Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: EleEmerald    15/06/2015    2 recensioni
 Dal decimo capitolo:
"Io vi maledico" disse. "Maledico tutti gli uomini di questo mondo. Tutti gli uomini che si metteranno sulla strada di mia figlia e delle sue nipoti. Quando ingannereto loro, come avete ingannato me, esse vi uccideranno. Sarà l'ultima azione sbagliata che compirete perché le mie figlie vi perseguiteranno, vi inganneranno e saranno la vostra rovina. E poi vedremo, come ci si sente a stare dall'altra parte del manico."
.
Quando Matthew Williams, un tranquillo ragazzo di diciassette anni, incontra Elizabeth, di certo non si aspetta che quella ragazza lo porterà incontro a tanto dolore. Ma, dopo averla ritrovata in un bosco ricoperta di sangue, non rimanere implicato nelle sue faccende è quasi impossibile. Le prove che dovrà affrontare si riveleranno più complicate di come sembrano e, inesorabilmente, si ritroverà a perdere molto di più che la sua semplice normalità. Implicato tra leggende e antiche maledizioni, vivrà, oltre ai momenti più brutti, anche quelli più belli della sua vita.
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 13: Febbre


Elizabeth aveva i capelli raccolti in una coda e le labbra molto rosse. Quando mi avvicinai iniziò a mordicchiarsele freneticamente e puntò il suo sguardo su di me.

Una parte del mio cervello mi chiedeva di scappare, mentre l'altra, che di certo non era la più razionale, mi urlava di rimanere.

La ragazza mi rivolse uno sguardo con il quale cercava di sapere perché ero lì ma io non aprii bocca. Rimanemmo a fissarci per un minuto intero finché lei, sfiorando il mio braccio, mi sfilò di fianco e andò via.

Non mi era mai successa una cosa simile. Avevo capito perfettamente quello che aveva da dirmi Elizabeth solo guardandola negli occhi. Sua madre stava combinando qualcosa.

Mi voltai e la vidi allontanarsi.

 

 

Lasciatomi la scuola e la mattinata alla spalle, mi rifugiai a casa. Chiusi la porta e chiamai mia madre senza però ricevere risposta. "Non c'è" pensai, ricordando quello che mi aveva detto quella mattina. Poco dopo Trovai un post-it blu sul bancone della cucina, vicino al telefono portatile. Vi erano scritte alcune mansioni che avrebbe dovuto svolgere mia madre:

- Richiamare Michael. (fatto)

- Chiamare l'ufficio. (fatto)

- Fare la spesa.

- Ricordare a Matt che deve fare da baby-sitter a Heidi nel fine settimana.

Mi domandai chi fosse Michael, non lo conoscevo. Doveva essere un collega.

Infilai la mano nel frigorifero e ne tirai fuori una lattina di coca-cola poi, aggirandomi per la dispensa, presi un pacchetto di patatine, quindi mi sdraiai sul divano e accesi la televisione. Dopo aver cercato un programma interessante, lasciai i cartoni animati che guardavo con Heidi. Erano stupidi ma, non lo avrei mai ammesso in pubblico, mi piacevano. Per mia fortuna Heidi non amava i cartoni femminili.

Quel pomeriggio sarei dovuto andare al corso di nuoto ed ero certo che Mark mi avrebbe fatto pagare la settimana di assenza. Sbuffai. Sarei arrivato a casa senza altra voglia se non quella di dormire.

Il mio cellulare prese a suonare provocandomi un salto di spavento. Lo cercai nella tasca dei miei pantaloni e lo afferrai.

- Pronto? - dissi.

La persona dall'altro capo del telefono attaccò.

Mi accigliai e guardai se conoscevo il numero che aveva chiamato. Elizabeth.

Richiamai. - Elizabeth?

- Lasciala stare - rispose la voce di sua madre. - Lasciala-stare - ripeté scandendo bene la parole.

- Ha chiamato lei! - esclamai d'istinto attaccandole in faccia.

In seguito, mi maledii per quello che avevo fatto.

Una profonda stanchezza, mi colpì e io chiusi gli occhi. Quando li riaprii mancavano dieci minuti al corso.

