di proprietà della famiglia. Era necessaria una grossa somma di denaro per poterlo salvare. Senza molte altre speranze, suo padre si era rassegnato a dover svendere l’hotel e mettere all’asta la casa e i mobili per pagare i debiti.

August era corso in loro aiuto nel momento opportuno offrendo al suo vecchio amico una grossa cifra per risanare le casse.

Duncan Price aveva inizialmente rifiutato. Sapeva che si sarebbe trattato di un prestito praticamente a fondo perduto dato che ci sarebbero voluti anni prima di poter perfino cominciare a restituire i soldi.

August allora aveva proposto un accordo: anche la Lyndon s.r.l. non navigava in buone acque ai tempi e necessitava di un cambio radicale di gestione, di nuove idee. A Christopher venne offerta la carica di amministratore delegato, a patto che parte del suo stipendio fosse andato a ripagare mensilmente il prestito.

E poi, ovviamente, fu presentata l’ultima condizione: le nozze con la primogenita dei Lyndon.

Duncan e Sybil si mostrarono titubanti, poco propensi a condizionare così definitivamente la vita del proprio figlio.

Fu Christopher ad accettare senza tanti problemi, sorprendendo tutti quanti. Teneva in gran conto la reputazione della sua famiglia e non avrebbe mai permesso che venisse infangata. Un matrimonio senza amore era poca cosa in paragone.

In ventinove anni di vita non si era mai innamorato. Non aveva neanche nutrito più di un discreto interesse nei confronti di qualcuna.

Aveva fatto le sue esperienze, aveva pure avuto un paio di relazioni piuttosto serie, ma dire di aver provato un sentimento tale da legarsi a qualcuno per sempre, questo no.

A volte credeva che ci fosse qualcosa di fondamentalmente sbagliato in lui, come se l’avessero costruito dimenticandosi un pezzo.

Era sempre stato un tipo solitario. L’unico vero amico di cui poteva vantarsi era Tachery; il resto si limitava a mere conoscenze o rapporti di lavoro.

Nessuna donna lo aveva mai sconvolto per davvero. La curiosità iniziale spesso scemava in una routine straniante: quella che sembrava la compagna perfetta diventava una sconosciuta agli occhi di Christopher e ogni intimità o connessione si frantumava. Ogni tentativo lo svuotava sempre più.

Così aveva smesso di rincorrere l’impossibile e aveva accettato il fatto che semplicemente non era in grado di amare e ancora meno di provare amore.

Non riusciva a superare il confine di un tiepido affetto.

Un limite piuttosto stressante per uno come lui che odiava deludere e soprattutto illudere le persone. Non era uno sciupafemmine, non era Tachery Sullivan.

Christopher aveva un gran rispetto di ogni ragazza che aveva conosciuto e frequentato, dei loro sentimenti e delle loro aspettative.

Si criticava per non essere mai stato in grado di fare quel passo in più. Aveva desiderato più di ogni altra cosa trovare una soluzione logica per il suo temperamento anaffettivo.

Alla fine, si era rassegnato a suppore che al mondo nascessero persone difettose. Semplicemente un po’ rotte.

Perciò non aveva preso così male la faccenda delle nozze preparate a tavolino. Sapeva di non poter aspirare a qualcosa di più.

Victoria, al contrario, era una donna tremendamente appassionata. Carica di vita, di sete e fame per il mondo. Era quasi un animale selvaggio e la sua famiglia aveva deciso di domarla nel peggiore dei modi.

Un matrimonio trasformatosi in una gabbia da cui non riusciva a liberarsi per colpa delle sue stesse azioni sconsiderate e di una padre che le voleva bene un po’ troppo a modo suo.

Diversi su molti fronti, Christopher e Victoria erano sul piano emotivo inequivocabilmente disturbati.

E poi c’era la questione che mandava fuori di testa Tachery: per quale motivo un uomo che permetteva certe libertà alla moglie non se le prendeva a sua volta?

Christopher era sempre stato molto retto nel suo comportamento, giusto, di parola, decoroso,  legato alle tradizioni e ubbidiente alle regole sociali.

Quel matrimonio non era solo una faccenda di favori e soldi, comportava anche una serie di responsabilità cui Christopher non aveva voluto sottrarsi. Non aveva preso il suo voto alla leggera e non aveva intenzione di mancare di rispetto a sua moglie solo per uno sfizio, un piacere fisico.

