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Autore: LilithDream    27/06/2015    0 recensioni
La perdita e il dolore sono il rovescio della medaglia chiamata Amore, che sia esso romantico o affettivo poco importa, più si ha amato e più si soffre nel momento della scomparsa. Questa è l'unica verità per Logan Moore che si vede il mondo cadere addosso dopo la morte del fratello, unico alleato in una vita piena di nemici accaniti e spietati, pronti a giudicare e maltrattare senza una motivazione. Era solo ora, solo con i suoi pensieri e la sua mente incasinata, le sue stranezze e i suoi sentimenti repressi a forza.
Forse in alcuni casi basta chiedere al prossimo di raccontare il proprio passato per sconvolgere il suo futuro. A volte invece bastano solo due occhi comprensivi ed uno stupido sorriso.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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< < Svegliati Logan, c'è scuola! > > Mia madre urlava sempre alla mattina, non capendo che solitamente ero già sveglio da alcune ore ogni volta che urlava. Non dormivo granchè in effetti e di conseguenza alle cinque del mattino,se non prima, ero già sveglio. Non mi piaceva dormire, come d'altronde non mi piaceva nulla; trovavo tutto così noioso e stancante, in poche parole trovavo assolutamente inconcludente sprecare tempo ed energie per fare qualunque cosa. Prima della malattia amavo lo studio, leggere e perdere intere serate a parlare con mio fratello di ogni cosa mi passasse per la testa; amavo mio fratello ed era esattamente stato lui a scatenare la mia malattia, ciò che gli era successo mi aveva distrutto mentalmente e la sua scomparsa improvvisa aveva significato la fine di ogni mia difesa verso il mondo esterno; mi ero ritrovato catapultato malamente nella vita quotidiana,circondato da persone che mi odiavano per quel che ero, o meglio, ciò che loro volevano credere che fossi, e non potevo più correre da nessuno per chiedere conforto. 
Avevo capito di provare attrazione verso gli esponenti del mio stesso sesso quando alle elementari tutti i bambini si erano "innamorati" della maestra di Italiano, mentre io volevo solo passare intere ore a sentire il maestro di disegno. L' unico che mi avesse sempre supportato era stato mio fratello, mentre il resto della famiglia mi additava come peccatore o pervertito di vario genere, il che calcolando la mia giovane età era semplicemente ridicolo. Mi avevano mandato da diversi psicologi, ma il problema non era mio, ma dei miei genitori e quindi ogni volta che uno psicologo si rivelava un buco nell'acqua venivo scaraventato da un altro esperto del settore e questa bene o male era stata la mia vita dalla quinta elementare fino alla seconda superiore, quando mio fratello morì. Da lì passai dagli psicologi agli psichiatri e dai calmanti agli antidepressivi. Quell'anno fui bocciato per le assenze. Continuavo a camminare e non mi toglievo la vita soltanto per rispetto alla memoria di mio fratello Michael che aveva passato intere giornate a provare a convincermi che la vita non fosse così male e che valesse la pena provare a viverla -"magari dopo essere uscito di casa" aggiungeva sempre per sdrammatizzare la situazione con i miei.
Racccolsi lo zaino da terra e me lo portai in spalla sentendo distintamente il rumore delle pasticche che venivano sbatacchiate all'interno della cartella verde militare che era appartenuta a Michael - l'avevo io da ormai quasi due anni- insieme ai libri di scuola. Non sapevo con esattezza quali materie mi avrebbero aspettato varcati i cancelli del mio piccolo inferno personale, ma i professori erano magnanimi con me e capivano che nel casino della mia testa, tra il lutto e gli antidepressivi, c'era davvero poco spazio per la scuola. 
< < Logan! ricordati i soldi per il pranzo! > > urlò poi mia madre prima di uscire di casa sbattendosi la porta d'ingresso alle spalle. Anche quella era una frase decisamente inutile calcolando che in ogno caso non mi lasciava mai abbastanza denaro per pagare un effettivo pranzo. 
