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Autore: Thingsthinker    25/05/2015    7 recensioni
Rinuccio e Nina crescono fra la polvere e il dialetto cattivo di un quartiere poverissimo alla periferia della città.
Le ragazze si sposano a sedici anni e se qualcuno le tocca prima è dovere dei familiari ammazzarlo di botte.
Nina è la più brillante della sua classe; lo sanno tutti che scapperà da quel posto appena possibile e cambierà il suo destino.
Rino nel suo destino ci sta già dentro fino al collo, lo vive tutti i giorni quando si alza e va al cantiere; dodici anni, la pelle bruciata dal sole, le braccia forti - perchè devi essere forte, per fare il muratore.
Non potrà mai averla e lei non potrà mai avere lui.
Forse.
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Non c’è parola per definirla meglio, Roma.
Caos.
Un caos di sole che scivola sulle fontane e di gente benvestita che trascina le parole, di bar affollati e viuzze strette, rimbombanti di sampietrini neri, che sfociano in strade così larghe da sembrare piazze. La gente và di fretta, beve il caffè in piedi, parcheggia le macchine di sbieco, urta gli estranei per strada senza nemmeno scusarsi.
Roma è caos, e Rino ne viene investito completamente. E’ dura per lui farci l’abitudine, lui che è passato dalla miseria statica di un quartiere del sud alla compostezza grigia della capitale anglosassone.
Si orienta con difficoltà lungo una strada così lunga che pare incredibile attraversi la città, con palazzi modesti allineati come soldati sull’attenti.
Osserva più volte l’indirizzo sbiadito sul foglietto che tiene in mano, stretto stretto per paura che voli via. Il quartiere dove abita Nina si chiama San Giovanni, è a mezz’ora di metro dal centro; Rino legge negli occhi dei suoi abitanti la stessa pragmaticità socievole della gente che vive al rione.
Svolta a sinistra e si trova in una via più stretta, i marciapiedi fiancheggiati da una fila di macchine ognuno, due bar che si fissano ai lati opposti della strada, una merceria dall’insegna azzurra.
Rino sta cercando il numero del portone, quando la vede.
Che strana, Nina, a vent’anni. Bella, si, come sempre. Bella ma senza la naturalezza dell’infanzia, senza la spensieratezza dell’adolescenza.
Se ne sta china su un libro, seduta al tavolino di uno dei due bar, i capelli scuri tirati indietro da un fermaglio che luccica al sole. Indossa un vestito sbracciato a piccoli pois bianchi che continua ad aggiustarsi sul seno e più in basso, sulla pancia. Quando arriva il cameriere, Nina sorride e annuisce quando quello le chiede se sta aspettando qualcuno.
Rino si risveglia ed accelera il passo, attraversa, la strada, giunge al bar.
Nina lo vede, e succede una cosa strana. Il suo viso sembra rischiararsi di sollievo, le labbra si tendono sul principio di un sorriso. Ma i suoi occhi, oh, i suoi occhi no. Rimangono seri, vigili, come pronti a mettersi sulla difensiva in attesa di un giudizio.
E mentre Rino si chiede quale tipo di giudizio si possa aspettare, Nina si alza in piedi.
Lui impietrisce, sulla bocca un saluto che gela prima di essere pronunciato. Quasi senza accorgersene, Rino fa un passo indietro.
Incredibile.
C’è un bambino, nella pancia di Nina.
Quanti mesi? Quattro? Cinque? Sette? Rino non saprebbe dirlo.
Sa che un bambino, là dentro, c’è sicuramente; un bambino che – indovina – non è il suo.
Sente i nervi tesi, il sangue scorrere più velocemente.
- Hai visto, eh? Che cazzo di casino. –
Non è sicuro di come si sente. Vorrebbe voltare i tacchi e non rivederla mai più: ha combinato l’ennesimo guaio e solo ora si ricorda di lui. Vorrebbe lasciarla sola, libera di addossarsi le proprie responsabilità.
Invece, siede al tavolo.
Stanno un po’ in silenzio, si studiano.
Nina lo osserva, il viso pallido a cui manca il sole del sud, le braccia con l’ombra dei muscoli di quando era un muratore sottopagato e non un aspirante avvocato di Londra.
- Sei stata al Rione, ultimamente? –
Nina lo trova un buon modo di iniziare la conversazione. Le servirà un po’ di tempo, prima di raccontargli tutto. Ha bisogno di sapere che quello è il Rino che si ricorda, e non un altro, non qualcuno a cui la scalata sociale ha dato alla testa.
Annuisce.
