The way we were
V
Vincere e perdere
In
the dark
he could see
the trap that was lying in her
Sweet company
eating from her hand at last
Wild things run fast
What
makes you run?
Wild thing
I thought you loved me
[Wild
things run fast – Joni Mitchell]
Nonostante
le
speranze della futura padrona di casa Nott e i timori del
già proprietario e
futuro sposo, la sera del ricevimento giunse e precipitò
sulle loro teste, come
tristemente previsto.
Il salone
della
villa dispiegava le sue grazie ai presenti, avvolto in ornamenti
speciali per
l’occasione. Tutti gli invitati erano perfettamente
consapevoli che la funzione
di quella serata era un annuncio importante, e per quei tempi
importante
rendeva implicita la notizia di un matrimonio imminente.
I signori
Parkinson spiccavano tra la folla per il bagliore dei loro sorrisi,
già calati
ad hoc nella loro parte, accompagnati dalla presenza di Abraham
Theodore Nott,
palesemente meno lieto delle circostanze dell’evento. La
reciproca antipatia
che correva tra lui e Pansy Parkinson non era mai stata un mistero, e
nel
segreto del suo animo era ben certo che il giorno della sua morte,
avrebbe
confermato a Miss Parkinson che il potere dei malefici esiste davvero.
«Nonno,
volete
ancora del vino?».
L’ex
Ministro
non perse occasione per rinfacciare il dubbio gusto delle sue scelte al
nipote
anche in quel frangente, con un cenno di diniego e un sorriso sulle
labbra
dalla pericolosa affabilità.
«Ti
ringrazio
nipote, ma temo che tua moglie abbia avvelenato gran parte dei
bicchieri a me
destinati» comunicò con un tono di voce
sufficientemente alto perché almeno
qualcuno potesse sentirlo. Theodore non si prese il disturbo di
sminuire
l’accusa, dopotutto era stato suo l’ordine di
controllare il contenuto di ogni
bottiglia e il fondo di ogni bicchiere, a pochi minuti dal ricevimento.
«Piuttosto,
hai
la più vaga idea di dove sia andata a finire?».
Il
goliardico
buonumore con cui aveva posto la domanda, non lasciava adito a dubbi
sul fatto
che Abraham Nott credesse che il nipote non avesse una risposta. Non si
sbagliava, come sempre.
«Sarà
certamente
nella nostra stanza a-»
«Con
l’immancabile compagnia del signor Zabini?» lo
interruppe il patriarca senza
darsi il minimo disturbo di sensibilità.
Theodore fu
costretto a farsi portare dello scotch liscio per
l’occasione. Talete, eletto
maitre della serata tra gli elfi domestici in servizio, non fece in
tempo a
raggiungere la riserva privata del padrone, che l’ordine
venne corretto.
«Talete»
«Sì
padrone»
«Doppio.
Fammelo
doppio».
Abraham Nott
avrebbe di certo avuto da ridire anche sulla deprecabile abitudine del
nipote,
troppo vicino all’alcolismo per i suoi gusti, se non avesse
seguito la linea
dello sguardo del figlioccio, i cui occhi si erano appena posati duri e
già
furiosi, sul profilo tagliente di Draco Malfoy, al centro esatto della
sala.
●●●
I've looked at life from both
sides now,
from win and lose, and still
somehow
It's life's illusions i recall.
It's cloud illusions i recall.
I really don't know clouds at
all
[Both sides now –
Joni Mitchell]
«Blaise».
La voce di
Pansy
si infranse contro il suono della musica e il vociare soffuso che
riempiva la
sala da ricevimento. Blaise Zabini, impeccabile nel suo buon gusto e
nell’iridescenza del suo sorriso, abbassò lo
sguardo in sua direzione, con
un’aria di improbabile innocenza.
«La
tua mano».
Gli fece
notare
lei, con una punta di divertimento nella voce. Blaise non fece niente
per
spostarla da dove era, un po’ troppo infondo, diceva lo
sguardo di Theodore
Nott qualche metro più in là. Perfettamente in
sincronia con la musica e gli
sguardi dei presenti, la costrinse gentilmente ad un volteggio sulle
punte,
recuperandola giusto in tempo per poter poggiare anche
l’altra mano laddove non
era poi così appropriato che fosse.
«Sto
combattendo
una battaglia su due fronti» si giustificò,
ammiccando in direzione di Nott e
riferendosi indubbiamente a Draco.
«Come
dire, lo sento. E il resto della
gente lo vede».
Lui finse di
meravigliarsi, strappandole un sorriso alla rigida compostezza in cui
si era
rinchiusa, dal momento in cui aveva stretto i lacci del vestito per la
serata.