Corsi per casa per prepararmi lo zaino e infilarmi il costume, altrimenti non sarei arrivato in tempo. Chuck doveva essere furioso.

Salii in macchina e la azionai, guardando i messaggi lasciati dal mio amico che mi annunciava che era andato da solo ed era arrabbiato con me.

Viaggiai sulla strada ad una velocità non proprio consentita e giunsi al parcheggio della piscina due minuti esatti prima. Gli alberi spogli si muovevano sotto la spinta del vento, vicino all'entrata. Passai vicino al cespuglio dove mi ero nascosto per ascoltare la conversazione di Chuck e Luke qualche settimana prima ed entrai nello stabile. Dopo aver rischiato di scivolare sulle scale perché avevano appena lavato, giunsi nello spogliatoio dei maschi e iniziai a sfilarmi la maglietta.

Un uomo barbuto cominciò a fissarmi.

- Cosa c'è? - chiesi stressato. Ero già in ritardo, non potevo ritardare ancora.

- Hai della patatine in testa.

- Oh. - Mi passai le mani sui capelli e li ripulii, infine infilai la cuffia. - Grazie.

Le piastrelle erano fredde al contatto con i miei piedi. Corsi fuori dagli spogliatoi con le ciabatte infilate male e mi avvicinai alla quinta corsia della piscina, la nostra.

Chuck era già in acqua e stava facendo la vasca a stile libero, mentre Margareth si tuffò nel momento stesso in cui le passai accanto. Sospirai. Non ero così in ritardo in fin dei conti. Mark però non sembrava d'accordo: al suono dei miei passi, si voltò verso di me con una velocità tale che mi spaventò e cominciò a sgridarmi. - Matt ha deciso di onorarci con la sua presenza.

Luke si lasciò sfuggire una risata.

- Spero che tu abbia una buona scusa per l'assenza della settimana scorsa.

- Ero in gita.

- Ho detto una buona scusa.

Abbassai la testa e mi scusai.

- In acqua! Farai il doppio dei tuoi compagni.

Annuii senza protestare e mi tuffai.

La mia testa sembrò rompere il ghiaccio, provocandomi un dolore martellante alla fronte. Nuotai verso il fondo, fino a toccare le piastrelle azzurre che toccai con la mano, dandomi la spinta per tornare a galla. Emersi inspirando più aria che potevo, ma il dolore continuò per tutto il tempo.

- Amico, com'era il Grand Canyon? - mi chiese Chuck fermandosi a riposare quando Mark fu distratto da una collega. Aveva già dimenticato di essere arrabbiato con me. Mi fece piacere vederlo sereno, visto il suo cattivo umore e i segreti delle settimane precedenti.

- Bello. Senti Chuck devo chiederti una cosa.

- Spara! - esclamò agitando una mano nell'acqua.

- Come avevi fatto a capire che ero innamorato di Margareth? - domandai controllando Mark con lo sguardo.

- Bastava vederti e poi me l'avevi praticamente confessato, anche se non te ne eri reso conto.

- E io come faccio a capire se sono innamorato di qualcuno? - chiesi.

- Queste domande se le fanno le ragazze, non noi. - Si sistemò la cuffia che si era spostata. - Chi è la sfortunata?

- Non la conosci. Magari te la presenterò, a patto che non cominci con i tuoi commenti idioti.

- I miei commenti sono tutt'altro che idioti. - Si voltò verso Margareth. - Ehi! Lo sai che secondo internet il tuo tipo ideale si chiama Matthew!

Gli tirai un pugno. - Appunto.

Margareth mi fissò con sguardo interrogativo.

- Ho sognato di baciarla - dissi.

- Margareth? - chiese Chuck.

- Elizabeth. La ragazza di cui ti parlavo.

- Be', se l'hai baciata nei tuoi sogni, significa che vuoi farlo anche nella realtà.

- Ne sei certo?

Annuì. - È quasi sempre così. - Il suo sguardo si posò su qualcosa dietro di me ma, quando mi girai, vidi soltanto gli altri nuotare.

Mark ci riprese e noi ci zittimmo, ritornando alle nostre vasche.