- Ho saputo che Lula ha fatto l’ecografia, ora aspetta un altro figlio, – gli racconta – ma non mi ha permesso di accompagnarla. E’ un maschio, comunque. Teresina mi ha detto che se fosse stata un’altra femmina avrebbe abortito.
Rino l’ascolta, ancora diffidente, distaccato.
- Cosa significa che non ti ha permesso di accompagnarla? Eravate buone amiche. –
Nina ridacchia, lo guarda in un modo strano. Una via di mezzo tra la tristezza e la compassione.
- Non ci capisci molto di donne, eh? –
- Non sono affari miei i vostri litigi. – replica lui, punto sul vivo.
- Considerando che non mi vuole più vedere perché secondo lei ho fatto espatriare il suo amante, direi che un po’, almeno un po’, sono affari tuoi. –
Rino rimane interdetto, giusto il tempo di assimilare quelle parole.
- Non c’è mai stato niente. – replica.
- Niente a parte il sesso. –
- Niente amore. –
- Non da parte tua, di certo. –
Lui la guarda incredulo, Nina si accende una sigaretta per dargli il tempo di pensare la prossima domanda. E’ una battaglia. Botta e risposta, accusa e replica. Ne usciranno entrambi feriti, forse nessuno vincitore.
- Da quando fumi? – chiede, resistendo alla tentazione di prenderne una anche lui.
- Più o meno da qualche mese. Più o meno da quando mi ha mollata il mio ragazzo, quando sono stata espulsa dall’università, quando mia madre mi ha urlato insulti al telefono. Forse è stato quando mio fratello Mario (te lo ricordi, Mario? Adesso ha tredici anni ed è un perfetto aspirante criminale) mi ha detto che sono una puttana. Lula ha constatato che ho buttato una vita al cesso e sono finita proprio come lei, solo senza marito. – aspira, butta fuori il fumo - Forse è stato a quel punto, che ho cominciato a fumare.
- Non dovresti fumare in gravidanza. –
L’ha detto. Gravidanza. Nina alza le spalle, non risponde. Porta una mano al ventre, quasi che così possa coprire la vergogna.
- Davvero ti hanno buttata fuori? Dall’università? –
- No. Ho mollato io. Avrei comunque dovuto farlo quando sarebbe nato, tanto valeva non buttare inutili mesi a studiare. Lavoro in una libreria vicina e nel frattempo studio per conto mio. Ma presto non basterà più. Tornerò al rione, Rino. –
Quella notizia lo sconvolge, forse più del bambino. Nina che torna al rione? Questa ritirata la ucciderà, la renderà lo zimbello del quartiere. Sarà costretta a chinare la testa per amore di suo figlio, a sopportare le dicerie e le infamie. Costretta a sentirsi ripetere ogni giorno che ci ha provato e non ce l’ha fatta; che alla fine, poi, non era meglio di nessuno di loro.
- In che senso torni al rione? Non puoi, Nina. –
- Se non mi vorranno, basterà dire che sono stata una stupida arrogante. La mia umiliazione gioverà loro così tanto che non potranno fare a meno di avermi tutti i giorni sotto gli occhi. –
- Non puoi farlo. Non puoi arrenderti, Cristo. – Rino è disperato, come se gli fosse crollato tutto addosso da un momento all’altro.
Si era ripromesso di non farsi coinvolgere, di restare distaccato. Non è più la tua Nina, si era detto.
Invece quella lì è proprio Ninetta, che piange limpide lacrime per la dignità perduta. Come quando a quattordici anni piangeva di rabbia, perché non si sentiva abbastanza per il suo difficile liceo del centro.
Piange in silenzio, poche grandi lacrime. E quelle lacrime sanno di sconfitta, e di coraggio inutile, e di vile ritirata.
Il cameriere li guarda preoccupato.
- Cosa posso fare? – chiede – Potrò girare con la carrozzina per i corridoi dell’università? E chi manterrà me e il bambino? E’ finita, Rino. E’ strano, sai? Come se avessi sempre saputo che sarebbe finita così, ma mi fossi goduta il mio piccolo sogno. Non poteva durare molto, invece è durato anni. E’ stato bello, ma è finto.
- Non era un sogno, dio santo. Era la tua fottuta vita. – sbotta, cercando di contenersi subito dopo. – Hai pensato ad… insomma, sai, no? –
- Aborto? – Nina si asciuga le lacrime con un tovagliolo. – Si. Ma poi ho pensato che qui – si indica il ventre – C’è una piccola cosa viva. E questa cosa potrebbe essere una piccola parte di me, e fra qualche anno potrebbe darmi la mano per strada, e avere una voce simile alla mia. Sentirei che la mia vita, alla fine, è servita a qualcosa.
