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Autore: moodyanddark    09/06/2015    0 recensioni
Stava correndo nel buio, era sola, di nuovo. Vedeva una luce, ma era molto soffusa, doveva provarci, doveva riuscire ad entrarci in modo da poter uscire da quell’enorme baratro nero in cui era caduta. Riuscì a malapena a sfiorare quella luce, prima che potesse scomparire, portando con se la sua speranza di poter uscire da lì. Improvvisamente, il pavimento crollò sotto i suoi piedi, sfacendola cadere ancora più infondo, nel buio più profondo. Ora, nessuno poteva aiutarla.
Genere: Dark, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1

Il graffito

 Il nulla, sono in mezzo al nulla. Continuo a guardarmi intorno ma vedo solo il buio e sento solo il silenzio. Velocemente cominciano a crescere degli alberi che arrivano a coprire il cielo con la loro altezza, riesco a vedere solo il candore di una Luna più grande del normale.
Aguzzo lo sguardo, la Luna è ritornata alla sua normale grandezza e mi osserva fiera e solenne, nel cielo.
La foresta comincia ad animarsi e il silenzio di prima viene colmato, mi sento un tutt’uno con quello che c’è intorno a me. La pioggia ha bagnato tutto, eccetto me.
Riprendendomi dal mio torpore sensoriale, sento un ringhio alle mie spalle, voltandomi vedo due occhi maligni e piccoli avvicinarsi velocemente a me. D’impulso comincio a correre, mentre quello che sembra un lupo, prendere sempre più velocità.
Il mio cuore batte incessantemente mentre corro ad una velocità disumana, i rami bassi degli alberi sembrano mani che tentano di immobilizzarmi per aiutare il mio inseguitore.
Ho l’impressione di correre da ore, comincio a stancarmi, le gambe chiedono pietà e la vista comincia a diventare sfocata, non riesco a distinguere le radici degli alberi dal terreno. Questa mia mancanza mi è fatale, inciampo in una radice e cado ai piedi di un albero.
Tutto intorno a me sembra fermarsi, la mia caduta rallenta e la paura sovrasta l’adrenalina che mi ha aiutata fino ad ora.
Il mio corpo è come paralizzato, la pioggia comincia a bagnarmi ma non avverto il freddo che a questo punto dovrebbe avvolgermi. Sopra di me, le foglie si muovono su e giù, danzano per me una danza, leggera e spensierata.
Il lupo, ormai, è ai miei piedi ringhiante. Prendo il mio ultimo respiro di vita e tento di ritirare le lacrime che tentano di uscire.
L’ultima cosa che vedo è il lupo che salta sul mio indifeso corpo…
*   *   *   *  *  *
La notte incombeva ancora quando si sveglio, di soprassalto. Un altro incubo. La sveglia segnava le tre e trentasette, era inutile tornare a dormire, non ci sarebbe riuscita comunque. Quando i suoi piedi nudi toccarono il pavimento freddo, ebbe un lieve brivido, ora anche i suoi pochi rimasugli di calore sparirono. Sospirò rassegnata, era sempre fredda e se riusciva ad assorbire un po’ di calore, questo velocemente spariva. Scese le scale cercando di non far rumore, entrò in cucina, prese il suo pacco di biscotti preferiti e andò verso la veranda sul retro. Il panorama era stupendo, il bosco, per quanto potesse sembrare inquietante, lei lo adorava. Era sempre così calmo e silenzioso da metterla al proprio agio. Rannicchiata sulla poltroncina, ascoltava il rumore del bosco. Biscotto dopo biscotto, il tempo passava ed una civetta interruppe il solenne silenzio, Cassidy alzò lo sguardo verso di lei, la solita civetta. Quell’animaletto era il testimone di tutti gli incubi della ragazza. Gli incubi era abbasta frequenti e sconnessi fra loro. Una volta, sognò di camminare in una casa molto grottesca e spaventosa, camminava su vetri rotti e non riusciva a fermarsi. Tutto quello la spaventava a tal punto da non farla dormire per giorni, un’autoconvinzione, infatti, faceva di tutto pur di non dormire. Con gli anni era diventata la personificazione dell’ansia. Aveva paura di chiudere gli occhi, a volte, non voleva spiacevoli sorprese.
Guardò il bosco, distrattamente, i suoi occhi si posarono su dei puntini rossi che, velocemente, le si avvicinavano. Si lasciò coinvolgere dalla paura e corse dentro casa, assicurandosi di chiudere la porta con tutte le precauzioni possibili. Il suo sguardo ritornò sulla massa informe di alberi e notò che gli occhi erano spariti, si diede della sciocca, dicendosi che il poco sonno le faceva venire le allucinazioni.
