Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
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Autore: Akemichan    22/06/2015    2 recensioni
Raccolta di storie dedicate a Rufy e Nami: varie lunghezze, vari generi, vari avvertimenti. Quello che non varia mai è, credo, il mio amore per questi due.
#1 (flash-fic - introspettiva): Sono passati dieci anni e Nami torna a Cocoyashi, sulla tomba di Bellmere. Non è da sola: c'è il Re dei Pirati con lei
#2: Compito del fidanzato: uccidere il ragno. Peccato che a lui piacciano da morire...
#3: Perché la prima cosa che Bartolomeo ha pensato vedendo Nami è Regina
#4: Un momento, da soli, sotto la pioggia
#5: Perché anche sapere il nome dell'anima gemella è uno spoiler [One-shot]
#6: Una riflessione mattutina, piena di felicità
[Partecipante alla challenge 'OTP Challenge' indetta sul forum di EFP]
[Partecipante alla challenge 'GOMU GOMU no... prompt indetta sul Best of the Sea Forum]
[Partecipante alla Settimana Lunami 2015]
[Partecipante al Winter Contest indetto da MyPride]
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Monkey D. Rufy, Nami | Coppie: Rufy/Nami
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Anime gemelle
 
 
«Ma che è successo?!»
Fu in questo modo che Nojiko accolse in casa sua sorella Nami, che ostentava un labbro gonfio e sanguinante e un livido che le si stava ampliando sotto l'occhio sinistro. Lei agitò la mano come se non fosse nulla, ma si accasciò sulla sedia della piccola cucina-salotto dell'appartamento e accolse con piacere la borsa del ghiaccio che la sorella le porse.
«Nulla di che» rispose, infine. «Arlong ogni tanto perde la pazienza, lo sai.»
Nojiko le riservò un'occhiata poco convinta. Non le faceva piacere a prescindere che Nami considerasse essere picchiata la normalità, ma in quel caso c'era qualcosa di diverso. Arlong era un pezzo di merda, uguale a qualsiasi altro magnaccia del mondo, però sapeva che il viso era una parte importante per vendere una prostituta. Anche quando le colpiva, cercava di non lasciare mai segni visibili.
Nami resse il suo sguardo indagatore, poi abbassò lentamente la testa e decise di parlare. Nojiko era l'unica a cui potesse dire tutto, l'unica che conoscesse la realtà della sua decisione di diventare una puttana, al solo scopo di non far perdere la casa a tutte le persone che vivevano in quel condominio e che erano indebitate con gli strozzini della malavita locale.
Lentamente, allungò la mano destra sul tavolo. Ogni persona aveva, al centro del dorso, un piccolo ovale. Una volta raggiunta la maggior età, in quell'ovale appariva, come marchiato a fuoco, il nome della propria anima gemella, della persona a cui si era destinati. Nami, però, non l'avrebbe mai saputo: quando era andata a lavorare per Arlong il nome non era ancora apparso e lui l'aveva marchiata con il suo simbolo proprio in quel punto, in modo da impedire definitivamente che apparisse.
«Pensava che fosse una buona idea» rise amaramente Nami. «Non sapere a chi sono destinata avrebbe evitato che fuggissi, o che qualcuno pensasse di essere obbligato a salvarmi.» Il sorriso che fece non era felice. «Invece gli si è rivoltato contro. I clienti non vanno con una prostituta di cui non sanno l'anima gemella, hanno paura che potrebbero essere la loro.»
«Ti ha picchiata per una stronzata che ha fatto lui?» esclamò Nojiko. Nami alzò le spalle: non era forse ovvio?
«Questo è troppo.» Genzo aveva pronunciato la frase in maniera lenta, ma tutti i suoi muscoli tremavano per la rabbia.
Nami balzò in piedi. Non l'aveva visto entrare nell'appartamento, anche se, come portiere dello stabile, aveva le chiavi di tutti. Non era previsto che ascoltasse, avrebbe dovuto continuarla a considerarla solo una puttana da cui stare lontano, per la sua stessa sicurezza.
«Adesso basta» continuò Genzo.
«Sono d'accordo» affermò Nojiko, con un breve cenno del capo, prima di seguire Genzo.
«Che cosa fate? Che cosa volete fare?»
«Quello che avremo dovuto fare anni fa» rispose Genzo, «invece di lasciarti nelle mani di quell'uomo.» E poi, allo sguardo sconvolto di Nami, aggiunse: «Sì, abbiamo sempre saputo che lo stavi facendo per noi e abbiamo cercato di trattarti male affinché smettessi. Non ha funzionato, quindi adesso è il nostro momento di fare qualcosa per te.»
«No!» gridò Nami. «Vi ucciderà. Io ce la posso fare! Mi manca ancora poco...» Ma le sue suppliche caddero nel vuoto, perché Genzo e Nojiko avevano già lasciato l'appartamento, con lo scopo di chiamare tutti gli altri condomini e recarsi della base di Arlong, un vecchio bar malfamato nei sotterranei di un palazzo abbandonato.