Mi trascinai nel corridoio e dopo aver infilato le scarpe uscii a mia volta salutando distrattamente mio padre che sarebbe uscito poco più tardi. Ogni mattina quella era la routine, non veniva mai spezzata, come se rimanere in stallo,immobili nelle stesse situazioni ridondanti aiutasse a catalizzare e a tenere sotto controllo il dolore per la perdita ancora forte nell'aria famigliare; mia madre non aveva mai pianto una sola lacrima, non era mai crollata, nemmeno una volta, lei e mio padre avevano risposto al lutto con rinnovata fede in Dio e non parlavano mai di Michael, come se non fosse mai esistito. Sapevo che di sicuro doveva essere stato un duro colpo perdere il loro unico figlio "sano", il figlio che li aveva resi orgogliosi, nonostante avesse scelto una professione che non approvavano, sposando una donna normale e di buona famiglia. Anche per Lora -la vedova di mio fratello - non doveva essere stato facile.
Calciai un sasso per strada e mi resi conto di quanto, ogni giorno di più, le voci allegre dei miei coetani mi rendessero nervoso e di quanto desiderassi non doverle mai più sentire; odiavo dover ascoltare gli insulti o gli scherni di ogni singola persona che pensasse di avere il diritto di intromettersi nella mia vita e di dare la propria "indispensabile" opinione sul mio status. 
< < Hey frocetto. > > chiusi gli occhi e respirai per autoconvincermi a lasciar correre, ad ignorare chiunque mi avesse rivolto quel saluto. Continuai a camminare concentrandomi soltanto sull'arrivare a scuola. Era sempre stato così, per quanto mi impegnassi a non far scoprire a nessuno le mie tendenze, ogni volta che cambiavo scuola qualcuno scopriva, in un modo o nell'altro che ero omosessuale e la mia vita peggiorava sempre più, inoltre, come se non fosse bastato tutto ciò, i miei genitori si ostinavano a trasferirsi in cittadine bigotte e fortemente influenzate dalla religione rendendo impossibile ogni sorta di normalità.
Riuscii ad arrivare a scuola e ad infilarmi in classe evitando lo sguardo di chiunque incontrassi. Da qualche giorno girava la voce che dovesse arrivare un nuovo alunno e c'erano persone che giuravano di averlo visto in città, ma chissà come mai ogni descrizione del fantomatico Nuovo Arrivato era diversa dalla precedente: un giorno era un ragazzo asiatico coi capelli neri ed il giorno dopo veniva dall'Australia, un giorno era una sorta di Nerd ed il giorno dopo era un Latin Lover venuto a rubare tutte le vergini della città. Con tutta probabilità sarebbe arrivato un altro bigotto cittadino modello con tanto di maglione a losanghe. Odiavo tutta quella strana agitazione che si era creata per quella novità, perchè aveva portato tutti ad essere notevolmente più nervosi e attenti a ciò che gli succedeva intorno per potersi accaparrare il primo avvistamento del ragazzo mitologico, il che, di conseguenza, li portava ad essere anche più coscienti della mia presenza nei dintorni. 
Quando notammo che il professore della prima ora non era in classe tutti incominciarono a sembrare febbricitanti; oramai era ovvio che il nuovo alunno sarebbe finito nella nostra classe e tutti erano impazienti di conoscerlo, beh tutti tranne me, sarebbe stato solo un altro idiota che avrebbe trovato divertente prendersi gioco di me. Dopo pochi minuti il professore rientrò sfoggiando un sorriso di circostanza alquanto finto che rimase incollato alla sua faccia per tutto il tragitto fino alla cattedra.