I buoni
intenti
di Blaise Zabini erano sempre oggetto di una interpretazione
relativistica e
piuttosto critica da parte dell’etica e della morale comune,
e Pansy non dubitò
che fosse il giusto approccio anche per quell’ultima trovata.
Dal canto
suo
lei era perfettamente a proprio agio nell’avere le sue mani
sul proprio corpo e
questo forse gli rendeva più facile il compito di far
impazzire suo marito e
instillare nella mente di Draco Malfoy atroci piani di vendetta
tipicamente
Slytherin e affatto misericordiosi o memori di una passata amicizia tra
i due.
«Perché
lo fai?»
«Perché
hai
indubbiamente un bel -»
«Naturalmente»
si affrettò a concludere lei, assestandogli una gomitata tra
le costole ben
dissimulata. Blaise incassò il colpo, come faceva da lungo
tempo con tutti
quelli che Pansy Parkinson era solita distribuirgli, con il tenero
fervore
dell’affetto che provava per lui.
Forse
Theodore
Nott si sarebbe persino rivelato un ballerino migliore di lui. Di certo
il
perfezionismo che lo rendeva noto ai più, e che agli occhi
di Blaise lo
qualificava come maniaco compulsivo, gli avrebbe consentito di seguire
ogni
nota e ogni variazione senza perdere un solo accento ritmico. Avrebbe
stretto
Pansy tra le sue braccia, conducendo un valzer d’altri tempi,
con la carica
erotica di un plastico in cemento di Gilderoy Allock.
Il solo
pensiero
si era rivelato essere troppo raccapricciante ai suoi occhi
perché un amante
del bello come lui amava definirsi potesse ritenerlo sopportabile.
E poi,
c’era
Draco Malfoy e il perfetto incastro che le sue braccia avrebbero
trovato con il
corpo di Miss Parkinson.
«Astoria
Greengrass è molto carina stasera».
«E
tu sei il
solito-»
«Naturalmente»
la bruciò sul tempo lui.
Poi si
deliziò
dello sguardo che offuscò gli occhi scuri di Pansy e del
contegno che assunse
per il resto della serata, decisa a vincere una battaglia che non aveva
speranze di essere vinta.
Di guerre
perse
lui ne sapeva qualcosa. Per quanto la sua immagine fosse associata
all’ospite
d’onore di tutti i salotti della Londra magica borghese, e si
raccontassero
mirabolanti storie sulle sue avventure più disparate
– di cui la metà erano
palesemente false ma troppo divertenti perché lui potesse
prendersi la fatica
di smentirle – nessuno sembrava essersi accorto della
più grande sconfitta di
cui Blaise Zabini fosse stato protagonista.
Lui era un
ottimo medico di se stesso, sapeva occultare le proprie ferite e niente
nella
perfezione del suo corpo lasciava ad immaginare quanto profondo fosse
un taglio
difficile se non impossibile da rimarginare. C’era stata una
guerra, e Blaise
Zabini non era riuscito a sfuggirne gli orrori, gli scempi, le
mostruosità.
Al brutto
del
mondo, non era riuscito a sopravvivere interamente.
«Se
pensi
davvero di poterlo evitare, ti stai sopravvalutando».
Pansy non si
scompose, perché tutto sommato non aveva sentito niente di
nuovo, che lei già
non sapesse.
«Un’altra
parola
su di lui, e farò in modo che Millicent sia la tua dama
d’onore fino alle prime
luci dell’alba».
●●●
Oh
you are in my blood like holy wine
and you taste so bitter but you taste so sweet
Oh I could drink a case of you
I could drink a case of you darling
And I would still be on my feet
Oh I’d still be on my feet
[A
case of you – Joni Mitchell]
Draco Malfoy
non
aveva mai avuto bisogno di essere coraggioso, prima.
Lungo la sua
strada aveva incontrato difficoltà, grandi o piccole, come
capita a tanta altra
gente, e se non era riuscito a risolverle da solo, si era potuto
permettere di
lasciare questioni in sospeso, mettendole da parte e pretendendo di
ignorarle.
Poi aveva
scoperto di non poter ignorare né Lord Voldemort,
né Pansy Parkinson, e in un
primo momento il pensiero di questa equivalenza tra i due lo aveva
schiacciato
del tutto.
Gli era
persino
capitato di sopravvivere al primo. Gli era costato un padre, tutta la
sua
innocenza, dolore e frustrazioni, gli era costato una guerra. Avevano
perso
entrambi, ma dopo la sconfitta lui era ancora vivo, e
l’Oscuro Signore giaceva
in ceneri, e il suo unico posto sarebbe rimasto per sempre
nell’inospitale
memoria di tutti.