Tachery lo avrebbe ucciso se avesse potuto. Continuava a ripetergli che Victoria non meritava tale cortesia, non meritava proprio alcunché.

Ma Christopher non lo ascoltava mai. Fosse stato per lui neanche avrebbe messo nel contratto prematrimoniale la clausola del tradimento. Non gli interessava come Victoria impiegasse il suo tempo libero, purché usasse un po’ di criterio, di discrezione. Scappare oltreoceano con l’amante di turno non era il modo migliore di mantenere le apparenze. E questo infastidiva Christopher più di mille tradimenti.

«Ammetto di non essere il legale più precisino del mondo, ma se non ricordo male il contratto redatto dal mio studio recita che in caso di infedeltà da parte della signorina, tu hai il diritto di tenerti il tuo dannato posto in quella cazzo di azienda» gli fece notare Tachery poco garbatamente.

«Sono consapevole dei miei diritti, ma apprezzo il tuo tentativo di tutelarmi» fu la risposta pacata di Christopher «E tira giù i piedi dal quel tavolino» lo sgridò.

Tachery si sedette sulla poltrona del salotto in una posa più composta e congiunse le mani sotto al mento con fare pensieroso «Due anni fa ti servivano soldi e hai acconsentito all’unione più folle dell’universo. Hai sposato quella disgraziata con la prospettiva di non liberartene mai più, perché la proprietà dell’impresa è legata per testamento alla famiglia e la gestione è legata alla proprietà per statuto aziendale. In termini tecnici eri fottuto, non esistevano scappatoie: o prendevi il pacchetto completo o niente. Adesso ti si presenta l’opportunità di tenerti il lavoro e disfarti della zavorra, e tu rinunci all’unica occasione che mai ti si presenterà? Ora dammi una buona ragione per cui non dovrei chiedere una perizia psichiatrica?»

«Credevo di essermi spiegato a sufficienza la prima volta» replicò Christopher.

«Sarà che hai detto una tale miriade di cagate che non mi sono entrate in testa».

Tachery Sullivan e l’aplomb inglese: due realtà separate.

Christopher sospirò rumorosamente e si maledisse per aver invitato l’amico a pranzo.

«Non mi va di trattare mia moglie come una pezza da piedi» chiarì.

«Lei non si fa tutti questi problemi nei tuoi confronti».

«Be’, sembra che io sia rimasto l’unico al mondo a ritenere il rispetto verso gli altri un valore» osservò un po’ amareggiato.

«Nessuno qui sta parlando di mancanza di rispetto: quella donna ti sta supplicando di lasciarla» disse Tachery come se fosse un’ovvietà «Certo, è una mossa stupida e da codarda, ma peggio per lei!»

«Victoria si sta rovinando con le sue mani e io le faccio un favore a non darle corda» rispose Christopher «Questi uomini sono tutte distrazioni per infastidire me. Se mai s’innamorerà davvero di qualcuno, sarò felice di lasciare libera. Per ora vorrei evitare che tutti l’additassero come un’adultera. Perché io tengo ancora in considerazione gli altri, perché io sono fatto così. E forse se qualcuno seguisse il mio esempio, adesso non staremmo a discutere di divorzi e ripicche!»

Tachery piegò le labbra in una smorfia scettica e alzò le sopracciglia «Sai, in questi casi mi trovo a dare ragione a Victoria: sei il solito saputello delle elementari».

«Nemmeno ti accorgi di quanto le somigli» lo prese in giro Christopher.

«Avrei dovuto sposarla io. A quest’ora sarei stato straricco e single».

«Sì, l’avresti ammazzata durante la prima notte di nozze».

«Guadagnandomi la gratitudine della società londinese per essermi sbarazzato di una tale piaga».

Christopher si rese conto che qualunque obiezione sarebbe stata inutile, quindi tacque. Perlustrò stancamente la stanza in cerca di qualcosa che potesse mettere fine a quella conversazione così spinosa, ma tutto nell’appartamento rimandava a Victoria. Se n’era andata, eppure era ancora lì: nelle mobili, nei discorsi, nel gatto.

