Storie originali > Drammatico
Segui la storia  |       
Autore: Relie Diadamat    05/07/2015    11 recensioni
Oliver Castro è un ex pianista newyorkese inceppato nel circolo vizioso della tossicodipendenza, cosa che ha determinato la rottura della sua storia d'amore più importante, quella con Laura Ferrari, una giovane americana di origini italiane che gli ha rubato il cuore fin dal primo momento.
Qualche anno dopo la loro rottura si presenta sulla soglia di casa Eleonora Ferrari, la sorella minore della bella Laura con appresso una piccola 'tutto pepe' di nome Marleen. La piccola si scopre essere la figlia del ancor giovane Castro, presa da lui in custodia fin quando Laura, ammalata, non guarirà. Ma le cose non sono proprio come Oliver crede...
«So che è in ottime mani.» la voce di Laura ebbe un’inflessione di tenerezza «Ti voglio bene, Eleonora.»
La bionda guardò fuori dal finestrino, il cellulare ancora contro il suo orecchio. Alzò un angolo della bocca, accennando un mezzo sorriso. Si era cacciata in una bruttissima situazione e per quanto il senno le ripetesse che stava sbagliando, non si sentì in grado di stoppare quella falsa.
«Anch’io.» rispose solamente, per poi sentire riagganciare.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
II. Un uomo distrutto
 


La notte arriva silenziosa alle porte del mondo. Scende piano, adombrando ogni cosa.
Anche quella sera, a new York, scese la notte; picchiò il volto barbuto di Oliver, sdraiato sul suo letto. L’uomo chiuse gli occhi, mentre una stella tremò nel cielo nero della Grande Mela.
Nell’altra stanza, quella in fondo al corridoio, dormiva una bambina dalle onde castane e gli occhi di topazio imperiale: Marleen. Sua figlia.
Com’era potuto succedere? Ringhiò a se stesso, comprendendo di scivolare nel baratro dei ricordi: non si era neanche fatto, quella sera!
 
 


8 anni prima…
 
 
 
«Clark mi ha dato buca, maledetto!»
Il volto arrabbiato del paffuto omone del locale, Grayson Acosta, era diventato un pomodoro in piena maturazione, crucciato come un cane famelico. «Quell’imbecille! Mi ha rovinato! Dove lo trovo, adesso, un pianista alle sei della sera?!»
«Ehi, Gray, no problem».
La voce festosa, sempre in vena di burla di Axel, s’intromise nella scena, insieme alla zazzera bionda del ragazzo. Lasciò due pacche sulle spalle di Grayson, prima di circondargliele con un braccio. «C’è qui il tuo amico Axel».
L’altro lo guardò in cagnesco. «Un Acosta non ha amici deficienti, Williams».
Gli occhi verdi del biondo brillarono nella luce soffusa del locale, in quel grigio venerdì sera. «Oh, andiamo Gray! Non puoi avercela con me, ancora per quella storia.»
«Non ce l’ho con te per quella storia, Axel. Che sei un idiota è un dato di fatto».
«Ad ogni modo, my friend, io ho la soluzione al tuo problema.»
Per la prima volta, Grayson gettò un’occhiata al ragazzino dagli occhi d’Atlantico, silenzioso e mansueto, al fianco di Axel.
«Oliver Castro», fece nota il biondo, posando la propria mano fredda sulla spalla del diciassettenne. «Il mago del pianoforte!»
«Axel, io…»
«Un prodigio di razza newyorkese», continuò il giovane, zittendolo con una pacca, sorridendo sornione a Grayson. «L’unica pecca è la modestia».
«Uhm.» Acosta lo scrutò bene, quasi stesse valutando l’autenticità di un quadro, guardandolo diffidente. «Spero che tu suoni meglio di come ti vesti».
Oliver annuì incerto, mezzo interdetto dall’insulto celato, poi sentì il braccio del suo amico circondargli le spalle. «Ci si può fidare di Oliver Castro», gli disse fiero, spostando i suoi occhi sul ragazzo. «Io gli affiderei la mia vita».
E fu così che, convinto dalle parole di un giovane incosciente, Grayson Acosta distolse lo sguardo da Oliver Castro, liquidandolo con un gesto distratto della mano, che per lui valeva come una stipulazione di un contratto.
 