L’orologio segnava le cinque e cinquantotto, ritornò in camera e con calma cominciò a prepararsi per andare a scuola, non che il suo abbigliamento richiedesse chi sa quanto tempo, però a lei piaceva andare con calma, era stupido correre, cercando di fare tutto in breve tempo.
Salutò sua madre e con lo skateboard si incamminò verso la scuola. Passava indisturbata tra gli studenti assonnati, ricevendo solo sguardi distratti. Di amici da cercare nella falla non ne aveva, se proprio vogliamo dirla tutta, non ne aveva, eccetto Sophie. Aprì l’armadietto, prese un codino e si legò i lunghi capelli neri in una coda alta, prese i libri e si incamminò verso la classe.
Quel giorno, a scuola, c’era uno stano elettrizzante agitamento. Scoprì da una ragazza che qualcuno era entrato nella scuola, durante la notte e avesse fatto un graffito strano, sul muro del cortile. In un paesino calmo come Woodsline, cose come quelle non accadevano mai.
Woodsline, era uno di quei paesini talmente piccoli da non essere segnati sulla cartina stradale. Lì tutto era calmo, talmente calmo che se qualcuno volesse divertirsi avrebbe dovuto spostarsi verso Woodcenter. Quella era ciò che veniva chiamato centro città “sofisticato”, per quando potesse essere minimizzante e riduttivo il termine “sofisticato”. Una parte dei giovani, cercava di scappare a gambe levate da lì, Woodsline era una di quelle cittadine in cui una volta che ci rimani, ci rimani per sempre. Forse, questo, era il motivo per cui molti giovani andavano a vivere nelle grandi città. Erano come il topolino di campagna che va in città. Impiegavano tempo ad abituarsi alla vita caotica della città. Cassidy ne era affascinata, eppure, non sapeva casa fare. Sembrava ieri che avesse iniziato il liceo. Ora frequentava l’ultimo anno. La sua mente correva lontana, immaginando il suo futuro, immaginava cose di riuscita improbabile, erano come sogni ad occhi aperti e più erano impossibili, più le piacevano. Era una specie di ciclo: sognava, pensava seriamente a quelle supposizioni, rimaneva delusa. Woodsline non faceva per lei, si sentiva come soffocata, braccata, in quel paesino. Non aveva nulla da offrirle e lei non avrebbe voluto nulla. La folla di studenti in cui era la condusse nel cortile interno, dove c’era il famoso graffito. Le lettere non erano molto definite, il colore era colato e le parole erano disconnesse “itc shrut artacte”, era solo uno scherzo di qualche idiota che si annoiava. Scocciata da tutta l’inutile eccitazione che aveva suscitato una cosa così stupida, si diresse verso la classe del signor White.
Nelle ore scolastiche, la sua mente non faceva altro che tornare su quel graffito, ne era attirata come una falena con la luce. Guardò fuori dalla finestra, il tempo era strano, nell’aria stessa era diversa, quasi più soffocante. I grossi nuvoloni venivano mossi inquieti dal forte vento, i rami degli alberi si muovevano senza sosta, gli uccelli volavano via, quella situazione sembrava una di quelle scene dei vecchi film, quando un’animale grosso e feroce avanza nel bosco, ridacchio a quel pensiero.
Le ore successive passarono velocemente e prima che i ragazzi potessero uscire dall’edificio, cominciò a piovere. Aspetto pazientemente che l’atrio si sfollasse, per poi correre, cercando di non bagnarsi troppo, verso l’auto della sua amica. Individuò la macchina e vi corse incontro, durante la corsa, notò un cane molto grande, i suoi occhi erano strani, la guardavano attentamente, sembrava che seguisse ogni suo movimento. Stava fermo, non curante della pioggia, sotto un albero ad almeno dieci metri dalla macchina di Sophie. Velocemente, aprì la portiera e salì, lasciando lo zaino e lo skate tra i piedi.
Sophie era attenta a non sbavare con il rossetto, quelle due ragazze non potevano essere più diverse. Sophie era la ragazza spigliata e sfacciata che tutti amavano, forse per questo le due ragazze erano così legate. La ragazza, soddisfatta del risultato, tappò il rossetto e si ravvivò i capelli sotto lo sguardo divertito di Cassidy.
-Giorno. – disse Sophie
-Ciao bambola. – rispose Cassidy, quella era la risposta che le dava da quando erano piccole, ormai, Sophie neanche ci faceva più caso.