Ma vincere
Pansy
Parkinson sarebbe stato tutt’altro paio di maniche e aveva il
sapore amaro dell’impossibile.
Lo aveva percepito subito, vedendola quella sera.
L’immagine
di
lei aveva ferito il suo sguardo, costringendolo a distogliere gli
occhi.
Per tutto
quel
tempo non aveva fatto altro che pensare a lei come a un ricordo, un
frammento
del proprio passato, con l’amarezza che si riserva ai
rimpianti e con la rabbia
per le occasioni perse, e si era crogiolato in quella condizione di
passività
con una certa rassegnazione, che lui però aveva –
di nuovo codardamente –
scelto di chiamare serenità.
Vederla di
nuovo, nella concretezza del presente, era stato quanto di
più doloroso avesse
dovuto affrontare dopo l’incarcerazione di suo padre.
«Niente
cravatta, stasera».
Cercò
di non
perdere il controllo di sé, quando la sentì
parlare, nel buio di quel corridoio.
Si era
rifugiato
lì cercando di sfuggire ai colori troppo accesi della festa;
ai suoni della
vuota allegria della gente; all’astio di Theodore Nott, che
lo faceva sentire
ancora importante per Pansy; alle illazioni di Blaise, più
sferzanti del solito
quella sera. Erano una accusa e una sfida ben precise, a cui Draco non
si era
potuto sottrarre né per volontà né per
imposizione di coscienza.
«Cosa
c’è qui
dentro, la camera degli orrori?».
Le chiese
voltandosi a guardarla.
Era passato
molto tempo dall’ultima volta che si erano ritrovati
così vicini. Desiderò
poterla sentire finalmente lontana. Sperò in una parte
remota di sé, che tutto
quel tempo passato a cercare di ridimensionare la loro vicenda fosse
servito ad
arginare l’impeto del sentimento. Scoprì che ogni
tentativo sarebbe stato vano,
e che era ora di smetterla con quel gioco.
«Non
saprei»
replicò lei, alzando le spalle, trovando una propria
sincerità. Era la candida
ammissione di quanto tutto quello le fosse estraneo: la sua casa, suo
marito, la
sua vita futura lì dentro in sua compagnia.
Tuttavia,
nonostante si fosse sentito appagato e soddisfatto, per non dire consolato dal rifiuto di Pansy per
ciò
che l’aspettava, non era di una stanza sconosciuta quello di
cui avrebbe voluto
parlare con lei.
Avrebbe
preferito che lei gli spiegasse come le fosse venuto in mente di
accettare una
proposta di matrimonio da Theodore Nott. Voleva sapere i particolari,
uno per
uno, pur sapendo quanto deleterio per se stesso sarebbe stato.
«Non
sapresti».
Mormorò
invece,
perdendo lo sguardo altrove.
La guerra lo
aveva cambiato.
L’ultimo
ricordo
che aveva di lui, era quello del doloroso passaggio dall’era
delle illusioni a
quella della cruda realtà. Si erano separati dopo aver
sperimentato insieme le
rivalità, i protagonismi, i giochi spietati e le vendette
più stupide. Avevano
scherzato con il fuoco ma si erano fermati sempre in tempo prima che il
fuoco
li bruciasse.
Fino a che
non
si erano bruciati, nel dirsi addio con la speranza che così
non fosse.
Tutte le
volte
che aveva pensato a Draco, aveva sentito la nostalgia dilaniarla, ma
non si era
mai fermata a pensare un solo momento che avrebbe dovuto conviverci
tanto a
lungo come per sempre. Poi un giorno lo aveva visto, accanto ad
un’altra donna,
e aveva realizzato che niente più di Draco Malfoy sarebbe
stato suo.
«Forse
è il caso
che torni di là».
Non
c’era alcuna
risolutezza nella sua voce, quando lo disse. Era solo
l’ennesima via di fuga,
il riparo da un dolore che era decisa a non voler provare
definitivamente.
Aveva
imparato
che la nostalgia è qualcosa che ti corrode dentro con la
dolcezza dei ricordi e
l’inevitabilità del presente, ma non è
violenta né crudele come parlare con
l’uomo che hai imparato ad amare e che poi la vita ti ha
strappato con il cinismo
che le è proprio.
«…per
Merlino,
Pansy».
Si
fermò di
colpo, come se le sue parole si fossero strette attorno al suo polso,
con la
stessa forza che avrebbe avuto la sua mano fredda e pallida.