Christopher aveva sempre la brutta sensazione di essere spiato quando Morgana era nei paraggi. A volte credeva che fosse l’alter-ego di sua moglie: stessi occhi freddi e calcolatori, stesse orecchie che si drizzavano non appena udivano qualcosa che non gradivano. Erano simili nel portamento e nella ferocia, sebbene in più di un’occasione la donna avesse dimostrato di aver artigli ben più affilati di quelli del suo animale.

Metaforicamente, s’intende. Victoria non era mai stata un tipo appariscente e preferiva portare le unghie molte corte, quasi sempre senza smalto.

Si avvaleva della sua lingua biforcuta per affondare i colpi.

Esattamente  come la sua padrona, Morgana era tremendamente ostile nei confronti di Christopher e si avvicinava solo se ne aveva stretta necessità.

L’uomo aveva sperimentato spesso il suo malumore e i segni sulle sue mani lo dimostravano con chiarezza.

Quasi stesse percependo i suoi pensieri, il felino alzò il capo dal pouf su cui era acciambellato e puntò le iridi verde-acqua sulla figura dell’uomo. Evidente segnale di avvertimento e di sfida. Era lei a comandare in assenza della signora Price.

Christopher distolse lo sguardo, mentre un brivido gli saliva lungo la schiena.

Tachery seguì la traiettoria dei suoi occhi e percepì lo stesso formicolio «Ma è stata qui tutto il tempo? Da dove è saltata fuori?»

«Quella gatta ha poteri occulti» mormorò Christopher.

«Degna della sua proprietaria. D’altronde ogni strega possiede il suo animale».

«Mia moglie non è una strega, Tachery».

«No: è una stronza, ma questa parola non ti piace, perciò sono costretto a ricorrere alla versione più soft» poi gettò un’altra occhiata al gatto «Ma deve stare per forza con noi in questa stanza?» domandò ansioso.

«Se hai il coraggio di prenderla e portarla da qualche altra parte, fa’ pure. L’ultima volta che ci ho provato, mi ha piantato i denti nel pollice» raccontò sventolando in aria il dito su cui erano ancora visibili due puntini rosa leggermente in rilievo «È una tigre travestita da persiano».

Tachery batté all’improvviso le mani e si dondolò sulla poltrona «Basta parlare della megera e del suo aiutante. Anzi, ti dirò che è un sollievo che se ne sia andata. Temevo già di doverla sopportare venerdì sera».

«Abbiamo impegni venerdì?» chiese Christopher confuso.

Tachery sciolse le spalle allibito e lasciò cadere la mani sulle ginocchia «Te ne sei dimenticato?» più che una domanda sembrava un’accusa.

Christopher aggrottò la fronte. Ci mise un po’ capire di che cosa stesse parlando e quando finalmente ricordò, strizzò gli occhi e scosse il capo «Il tuo compleanno» disse debolmente «C’è la festa per il tuo compleanno».

Gli era passato di mente con tutto quello che era successo. Scordarsi del compleanno del proprio migliore amico non era esattamente una cosa di cui andare fieri.

«Indovina? Ho prenotato al Corsica Studios: tutto il locale riservato per noi».

Christopher per poco non sentì male. O meglio, sperò di aver sentito male.

«Quel vecchio scantinato sotto la ferrovia?»

Christopher ricordava di essere stato al Corsica Studios quando era più giovane: un vecchio magazzino trasformato in locale notturno, sede di molti eventi musicali, situato appena dietro all’Elephant and Castle Shopping Centre, in una zona conosciuta per le sue discoteche chiassose e famose in tutto il mondo come il Ministry Of Sound.

Non era mai stato un amante di posti simili: tanta bolgia e tanto rumore. Adesso si sentiva davvero troppo cresciutello.

«Mi aspettavo qualcosa come il Circus[2] o qualche rooftop» ammise perplesso sulla scelta dell’amico.

«Perché non il circolo del bridge tanto che ci siamo» lo sbeffeggiò Tachery «Abbiamo trent’anni, non sessanta».

«Trentuno» lo corresse Christopher.

«Io non ancora» precisò l’altro «So che l’hai provato poche volte in vita tua, ma il divertimento non ti uccide. Se continui così finirai come quel pazzo di quel film che voleva sterminare la sua famiglia ed è morto congelato».

