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Autore: Koa__    18/07/2015    3 recensioni
L'animo umano è di difficile comprensione, John, quello di Sherlock Holmes lo è ancora di più. La verità, però, è che nessuno ha mai compreso per davvero mio fratello, né lei, né io, né nessun altro. Rassegnamoci al destino che ci è toccato, dottore e proviamo a vivere degnamente la vita che ci spetta. Questo è il solo modo affinché Sherlock sia sereno. Sacrificarsi per lui non è nulla se non un dovere.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incest, Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Prigione di seta'
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Parte terza



Toccare il fondo e non risalire. Non provarci nemmeno, ma quasi mettersi a scavare e rosicchiare terreno così da poter sprofondare ancora di più. Perché credevi di aver raggiunto le più bieche bassezze e pertanto di non poter fare altro se non riemergere, ma evidentemente non era così. Il viscidume di cui sei impregnato non deve averti lasciato. No, non sei un illuso. Sei sempre stato conscio del fatto che quella con Sherlock fosse una relazione contro natura, che la società vi considerasse come sbagliati. Perché è ciò che siete. Tuttavia avevi fatto della serenità di tuo fratello una vera e propria missione. Sei rimasto con lui perché te lo ha chiesto, per accontentarlo così da renderlo il più sereno possibile, non ti preoccupavi di altro. Nel tempo che è intercorso tra la decisione di non lasciarlo di nuovo ed oggi, sono trascorsi diversi mesi. È stato un lungo periodo durante il quale ti sei occupato personalmente di vari aspetti della vita di Sherlock, talvolta semplicemente portandolo fuori per cena o magari affidandogli un qualche caso che potesse considerare come interessante. Una sera lo hai persino accompagnato sulla scena di un crimine, anche se è stata un’eccezione, un episodio che di sicuro non si ripeterà un seconda volta. Durante l’appostamento che ne è seguito, infatti, hai compreso per davvero che quella vita frenetica non fa per te. Tu non sei mai stato un uomo d’azione, hai fatto della passività il tuo stile di vita e il tuo solo modo di operare è stando seduto in poltrona. Di te funziona unicamente il cervello, null’altro. Ovviamente, ti sei interrogato spesso riguardo ciò che stessi per davvero facendo e sei certo di aver compiuto un lavoro discreto. Anche se i tuoi sforzi non ti renderanno una persona migliore, né accettabile agli occhi del mondo, perlomeno senti che la tua esistenza non è stata del tutto inutile.

È con questa opinione di te stesso, incredibilmente non troppo negativa, che sei giunto a Baker Street questa mattina. È un soleggiato giorno di settembre e il Big Ben ha appena battuto le nove, quando ti ritrovi a picchiettare il manico dell’ombrello contro il portone del 221b. Non fai caso all’auto nera che ti ha condotto qui e che adesso sfreccia nel traffico londinese, no tu badi solo a ciò che ti sta aspettando lassù, in quel secondo piano che così troppo bene conosci. Sospiri di disappunto, appena ti rendi conto che Mrs Hudson non dev’essere in casa, pertanto eviti di perdere altro tempo ed estrai dalla tasca l’astuccio in pelle finemente decorato, dove tieni le chiavi. E mentre la porta si richiude alle tue spalle con un tonfo leggero, un barlume – rapido come un lampo – ti attraversa la mente. Ti capita spesso, in effetti, di ripensare alla notte in cui tornasti da lui dopo giorni di non vedersi. Il giorno in cui cambiò tutto, quando Sherlock ti chiese di restare. Ancora rivivi il momento, tanto che l’emozione e la paura che provasti salendo quei maledetti diciassette gradini, diventa adesso palpabile e vera. I ricordi di quella sera si fanno prepotenti, suscitano una fastidiosissima pelle d’oca che ti solletica la schiena mozzandoti il respiro. Tutto ti torna alla memoria, la sensazione di calore di quella casa disordinata, la camicia da notte di Mrs Hudson a fiorellini blu, il cono di luce che illuminava gli scalini… è forse a causa del tuo essere sommerso da quella infinita sequela di sensazioni, che ti ritrovi ad incedere con fare lento. Per assurdo non sei spaventato, più che altro sei carico di una malinconica consapevolezza. Perché ci hai pensato, questa notte, lo hai fatto a lungo e dopo tanto rimuginare sei giunto alla conclusione che non ci sia altra via d’uscita. Sai che sarà doloroso e difficile da accettare, ma sai anche che sarà la cosa giusta da fare e che, stando con John, Sherlock otterrà finalmente ciò che da anni desidera. In fondo non è la felicità di Sherlock, quello in cui dici di prodigarti da mesi? Sapevi benissimo che le serate a teatro e le notti insieme a leggere romanzi di Agatha Christie, non sarebbero servite poi a molto. E sei certo anche che questa sarà l’ultima occasione, se Sherlock e John non dovessero ritrovarsi adesso, probabilmente non accadrà mai più. Il problema sarà come parlarne a tuo fratello. Non discutete mai del dottore, né sai come e in che modo sia mutato il suo sentimento per lui. In effetti non ne hai mai avuto bisogno, tu sei la prova vivente che un sentimento potente può perdurare per anni, che l’amore può sobbollire nel subconscio e da lì riemergere d’improvviso e, più forte di prima, soffocarti.