 

 

Quando arrivai a casa sentivo ancora quel dolore martellante alla testa.

Dopo cena, mia madre si sedette dolcemente di fianco a me e mi chiese come stavo.

- Sento freddo - risposi attirando a me una coperta.

Mia madre mi rivolse uno sguardo preoccupato e appoggiò le sue labbra alla mia fronte, come quando ero piccolo. Mi disse che ero molto caldo e si allontanò verso il bagno, per poi tornare con un termometro. - Prova la febbre.

- Mamma, sto bene, ho solo feddro e mal di testa e... sono stanco.

Lei mi mise l'oggetto in mano. Lo feci passare sotto il braccio e aspettai.

Un minuto e il termometro prese a suonare, indicando che potevo toglierlo. 38.5 gradi di febbre.

- Ti porto qualcosa - disse allontandosi. - Tu vai a letto.

Presi la coperta e me la strinsi sulle spalle mentre salivo le scale. Dovevo essermi ammalato quando ero andato a casa di mio padre a piedi, al freddo. La fatica della piscina non aveva fatto altro che aumentarla.

Ricordai il mio sogno e, pensando alla febbre, gliene diedi la colpa, sapendo benissimo che quella mattina stavo bene. Avevo finito per pensare a quella ragazza di nuovo.

Mi ricordai di quando eravamo stati a vedere gli aerei volare, pochi giorni prima, e sorrisi. Quanto era felice. Molto diverso da quella mattina, quando mi aveva guardato senza aprire bocca, facendomi capire che le era proibito parlare con me. Ma perché? Perché Isabelle Lane ce l'aveva tanto con me? Era perché sapevo dell'omicidio del padre di Elizabeth o era per qualcosa di più grande?

Appoggiai il piede sulla coperta e rischiai di scivolare. Fortunatamente riuscii ad appoggiare la mano sulla ringhiera. Ricordai la casa della paura e il cane infernale. Elizabeth aveva detto di non riuscire a controllarlo. Ecco un'altra cosa che dovevo farmi spiegare: in cosa consisteva la magia?

Avrei voluto chiamarla, ma dopo oggi, sapevo che sua madre le teneva d'occhio il cellulare.

Arrivai in camera mia e mi misi il pigiama blu, sistemandomi sotto le coperte calde. Poi presi il telefono e avvisai i miei amici che il giorno dopo non sarei andato a scuola.

Mia madre entrò in camera con un bicchiere d'acqua e delle medicine. - Forza - disse. - Prendine una.

Feci come mi aveva detto. Misi in bocca una pillola e bevvi un sorso d'acqua, ingerendola.

- Mi dispiace così tanto, Matt. Domani devo andare ad una riunione alle dieci. Credo che durerà almeno fino all'una. Ne volevo approfittare per andare a controllare come procede il lavoro già alle otto ma...

- Vai, non fa niente. Ho solo la febbre.

Sorrise e mi fece passare una mano tra i capelli. - Ti lascierò qualcosa da mangiare in frigo.

Si alzò dal letto e andò a spegnere la luce. Tutto intorno a me si fece improvvisamente estraneo.

 

 

Speravo di poter dormire, ma non andò così. Alle otto e mezza del mattino, qualcuno suonò il campanello. Non lo sentii, immerso com'ero nei sogni, ma la persona che aveva suonato, non si diede per vinta. Mi alzai a sedere sul letto e mi striracchiai poi cercai di infilarmi le ciabatte, ma non riuscii così, infastidito, corsi giù dalle scale senza.

Mi diressi all'ingresso e aprii. La luce solare rischiò di accecarmi e per un attimo vidi a puntini neri. Elizabeth comparve sulla soglia sorridente.

- Cosa ci fai qui? - chiesi.

- Sei in pigiama - disse ignorando la mia domanda.

- E tu non sei a scuola.

- Nemmeno tu lo sei.

- Ho la febbre.

- Lo so - disse entrando in casa.

Si diresse verso il salotto e si sedette sul divano.

- Ho incontrato Iris e Thomas fuori da scuola, quando ti aspettavo, e mi hanno detto che stavi male - spiegò.