E Rino, per la prima volta, pensa ad un bambino vero. Un bambino che sarebbe Nina per metà. Si trova combattuto tra la gelosia di non essere l’altra metà e il desiderio di avere davvero una piccola copia del genere.
- Il… padre? – come suona male quella parola – Dov’è?
- E’ il ragazzo di cui ti ho parlato prima. Un coglione patentato. Vuole fare il musicista, lui! – stringe le labbra dal sarcasmo, inarca la sopracciglia. Più ne parla, più sente che quel veleno acido le defluisce dal sangue, smette di inquinarle le vene: - Testa di cazzo. E’ scappato appena gliel’ho detto. Giusto il tempo di raccattare la sua chitarra del cazzo e i suoi brani merdosi, poi ha infilato la porta e se n’è andato. In tour. Non ha neanche una macchina e non conosco nessuno che pagherebbe per ascoltare quella merda. –
Rino sorride, suo malgrado.
- Vai a sentirlo. – dice, ironica – Lorenzo Mendaci. Sarà in qualche pub del cazzo.
- Okay okay, basta parlare di questo stronzo. – dice Rino, ma intanto prende nota mentalmente. – Gli altri, come stanno? –
- Teresina e Paolo si sono sposati. Paolo è sempre stato un po’ strano, ricordi? Tu notasti che fissava sempre Duccio, e lo dicesti davanti a tutti. Quella notte qualcuno lo fracassò di botte vicino casa sua. Nessuno pensò a niente di strano: era il rione, succedeva sempre. Dio, se ci penso ora. Come facemmo a non accorgercene? –
- Non ti seguo, Nina. Accorgerci di cosa? –
- Omosessuale. Paolo lo è sempre stato. Tutti sospettavano e nessuno diceva. –
- Io non sospettavo nemmeno. –
Nina sogghigna – Mai stato troppo perspicace, tu. Comunque, quando lui e Teresina hanno annunciato il fidanzamento, io sono rimasta incredula. Le ho parlato, e lei mi ha fatto un discorso che mi ha lasciato a bocca aperta. Mi ha detto che avevano un accordo: lei chiedeva un matrimonio con un uomo che non fosse violento (al rione, sarebbe più facile chiedere un sicario) e un figlio; lui voleva poter far l’amore con chi voleva. Così è stato. Sono una delle coppie più felici che io conosca. Teresina aspetta una bambina, la chiamerà Rosella, e da loro vive momentaneamente un bel ragazzo di nome Vincenzo, che si spaccia per cugino di Paolo. –
Nina sorride ambiguamente, Rino ascolta rapito le storie della vita che ha lasciato. Quante cose di cui non si è accorto – Paolo, Lula, Teresina – e quante cose che perderà. E’ questo che gli manca, lì a Londra. Il cuore. Il cuore italiano, il cuore del sud; svergognato, sincero, complesso, passionale. Non che gli inglesi non ce l’abbiano, un cuore; ma Rino, al rione, ha conosciuto persone con un cuore così grande da morirci.
- E la tua famiglia? –
Nina sospira, fa per accendere un’altra sigaretta ma la ripone nel pacchetto. E’ di quel gesto che Rino si innamora, per l’ennesima volta. Di un ripensamento, di uno sbaglio, dell’ammissione di un errore. Rino si innamora, di nuovo, ancora e ancora.
E dire che pensava gli fosse passato.
- Mia madre non mi parla. Ha smesso di comunicare anche con Rosa, perché le ricorda troppo me. Ha nove anni e a scuola va benissimo, è la migliore della sua classe. Mio padre sta invecchiando, Peppe lo aiuta con la bottega. –
Sospira ancora, come se si stesse liberando di tante cose che le turbinavano in mente.
- E tu? –
- Io cosa? –
- La vita. –
- Te l’ho detto. Lavoro in un caffè, studio da avvocato. Mi va bene, la vita. –
- Come fai? –
- A fare cosa? –
- A capire sempre quando va bene e quando va male. A capire qual è la cosa giusta da fare, e come rimediare alle cose sbagliate. Come ci riesci? –
Rino scuote la testa, sorridendo.
- Ho fatto così tante cose sbagliate, forse, che ora le so distinguere. –
- Quello anche io – commenta Nina – e rimanere incinta a vent’anni non mi sembra esattamente una cosa fantastica.
Se ne stanno un po’ in silenzio, finalmente ordinano al cameriere sospettoso.
Nina prende a fissare la copertina del suo libro – che Rino scopre essere Il Ritratto di Dorian Gray -, come se potesse cavarne un significato segreto. I capelli folti e scuri le ricadono sulla fronte, e lei li sposta indietro con un gesto frettoloso della mano, come quando era bambina.