Si può amare una persona finché si ha vita.


Ed è con questa frase che ti passeggia per la mente, che varchi la soglia della cucina, laddove lo hai intravisto, trovandoti quasi d’improvviso di fronte ad un giovane Holmes seduto al tavolo. Se ne sta chino al microscopio, indossa grandi occhiali da laboratorio e guanti in lattice ed ora ti osserva di sbieco. Un’occhiata e, al solito, già ti ha capito. Lo facevate anche quando eravate bambini, tentare di comprendervi in un istante, provare a dedurvi a vicenda in un frangente, un attimo che solitamente è troppo breve persino per formulare un pensiero.
«Mrs Hudson non c’è» sibili, fingendo indifferenza mentre agganci l’ombrello al braccio e ti siedi, con fare ovviamente elegante, ad uno di quegli scomodi seggioloni che Sherlock invece sembra prediligere per gli esperimenti.
«È domenica e Mrs Hudson è da sua sorella» afferma, annoiato «e comunque la mia risposta è: no.»
«Vorrei farti notare che non ho domandato nulla.»
«Andiamo…» sorride lui, occhieggiandoti un poco da dietro il microscopio «sono le nove del mattino e o sei qui per un caso di importanza nazionale, o sei qui per il sesso. Nella prima ipotesi: scordatelo, sono su un delitto interessante. Mentre per quanto riguarda la seconda proposta, non è di certo adesso il momento per pensare a queste cose. E poi non hai già una certa età? Delle volte mi sembri un ragazzino! Ripassa questa sera, per allora l’assassino sarà in cella ed io sarò sovraeccitato.» A sentire le sue parole, ti ritrovi a sorridere di sbieco. Di fronte a quello sproloquio, al suo fanciullesco e provocatorio modo di fare, non riesci a non stirare appena un poco le labbra. Subito però cambi espressione e il tuo divertimento svanisce, portato via da un’amarezza troppo marcata. C’è una profonda malinconia in te, che da ore si radica e s’attorciglia attorno a quel tuo cuore forse eccessivamente sensibile. È un’agitazione che non ti ha fatto dormire questa notte e che ti terrà sveglio ancora, ed ancora, ed ancora. Non sai per davvero come farai a vivere senza di lui, eppure ancora eviti di pensarci. Accantoni l’idea, dicendoti che affronterai la realtà soltanto quando arriverà il momento adatto. Sì, stai palesemente mentendo a te stesso, perché la verità è che hai già ipotizzato almeno sette diversi scenari di quella che sarà la tua vita da oggi in avanti. Nessuno è positivo. Nessuno è negativo. La tua esistenza sarà sospesa, come in un limbo, ma scandito da appuntamenti di lavoro e colloqui privati con la regina. Vivrai con l’apparenza che hai sempre mantenuto, quella fredda e distaccata, nessuno farà caso a te e a quanto diverso appaia Mr Holmes. Come potrebbero? Impossibile sarebbe vederti, barricato come sarai dentro la tua scintillante torre d’avorio, non permetterai a nessuno di poterne scorgere l’interno.


Perché lì sarà tutto vuoto.