La raggiunsi e mi appoggiai sull'altro lato. Lei se ne accorse e si avvicinò.

- Mi aspettavi?

- Si. - Annuì. - Devo spiegarti alcune cose e finire di raccontarti la storia della mia famiglia, non ho più tutto il tempo che credevo, mia madre ti vuole morto.

Ero già a conoscenza delle intenzioni di Isabelle, ma sentite da Elizabeth mi spaventarono molto di più che sul biglietto trovato il giorno prima.

- Posso sapere il motivo esatto del perché mi vuole morto? - chiesi.

Elizabeth sospirò e prese un elastico dal suo braccio, per legarsi i capelli. - Quando sono tornata a casa dall'aeroporto, mi ha chiuso in camera dicendo che se avesse saputo che avevo continuato a frequentarti anche dopo questo, ti avrebbe ucciso. - Si zittì un attimo per osservare la mia espressione dopo avermi confessato che in quel momento ero in pericolo di vita. Si scusò e riprese a parlare: - Lei teme che io possa innamorarmi di te e finire nella stessa situazione di tutte le donne della mia famiglia.

Rimasi zitto.

- Il fatto è che il primo uomo di cui ognuna di loro si è innamorata, é stato l'ultimo. Nessuna via di mezzo, non abbiamo mai avuto cotte nemmeno in terza elementare. Se ci innamoriamo, lo facciamo seriamente. - Riprese a legarsi i capelli e li sistemò in una coda. - Non apprezza neanche molto che tu le abbia fregato il pugnale.

- Gliel'ho restituito! - esclamai.

- Se l'è ripreso - mi corresse Elizabeth.

Sentii un capogiro e appoggiai una mano alla fronte. La ragazza assunse un'espressione preoccupata e mi chiese se doveva portarmi qualcosa per farmi stare meglio.

Scossi la testa e lei tornò ad osservarmi. Io feci incontrare i nostri sguardi.

- Le paure di tua madre sono fondate? Potresti innamorarti di me? - chiesi.

Elizabeth sussultò. - Io...io non lo so.

La stanza si fece silenziosa tanto da poter sentire due bambini che ridevano davanti al vialetto.

Mi alzai in piedi di scatto, interrompendo quell'imbarazzo.

- Vado a cambiarmi, se non hai fatto colazione puoi andare in cucina e vedere di prepararti qualcosa - dissi allontanandomi verso le scale.

Passai dal bagno e controllai il mio aspetto. Era un fatto più unico che raro per me, controllare se mi stavano bene i capelli, non lo avevo mai fatto per nessuno. Una volta ero andato ad un matrimonio senza pettinarmi, obbligando mia madre a sistemarmi i capelli in chiesa. Mi infilai una mano nel groviglio che avevo in testa e lo smossi, infine sorrisi soddisfatto e mi avviai in camera. Tolsi i pantaloni tirandoli sul letto e mi infilai un paio di jeans poi mi tolsi la maglietta e iniziai a frugare nell'armadio, annusando magliette per trovarne una pulita.

Dopo averne infilata una verde, corsi giù dalle scale e raggiunsi in cucina Elizabeth, che nel frattempo si era legata i capelli in uno chignon.

- Mi davano fastidio - disse quando glielo feci notare.

Era impegnata ad armeggiare con la macchina del caffè. Mi sedetti su uno sgabello e la osservai buttare per terra un sacco di polvere. Non era capace. Alzandomi, le presi le mani e le mostrai come doveva fare.

- Scusa.

- Non c'è problema. - Finii di preparare e le porsi la sua tazza fumante.

Elizabeth la prese e mi rivolse uno strano sorriso.

- Non volevi il caffè?

- Cercavo di farmi un cappuccino ma non conosco questa cucina.

Andai a prendere il latte. - Non so come si faccia un cappuccino però posso farti un latte macchiato.

- Un caffè macchiato - disse Elizabeth fissando la sua tazza piena di liquido scuro e la bottiglia di latte quasi vuota, che afferrò. - Proviamo.

Il mal di testa del giorno precedente tornò a farsi largo dentro di me e mi sentii mancare le forze.