< < Allora ragazzi, sono sicuro che avrete già sentito dire in giro che sarebbe arrivato un nuovo alunno e oggi avrò il piacere di presentarvelo. > > detto questo guardò fuori dalla porta della classe e continuando a sorridere ricominciò a parlare. < < Ci raggiungerà non appena il preside avrà finito di illustrargli le regole dell'istituto...ed eccolo qui. Prego entra pure, io sono il professor Phillips, insegno lettere. > > finì il discorso mentre nella nostra classe faceva il suo ingresso trionfale un vero e proprio essere mitologico: era un ragazzo parecchio alto, ma il vero elemento strabiliante era il suo abbigliamento, sembrava un vero e proprio metallaro vecchio stampo tutto pelle nera e borchie. Gli anfibi pesanti lo accompagnarono con dei piccoli tonfi ad ogni passo e quando fu al fianco del professore tutta la classe stava trattenendo il fiato. Non si era mai visto nessuno del genere in quella piccola scuola per cui tirai un sospiro di sollievo, qualunque tipo di persona mi andava a genio se non somigliava a quei quattro idioti che mi circondavano.
< <  "Sono Pierce Miller, è un piacere conoscervi, vengo da lontano e bla bla bla" posso andare a sedermi ora? Sono arrivato ieri dopo un viaggio di nove ore in macchina, gradirei riposarmi. > > aveva una voce profonda e calda, non del tutto adatta alla sua persona, ma poco importava; aveva lasciato tutti senza parole,professore compreso che però, quando si accorse che "Pierce Miller" lo stava fissando, si ridestò e gli disse che purtroppo doveva ancora rimanere lì per un po' per sentire tutti i nostri nomi e poterci vedere in faccia. < < Che differenza fa? tanto qui siete tutti identici. > > rispose il ragazzo ma rimase ugualmente vicino alla cattedra.Quando il professore cominciò a fare l'appello io presi ad osservare il ragazzo: capelli neri lunghi fino a metà collo costretti indietro dal gel, mascella pronunciata, naso dritto, occhi di una castano caldo e sopracciglia folte; aveva un filo di barba e un piercing al labbro sulla sinistra. Il suo viso era dannatamente perfetto, strano o meno che fosse nel giro di due giorni avrebbe avuto tutte le ragazze ai suoi piedi. Era completamente vestito di nero e portava un paio di anelli di color argento per entrambe le mani.
< < Ehm Moore? MOORE! > > esclamò il professore per attirare la mia attenzione mentre tutti avevano iniziato a fissarmi. Dannazione. Alzai la mano e al contempo cercai di sotterrarmi sotto al banco.
< < Che ci vuole fare? si sarà innamorato. > > suggerì un compagno dal lato opposto al mio della classe provocando una grande risata generale.
< < Perchè, tu non ti sei ancora innamorato di me? mi sorprende > > rispose Miller alzando un sopracciglio e zittendo tutta la classe. Per la prima volta non ero stato del tutto difeso ma nemmeno insultato pesantemente e ciò mi  sembrò dannatamente strano.
Finito l'appello il nuovo ragazzo andò a sedersi e gli capitò il posto vicino ad una delle ragazze più socievoli della classe la quale passò le ore successive a tartassare Miller di domande alle quali sorprendentemente lui rispose senza fare troppe storie, erano quasi tutte domande riguardanti ragazze, ex e altri stupidi pettegolezzi inutili, Diana non fece nemmeno una domanda interessante o degna di nota così col tempo persi interesse in quella conversazione e ricominciai a pensare a come sarei potuto tornare prima a casa e a che malore avrei potuto fingere per potermene andare,ma sapevo che non avrei messo in pratica nulla di tutto quello che stavo pensando.
Alla fine arrivò la pausa pranzo e non provai nemmeno a recarmi in mensa, sarebbe stato controproducente, così mi diressi nell'unico luogo tranquillo della scuola, dove nessuno metteva mai piede: il tetto della scuola. Era assurdo che nessuno controllasse quel posto a dovere, volendo chiunque avrebbe potuto buttarsi di sotto o magari spingere qualcun'altro oltre le balaustre ed il fatto che nessuno per ora l'avesse fatto non sarebbe dovuto essere un motivo sufficiente per lasciare libero l'accesso; ad ogni modo non erano in molti ad essere a conoscenza della faccenda per cui tutto sommato l'incoscienza dei professori mi tornava utile. Arrivato sul tetto, però, ci trovai Miller intento a leggere un libro che sorreggeva con una mano mentre con l'altra teneva un panino; vedendolo lì mi bloccai e finii per fissarlo di nuovo: aveva una gamba stesa ed una tirata verso se sulla quale appoggiava il braccio con il libro.
