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Autore: Sunshiner    17/01/2009    11 recensioni
Ci sono dettagli che condizionano il futuro delle persone. La vita di un uomo si sdoppia a un incrocio, di notte, mentre la sua moto corre nella pioggia. Accelerare o frenare? Sono dettagli, ma uno o l'altro portano su due diverse strade. N.B. Ho approfondito la tematica di Genius has side effects, di cui troverete degli stralci inseriti in questa storia.
Genere: Drammatico, Suspence, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Greg House, James Wilson, Lisa Cuddy
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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L’Effetto Farfalla


La tensione delle corde contro la pelle. Quel legno dai colori caldi. La musica. Le sue dita che volteggiavano tra gli accordi.

Non poteva aspettare oltre.

Se avesse atteso anche solo un altro minuto, la cosa dentro di lui l’avrebbe fermato, e per sempre. Corse fuori nel vento di novembre, la pioggia fine gli tagliava il viso, il buio nascondeva la sua espressione terrorizzata.


Lui feriva la gente. Manipolava le relazioni, anziché maneggiarle delicatamente. Non sapeva dire l’amore con parole comprensibili.

Lui era infelice e rendeva infelici gli altri con quelle sue verità da rivelare come oracoli. Non era l’uomo adatto. Per nessuno. Non era la persona adatta. Non era nato per il mondo reale, perché nel tentativo costante di sconfiggerne il brutto, l’ingiusto, il grigio, l’errore, aveva finito per caricarsene l’intero peso. Un carico troppo pesante per le spalle di un uomo, quello dell’infelicità.

Era venuto, lo sapeva, il momento di dare un po’ del suo male a qualcuno che l’avrebbe accolto e diviso con lui. Qualcuno che avrebbe scartato la sua inadeguatezza come si fa con un regalo. E dentro vi avrebbe trovato una fiamma vivida come quella del sole all’aurora.

Montò in sella alla sua moto e partì nella pioggia, lasciandosi alle spalle la solitudine che lo inseguiva. Correva via, lontano dai suoi personali fantasmi dolorosi, e sperava, senza saperlo, senza volerci credere, che quella corsa lo portasse verso giornate più limpide, che trasformasse le sue tempeste devastatrici in acquazzoni estivi.

Si scivolava.

Nell’asfalto lucido si riflettevano i lampioni e le insegne, ma era notte fonda e non c’erano auto in giro. Filava veloce nella pioggia, tra incroci e semafori, sulla strada che aveva percorso tante volte, quasi sempre con una diagnosi che gli vorticava nella mente e il brivido che lo stuzzicava poco prima di vedere lei, per rivelarle un’idea nuova, in piedi sulla soglia. Come aveva fatto in quella notte assurdamente diversa dalle altre, quando la consapevolezza di amarla si era conficcata in quella sua mente complicata. Quando aveva condiviso il dolore di lei con un bacio senza spiegazioni. Ed era passato tanto tempo ormai.


Era così coinvolto in uno dei rari e preziosi momenti di irrazionalità della propria vita, che non vide la Land Rover alla sua sinistra tagliare l’incrocio veloce come un lampo.

E fu un lampo. Non sentì neppure l’urto, l’asfalto bagnato...


Si svegliò mentre il primo raggio di sole del mattino penetrava attraverso la fessura di una persiana, nella propria camera da letto. Si svegliò con una fitta nella coscia destra. La fitta.

Erano solo le 7.

Il Vicodin era sul comodino di sinistra. Spense a tastoni la radiosveglia e trovò il tubetto color ambra. Un paio di pillole e una doccia, poi la corsa verso il Princeton Plainsboro, nel pallido sole autunnale che aveva seguito quella notte di pioggia e incubi.


Le porte scorrevoli del Princeton Plainsboro sibilarono e lo lasciarono passare.

– Cosa ti porta qui alle 8? Non arrivi mai prima delle 10. Hai un caso–

– Buon giorno, raggio di sole – e fece per sfuggirle.

Lei lo bloccò vicino all’accettazione, le spalle al banco.

– Maschio, trentacinque anni, è arrivato stanotte al Pronto Soccorso con... –

House cercò di scartare lateralmente.

Lei gli afferrò il braccio sinistro.

– ...con dolori assimilabili all’artrite... –

Lui scartò dall’altro lato. L’ascensore era così vicino.

Maledettamente vicino.

– ...in ogni singola articolazione. –

Si voltò.

– Dammi quella cartella –

Era così bella, quella mattina. Così luminosa, così diversa da quel miraggio tristemente lontano che aveva visto attraverso la pioggia, nel suo incubo.

– Oh, non ancora! –

– Cuddy, la cartella... –

– Beh, forse c’è qualcosa che potresti fare per me, e allora forse...–

Era riuscito a chiamare l’ascensore con la punta del bastone. Adesso lui era dentro e lei fuori. La porta scorrevole stava tra le loro mani che stringevano quel pezzo di cartone blu.