Strinsi i denti e mi costrinsi a rimanere in piedi. Mi preparai un po' di caffè anch'io e mi sedetti su uno sgabello che dava sul bancone della cucina, dove si sistemò anche Elizabeth.

- È stata tua madre a creare quel cane con la magia? - domandai riferendomi alla bestia che ci aveva attaccato sia in gita che lì a casa mia.

- Mmh...non proprio. È un po' difficile da spiegare, non abbiamo proprio poteri magici.

- Ma Beth con la maledizione e Suzanne... - feci per dire.

Elizabeth mi fermò. - Quello che ti ho raccontato, è il poco che so anch'io. Se un tempo la mia famiglia aveva la magia, ora non è più così. Quel poco che possiamo fare sono dei residui, non tanto della magia, ma della maledizione di Beth - spiegò bevendo un sorso dalla sua tazza e facendo una smorfia.

- Non è buono?

- È un po' forte. Mia madre può controllare il cane ma non è lei ad evocarlo. È il pugnale.

- Il pugnale?

Alzò gli occhi su di me. - Non siamo noi ad avere poteri, ma quell'oggetto. Il pugnale ti ha scelto, Matthew.

Un brivido mi percorse la schiena. - Anche tua madre me l'ha detto.

- Non accade mai prima di...prima che una di noi resti incinta, è strano. Il cane è stato evocato da lui, ma noi possiamo controllarlo o almeno è sempre stato così, fino a Flagstaff. - Bevve un altro sorso. - Non so perché non mi ha ascoltato.

- Il pugnale mi ha scelto perché l'ho tenuto in mano?

Scosse la testa. - Non credo sia per questo.

- E allora per cosa?

- Non lo so ma stanno succedendo tante cose strane negli ultimi tempi. Spero solo che sia un bene, quel bene. -

- A cosa ti riferisci?

- All'altro motivo per cui sono qui. Te ne avevo già accennato: la mia via di fuga, un modo per essere felice.

- Parlamene - dissi finendo di bere il mio caffè.

Elizabeth trasse un sospiro. - Nel 1603, Camille Lane decise di emigrare in America per lasciarsi il passato alle spalle e avere più fortuna. Sua figlia Laure aveva solo quattro anni e sperava quindi di evitarle di dover uccidere suo padre. Un mese dopo il suo arrivo in America però, incontrò una donna che affermava di essere una veggente. Erano in un vicolo di una piccola città e Camille temeva per mano sua figlia. Cercò di allontanare la donna che diceva sicuramente bugie ma lei afferrò la mano della bambina e gliela lesse. Affermava che Laure avrebbe incontrato un ragazzo di nome John, di cui si sarebbe innamorata. Disse anche che avrebbe fatto la fine di sua madre e che avrebbe ucciso suo padre, che, all'insaputa di Camille, si era trasferito nel nuovo continente prima di lei. Camille allontanò la bambina dalla veggente e fuggì, sperando che fosse davvero una bugiarda. Vent'anni dopo, Camille si trovava a passare per lo stesso vicolo, della stessa città, quando incontrò di nuovo la veggente. Era molto invecchiata e sembrava cieca, ma nonostante questo la fermò e le chiese se le sue predizioni si fossero rivelate corrette. In quei vent'anni, Laure aveva vissuto esattamente gli avvenimenti che le erano stati predetti e Camille dovette confermare. La veggente trattenne la donna e le prese la mano, leggendogliela, nonostante fosse cieca. "Non disperare" le disse. "Hai visto soffrire tua figlia e vedrai anche tua nipote fare lo stesso. Ma con i due la maledizione si allenterà, un patricidio verrà risparmiato e una vita salvata. La figlia dei gemelli porterà una fine e anche voi potrete riposare felici."-

- Elizabeth questo significa che...

- Non lo so, lo spero. È la mia via di fuga. Ci ho pensato così tante volte. "La figlia dei gemelli" potrei essere io.

- Lo sei, Elizabeth! Tua madre e il padre di Thomas sono gemelli, i primi gemelli dopo quattrocento anni di figlie femmine! Non puoi che essere tu.

