Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: malpensandoti    11/06/2015    4 recensioni
Jodie le sorride di tanto in tanto, le scosta i capelli dal volto e le dice che Louis non ha idea di cosa si stia perdendo a non volere una sorella del genere.
Georgia la ringrazia e tace, alla fine non ci crede più di tanto.
Aspetta piano gli uomini – le persone – della sua vita prendersi qualcosa e sparire, perché è così che funziona, è così che semplicemente vanno le cose.
Vanno via.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Words As Weapons
Antichrist


 
 
She said:
"How can I relate to somebody who doesn't speak?"
I feel like I'm just treading water.
Is it the same for you?
 



 
Georgia piange tanto.
Piange contro il cuscino del letto, contro le piastrelle della doccia e contro le mani fredde non appena sua madre esce di casa la mattina dopo.
Piange perché è triste, di quella tristezza che lascia le ossa intorpidite e gli occhi irritati, quella tristezza grigia di cui la sua vita s’è colorata velocemente negli ultimi mesi. E la cosa che più la fa disperare è quella sensazione di solitudine che non riesce a staccarsi dalla sua pelle nemmeno in mezzo a una festa piena di gente più grande, la sensazione destabilizzante di essere sola e di non poterne parlare con nessuno.
Sua madre non capirebbe nonostante gli sforzi e Oscar neanche si sforzerebbe, di capire.
Quindi Georgia piange, ha le spalle che ancora scricchiolano per la forza con cui è stata stretta la notte prima e piange, i gomiti sul tavolo della cucina e il ronzio del frigorifero nelle orecchie.
È una domenica come le altre, in cui lei rimane tutta la mattinata da sola e Jodie invece guida fino a Liverpool per fare spesa al mercato. Tornerà dopo le due.
Georgia piange in modo confusionario, coi gomiti fa cadere le posate e i capelli si bagnano contro le guance arrossate nella fretta di tenerli dietro le spalle. Piange con i denti che mordono le labbra per non urlare e la testa che pulsa, le tempie che battono e tolgono un respiro che, ansante, sembra l’unica cosa capace di farla sentire ancora viva.
È sola, diavolo!, è sola e non fa paura? Non è qualcosa di distruttivo? Perché fa così male?
Per un attimo riesce quasi di nuovo a sentire le parole di suo padre attraverso le pareti.
Chi piange alla tua età – diceva sempre – piangerà per il resto della sua vita
 
 
 

 
Il campanello suona in modo quasi impercettibile, una frazione di secondo così breve che per un attimo si chiede se non sia semplicemente frutto della sua immaginazione. Stacca gli occhi dal televisore e si volta sul divano, guardando fuori dalla finestra.
È Harry, è senza dubbio Harry. Non riesce a vedergli il volto, ma la postura, i vestiti scuri e larghi, le spalle curve e tutto il resto  possono essere solo sue caratteristiche.
Si alza piano, passandosi una mano tra i capelli per farli risultare per lo meno presentabili. Poi però ci ripensa, perché è così stanca che non le interessa, non le interessa più nulla oggi.
Apre la porta e nello stesso istante lui alza lo sguardo da terra. I suoi occhi hanno un’insolita sicurezza che si sgretola nell’attimo esatto in cui osserva quelli di Georgia. Ora sembrano quasi spaventati, pieni d’incertezza.
“Hai pianto – mormora, le labbra che si muovono appena – Hai pianto tanto”
Georgia di riflesso si stringe nelle spalle, distoglie lo sguardo e sbatte le palpebre.
“Ti ho fatta piangere io?” riprova il ragazzo, col tono studiatamente calmo.
Lei respira a bocca aperta e non sa cosa rispondere: l’ha fatta piangere lui? Forse (anche).
“Georgia. Rispondi”
Quel tono perentorio le fa aggrottare le sopracciglia mentre si costringe a guardarlo di nuovo: Harry sembra freddo, il suo volto s’è indurito drasticamente.
“Tu mi confondi” sbotta allora, stringendo forte i pugni.
Le pupille del ragazzo si dilatano in mezzo al verde, raccogliendo la sorpresa di quel gesto. “Ti confondo?” ripete, come se non avesse capito.
Lei annuisce velocemente, alle guance salgono gli stessi brividi del pianto.
“Per questo hai pianto? Perché ti confondo?”
Si morde forte il labbro inferiore e il suo corpo si tende tutto, reprimendo l’istinto di urlare. Chi diavolo si crede di essere? Pensa di essere così importante? Così fondamentale?
Sono considerazioni che hanno vita breve però, l’attimo dopo già si sta sentendo in colpa. Georgia respira e “Tu non mi aiuti in questo modo” gli risponde, osservandogli il maglione verde.
Sono ancora sulla soglia della porta e nessuno dei due sembra intenzionato a spostarsi. Rimangono lì, fermi e tremanti.
“Vuoi che me ne vada?” prova Harry qualche secondo più tardi.
Lei scuote la testa di riflesso, perché davvero non lo sa. Forse sarebbe meglio se lui andasse via, per lo meno non si vergognerebbe delle lacrime che stanno minacciando i suoi occhi. Eppure la sua presenza, il fatto di sentirsi – in qualche modo – cercata ha il potere di scaldarla un pochino, nonostante la freddezza con cui Harry semplicemente respira.
“Accendiamo le candele – propone allora lui, il tono quasi addolcito – Sarà più semplice”
Quindi accendono le candele e Georgia pensa che sia un bene che lui sia rimasto.
 