Nami tornò ad accasciarsi sulla sedia, distrutta. La sua vita non era felice, certo. Odiava che i clienti la toccassero, odiava i loro pensieri viscidi e la loro misoginia, odiava anche Alorng e i suoi, che oltre ad essere dei criminali erano anche gli assassini di sua madre. Però tutta quella sofferenza aveva sempre avuto uno scopo, che era quello di salvare tutte le altre persone che amava. Se ora si fossero messi contro Arlong, lui li avrebbe uccisi e sarebbe stato tutto inutile.
Il suo sguardo corse sul dorso della sua mano destra, dove il marchio di Arlong spiccava chiaro a coprire l'ovale dell'anima gemella. Non che a Nami importasse molto scoprire quel nome, ma odiava vedere che Arlong le aveva tolto, piano piano, qualsiasi possibilità di essere felice, con sua madre, con la sua famiglia, con una futura anima gemella.
Di scatto, afferrò il coltello che Nojiko aveva lasciato poggiato sulla tavola e si pugnalò il dorso, con le lacrime che iniziavano a scenderle sulle guance. Quasi non sentiva il dolore, accecata dall'odio che sentiva, e comunque non avrebbe fatto gran danno, il nome dell'anima gemella era già perduto.
E poi qualcuno le fermò la mano prima che potesse pugnalarsi ancora. Alzò lo sguardo e vide Rufy, il ragazzo che gestiva uno scalcinato bar a tema piratesco dall'altra parte della strada, che la fissava con sguardo serio.
«Cosa vuoi? Che cazzo vuoi?!» Nami lo apprezzava, perché era sempre sorridente e, in fondo, una brava persona oltre il suo comportamento da idiota. Ma in quel momento lo odiava anche perché cercava sempre di intromettersi nei suoi affari. Era stata anche colpa sua se Arlong era diventato più aggressivo, perché temeva che ci fosse qualcosa di strano nel loro rapporto.
«Che è successo?» domandò Rufy, senza scomporsi o muoversi.
«Non sono cazzi tuoi!» ribatté Nami, aggressiva, ma Rufy non fece una piega e continuò ad aspettare che lei gli desse una spiegazione. Alla fine, lei alzò le spalle. «Ho perso tutto» affermò. «Mia sorella e gli altri sono andati da Arlong. Probabilmente li ucciderà. Rimarrò da sola in questa vita di merda.»
«Tu non sei sola, Nami» replicò Rufy, serio. Quindi lasciò il minuscolo appartamento senza aggiungere altro.
Nami guardò la sua schiena che scompariva oltre la soglia, stupita per la frase che le aveva detto, ma anche chiedendosi che cosa aveva in mente. Non sarebbe andato anche lui da Arlong, vero? Erano praticamente estranei, non avrebbe dovuto fare una cosa simile per lei!
Oltre il dolore al palmo era diventato davvero fastidioso, quindi Nami prese la scatola dei medicinali, sempre fornita visto il lavoro che faceva, e si disinfettò la ferita e la fasciò accuratamente affinché smettesse di sanguinare. Nei minuti che le servirono per quell'operazione prese la sua decisione: doveva andare da Arlong. Era ora di finirla e, in qualche modo, sarebbe finita. Forse sarebbe semplicemente morta con tutti gli altri, ma almeno sarebbe stata una liberazione.
Nojiko aveva preso la loro auto mezza distrutta, per cui Nami chiamò un taxi, dando fondo alle sue poche riserve di monete, considerando anche che l'autista aveva voluto avere un extra per recarsi in quella zona pericolosa. Non che importasse: quei soldi non le sarebbero serviti, se gli altri fossero morti. Quando arrivò, trovò due volanti della polizia davanti all'ingresso dell'Arlong Park. La cosa non la stupì particolarmente, era a conoscenza del fatto che Arlong avesse amicizie nei piedipiatti. Come minimo li aveva chiamati per coprire i suoi omicidi.
Ciò che la sconvolse fu invece la presenza di ambulanze. Non credeva che nessuno dei condomini fosse in grado di ferire Arlong o i suoi uomini, né che Arlong fosse così gentile da chiamare i soccorsi dopo averli riempiti di botte. In fretta, evitò alcuni poliziotti che cercavano di fermarla e sgusciò all'interno del bar.
Nojiko, Genzo e gli altri erano in un angolo, spaventati ma salvi. Nami abbracciò la sorella sollevata.
«Che è successo?» domandò. Tremava ancora, per il sollievo di averli trovati ancora vivi.
«Non lo so dire» ammise Genzo. «Arlong e i suoi ci avrebbero massacrati, ma poi è arrivato un gruppo di motociclisti che li ha fatti a pezzi.»
«Sono la banda dei 'Cappello di Paglia'.» A parlare era stato il Capitano Smoker. Non era uno di quelli affiliati con Arlong, anzi, era conosciuto come poliziotto inflessibile che non si fermava davanti a nulla. «È un gruppetto di malviventi emergente. Non so perché abbiano deciso di attaccare la banda di Arlong in questo modo, ma questo di certo farà aumentare la loro reputazione.» Si accese un sigaro, noncurante. «Prima o poi arresterò pure loro.»