«Jack Torrance e Shining[3] nasce come libro».

Tachery alzò infastidito un sopracciglio «Appunto».

«Non sono molto in vena di fare festa. Se uscissimo a cena noi due?» propose Christopher.

«Stai scherzando, vero?» si scandalizzò Tachery «Eloise, diglielo anche tu. “Tanto lavoro e niente svago fanno di Chrissie un uomo ottuso”[4]» proruppe interpellando la cameriera entrata in quell’istante in sala ad annunciare il pranzo.

La domestica rimase incerta sulla soglia del salotto «Non so come dovrei rispondere».

«Non preoccuparti, Eloise, non farci caso. E tu smettila di importunare il mio personale» lo riprese Christopher.

«Parlavamo della mia festa di compleanno» chiarì Tachery ignorando la richiesta dell’amico «Il tuo datore di lavoro non vuole partecipare. Non ti pare che sia un po’ scortese?»

Christopher preferì restare in silenzio e ignorarlo. Era abbastanza evidente che non volesse uscire di casa per evitare di giustificare l’assenza di Victoria. Non ci voleva un genio a capirlo.

«Se posso permettermi signor Price, un po’ di divertimento non ha mai ucciso nessuno» gli consigliò Eloise. Normalmente non si intrometteva nelle faccende della famiglia, ma non aveva potuto fare a meno di notare la fuga della signora, e un po’ di svago avrebbe aiutato il marito a distrarsi.

«Visto!» esultò Tachery «Sempre detto che questa ragazza è sprecata a sgobbare per te. Eloise, perché non vieni anche tu alla festa? Magari troviamo qualcuno che ti dia un vero impiego in un vero ristorante».

«O be’, io…» balbettò la giovane imbarazzata. Da una parte avrebbe dato qualsiasi cosa per partecipare a un party come quello, dall’altro non era sicura che fosse professionale dato che il festeggiato era il migliore amico del suo “capo”.

«Con la quantità di alcol che girerà dubito che si potrà mai parlare di lavoro» osservò Christopher con un tono che non nascondeva di considerare inappropriato quell’invito; più che altro per la tendenza di Tachery ad allungare la mani. Non che ci avesse mai provato in modo esplicito con la sua cameriera, ma era meglio non fidarsi.

«Così la metti a disagio» lo rimproverò l’altro uomo.

«Io?» domandò sbigottito Christopher.

«Un’esperta di eventi come lei mi farà sicuramente comodo e tu la stai ostacolando» lo canzonò e poi si rivolse di nuovo a Eloise «A proposito, conosci qualcuno che potrebbe fare da fotografo? Quello che avevo contattato mi ha dato buca per una cena di beneficienza o roba del genere».

Lo sguardo di Eloise s’illuminò «In effetti avrei la persona giusta».

Tachery sorrise soddisfatto in direzione dell’amico «Te l’ho detto che si sarebbe resa utile».

 

Inventare una scusa credibile per la partenza di Victoria fu più facile del previsto: suo fratello Peter si trovava a Parigi per questioni di studi, o così l’aveva spacciata a suo padre. Christopher credeva che fosse andato nella capitale francese per spassarsela lungo la Senna lontano dagli occhi di August, ma almeno gli aveva dato la base perfetta per costruire una storiella su come sua sorella fosse andata a trovarlo, colta da un improvviso moto di nostalgia.

Superato il primo problema, bisognava affrontare il secondo: come scappare da quella dannata festa senza offendere Tachery.

Il Corsica Studios era esattamente come se lo ricordava: spartano, rumoroso e buio. Il locale era stato affittato per l’evento ed era meno affollato del solito, ma la gente era sempre troppa e soprattutto Christopher non aveva alcun interesse a parlare con persone che non vedeva da anni o per le quali non nutriva particolare simpatia.

Non era mia stato un festaiolo, lui.

Lo stesso non si poteva dire di Tachery, afflitto da baldoria acuta fin dai tempi delle scuole superiori.

Christopher, invece, preferiva cene tranquille o al più, occasioni formali in cui era richiesta la sua presenza come amministratore della Lyndon s.r.l.. Le discoteche proprio non erano di sua competenza.