 
 
 
Per evitare Jodie e i suoi occhi che mai capirebbero, si rifugiano nella casa della vedova Styles.
Accendono le candele che Georgia ha regalato ad Harry che ancora non sono state consumate e chiudono il sole fuori dagli scuri.
Il salotto adesso sa di vernice bianca e cera fusa e il tappeto è stranamente comodo sotto la schiena.
Georgia ha gli occhi chiusi e potrebbe piangere di nuovo, stavolta per la serenità che il buio le sta donando. Bastava così poco, basta sempre così poco.
Harry ha ragione: con le candele è tutto più facile, perfino districare i nodi dei suoi pensieri risulta possibile se gli stoppini sono accesi.
Non parla però, non dice nulla. Deve ancora capirsi, capire perché quella domenica sia più dolorosa del solito, capire perché Louis non abbia detto niente la sera prima, capire perché Harry l’abbia stretta in quel modo.
È infatti lui a prendere la parola, quando il clima è sufficientemente confortante, sicuro.
“Hai mai visto qualcuno morire? – mormora, spaventandola – La vita sparire in un solo istante dagli occhi di qualcuno? Non ti ci abitui. Non lo fai, non puoi. Il Maggiore Enderson me lo diceva tutti i giorni in caserma, ‘Non ti ci abitui mai, mai’. Io avevo poco più di sedici anni, mi ero arruolato la settimana dopo il mio compleanno ed ero cresciuto con i film di Rambo. Non ci credevo, non credevo a un cazzo. Volevo solo combattere, volevo vendetta. L’Inghilterra fa schifo anche per questo, permette a dei bambini di entrare in una caserma facendo credere loro di essere importanti, di fare la differenza. Ho fatto due anni di addestramento a Liverpool con la convinzione di andare in missione e trovare finalmente la pace. Riesci a crederci?”
No, non può.
“Ero uno dei più bravi, e questo perché non mi ribellavo, non ho mai rischiato di essere cacciato, non ho mai disubbidito agli ordini dei miei superiori. Ero lì con un solo obiettivo. Per questo quando Enderson mi ha detto che a Londra stavano reclutando i battaglioni per l’Afghanistan non mi sono tirato indietro. Con un curriculum come il mio non ho avuto di grandi sforzi a entrare ufficialmente nell’esercito inglese. Sai la cosa più assurda? Non credo di ricordarmi un momento in cui sono stato più felice in vita mia di quando ho visto la base inglese dal finestrino dell’aereo militare, un attimo prima di atterrare sul suolo nemico. La mia analista mi sta mangiando il cervello a furia di trovare qualcosa di più bello, ma non c’è e se c’era, non me lo ricordo più. Non c’è assolutamente niente che mi abbia fatto sentire meglio di quel fucile tra le mani e gli occhi coperti dall’elmetto. Quando sono sceso, pensavo stupidamente che avrei avuto caldo, invece l’Afghanistan è fredda di notte, peggio dell’Inghilterra a novembre. La sera battevo i denti e non mi sentivo i piedi, ma ero felice. Ero davvero felice”
Ha il cuore in gola, si sente nella voce e nel modo in cui respira. Vibra di quella stessa cosa che per il resto delle volte lo immobilizza, lo irrigidisce. Georgia non capisce dove li stia portando quel racconto, ma mentirebbe se dicesse che non è un posto che la inquieta.