«Però ci hanno salvato» affermò Nojiko, meritandosi un'occhiataccia da Smoker. Eppure era vero: se i Cappello di Paglia non fossero arrivati, Arlong li avrebbe uccisi tutti.
«Tu sei Nami?» A fare la domanda era stata Tashigi, il sergente che accompagnava Smoker ovunque andasse. «Tua sorella mi ha parlato di te.» Allungò le mani per stringere le sue. «Vieni in centrale per una deposizione. Con la tua testimonianza, potremo finalmente arrestare Arlong e i suoi. Per ora le accuse sono solo percosse, ma tu potresti davvero fare la differenza.» Aveva un tono protettivo, mentre parlava, che le ricordava sua madre. Anche Bellmere era stata una poliziotta, una volta.
«Potrò avere protezione?» mormorò Nami, con lo sguardo che scorreva tra Nojiko, Genzo e gli altri, che annuivano, per incoraggiarla.
«Ma certo!»
«Va bene. Ne ho di cose da raccontare.» E le avrebbe raccontate tutte, otto anni di sofferenza che le avevano quasi strappato il cuore dal petto. Parlarne le avrebbe fatto bene e avrebbe fatto del bene anche al mondo, se finalmente sarebbe riuscita a sbattere Arlong fuori dalla sua vita.
C'era però una cosa che Nami non avrebbe raccontato a Tashigi, nonostante l'ammirazione che provava per lei. Ed era la vera identità della banda dei Capello di Paglia: non appena Smoker gli aveva fatto quel nome, non aveva potuto fare altro che associarlo a Rufy, che lo indossava praticamente costantemente. L'aveva sconvolta sapere che era arrivato a picchiare Arlong per lei, nonostante fossero due estranei, e di certo non l'avrebbe denunciato.
Però doveva almeno avere un ringraziamento, per cui, dopo aver atteso una settimana per far cessare la confusione che si era creata attorno all'arresto della banda di Arlong, si recò all'One Piece, il bar che gestiva assieme ad un gruppo di amici e che aveva l'aspetto a metà fra una bettola e un magazzino di roba recuperata nei cassonetti.
Rufy era a rovistare sotto il bancone, ma quando la vide si alzò e le rivolse un grande sorriso. Nami si ritrovò a ricambiare senza nemmeno rendersene conto.
«Grazie» gli disse. «Non dovevi farlo.»
Lui capì perfettamente a cosa si stava indicando. «Perché no? Noi siamo amici.»
Nami stava per aprire bocca e replicare che non era esattamente così, si erano solo scambiati qualche parola per strada, ma venne anticipata da Zoro, uno dei migliori amici di Rufy, che passò dietro di lui con una grande cassa di alcolici sulla spalla.
«Lascia perdere» commentò, quasi distrattamente. «Ormai ha deciso così e quindi sei fregata.»
Stranamente, a Nami non dispiaceva nemmeno così tanto. Rufy indicò a Zoro dove depositare la cassa, cosa che ovviamente Zoro non comprese, recandosi in una direzione totalmente diversa, e poi tornò a pulire il bancone con uno straccio che non vedeva dell'acqua da anni.
Solo in quel momento Nami notò che anche sul dorso della mano di Rufy non era presente il nome della sua anima gemella: l'ovale che avrebbe dovuto contenerla era completamente attraversato da una cicatrice a forma di mezzaluna, che avrebbe impedito la sua comparsa. Rufy notò il suo sguardo e alzò le spalle.
«Me la sono fatta da solo» affermò con noncuranza. «Non trovi che sarebbe davvero noioso sapere già dall'inizio chi è la tua anima gemella? Non mi piacciono gli spoiler!» E rise.
Nami lo fissò sbattendo le palpebre. La maggior parte delle persone che conoscevano erano entusiaste di conoscere la propria anima gemella, perché sapevano che sarebbero stati felici senza sbagliare. Altri, semplicemente, lo accettavano. Per la prima volta incontrava qualcuno che, volontariamente, voleva farne a meno.
«Allora, Nami» affermò Rufy, con un grande sorriso in volto. «Sei una di noi?»
Ed era una domanda retorica. Lui aveva scelto da solo la sua anima gemella. E in quel momento, Nami seppe che Rufy aveva ragione. Era ben possibile trovare l'anima gemella oltre il suggerimento del proprio palmo. 

***

E' la prima volta che scrivo una soulbound!AU e ne ho lette pochissime, per cui non ho approfondito più di tanto l'argomento, mi piaceva solo riportarlo all'interno di un "Arlong Park" moderno. Anche perché non riesco a credere che a Rufy piaccia l'idea di sapere in anticipo la questione XD Non ho voluto specificare se, alla fine, Rufy e Nami sono davvero anime gemelle oppure no: come loro, nemmeno noi lo sapremo mai. Ma, in fondo, per loro non ha alcuna importanza.
   
 
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