 
 
 
«Sei sicuro che sappia suonare quel coso?»
Grayson, il solito diffidente, aveva consentito ad Oliver Castro di armeggiare col pianoforte del locale, osservandolo dal bancone con un cipiglio scettico.
«Calma, Grayson, no problem», recitò il biondo, dopo essersi scolato la sua birra tedesca. «Sta familiarizzando».
«A me, sembra uno che ha visto per la prima volta una tastiera d’avorio».
Oliver si era seduto al pianoforte, osservandolo in silenzio. Con le mani, aveva sfiorato delicato i tasti bianchi, quasi carezzandoli. Proprio come aveva detto Axel, Oliver stava facendo amicizia con lo strumento. Chiunque sano di mente lo avrebbe allontanato da lì.
Il biondo, seduto malamente sul suo sgabello, aveva inchiodato i suoi occhi magnetici sul ragazzo, portandosi lentamente la bottiglia di vetro verde alla bocca. «Aspetta solo…»
La mano fredda e affusolata di Oliver pigiò un tasto d’avorio, dando il via ad una catena di note ipnotiche, quasi ammaliatrici. Scivolava con facilità da una parte all’altra della testiera, quasi gli riuscisse naturale.
In quel momento, il mondo si fermò; c’erano solo loro: il ragazzo dagli occhi d’Atlantico e quel pianoforte di un locale notturno di New York.
Axel sorrise orgoglioso, dietro il vetro della sua bottiglia. Grayson impiegò qualche secondo per chiudere la bocca e concentrarsi sul suo lavoro.
 
 
 
 
2015, ore 2.40
 
 
 
La porta della sua stanza si spalancò, senza svegliarlo. Oliver era miracolosamente sprofondato tra le braccia di Morfeo, serrando con le palpebre due fette d’oceano.
Dei passi delicati s’incamminarono, forse incerti, accanto al materasso; i piedi nudi rimasero ancorati al pavimento, mentre una manina sudata afferrò il lembo della t-shirt dell’uomo, scuotendola.
Ricevette solo un ringhio come risposta, ma la piccola non si scompose: c’erano dei dannati mostri sotto il suo lettino, maledizione!
Così, Marleen si morse il labbro inferiore, scuotendo ancora il padre.
Quando gli occhi di Oliver si riaprirono, gli ci volle un po’ per far combaciare alla figura esile e spettinata – e fastidiosa -, quella di “piccola-marmocchia-appena-conosciuta: figlia”.
Finse di non essersi spaventato, rimanendo con la pancia ed il torace schiacciati contro il materasso, brontolando da dietro la stoffa bianca del suo cuscino: «Che vuoi?»
«Ci sono dei mostri nella mia stanza!»
Oliver sollevò un sopracciglio, guardandola come se fosse pazza. «Hai toccato ancora quelle siringhe?», volle informarsi.
«No!», lo rimproverò imbronciata la piccola, incrociando le braccia al petto. «Ci sono i mostri», rimarcò ancora, sperando si essere ascoltata.
L’altro la guardò interdetto per qualche secondo, per poi richiudere gli occhi e voltarsi dall’altro lato. «Allora sparisci».
La bimba, offesa, batté un piede a terra, senza ricevere attenzioni.
Oliver sentì Morfeo cingerlo con le sue braccia, fin quando non avvertì il materasso riabbassarsi, e la rete metallica fare rumore. Aprì di scatto gli occhi azzurri, sentendo la schiena di Marleen contro la sua.
«Cosa diamine stai facendo?», chiese accigliato.
«La mamma dice i mostri non attaccano mai il lettone!», spiegò secca la piccola, avvinghiandosi al cuscino dell’uomo, tirandoselo a sé.
Oliver sospirò, alzando gli occhi al cielo. «Tua madre non ti dice mai che non si dorme nel letto di uno sconosciuto?»
«Non sei uno sconosciuto», lo rimbeccò lei, tirandosi le coperte di lino dalla sua parte. «Sei il mio papà.».
Il moro rimase azzittito, fermo nella sua posizione. «Va bene», sbuffò, «ma solo per questa volta».
Ci fu un attimo di silenzio, poi il padre si tirò a sé il lenzuolo.
 