Vibrò nell’aria
l’eco di tutto quello che fino ad ora non si erano detti.
«Theodore
Nott?»
Le chiese
lui,
d’un tratto libero da tutto quello che prima gli aveva
impedito di porle quelle
domande, di attraversare la stanza e strapparla
dall’abbraccio di Blaise per
stringerla e avvolgerla nel proprio. Pansy lo vide, e le
sembrò furioso come
mai era stato prima di allora.
Lo
guardò senza
capire, confusa e spaventata, eppure di nuovo capace di scorgere in
Draco i
tratti di quello che lei aveva conosciuto e fatto proprio nel passato
che
avevano condiviso.
«Avevi
bisogno
di puntare tanto in basso per punirmi?»
Proseguì
lui, di
nuovo vicino. Fumo e profumo, confusi e indistinti.
«Curioso.
Credevo di essere io quella che sta per sposarlo»
Il gelo
nella
sua voce non lo ferì, come era sempre stato con Pansy.
Si erano
sempre
presentati così al mondo, alla voluta e ricercata
incomprensione della gente,
freddi e distanti, cristallizzati nella propria alterigia, ghiacciati
nell’arroganza delle loro convinzioni, nella loro poca
umiltà, nella mancanza
di scrupoli e nel gioco sporco verso gli altri, che erano meno di loro.
Non avevano
raccontato a nessuno la loro storia, si erano ritrovati a condividerne
parti
importanti, alcune persino combacianti, e in quel modo, in silenzio e
con
orgoglio avevano cercato di curarsi, pur facendosi male a vicenda la
maggior
parte delle volte.
«Non
c’erano
possibilità di scelta».
«Questo
perché
non siamo stati educati a scegliere il rischio, Draco»
E per la
prima
volte lo disse credendoci davvero. Quando ormai non c’era
altro contro cui
lottare, quando ogni scelta infine era stata accettata come obbligata e
presa
come tale. Senza armi di difesa, senza possibilità di
vincere alcuna partita,
forse valeva la pena dire la verità, ammettere i propri
sbagli e le segrete
incapacità, ora tanto palesi.
Draco la
guardò
senza dire niente, perché niente c’era da dire.
La
verità poi
era anche un’altra.
Era che la
desiderava ancora e che non concepiva l’idea che qualcun
altro potesse
toccarla, accarezzarla, spogliarla, baciarla, come lui aveva potuto
fare. La voleva
ancora per sé, era ancora convinto di meritarla
più di altri, di essere l’unico
a conoscere parti di lei che a chiunque altro mai sarebbero state
né svelate né
concesse.
Come lui
l’avrebbe toccata nessun altro avrebbe saputo fare.
Erano i suoi
occhi
quelli che avevano diritto di guardarla, sapendo dove e come leggere.
Non ci
sarebbe stato bisogno di parole, come con Astoria, che parlava in
continuazione, di tutto, che a lui sembrava niente. Era sordo alle
parole di
sua moglie, quando invece il silenzio di Pansy, come in quel momento,
era molto
più eloquente e aveva un suono, faceva rumore.
Gli diceva
che
non voleva sposarsi, che la situazione era sfuggita di mano anche a
lei, che lo
desiderava, oh se lo desiderava, che tutto quello per cui si era
concessa di
sperare alla fine di quella guerra, era stato ritrovarlo e averlo un
po’ per sé
se non per sempre.
Non
c’era molto
altro che la vita potesse offrire a gente come loro.
Avevano
già
avuto tutto ciò che era inutile, e mai ricevuto quello di
cui avevano bisogno.
Non
c’era
consolazione che il mondo potesse concedere loro se non la reciproca
presenza.
Era
impossibile
da spiegare a terzi e qualcosa che loro stessi avevano accettato con
difficoltà, ma alla fine era in quel modo che andavano le
cose.
Non
c’era una
via di fuga certa e sicura, il tradimento era sempre l’ombra
dei loro passi.
Era tutto
lì,
non c’era altro da aggiungere, né bugie da
perpetrare inutilmente.
Quello che
li
spaventava tanto era il bisogno reciproco così intenso e la
consapevolezza di
essere altrettanto necessari per l’altro. Tanto da svegliarsi
accanto ad
estranei, vivere una vita non propria perché condivisa con
le persone
sbagliate.
Agli incubi
ereditati dalla guerra si alternavano per entrambi quelli che loro
stessi si erano
inflitti, stando lontani. Al risveglio c’era sempre quella
sensazione di
incongruità, il sentirsi in una terra straniera, in vestiti
scomodi di una
taglia troppo piccola per contenere tutti i loro desideri.