Quando si voltò nella mia direzione e mi vide alzò un sopracciglio con un certo disappunto e poi addentò il panino.
< < Hey > > disse dopo voltandosi nuovamente per dare attenzione soltanto al suo libro. Non risposi al saluto e dopo essermi sentito un idiota per l'imbarazzo andai dalla parte opposta del tetto dove mi sedetti e misi le cuffiette perdendomi nella musica dei System of a Down che cominciò a scorrermi nelle orecchie senza lasciar spazio a nessun altro pensiero.
Ad un certo punto ebbi una sorta di brivido freddo lungo la spina dorsale e mi accorsi che Miller aveva smesso di leggere e aveva iniziato a fissarmi in modo inquietante, come se avesse voluto buttarmi giù dal tetto, sembrava come se stesse cercando di leggermi dentro per comprendermi e di certo sembrava anche disposto ad aprirmi la testa in due per riuscirci. Quando la situazione divenne insopportabile decisi di alzarmi ed andarmene, ma a quanto pareva anche il Bad Boy dall'altra parte del tetto aveva avuto la stessa idea, così mi affrettai a raggiungere la porta per tornare dentro alla  scuola per evitare di incontrarlo a metà strada; quel ragazzo mi inquietava enormemente anche se, in realtà, aveva molti più motivi lui per essere inquietato da me di quanti ne avessi io per esserlo da lui.
Le rimanenti ore di lezione passarono tutto sommato senza interruzioni di alcun genere e finita scuola riuscii a defilarmi in fretta da tutta la massa di studenti che si precipitava fuori dalle quattro mura come un'onda anomala. Un altro giorno in quel dannato edificio era finito. Stranamente però, per tutta la strada fino a casa non mi sentii affatto tranquillo, mi sembrava come se qualcuno mi avesse seguito, ma non provai nemmeno a voltarmi, probabilmente gli antidepressivi stavano perdendo efficacia.
Entrai in casa e vi trovai mia madre intenta a sfornare una torta alle mele che non cucinava quasi mai perchè a mio fratello non era mai piaciuta, così le chiesi cosa stesse succedendo.
< < Nuovi vicini, dopo io e tuo padre andremo a dargli il benvenuto... e tu verrai con noi, non voglio sentire storie, hanno due figli ed entrambi vengono alla tua scuola. > > appena finita la frase seppi che la mia idea di evitare il Bad Boy sarebbe stata gettata alle ortiche; era ovvio che i nuovi vicini fossero i Miller, non erano in molti a trasferirsi in quel buco di città. 
Ebbi giusto il tempo di posare la cartella in camera e di sciacquarmi la faccia velocemente, poi mia madre mi chiamò e dopo aver preso una pastiglia la raggiunsi in cucina.
< < Non ti sei nemmeno cambiato... io non so che fare con te. > > disse mammina guardandomi col suo solito disprezzo. Quella donna era l'incarnazione del disprezzo nei miei confronti formato tascabile -era poco più bassa del metro e sessanta- dotata di chignon che si reggeva sulla sua testa grazie all'odio probabilmente. Era magra e rigida in ogni cosa, nonchè cristiana fino al midollo, un po' come mio padre, insomma: entrambi cresciuti in famiglie cristiane protestanti che avrebbero , con tutta probabilità, bruciato sul rogo quelli come me. In pratica ero cresciuto in un adorabile focolare famigliare. 
La casa dei Miller era proprio in fondo alla strada e quando mia madre bussò mi ritrovai a pregare che non aprisse nessuno, nonostante gli antidepressivi mi sentivo ugualmente uno schifo e non avevo proprio voglia di fronteggiare perfetti sconosciuti, e soprattutto non sotto la supervisione dei miei genitori. Purtroppo le mie preghiere non furono ascoltate -come sempre- e una donna alta con capelli corvini che le ricadevano sulle spalle aprì la porta con un'aria solenne e parecchio sicura di sè. Alta poco meno di me, occhi marroni e naso dritto: era di sicuro la madre di Pierce Miller e lo si capiva da ogni singolo aspetto di lei. 