-Dalle mie parti, ci sarà una festa, sta sera. –
-Quindi? –
-Ho conosciuto un ragazzo, Harry, molto carino, e mi ha invitata. –
-Non vedo dove sia il problema, Soph. –
-Beh…mi ha detto che porterà un amico, così gli ho detto che lo avrei fatto anche io. –
-Non se ne parla. –
-Passo a prenderti alle 20:30 –
-Sophie, non voglio venire. –
-Ci vediamo alle 20:30. Sciogli i capelli che stai da favola. –
Oltre un bacio lanciato in aria, a cui Cassidy rispose con un gestaccio, quello fu l’ultima cosa che le disse prima di sfrecciare via, verso casa sua. Cassidy sospirò rassegnata, corse sotto il portico per ripararsi e bussò energicamente alla porta. Una Victoria sorridente aprì la porta e accolse sua figlia. In tutti questi anni sua madre era rimasta la stessa, come se il tempo si fosse dimenticato della sua esistenza, molte donne la invidiavano per questo, ma Victoria se ne era sempre infischiata, troppo concentrata sulla sua unica figlia e sul suo lavoro.
-Questa sera non lavoro, pizza e film? –
-Sta sera passo. Io e Sophie andiamo ad una festa. –
Victoria si bloccò, rimanendo con la teglia estratta dal forno a mezz’aria. Guardò sua figlia come se avesse detto qualcosa di impronunciabile.
Sta sera uscirai? Nel senso che uscirai di casa e incontrerai persone, persone vere? –
Cassidy sbuffò divertita e prese uno dei biscotti appena sfornati. Non era una ragazza molto socievole e spesso passava la maggior parte del suo tempo a casa, non che fosse strana, solo che preferiva stare a casa con il thè e un buon libro. Dato che sua madre continuava a prendersi gioco di lei, decise che era meglio cambiare argomento.
-Sai, hanno fatto un graffito sul muro, a scuola. –
-Davvero? –
-Hanno scritto una cosa insensata: “itc shrut artacte” o qualcosa del genere…-
Le parole di sua figlia andarono a disperdersi nell’aria, sua madre non le stava dando più attenzione, entrò nel panico, mille domande si fecero spazio nella sua mente. Cassidy si accorse del cambiamento improvviso di sua madre, le chiese cosa avesse, la donna le fece segno con la testa come a dirle di non preoccuparsi, ma Cassidy sapeva che c’era qualcosa che turbava sua madre, però continuarono una conversazione su livello standard. La cosa che più amava di sua madre, era la sua disinvoltura, in qualunque situazione sembrava imperturbabile, una roccia a cui aggrapparsi. Non ha mai sentito la mancanza di suo padre, un uomo quasi inesistente, non sapeva nulla di lui e quando faceva domande su di lui, sua madre cambiava argomento oppure diceva che non era importante saperlo. Con gli anni, non volle più sapere nulla di suo padre, aveva sua madre e andava bene così.
Victoria era uscita per delle commissioni, così Cassidy salì in camera sua. Si limitò ad aprire le ante dell’armadio e osservare il contenuto, annoiata, dal letto. Odiava dover decidere cosa indossare per uscire. Più guardava l’armadio, più aveva voglia di chiudere le ante e fare qualsiasi altra cosa. Dopo altri dieci minuti di silenziosa osservazione, prese una decisione, optò per un pantalone di pelle e un maglione bordeaux. Andò in bagno per fare doccia e shampoo e solo dopo due ore ne uscì, profumando di cocco, con i capelli sciolti in morbide e fluenti onde e un asciugamano intorno al corpo, si vestì velocemente e infilò le scarpe. Inviò un messaggio a Sophie, dicendole che era pronta, la sua amica rispose che stava arrivando e che le avrebbe prestato un paio di scarpe con il tacco. Questo fece iniziare, tra le due, una breve discussione, come al solito, vinse Sophie, quella ragazza dovrebbe fare l’avvocato pensò Cassidy sbuffando.
Arrivata l’ora prestabilita, Sophie, vestita solo da un vestito verde petrolio e una giacca, era fuori la porta di Cassidy con in mano le scarpe. La ragazza fece entrare la sorridente amica, la quale le porse le scarpe con fare trionfante.
-Queste staranno benissimo con il tuo pantalone di pelle. –
Questo fece sì che sia Sophie che le scarpe ricevessero uno sguardo assassino. Prima di uscire di casa, entrambe, salutarono Victoria, Sophie cominciò a parlare a raffica, descrivendo il ragazzo che le aspettava alla festa, Cassidy annuiva assente, stava per aprire la portiera della macchina, quando sentì una voce lontana, come se fosse nata dai meandri più profondi della sua mente. Diede una veloce occhiata in giro, eccetto loro, non c’era nessuno.
“La bolla si sta dissolvendo.”
   
 
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