Se mi guardi in quel modo è peggio,
fallo, fallo
e basta.
La
baciò e nel
farlo ritrovò consistenza e misura di sé.
Le sue
labbra
erano calde e morbide, avevano un sapore già conosciuto ma
di cui non avrebbe
saputo avere abbastanza. Si schiusero al suo bacio e lo accolsero per
tutto
quello che era e che non sarebbe potuto essere: giusto ed eterno.
Draco
avrebbe
voluto prometterle molto altro, oltre al giuramento di quel sentimento
che
aveva per lei, ma sapeva che lei non gli avrebbe creduto e che non era
giusto
per loro stessi concedersi altre illusioni.
La
baciò ancora
e ancora, affondando nella sua bocca e toccandola di nuovo.
Tuffò le mani tra i
suoi capelli, le dita sciolsero il complicato gioco di incastri e
forcine che
li tenevano legati con una naturalezza che le strappò il
cuore. Le mani di
Draco erano fredde ed esperte di lei. Accarezzarono le sue curve,
insinuandosi
sotto il vestito, sotto il mantello di impassibilità in cui
lei si era nascosta
per quegli anni in cui era stata di un altro.
Rabbrividì
all’abbraccio in cui la strinse, le proprie mani esili
tornarono padrone di
luoghi che erano già stati suoi; nella frenesia con cui
ripercorsero i sentieri
della sua pelle le sembrò di recuperare la strada di casa.
●●●
«Vado
a cercare
Pansy».
Millicent
depositò il quarto calice della serata, leggermente
instabile sui tacchi alti
delle decolleté.
«Io
non lo
farei» sibilò Blaise, serrando le dita della sua
mano contro la spalla di
Millicent, perché non cadesse rovinosamente sul pavimento.
Il gesto
ebbe su
di lei l’effetto di un quinto calice di champagne, ma Blaise
finse con
signorilità e un certo spirito di preservazione di non
averlo notato, e si
limitò a lasciare la presa appena in tempo perché
lei non cercasse di
concupirlo in presenza di tutta la Londra magica, o si inginocchiasse
ai suoi
piedi proponendogli un matrimonio riparatore di quello che di certo
sarebbe
fallito a breve tra Pansy e Theodore.
Millicent
cancellò la delusione per la fugacità del
contatto ma il risultato fu un
broncio piuttosto comico e molto poco erotico.
«Ma
tra poco è
il suo grande momento».
Obiettò
mentre
la sua vista sbiadiva leggermente sui movimenti nervosi di Theodore.
Blaise
ammirò il
riflesso del proprio sorriso sul marmo bianco del pavimento.
«No Millicent, credo che adesso sia il suo grande momento».
What’s next
«Pans, il tuo grande momento è
già finito?»
«Qualcuno direbbe che è appena
iniziato,
Milli»
“Sembrava una corsa contro il tempo che
nessuno dei due aveva voglia di vincere”.
Thanking…
sweetchiara: La Rowling deve al suo pubblico un lungo elenco di spiegazioni u.u Astoria è un po’ vittima delle circostanze, di certo fossi stata al suo posto non avrei mai sposato un Malfoy senza essere certa che mi volesse un po’ di bene XD Già sono una piaga quando si parla di emozionalità e dimostrazioni di sentimento, figuriamoci quando non c’è! XD / Leonard Cohen è nell’elenco di voci che venero XD insieme alla voce di Jim Morrison e Janis Joplin *_*
valy88: Oh ne sono lieta! *___* Infondo nel tunnel si sta bene, a parte il finale del settimo libro che ha un po’ rovinato l’atmosfera di festa u.u Sì il ricevimento ha preso due capitoli meritava di essere trattato in più dettagli data l’entità catastrofica XD Grazie per i complimenti =)
Entreri: Dispiace anche a me per Theodore, di fondo non credo che se lo meriti u.u Mi sento anche un po’ in colpa; ma avrà anche lui piccole soddisfazioni nella vita, d’altra parte ha avuto un istinto un po’ suicida a proporre un matrimonio addirittura! Al prossimo capitolo e grazie J
Kaho_chan: *sine verba ringrazia cercandone
qualcuna* Era l’impressione che volevo trapelasse,
l’inscindibilità del loro
legame, ostacolato ma difficile da recidere del tutto. Gli Slytherin
sono un
mondo un po’ a parte, ma sono sempre stata incuriosita dal
loro codice di
regole segreto, ho il vizio di ficcare il naso dove forse non andrebbe
messo XD
Grazie ancora *.* sul serio.