Fece per strapparle la cartella, in un ultimo tentativo: ottenne di avere entrambe con sé nell’ascensore. Le porte si chiusero.

– Il prossimo weekend si terrà il convegno annuale dei Decani di Medicina –

– Bello. Avrai almeno trenta cinquantenni ai tuoi piedi, hai già pensato a come organizzare i turni? –

Tirò la cartella. Lei la trattenne.

– No. Però ho pensato che tu quest’anno hai avuto alcuni casi parecchio interessanti. E serve un tema per il corso di aggiornamento di venerdì sera e sabato mattina –

– Oh, no. –

– Oh, sì... – lei si strinse al petto la cartella.

– Il venerdì sera esco –

– E con chi? –

– Con Wilson –

– Wilson il venerdì sera lo passa alla sala giochi di Pediatria. Da circa otto anni. Pessima idea mentirmi –

– Dammi quella cartella –

– Solo se “il dottor Gregory House presenzierà come relatore al convegno annuale dei Decani di Medicina della East Coast, che quest’anno sarà dedicato alla Diagnostica”. Decidi, devo far preparare i depliant entro mezzogiorno. –

– Donna di malaffare. –

E lei gli porse la cartella, uscendo dall’ascensore con un balzo di soddisfazione e voltandosi a guardarlo con quel sorriso, per poi scappare via al suono del cercapersone.

Era sempre così con lei. Era come litigare col sole per averne un raggio: tu cercavi di strappargli la nuvola e lui la tratteneva, poi finiva che facevate un patto; un po’ di sereno oggi, per un po’ di pioggia domani, o la settimana prossima.

Comunque aveva un caso.


– Buongiorno a tutti. – Gettò la solita giacca di pelle nera sulla sedia più vicina e colpì Kutner. Lanciò il casco a Tredici e lei pensò che era proprio un bastardo. Ma prese il casco quasi al volo: Foreman le gettò uno sguardo sollevato.

La cartella finì sul tavolo di vetro con un fruscio e Taub la aprì.

– Artrite migrante asimmetrica, astenia, perdita di capelli da circa due settimane... –

– Avvelenamento da radiazioni? – Per Kutner, che spuntò dalla giacca di House proprio in quel momento, era una certezza. Si liberò finalmente del giubbotto da moto del suo capo. – Gli avete chiesto dove lavora? –

– Fa il copilota per American Airlines, non è un tecnico di Chernobyl– fece House, cui la vista di Kutner sommerso nella sua giacca provocava ancora un certo risolino.

– Malattia del sonno africana. Magari è stato in quelle zone per lavoro... –

– Vola solo sulle linee nazionali: Boston, Wahington D. C., Miami... – Taub citava dalla cartella.

House intanto vagava pensieroso vicino alla finestra, lanciando ogni tanto uno sguardo al di là della balaustra, verso lo studio di Wilson, dove egli era intento a parlare con una paziente.

– The great imitator... – mormorava e passeggiava, sembrava perso in qualche labirinto mentale. Lo sguardo gli cadde sulla piccola libreria che teneva in studio. Vide un volume verde rilegato in pelle. – La malattia dai mille volti... –

Il team continuava a dibattere sul caso. Foreman stava preparando il caffè e non notò lo sguardo di House cadere su quel libro.

I cercapersone di tutti suonarono in quel preciso istante. Corsero fuori.

Quando l’infermiera, sconcertata, indicò loro la stanza del paziente, videro che era vuota.

Chiamarono Cuddy, che chiamò l’Accettazione, che allertò la Sicurezza. E in un attimo tutti cercavano un signore sui 35, dall’aria affaticata, magro e con chiazze di alopecia.


Chase aspettava Cameron in giardino: era martedì, e certe tradizioni non meritano il sacrificio sull’altare dell’abitudine. Invece della sua bionda principessa, Chase vide un uomo in camice da ospedale accasciarsi sulla panchina, al proprio fianco. Il paziente sembrava molto pensieroso e non disse una parola, restò semplicemente seduto col sole in faccia, gli occhi socchiusi.

– Signore, si sente bene? – dopotutto, erano ormai cinque minuti che l’uomo si trovava in quella posizione. E Chase ignorava che tutto l’ospedale fosse alla ricerca del suo silenzioso vicino. Cominciava, piuttosto, a chiedersi che fine avesse fatto Cameron.

– Signore? Sono un medico, si sente bene? –

L’uomo aveva ancora gli occhi socchiusi, ma sembrava del tutto perso. Chase gli sollecitò le retine con la piccola pila da taschino e capì che il paziente aveva in corso una crisi epilettica.