“La mia prima missione comprendeva due battaglioni: il 26A e il 12C. Eravamo tutti pressoché dei novellini e avevamo tutti la stessa voglia spietata di…di uccidere. Mi sembrava di camminare su un altro pianeta, con un altro tipo di gravità. Ero forte, col mio L85A2 avrei potuto perforarti il cranio in tre millesimi di secondi. Puoi immaginarlo?”
Di nuovo no, non può.
“Lì ho conosciuto Quentin. Era la prima missione anche per lui e mi ha letteralmente salvato il culo coprendomi le spalle. Quando siamo tornati alla base gli ho offerto una sigaretta, siamo diventati amici così. Era il miglior bastardo che potessi mai conoscere, dentro quella gabbia di matti. Facevamo tutto insieme, anche pisciare. La notte continuavo a battere i denti e a leggere ciò che qualcuno ogni tanto si ricordava di spedirmi, il tempo passava e lentamente non ricordavo nemmeno come fossero fatti gli alberi, i bar, i libri, le strade piene di gente, la neve. C’erano solo gli stessi giorni, le stesse azioni e le stesse persone. Stavo iniziando a impazzire e non avevo neanche il tempo materiale per accorgermene. Guardavo le gente morire per causa mia e pensavo: ‘Basterebbe così poco per finire come loro’.  Ero partito con l’intenzione di…tornare a vivere e guarda adesso. Sono morto. Sono morto. Sono qui, vicino a te, respiro, parlo, ma sono morto”
Si spegne una candela intorno a loro, Georgia lo vede con la coda dell’occhio adesso spalancato verso il soffitto. Ascolta senza quasi respirare, segretamente stringe i denti in attesa che arrivi il punto di una conversazione come quella. Vorrebbe fare centinaia di domande ma non trova la voce, la voce adatta.
“È stata una morte lenta, la mia. Fino all’ultimo respiro…fino all’ultimo battito di ciglia. Ho sentito ogni tipo di dolore, ogni piccola particella del mio corpo andare a fuoco fino a ridurmi in cenere. Lentamente, giorno dopo giorno. A Quentin è andata meglio, però”
C’è una pausa, qualcuno trattiene il fiato pregando che lui non continui.
“A lui è bastata una pallottola in pieno cranio, per tornare in vita”
E va tutto bene.
Va
tutto
bene.


 




 

 

 
  • la canzone del capitolo nove è 'run' dei daughter, la canzone di questo capitolo è 'antichrist' dei the 1975
  • il british army arruola tutti gli inglesi maggiori di 16 anni, harry si riferisce a questo
  • non conosco assolutamente nulla dei gradi e della struttura dell'esercito, mi sono presa la libertà di immaginazione. l'arma citata però è quella realmente usata dai soldati inglesi
  • non ci sono parole per scusarmi del ritardo, ma vi auguro di poter passare una grande estate e faccio tanti tanti auguri a chi dovrà affrontare gli esami. forza e coraggio!
  • siete dei raggi di sole e non mi sono scordata di voi!
  • ho finalmente creato la playlist di questa storia su 8tracks, se vi va di ascoltarla il link è questo
  • un bacione! <3
  • grazie di cuore :)
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: malpensandoti