Innanzitutto,
scusatemi per l’enorme assenza dalle scene…faccio pena..scusate..è che
l’ispirazione mancava, lo studio incombeva e ho lasciato perdere questa storia
per un bel po’…ma adesso sono tornata! E stavolta non ci metterò i millenni prima
di aggiornare, lo prometto!
Un grazie
particolarissimo alla mia unica commentatrice, doddola93! Grazie
mille per tutto quello che mi hai detto nel tuo commento, mi hai dato davvero
un aiuto a ritrovare l’ispirazione e la voglia di continuare!
“Vieni
da me dopo scuola?”mi chiese Libby non appena prendemmo posto al nostro solito
tavolo nel laboratorio di Biologia.
Il
chiacchiericcio dei nostri compagni era un mormorio talmente fastidioso per il
mio mal di testa incalzante che fui quasi tentata di scappare in corridoio.
“Dio,
devono proprio parlare così tanto?” esclamai massaggiandomi le tempie e
sbattendo con noncuranza il quaderno sul ripiano del tavolo. ”Comunque non
posso venire da te. Vado a Port Angeles con i miei. Sai mia madre quanto tiene alle
gite in famglia e via dicendo.”
“Peccato,
avremmo potuto goderci il temporale insieme..rovistare fra le vecchie cose
della mia bisnonna in soffitta, cose così…”
“Libby,
le cose della tua bisnonna le conosciamo a memoria. Ci abbiamo passato 7 anni
con i gomiti immersi in quei vecchi bauli, non ne hai ancora abbastanza?”
“Per
la verità no, Jan.”
Alzai
gli occhi al cielo e iniziai a prendere appunti mentre il signor Banner
iniziava la sua spiegazione sull’anatomia cellulare.
Era
quasi impossibile trovare qualcosa di più noioso della Biologia, eppure
esisteva…il signor Banner che la spiega. Quello era il top nella hit parade
della Noia Mortale; dopo neanche 10 minuti di spiegazione, e dopo che mi ero
persa nei suoi discorsi circa 25 volte, avevo rinunciato a prendere appunti,
limitandomi a scarabocchiare cose senza senso ai bordi del quaderno.
Ci
misi qualche altro minuto per la verità per rendermi conto che forse del tutto
senza senso, quegli scarabocchi non lo erano affatto.
Sollevai
la penna dal foglio e sbarrai gli occhi sulla pagina di fronte a me. Una
miriade di lettere B, dalle forme più contorte, la ricopriva completamente.
Corrucciai
la fronte confusa, forse avevo toccato il punto di non ritorno, mancava davvero
poco e mi avrebbero internato.
B? Non conoscevo nemmeno
nessuno il cui nome iniziasse per B, e poi…come diamine avevo scritto? Ero
sicurissima di non essere capace di scrivere in quel modo così arzigogolato,
ricercato…antico era l’aggettivo forse più appropriato.
“Cos’ha
Edward?” Libby che mi sussurrava impercettibilmente all’orecchio mi fece
distogliere lo sguardo dal quaderno.
Mi
voltai due file più indietro e aggrottai le sopracciglia.
Edward
Cullen ed Isabella Swan erano compagni di banco, ma lui sembrava tutt’altro che
felice in proposito. Stringeva convulsamente il pugno sulla sua gamba sinistra,
come se fosse sul punto di esplodere da un momento all’altro.
“Neanche
mi ero accorta che la nuova ragazza fosse nella nostra classe. Banner non ce
l’ha presentata…” mi limitai a commentare.
“…Dio
che faccia che ha Edward…” aggiunsi poi.
“L’avevo
detto che sarebbe successo. “ esclamò Libby continuando a sussurrare,
nonostante la nota di un’eccitazione palpabile le colorasse la voce. “La sua
parte aliena sta prendendo il sopravvento. La copertura sta per saltare Jan, e
noi saremo testimoni! Dio, devo prendere appunti!”
“Finiscila
stupida” le detti una gomitata e risi sottovoce.
“Non
trovi che sia affascinante? Cercare di trattenersi, di contrastare la propria
natura per non mettere in pericolo gli altri…”
Ok,
Libby era partita.
“Libby,
vuoi un consiglio? Metti tutte queste idee per iscritto e mandale al produttore
di Roswell. Sai quanto amavo quel telefilm, potresti scrivere un ottimo sequel
ed io ti sarei grata per la vita.”
“Non mi prendi sul serio Jan.”
“Ma come potrei?