Soprattutto in un momento come quello in cui il bilancio della sua vita non toccava esattamente picchi positivi: un lavoro ottenuto con un accordo, un matrimonio infelice, una moglie imposta e vendicativa.

Si appoggiò alla ringhiera della prima balconata e guardò giù in pista: conosceva forse la metà delle persone presenti e onestamente non credeva che Tachery ne conoscesse molte di più, ma pur di fare numero, tutti andavano bene.

Tachery era sempre stato l’uomo delle esagerazioni e dei grandi gruppi. Al college le sue compagnie attraversavano ogni facoltà e categoria. Lui era amico di tutti.

Anche lì, a quella festa, si potevano scorgere divisi in capannelli i suoi vecchi compagni di università, i suoi colleghi, gli amici d’infanzia e di famiglia. E poi c’erano amici di amici, gente incontrata a qualche cena o buona per una bevuta al bar.

Infine c’era Christopher che da solo costituiva una realtà a se stante. Tentava in tutti i modi di schivare la massa, eppure questa sembrava cercarlo costantemente.

Lo ammiravano per il suo rigore e per il carisma che la sua autorevolezza emanava. Adoravano ascoltarlo parlare, dicevano che ogni suo discorso trasudasse intelligenza e buon senso. Lo elogiavano per la calma, l’acume e l’educazione.

Christopher era turbato da tali attenzioni che sfioravano la celebrazione e non si sentiva affatto così tanto meritevole e sveglio come amavano definirlo. Aveva più di uno scheletro nell’armadio e portava avanti ogni giorno una farsa.

Quella sera aveva dovuto dispensare più sorrisi e strette di mano di quanto potesse contare, scusandosi per l’assenza di Victoria, mostrando una serenità che non gli apparteneva.

Le sue perplessità vennero spazzate via da un arrivo totalmente inaspettato. Christopher si sporse oltre la ringhiera per controllare meglio quella figura apparsa all’ingresso del locale. Era senza dubbio lei.

Non si aspettava di rivederla così presto, di sicuro non quella sera, dato che in teoria avrebbe dovuto essere in Svizzera per un impegno di lavoro.

Gettò una veloce occhiata a Tachery che, ignaro della sorpresa che gli stava per capitare, stava ordinando da bere al bancone. Miracolosamente nessuna donna lo accompagnava.

La passa sempre liscia. Pensò Christopher stupefatto e quasi seccato dalla continua fortuna dell’amico. Qualunque altro uomo sarebbe stato beccato come un bambino con la mani nella marmellata. Lui la faceva franca con singolare facilità.

Mentre osservava la donna avvicinarsi al festeggiato, Christopher notò altri invitati girarsi stupiti, probabilmente colpiti dalla sua bellezza.

Robyn Hall aveva sempre avuto il potere di catalizzare su di sé ogni sguardo. Il suo aspetto fisico metteva tutti in soggezione.

Molti uomini le avevano fatto una corte spietata, ma solo Tachery l’aveva conquistata per davvero.

Misteri della vita.

Si erano conosciuti durante l’ultimo semestre del college e non si erano più lasciati. Tachery all’inizio si era comportato bene, aveva tenuto a bada l’istinto da cacciatore. La distanza purtroppo gli aveva giocato un brutto scherzo e quando Robyn si era trasferita in Svizzera per lavoro, il suo gene da seduttore era ricomparso più forte che mai. Diceva di amarla a modo suo, diceva che un giorno avrebbe seriamente messo la testa a posto e le avrebbe chiesto di sposarlo. Aveva compiuto trentun anni e quel giorno non era ancora arrivato.

Ed eccolo lì, in piedi su due gambe da modella, un altro dei motivi per cui Christopher non si sentiva così in pace con se stesso come avrebbe voluto. La sua lealtà nei confronti dell’amico gli impediva di proteggere da bugie e tradimenti una donna fantastica.

Robyn proveniva da una famiglia modesta e si era fatta strada con le sue forze ottenendo prima una borsa di studio per il prestigioso King’s College e poi una posizione di rilievo in un’importante banca elvetica.

Tutto il contrario del suo fidanzato che dopo essersi laureato in legge, si era comodamente sistemato nello studio legale di papà. Non che Tachery fosse stupido, ma, avendo il posto già pronto, non si era mai sprecato più di tanto.