< < Sì? Vi serve qualcosa? > > a questa domanda mia madre rispose con un grande sorriso di circostanza e mi spinse in avanti -avevo io la torta- mentre faceva le presentazioni del caso. Una voce molto simile a quella di Pierce fece capolino dall'altra stanza chiedendo chi fosse alla porta. La signora Miller ci fece entrare in casa, con mio grande disappunto, e ci lasciò in salotto mentre andava a prendere "qualcosa da bere" e a chiamare l'allegra famigliola.
Dei piccoli tonfi familiari accompagnarono l'entrata del metallaro di casa nella stanza, seguiti da varie esclamazioni di sorpresa da parte dei miei genitori, i quali, guardandomi sconcertati, sembravano aver rivalutato il mio valore; della serie "meglio Gay che Satanista", insomma. L'ormai rinominato Bad boy salutò cordialmente i miei e poi si accorse della mia presenza sulla poltrona accanto al divano e mi sorrise in modo quasi sinistro.
< < Ri-ciao Logan... Moore. > > il fatto che si ricordasse il mio nome era un tantino inquietante e al tempo stesso divertente, ma questa sua uscita mi costò una spiegazione in più a mamma e papà che avevano già dato il via alle loro solite congetture malate. 
Quando i signori Miller -Anna e Daniel- ci raggiunsero in salotto iniziò un'"allegra" conversazione tra vicini della quale avrei fatto volentieri a meno,; nonostante questo,quando il Bad Boy annunciò che mi avrebbe "trascinato in camera sua per aiutarlo con le materie scolastiche da portare per il giorno successivo" sia io che i miei rimanemmo di stucco, guadagnandoci uno sguardo poco comprensivo dai Miller che sembravano favorevoli all'idea del figlio di eliminarmi dalla conversazione. Seguii Pierce mio malgrado dopo aver capito che Anna e Daniel non volevano adolescenti tra i piedi, sapevo però che questo avrebbe avuto delle conseguenze una volta tornato a casa. Entrato nella camera del Bad Boy fui subito catapultato in una dimensione parallela nella quale i libri ed il nero facevano da padroni; sembrava un po' come se Dracula, di punto in bianco, avesse deciso di riempire casa dei libri rubati alle vittime.
< < Ringraziami più tardi comunque.... ti ho salvato dal dover ascoltare mia madre mentre parla, diventa insopportabile con gli sconosciuti se si dimentica di non essere al lavoro, gli avvocati parlano fin troppo. > > detto ciò si buttò supino sul letto, prese un libro e mi lasciò così, come un cretino, davanti alla porta della sua camera senza possibilità di fuga e senza parole; c'erano così tanti problemi in quella situazione come ad esempio il fatto che il suo dannato sedere continuasse a richiamare la mia attenzione, o che non fossi mai stato nella camera di nessuno a parte la mia da quando avevo nove anni, o che lui mi avesse iniziato ad ignorare completamente comportandosi come un perfetto maleducato. 
Ad un certo punto, senza un motivo apparente o un qualche preavviso Pierce si voltò nella mia direzione e sollevando un sopracciglio mi squadrò da testa a piedi più volte.