- Ma non so cosa si intende, può voler dire tante cose. C'è stata un'altra "figlia dei gemelli" nel 1800 circa: una donna aveva deciso di adottare un bambino dell'orfanotrofio quando lavorava lì e siccome aveva l'età della figlia venivano chiamati "i gemelli". Non c'è bisogno che ti dica altro, tanto te lo immagini. La figlia credeva davvero di essere la ragazza della profezia. Se ne era illusa e poi ha fatto una fine orribile.

- Conosci la storia di tutte le tue antenate? - chiesi.

- Solo di quelle più importanti. - Si sciolse lo chignon. - E poi anche Thalie...

- Thalie è vissuta prima di questo! - Ero felicissimo. Elizabeth avrebbe potuto avere il suo lieto fine. - Hai anche rifiutato di uccidere tuo padre.

- Tu questo non dovresti saperlo.

- Ho origliato tua madre che parlava con... - Non riuscii a terminare la frase perché tutto si fece bianco e caddi a terra svenuto.

 

 

Quando aprii gli occhi mi trovavo sdraiato sul mio letto ed ero ancora intontito. Avevo una pezza sulla fronte ed Elizabeth era seduta vicino a me e mi faceva passare un dito sulla mano, accarezzandomela. Sorrisi e cercai di tirarmi su. Elizabeth mi prese per un braccio e mi obbligò a rimanere fermo.

- Mi hai fatto prendere un colpo! - esclamò. - Non farlo mai più.

Mi misi a ridere e lei mi tirò un leggero pugno sulla spalla, poi mi offrì una medicina e mi disse di prenderla.

Le sfiorai la mano. - Grazie.

- Avevi la febbre altissima.

Le chiesi l'ora e lei mi disse che ne erano passate un paio, avevo dormito.

Si avvicinò a me per cambiarmi il panno con uno più bagnato e avrei potuto inclinare la testa e sfiorarle le labbra per quanto era vicina. Alzai leggermente il capo ma lei si girò e io le toccai la guancia. Mi sorrise e tornò al suo lavoro, senza accorgersi di nulla.

- Elizabeth - la chiamai. - Prima volevo dirti che hai impedito un patricidio. Sei tu la ragazza, vivrai felice

- Ma non ho salvato nessuna vita. Mio padre è morto comunque. - disse mentre mi controllava la febbre. - Non voglio illudermi. Voglio sperarci.

Annuii. - D'accordo.

Rimanemmo zitti per un po' mentre lei mi curava. Dopo qualche minuto, accertatasi che stessi bene, tornò a rivolgermi l'attenzione. Le chiesi se voleva giocare a Monopoli e lei mi disse che avrebbe accettato solo se fossi rimasto steso sul letto, rialzato solo da cuscini. Approvai e la mandai a cercare il gioco in scatola.

Quando tornò aveva l'aria confusa.

- Matthew, prima hai detto che hai saputo che non sono stata io ad uccidere mio padre, perché lo hai sentito raccontare da mia madre. Lei con chi parlava? - chiese.

- Con tua nonna.

Elizabeth assunse un'espressione stupida, poi spaventata e infine confusa. - Sei sicuro?

Annuii.

- Matthew, mia nonna è morta.




Angolino dell'autrice: BOOM Colpo di scena. Okay...sembrerò pazza ma ci tenevo a dirlo. Questa volta non sono in ritardo e, considerato che volevo pubblicare ieri ma il computer era in vena di capricci e non ce l'ho fatta, mi merito un premio. Va bene, niente premio avete ragione. Fatemi sapere com'è il capitolo. Vorrei dire grazie a Dark Stalker che ha deciso di tradurre la storia in lingua inglese, quindi se avete voglia passate a dargli un'occhiata. Poi vorrei ringraziare i lettori silenziosi che anche se non recensiscono leggono la storia, o almeno spero, e le cinque persone che hanno aggiunto la storia tra le seguite e le due che l'hanno messa nelle preferite. Boh, mi sono accorta che non vi ringraziavo da un po'. Al prossimo capitolo!
P.S. C'è ancora l'interlinea? Mi sa che ho fatto un casino con word, mi dispiace ma non riesco a sistemarlo (anche se so che l'unica a cui dà fastidio sono io ma va be').
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: EleEmerald