Libby sbuffò e distolse lo sguardo dai nostri
compagni “Banner ci guarda…” e riprese a scrivere.
Trascorsi il resto della lezione con la testa
completamente sulle nuvole, quella
giornata era cominciata completamente distorta e man mano che andava avanti si
faceva sempre più difficile da sopportare.
Ci mancava solo che iniziassi a sentire le voci, e
poi tanto valeva che andassi a rinchiudermi in un manicomio con le mie stesse
mani.
Mai fui più contenta, perciò, di udire il suono della
campanella, che mi fece sbatacchiare il quaderno dentro lo zaino nel più
repentino dei modi.
Per fortuna avevo un’ora libera adesso che avrei
sicuramente impiegato in
biblioteca per portarmi avanti nella lettura di Dubliners
di James Joyce, uno dei miei scrittori preferiti.
Quando richiusi lo zaino e alzai gli occhi per
guardarmi attorno, notai che Libby e Mike Newton erano al tavolo di Isabella
Swan.
Edward si era volatilizzato, invece.
Chissà perché, la cosa non mi stupì affatto.
Oddio, Mike iniziava già con i suoi patetici
tentativi da
“Sono-un-bravo-ragazzo-di-me-ti-puoi-fidare-non-voglio-portarti-a-letto” per
accattivarsi le simpatie della nuova arrivata, e per l’ennesima volta mi chiesi
cosa avessero i maschi al posto del cervello da non permettergli di notare che
trucchi del genere con ragazze come Isabella Swan erano tutt’altro che
vincenti.
“Serve aiuto per trovare la prossima lezione?” gli
sentii dire non appena mi avvicinai al gruppetto, e l’espressione che
accompagnava tale domanda avrebbe fatto venire la nausea a chiunque.
“Parti già all’attacco Mike?” intervenni io a quel
punto, sorridendo leggermente.
“Ciao, sono Janine” aggiunsi poi, tendendo una mano
ad Isabella.
“Bella” mi rispose lei, stringendomi la mano e
sorridendomi, decisamente sollevata da quell’interruzione.
“Comunque devo andare in palestra, credo di
potercela fare”
“Allora facciamo la stessa strada” esclamò Libby,
rintrufolandosi nella conversazione.
“Spero per te che ti piaccia la pallavolo”
“Veramente la odio”
“Perfetto, ci intendiamo da subito Bella” continuò
Libby sistemandosi gli occhiali sul naso e strizzando gli occhi, un gesto che
faceva sempre quando era felice.
A quel punto, Mike ritornò all’attacco “Ci vado
anch’io” esclamò al colmo dell’entusiasmo, come se avesse ricevuto la più
grande notizia della sua vita.
Da dietro le sue spalle alzai gli occhi al cielo in
direzione di Bella e lei scoppiò a ridere di rimando, proprio mentre il diretto
interessato si voltava per vedere cosa stava succedendo.
“Allora ci vediamo ragazzi” mi affrettai ad
esclamare, e zaino in spalla uscii dall’aula.
Il corridoio era semi deserto - immaginai che tutti
fossero già alle loro rispettive lezioni - e il troppo silenzio che vi regnava
mi stimolava pensieri di cui avrei fatto volentieri a meno.
Chi era B?? Aveva a che fare con i miei
sogni ricorrenti? Forse quel passato tanto lontano e dimenticato stava tornando
lentamente a farmi visita, in una maniera molto più definitiva stavolta.
Magari stavo iniziando a ricordare.
Sospirai sconsolata, perché non potevo essere una
normale diciassettenne con problemi simili a quelli di tutti gli altri? L’acne
e i fidanzati sarebbero stati un prezzo da pagare decisamente più
accettabile per gli anni burrascosi
dell’adolescenza, rispetto a sogni inquietanti e sprazzi di memorie
completamente dimenticate.
“Ciao Janine” mi voltai di scatto al suono di una
voce talmente melodiosa, che per un secondo mi domandai se l’avessi udita
veramente.
“R…Rosalie” riuscii a balbettare confusa, alla
vista della ragazza probabilmente più perfetta su cui avessi mai posato gli
occhi.
Da quando Rosalie Hale mi salutava?
Anzi, da quando Rosalie Hale salutava qualcuno che
non fosse i suoi fratelli?
“Stai andando a studiare anche tu?” notai che
stringeva un libro tra le mani e mi sorrideva amichevolmente.
Credetti di sognare.
Stava davvero sorridendo a me in quel modo così
amichevole? La Regina delle Nevi, come era stata simpaticamente ribattezzata da
Chenille?