 
 


New York… Quanto l’era mancata!
Respirò a pieni polmoni l’aria mattutina americana, ad occhi chiusi.
Ci era praticamente cresciuta in quella parte del mondo e ritrovarvisi era stato come aprire un vecchio diario delle medie.
Aveva preso la sua decisione, anche se titubante, e non poteva – o meglio, voleva – tirarsi indietro.
Eleonora aveva raccolto i suoi capelli dorati in una coda sbrigativa, difendendosi dal caldo afoso di New York.
Prendere il bus era stato anche più divertente: quei cinque anni lontana dalla sua America le avevano chiuso lo spirito newyorkese nello stomaco e, man mano, si stava risvegliando.
Scese alla terza fermata – seguita da una decina di persone -, per poi incamminarsi alla sua destra.
L’era mancata. New York le era mancata tanto.
«Non ci posso credere!».
Gli occhi scuri della donna brillarono come due diamanti alla vista della figura snella della bionda, entrata nel pub.
Eleonora aveva deciso di farsi un giro per la città, ritrovandosi, quasi distrattamente, accanto al locale di suo zio, quello che le aveva segnato la sua giovane vita…
«Eleonora!», trillò la donna sulla cinquantina, bloccandola nel suo abbraccio. «Sembrano secoli!»
La giovane rise lievemente, ricambiando goffa la stretta dell’altra. «Ciao, zia».
Anika Acosta – o meglio, Allen – era una donnona dalle forme di una brocca di vetro, abbellita da un cespuglio color carota e due occhi castani.
Si scostò dall’abbraccio, posando una mano callosa sulla guancia della nipote. «Sei diventata una donna stupenda».
Eleonora sorrise impacciata, arrossendo un po’, prima che la voce burbera dello zio la richiamasse: «La piccola Ferrari», l’appello, andandole vicino. «E’ quello riaverti qui.»
«Già».
«Dopo Axel, la rottura tra Oliver e Laura…»
«Sono cambiate molte cose, zio.»
Stavolta fu il turno di Grayson Acosta di abbassare lo sguardo e la voce. «Già.»
«Basta perdersi in questi discorsi!», s’intromise la donna, sventolando una mano nell’aria. «Piuttosto… Come sta la mia stellina Marleen?»
«Bene!» squittì la bionda, presa alla sprovvista, per poi deviare subito il discorso su un altro argomento. «Avete sentito la mamma?»
«Sì», rispose Anika, «mia sorella mi ha parlato della partenza di Laura, ma non mi aveva parlato della tua visita».
«Beh, sono tornata», disse decisa, lasciando scivolare le braccia lungo i fianchi. «Ho deciso di ricominciare da New York.»
Un sorriso mal contenuto allungò vistosamente le labbra sottili della zia, mentre un lampo di gioia balenò negli occhi di Grayson.
«Ma è stupendo, ‘Nora!», continuò la donna, dietro il suo cespuglio arancio. «Questa… Questa sì, che è una bella sorpresa!».
Lo zio, Grayson Acosta, si staccò dal bancone del suo pub, quasi consolato da quella notizia: erano successe troppe cose in quegli ultimi sei anni; sapere sua nipote di nuovo a casa – perché per Grayson era quella casa sua -, lo rendeva felice.
Due fossette comparvero sulle guance della bionda, mentre raggiante – e metà timida – spiegava ai suoi zii: «Pensavo di cominciare in un ristornante italiano… Ma so che è difficile».
«Sciocchezze!», mise lì la coniuge Acosta. «Non c’è niente che una Allen non possa fare!»
«Ferrari, zia…»
Anika, sorella minore della bella Melaine Allen, era un urgano; bassina e rotonda, sua zia aveva un carattere forte e colorato, tanto da volere mantenere il proprio cognome, dopo il matrimonio.
«Marleen? E’ rimasta dalla nonna?»
«No.» rispose sincera lei, con un sorriso incerto. «E’… col padre».
Il sorriso svanì dal viso dei due coniugi, andando a sostituirsi con facce pallide e preoccupate.
«Cosa?!»
Fu il vecchio Acosta a parlare per primo, perentorio con la sua barba grigia. «Tu… Hai affidato la piccola ad Oliver?!»
La bionda abbassò gli occhi scuri sul pavimento in mattonelle, stringendo forte la cinghia della sua borsa. «E’ suo padre», si giustificò lei, alzando lo sguardo.
«No», la rimproverò l’uomo, dandole le spalle. «E’ un uomo distrutto. Solo quello».











 
Angolo Autrice:
Salve!
L'estate mi ha dato alla testa, così ho deciso di riprendere questa mia originale tra le mani. Spero possa piacervi e vi devo davvero un grazie di cuore per aver creduto in questa storia, sin dal primo capitolo.
Vi lascio, sperando che anche questo capitolo sia di vostro gradimento e che mi lascerete i vostri pareri.
Grazie ancora.
Alla prossima!
   
 
Leggi le 11 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Relie Diadamat