In quel momento arrivò Cameron, trafelata.

– Ma dove accidenti ti eri cacciato? House ha perso un paziente e tutto l’ospedale lo sta cercando! – Poi vide cosa stava facendo Chase.


In dieci minuti il paziente fu di nuovo in camera, dove Tredici dispose all’infermiera la somministrazione di benzodiazepine per tenere sotto controllo le crisi. Poi si ritrovarono tutti nello studio, con un nuovo sintomo.

– E’ sotto clonazepam, ha avuto un probabile disturbo da assenza e subito dopo una crisi in giardino, mentre era con Chase... – Taub ragguagliò House, l’unico che, ancora sdraiato sulla moquette, aveva beatamente ascoltato del fusion-jazz mentre almeno cinquanta persone cercavano il suo paziente.

– Che ci faceva Chase in giardino? – House si alzò e spense il giradischi.

– Che importa. Il paziente ha avuto una...–

– E’ martedì - Foreman tagliò corto e soddisfece appieno le aspettative di House sul suo conto. Sapeva che avrebbe risposto.

– L’avvelenamento da radiazioni può aver provocato la crisi epilettica. Magari non è la prima volta che gli capita: un’esposizione continuativa e prolungata a radiazioni elettromagnetiche potrebbe aver indotto i sintomi... –

– Kutner, per quanto tempo avrebbe dovuto essere stato esposto alle radiazioni? Riesci a immaginarlo? –

– Beh... la strumentazione di bordo dei velivoli, i vecchi monitor a catodo, magari vive vicino a un ripetitore della tv o all’antenna di una compagnia telefonica... –

– Ma parliamo di avvelenamento! E’ improbabile un’esposizione tanto prolungata... –

Intorno al primario di Diagnostica si era accesa una viva discussione diagnostica. Ma il suo sguardo continuava a posarsi quasi furtivamente sulla libreria.

– Foreman, se non hai un’idea produttiva puoi andare a casa del paziente e verificare se taglia il prato ogni domenica all’ombra di un’antenna telefonica. Portati Taub. –

– Ma se non hai nemmeno ascoltato quello che –

– Vai. –

Foreman e Taub uscirono.

– Se vive vicino ai cavi dell’alta tensione, l’intensità di campo può aver avuto un’azione irritativa sul sistema nervoso centrale... –

– E se fossero state le onde corte? L’alta frequenza provoca effetti termici, per l’assorbimento di radiazioni...però finora non pare averne sofferto –

Mentre Tredici e Kutner discutevano di radiofrequenze e forni a microonde, House andò a vedere il paziente.

Camminava rasente alla parete dell’ala Carnegie. Solo un’occhiata da fuori. Lui era sotto anticonvulsivi, non l’avrebbe nemmeno notato e non ci sarebbe stato alcun bisogno di parlare.

– Ehi. –

Non lei.

Non adesso, almeno.

– Che fai qui in giro? –

Era lei.

– Vado dal mio paziente –

– Non ti credo –

– Ok. – Fece per proseguire.

Lei gli corse di fronte.

– Da quando visiti i pazienti? Da quando vai da loro facendo il giro lungo? Da quando cammini contro le pareti? –

– Eviterò di rasentare i muri. A presto – e fece ancora qualche metro, prima di ritrovarsela davanti, di nuovo.

– Foreman e Taub sono appena usciti. So dove li hai mandati: avete una teoria. Quindi non credo che stessi andando dal paziente. Ho bisogno di te nel mio studio, adesso –

– Ah, donna. Sapevo che sarebbe venuto il momento –

– ...per parlare del congresso. Abbiamo un patto, noi –

– Verrò nel pomeriggio, adesso vado dal mio paziente –

– O vieni ora, o vai in clinica. C’è la sala d’aspetto piena. E io non ti credo –

E così, nessuno gli credeva. Andò in clinica.


Foreman lo salvò da una futura madre quasi a termine, che lamentava di aver avuto episodi di nausea durante il primo trimestre.

Vada a casa e prepari la cameretta. Può chiedere qualche consiglio alla dottoressa Cuddy. Mazeltov. –

E uscì, seguendo Foreman.

La destinazione era la stanza del paziente, che presentava un nuovo sintomo.

– Sembra una scottatura –

– Ha come... il segno degli occhiali da sole... –

– Guardate le guance, sembra proprio ustionato –

Era stato in giardino proprio quella mattina. Al sole.

– Ma è novembre, non siamo in spiaggia... –

– Tredici, è foto-sensibile –

– Sono radiazioni elettromagnetiche! Onde corte! E’ stata l’alta frequenza: l’effetto termico da assorbimento... –

Con l’esclamazione soddisfatta di chi ha indovinato, Kutner pose fine alla discussione dei colleghi, mentre House osservava, perplesso, la scena.

   
 
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