Nina è cresciuta. Per un attimo, Rino pensa che forse dovrebbe cominciare a chiamarla Giovanna. Forse è rimasto l’unico a chiamarla Nina, forse l’unico a ricordarsela com’era al rione. Chissà cosa pensa la gente che la vede ora. Chissà cosa immaginano della sua infanzia.
E’ cresciuta, Nina, ora è anche più bella.
Si chiede se sia mai stato innamorato davvero. Forse è stata una grande cotta che si è ingigantita con il tempo, e non c’è mai stato nessun amore. Non dovrebbe pensarci, dovrebbe essere un capitolo chiuso.
- Ho una ragazza. – prorompe, come per frenare i suoi stessi pensieri.
Nina alza gli occhi dal libro, e dopo un attimo di sorpresa sorride. Le suonano strane, quelle parole, ma si convince che non la disturbino più di tanto. Cosa ti aspettavi, si disse, che stesse in ritiro mentre tu rimanevi incinta?
- Inglese? – chiede, maliziosa.
- Irlandese. – dice Rino, e si sente orgoglioso, quasi che sia un punto a suo favore. Ho vissuto anch’io.
- Sono contenta. – e da una parte è vero. Dall’altra, però, la gelosia punge fastidiosamente.
- Abbiamo in progetto di sposarci – mente. Perché lo dice? La reazione di Nina quando ha menzionato Hailey non gli è bastata. E’ sbagliato, forse, ma Rino ha bisogno di vedere che le importa ancora.
Infatti Nina si irrigidisce, sfodera un sorriso falso, e la voce le esce un po’ troppo alta. Una cosa era Hailey, la fidanzatina. Un'altra è Hailey la moglie.
Più del rifiuto brucia la sconfitta. L’aver perso su tutti i fronti. Lavoro, studio, amore. Vita. Le brucia l’aver faticato tutta la vita, e non essere stata mai abbastanza.
Le brucia che anche l’unico che l’abbia mai amata – di un amore incerto e adolescenziale, certo, ma pur sempre amata -, l’unico che abbia avuto il coraggio di starle vicino, se ne sia andato. Si sia arreso, di fronte ad una causa persa.
E questo, essere una causa persa, le brucia più di tutto.
- E’ meraviglioso. – dice, un po’ troppo rigida. – In Italia o a Londra? –
Rino si pente della sua affermazione: non gli piace vederla soffrire, anche se lei gli ha fatto di peggio.
- A Londra, credo. –
Nina guarda l’orologio del bar, finisce in un sorso il suo caffè.
- Mi dispiace, è tardi, credo di dover andare. Passerai al rione? – aggiunge mentre sistema le sue cose nella borsa, con lo sguardo basso. Quando lo alza di nuovo, Rino si accorge che ha gli occhi lucidi.
- Ehi, tutto bene? –
- Lascia perdere, gli ormoni. Ci andrai? –
Rino annuisce, un po’ sbigottito: - Passerò a vedere il mio nipotino. Cristiano mi riempie di sue foto, ha due anni e non l’ho nemmeno mai visto.
Nina annuisce, si alza in piedi. Sorride, si passa due dita sotto gli occhi per non far colare il trucco.
- Odio essere in questo stupido stato. Invitami al matrimonio, eh! –
E prima che Rino possa essersene accorto, la ragazza incinta col vestito a pois sparisce tra la gente.



 


*BA DUM TSS*
No! A quanto pare non sono morta. Ho rischiato la mia preziosa vita negli oscuri meandri di un luogo pericoloso chiamato Liceo Classico, ma sono ancora viva.
Ci ritroviamo, dopo tanto tempo (indovinate come chi)!
Lo so, sono una ritardataria terribile e mi odierete.
A mia discolpa posso dire che questo capitolo è lungo più di tutti gli altri, so... E tra l'altro è ambientato a Roma, che è la città in cui vivo e che amo più di ogni altra
Lo sto pubblicando senza nemmeno correggerlo, è probabile che sia pieno di errori.
Vi invito come al solito a contattarmi/recensirmi per qualsiasi richiesta o critica, se ancora fra di voi c'è qualcuno a cui la storia piace!
Io non finisco quasi mai le mie storie, ma con questa mi sto impegnando, grazie a voi!
Un bacio, siete meravigliosi *si atteggia a VIP e non ci crede nessuno*
Lee

PS: Il cognome di Lorenzo (Mendaci), viene da mendax, mendacis - che è latino - e per chi non lo sapesse significa bugiardo.

 
  
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