< < Gay, vero? > > a quella domanda inaspettata reagii nell'unico modo possibile: diventai rosso fino alla punta dei capelli e indietreggiai fino alla porta e quando non potei più scappare anuii. < < Non avevo dubbi. Il modo in cui ti hanno guardato i tuoi quando ho detto che saremmo saliti qui sopra parlava fin troppo chiaro. > > Si alzò dal letto e mi si avvicinò piano arrivando fino ad una spanna da me. < < Chissà cosa stanno pensando in questo momento. Chissà cosa pensano che stiamo facendo > >. si avvicinò ulteriormente e quando la situazione divenne insopportabile per i miei standard scivolai di lato lasciandolo a fissare la porta. Pierce scoppiò a ridere e poi uscì dalla stanza raccomandandosi che non uscissi di lì prima che lui fosse di ritorno. Il Metallaro mi aveva giocato uno strano scherzo ma per la prima volta in vita mia non vi percepii alcuna cattiveria. Quel ragazzo era decisamente strano. Quando lui tornò aveva in una mano un piattino con sopra due fette di torta e nell'altra teneva due birre; mi offrì sia la torta che la birra e quando rifiutai entrambe lui fece una strana smorfia e poi si sedette sul suo letto bevendo un sorso da una delle bottiglie che aveva portato.< < Sei noioso.> > disse mordendo una fetta di torta.
< < Non mi piace mangiare torta alle mele... e odio l'alchol. > > risposi appoggiandomi al muro per evitare di sembrare un perfetto idiota che non si era mosso minimamente da quando era entrato nella stanza. 
< < Non è vero... vuoi solo che qualcuno noti che non mangi con gli altri e che non sei come tutti. Vuoi solo attirare l'attenzione. > > aveva un'espressione beffarda e un poco troppo impertinente, stava bevendo quella birra dandosi un sacco di arie, come se avesse capito un qualche segreto dell'universo e si sentisse un vero e proprio genio per questo, non capendo che in realtà aveva fatto un completo buco nell'acqua ottenendo solo un grande disappunto da parte mia che in quel preciso momento volevo soltanto uscire da quella casa il più in fretta possibile e non avere più nulla a che fare con lui.
< < Ti sbagli... non mi piace davvero l'alchol e la torta di mele sono due anni che non la mangio. E ora se me lo concedi me ne vado. > > dissi senza sapere nemmeno perchè gli stessi rispondendo.
< < Credevo fossi una persona più interessante, ma credo che tu sia solo un figlio unico viziato come tutti. > > concluse poco prima che mi chiudessi la porta alle spalle.
< < Non sono figlio unico. > > risposi non sapendo se mi avesse sentito o meno.
Scesi di nuovo in salotto e trovai mia madre in piedi che salutava i genitori di Pierce poco prima che facesse lo stesso mio padre; salutai a mia volta e poi uscimmo da quella dannata casa e non appena fummo ritornati alla nostra dimora corsi in camera mia e mi ci chiusi dentro. Ne avevo abbastanza dell'avere a che fare con le persone per quel giorno, decisamente abbastanza, non avrei sopportato altre conversazioni, fossero anche state con i miei genitori non avrei retto. 
Presi un'altra pillola sperando che servisse a qualcosa e mi buttai sul letto a faccia in giù; magari sarei soffocato nel cuscino e tutto sarebbe finito così, senza alcun problema ulteriore, ma probabilmente non mi sarebbe andata così di fortuna per cui rinunciai anche a quella vaga speranza e cambiai posizione nel letto mettendomi a pancia in su. 
E pensare che credevo che quell'idiota di Miller non fosse poi così male; mi ero sbagliato e di grosso, quello era un maledetto insensibile e non capiva la differenza tra provocazione e insulto. L'unica persona, dopo mio fratello, che sarebbe anche potuta divertarmi amica si era rivelata un totale fallimento e questo mi stava abbattendo più del dovuto, non conoscevo nemmeno lontanamente quel ragazzo, eppure l'aver perso la possibilità di reputarlo mio amico -o quantomeno non nemico- mi aveva ferito ad un livello più profondo di quanto avrei potuto immaginare.
Ero stanco di tutto ciò, stanco di dover andare avanti da solo, sapevo che mi sarei dovuto tirare fuori io da quel casino, ma di certo non avrei rifiutato una mano esterna se fosse arrivata in mio soccorso. 
Riuscii a dormire -probabilmente grazie agli antidepressivi- fino a cena, quando i miei mi chiamarono per raggiungerli: preghiera, mangiare, tornare in camera mia, dormire o quantomeno fingere di dormire, questa era la routine serale alla quale ero abituato e così fu anche quella sera
   
 
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