Christopher si staccò dalla balaustra e scese al piano terra intenzionato a raggiungere la coppia e salutare Robyn. Si fermò non appena si rese conto che sarebbe stato di grande disturbo: i due avevano passato più di un mese separati e sembravano piuttosto felici di ricongiungersi finalmente.

Svoltò a destra e uscì nel cortile sul retro, felice finalmente di poter isolarsi per un po’. Con Robyn nei dintorni, Tachery non avrebbe perso tempo a cercarlo.

Si sistemò sui gradini della scala antincendio e frugò nella tasca della sua giacca. Estrasse un pacchetto di sigarette e se ne accese una. Era l’unico vizio che si concedeva ogni tanto, specialmente quando aveva bisogno di prendersi un momento per sé e schiarirsi le idee.

«Scusami, te ne posso rubare una?» esordì una voce alle sue spalle.

Christopher si girò e scorse attraverso lo spazio tra i gradini di metallo una sagoma che se ne stava timida nell’ombra.

«Mi spiace disturbarti, ma ti ho visto uscire e ho pensato di potermi fumare una sigaretta inosservata. Non mi andava di chiederla a qualche ospite mentre lavoravo» continuò la ragazza che si era spostata sotto la luce del lampione.

Pareva più giovane di lui, doveva avere vent’anni o giù di lì. Christopher suppose che si trattasse di una delle bariste.

Le porse il pacchetto e l’accendino.

«Grazie» gli sorrise lei «Mi chiamo Lucy» si presentò educatamente.

«Christopher» rispose l’uomo con un cenno del capo.

La giovane si guardò un po’ intorno, a disagio per lo sgradevole silenzio. Poi alzò le spalle e disse «Be’, grazie ancora per la sigaretta. Ora ti lascio solo». Non le sembrava carino rimanere lì a dargli fastidio e rovinargli la pace.

Christopher si rese conto che il suo comportamento sfuggente era apparso decisamente maleducato. La invitò a sedersi con lui per rimediare.

Lucy sorrise ancora, un po’ imbarazzata, e prese posto accanto all’uomo sulla scala.

«Non sei di qui, vero? Il tuo accento è diverso» osservò casualmente lui per fare conversazione.

«No» confermò lei «Vengo da Newport, nel Rhode Island. Mi sono trasferita qui da qualche settimana per motivi di studio. Sto da mia cugina».

«Sono stato a Providence la scorsa primavera per un ciclo di lezioni alla Brown» le raccontò Christopher.

«Un seminario di qualche professore importante?» s’informò Lucy.

«Veramente le ho tenute io».

«Oh» fu la reazione basita della ragazza.

Bravo Chrissie, prima eri maleducato, ora ti stai atteggiando da arrogante.

«Come mai ti sei nascosto qua fuori? Non sopportavi più il casino?» gli chiese Lucy ansiosa di cambiare argomento e sembrare un po’ meno stupida.

«Le discoteche non sono il mio genere. Sono qui per un favore a un amico».

«Ah, ho capito!» ridacchiò furba «Sei uno degli imbucati. Ne ho visti un sacco là dentro. Li riconosci subito: sono quelli che si approfittano dell’open bar. Ma lo farei anche io se potessi. Ti hanno detto chi ha organizzato questo party? È sicuramente straricco ed è pure uno stronzo. Ha flirtato con tutte le donne presenti e poi si è scoperto che ha una fidanzata. Allora, spiegami perché sei venuto? Immagino che sia un favore bello grosso per lasciarti trascinare qui. Non sembra il tuo ambiente. A chi lo dovevi?»

«Allo stronzo che ha una fidanzata ma flirta con tutte le altre» ammise consapevole di aver fatto per l’ennesima volta la figura del gradasso.

Lucy si strozzò con il fumo che aveva appena inspirato. Tossì rumorosamente, il che la mise ulteriormente in imbarazzo.

«Sta sera non ne dico una giusta» constatò mortificata con la voce ancora rauca.

«Non preoccuparti, terrò il tuo commento per me» la rassicurò «E a proposito, che rimanga tra noi, ma sono completamente d’accordo» spese la sigaretta sotto al piede e improvvisò un’altra domanda, giusto per farla sentire un po’ più a suo agio «Ti piace Londra?»