“Beh veramente non proprio…leggo e basta”
“Oh, io devo ripassare Spagnolo”
Mi tenne la porta della biblioteca aperta sempre
continuando a sorridere con quella perfetta inclinazione delle labbra carnose
che mi stava facendo sentire inadeguata ogni istante di più.
C’era decisamente qualcosa di sbagliato in tutto
ciò.
“Possiamo metterci lì” proseguì la mia deliziosa
compagna di studio, indicandomi un angolino appartato, con un dito diafano e
sottile.
Annuii stupidamente e seguii il suo incedere
leggiadro verso il piccolo tavolo di legno scuro.
Se qualcuno dei miei amici mi avesse vista in quel
momento, avrebbe stentato a credere ai propri occhi, del resto io stessa ero
abbastanza restia a credere che ciò stesse capitando effettivamente a me.
Comunque, decisi di fare finta di niente. Aprii il
mio libro e iniziai a leggere, tentando di ignorare l’incombente presenza di
Rosalie seduta di fronte a me in un modo che avrebbe fatto invidia a qualsiasi supermodella.
“Beh…” mi schiarii la voce dopo un po’, alzando gli
occhi dalle pagine e notando che Rosalie aveva lo sguardo fisso su di me, il
libro ancora chiuso.
“Non studi?”
“Già fatto, sono una lettrice veloce.”
“Ah…beh..io non ancora” e indicando con la testa il
mio libro, mi reimmersi nella lettura.
Non saprei dire quanto effettivamente passò prima
che la sua voce musicale tornasse a farmi distogliere l’attenzione dalle
vicende di Eveline e dalla sua decisione di non partire con il suo bel
marinaio.
“Non trovi anche tu che questa città faccia pena in
quanto a bei ragazzi?”
Alzai di nuovo lo sguardo su di lei, gli occhi
color topazio innaturalmente fissi. Per un attimo fui attraversata da un
brivido.
“Non saprei, Rosalie. I ragazzi non mi interessano
molto.”
Non battè ciglio.
“Poi tu hai Emmett, no? Ti assicuro che la quasi
totalità della popolazione femminile di questa scuola ti detesta per questo”.
Le sue labbra scolpite tornarono a sorridere “Già”
Più tempo passava, più mi convincevo dell’assurdità
della situazione.
“Hai detto che i ragazzi non ti interessano? Janine
non ci credo…ci dovrà pur essere qualcuno”
Sorrisi incredula. Adesso dovevo pure convincere
una completa sconosciuta della mia totale indifferenza verso il genere maschile
di Forks?
“Ti giuro. Tanto non starò a Forks per sempre. Non
ho bisogno di trovarmi un ragazzo.”
Il silenzio caddè nuovamente fra di noi, così
ripresi a leggere per l’ennesima volta.
Rosalie non mi interruppe più, e quella quiete
improvvisamente innaturale mi fece scivolare lentamente nel sonno.
“Nooooooooo!” il pavimento di
marmo era così duro da farmi sanguinare le ginocchia quando vi scivolai sopra allo
stremo delle forze.
In quel
momento non me ne importava niente del dolore fisico, non ora che il vuoto che
mi si era aperto nel petto mi stava trascinando verso un abisso dal quale
sapevo che difficilmente sarei riemersa.
“Nooooo!” aprii gli occhi spaventata e sconvolta, e
trovai la faccia preoccupata di Rosalie a un centimetro dalla mia.
“Va tutto bene? Ti sei addormentata e poi hai
cominciato a gridare”
Deglutii convulsamente e mi chinai a raccogliere il
libro, scivolatomi dalle ginocchia.
“E’ tutto a posto. Ho solo avuto un incubo, mi
capita spesso”
Per un attimo credetti di cogliere qualcosa nel suo
sguardo di miele, ma l’istante successivo, qualunque cosa fosse era scomparsa.
“E’ meglio che vada” mi alzai e senza aspettare una
sua risposta mi precipitai fuori.
Ero ancora agitata dalla nitidezza del sogno,
stavolta era stato così vivo, reale…e completamente diverso da tutti gli altri.
Non la smettevo di ansimare e mi fermai contro la
parete degli armadietti per prendere aria.
Il dolore che avevo provato in quel sogno era stato
così intenso che mi fece scoppiare a piangere.
Non avrei mai potuto credere che si potesse provare
un’ atrocità simile.
Dentro di me, qualcosa cominciò a risvegliarsi.