«Sì» rispose titubante «Mi sto ancora abituando. Mi mancano le stelle».

«Le stelle?»

«Io abitavo in periferia e di notte mi capitava di scivolare sul tetto della veranda a guardare il cielo. È cominciato tutto con un compito di scienze, poi mi sono appassionata all’astronomia. La trovo rilassante. Qui c’è troppa luce, quasi tutte le stelle sono invisibili».

Christopher d’istinto alzò gli occhi verso il nero della notte: in effetti pochi astri brillavano e la loro aura appariva molto tenue.

Anche Lucy buttò la sigaretta e si tirò in piedi «Mi ci voleva proprio. È stato un sollievo allontanarmi un po’ dalla bolgia».

«Neanche tu sei il tipo da discoteca?»

«No, a me piace molto ballare. Normalmente mi diverto tantissimo, quando non lavoro» specificò «Posso farti una domanda indiscreta?»

L’uomo annuì.

«Ti va di ballare?»

Christopher strabuzzò gli occhi. Nel cortile si udiva distintamente la musica: era un brano lento e soffuso.

«Su, dai! Forza! Non voglio fare la mia prima notte in un club londinese senza nemmeno un ballo» lo incitò Lucy. Gli prese le mani e lo trascinò verso di sé.

Christopher, suo malgrado, non ebbe altra scelta che seguire i movimenti della ragazza. Aveva pensato per un momento di rifiutare, ma sarebbe stata l’ennesima mossa scontrosa.

La assecondò senza avvicinarsi troppo, mantenendo una certa distanza e soprattutto un certo distacco. Preferiva evitare scomodi fraintendimenti.

«Ti capita spesso di invitare sconosciuti a ballare?» le domandò ironico.

«Solo se sono carini» gli rispose e poi scoppiò a ridere – una magnifica risata a detta di Christopher – «Di solito non sono una tale sfacciata. Solamente…ho avuto l’impressione che ti servisse un po’ di calore umano».

Lui perplesso spostò lo sguardo in basso, verso i riccioli biondi di Lucy «Perché dici questo?» si incuriosì.

La giovane scrollò le spalle «A volte le persone più silenziose sono quelle più bisognose di contatto» considerò.

«Questa è una massima comune» obiettò Christopher «Una teoria generalista».

«È la verità» s’intestardì Lucy «E credo che ti abbia fatto bene. Sei palesemente più rilassato» si complimentò sciogliendosi dall’abbraccio «Bene, ora il mio compito è finito. Torno all’altro lavoro. È stato un piacere» lo salutò.

«Aspetta» la richiamò subito Christopher «Te ne serviranno altre, è solo mezzanotte e mezza» e le porse tutto il pacchetto di sigarette.

«E tu?»

«Per i noiosi come me è il momento di ritirarsi».

Rientrò nel locale diretto al guardaroba. Prese il suo cappotto e scivolò tra la folla verso l’uscita. Tachery avrebbe capito.

Fece tutto il tragitto fino alla stazione dei taxi con il naso all’insù, colto da una sensazione grave: il cielo a Londra era senza dubbio di un nero opprimente.

 

Il mio spazio:

Purtroppo stasera non ho molto tempo per dilungarmi nei commenti.

Vi ringrazio tantissimo delle recensioni e spero che questo capitolo vi abbia soddisfatto. Pensato che Christopher sia completamente impazzito a non voler divorziare da Victioria?

Ho creato un profilo facebook sotto il nome di Sissi Bennett, se volete aggiungermi per parlare della storia o di qualsiasi altra cosa.

Alla prossima,

Sissi Bennett.

 



[1] Molti anni fa andava di moda ridicolizzare l’amore “a prima vista”; ma quelli che pensano, non meno di coloro che sentono profondamente, hanno sempre sostenuto la sua esistenza.

[2] Corsica Studios, Ministry of Sound e Circus  sono tre famosi locali di Londra. Non sono mai stati al Corsica Studios, ho solo guardato qualche foto su internet, quindi la descrizione è tutta opera mia, non so se effittivamente corrisponda alla realtà.

[3] Shining è un libro di Stephen King, da cui Stanley Kubrick ha tratto l’omonimo film.

[4] Questa è una citazione diretta dal film Shining.

  
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