Anche adesso, quindi, così come da ore non fai altro, eviti di pensarci. La sola differenza però, è che Sherlock è lì con te e pertanto non riesci ad agire in maniera del tutto lucida. Quindi ti rialzi e t’avvicini e poi, con una leggera pressione delle dita, distogli il suo volto dalle lenti del microscopio. Lui ora ti fissa, lo fa con occhi grandi e sgranati, gli stessi che ti riportano indietro, inevitabilmente, alla vostra prima notte insieme. Poi, piano, lo accarezzi. Lo fai con la sola punta del pollice, che ora sfrega contro lo zigomo prominente, in un gesto che ami fare e che suscita in Sherlock reazioni che anima viva avrà mai modo di apprezzare. Già, perché così come fa sempre, chiude gli occhi e si lascia andare a quel tocco gentile quasi fosse la cosa migliore che gli sia capitata in vita. La prima volta che lo hai sfiorato in quel modo, sei rimasto piacevolmente sorpreso da quel suo fuseggiare al pari di un gatto. Inutile sottolineare che ne sei rimasto compiaciuto, pertanto lo ripeti ogni volta che puoi. Tanto che trascorreresti ore in quel modo. E sì, è mentre formuli il pensiero che concepisci il fatto che non avrai più modo di toccarlo così, anche questa sarà una delle cose che ti mancherà.
«Mycroft!» La sua voce, seria e composta, ti rianima e soltanto allora ti rendi conto che non lo stai più toccando, ma che fissi il tavolo disordinato e mal organizzato con troppa insistenza. Hai la mente lontana, via ad ipotizzare quel così terribile prossimo futuro; e lui lo sa. Lo ha intuito dal primo istante in cui hai messo piede in casa sua. Lo capisce dalla sfumatura di ansia che pervade i tuoi occhi. Lo vede dalla piega innaturale delle tue labbra, piuttosto che dalla postura leggermente ricurva. Appari come l’uomo che eri mesi fa, prima che nascesse questo orribilmente bello “voi due”. Con una timidezza che tieni ben celata agli occhi del mondo, sollevi lo sguardo intento ad incrociare il suo. Adesso, Sherly è preoccupato perché legge dal tuo volto tirato che qualcosa è successo. Anzi, forse, già lo ha intuito. Ciononostante chiede, probabilmente vuole sentirselo dire o piuttosto gli manca il coraggio di rompere la bolla di sapone nella quale, da tempo, vi siete barricati. Chissà magari per proteggervi dal mondo, o da voi stessi.
«C’è una cosa di cui dobbiamo parlare, Sherly-Sherlock» concludi, correggendoti. Il fatto è che già non ti senti più in diritto di usare diminutivi, piuttosto che di chiamarlo come fate quando siete soltanto tra voi. Presto sarà tutto finito ed è più saggio per te se instauri subito una certa distanza. Quindi è facendo forza su te stesso, che torni ad essere rigido, che serri i pugni e ti ritrai, allontanandotene.
«Mamma e papà stanno bene? Oddio non staranno venendo qui, vero?» Stiri un sorriso sincero mentre te lo domanda, prima di affrettarti a negare.
«Loro stanno ottimamente, per quel che ne so si stanno godendo una crociera nei mari del nord. Purtroppo però, si tratta di una faccenda altrettanto complessa. È per John» mormori, chinando il capo ed evitando il suo sguardo per un breve istante. Poi però prendi coraggio, animato dal desiderio di mettere fine a tutto questo e di farlo il prima possibile, sollevi il volto e sei ben deciso a fronteggiarlo. È lì, quindi, che lo vedi. Scorgi il riflesso di un sentimento troppo potente per poter essere nascosto ancora a lungo. È un barlume leggero che accelera il suo battito cardiaco e gli dilata le pupille. In parte rivedi te stesso nella sua reazione, è il modo in cui reagisci tu quando pensi a Sherlock. Il fatto che sia John Watson a suscitare simili emozioni fa squisitamente male. Ma si tratta della verità e tu la devi accettare, in un modo o nell’altro lo dovrai fare, Mycroft perché sei anzitutto un uomo logico e razionale. Fai sì che, almeno stavolta, la ragione prevarichi i sentimenti. Non per il tuo bene, ma per quello di Sherlock Holmes.
«Io» torni a parlargli, poco più tardi, dopo aver recuperato una briciola di coraggio dal tuo animo sgangherato. «Credo che dovresti riconsiderare l’idea di riallacciare i rapporti con lui, e che sia il caso che tu ti decida ad accettare il fatto che potrebbe esserci un futuro romantico per voi» confessi, in un solo fiato che si conclude in un soffio appena percettibile. Un alito che ha i contorni del nome dell’uomo che ti sta per portare via quel fratello che, seppur contro natura, ami pazzamente.

Prevedibilmente, Sherlock si agita. La resa incondizionata non era una reazione che avevi considerato, ed infatti si alza con uno scatto violento. Lo sgabello barcolla pericolosamente, dopodiché finisce riverso sul pavimento. Sherlock getta via gli occhiali che ancora teneva infilati sopra la testa. Poi indietreggia, fino a scontrarsi con la porta chiusa del frigorifero e nel contempo ti guarda. Lo fa con occhi grandi e iridi sgranate, lo fa con un’agitazione incontrollata che gli fa tremare i riccioli e vibrare le labbra. Ha paura, perché un cambiamento tanto radicale nella vostra routine (nel vostro rapporto) non lo aveva previsto. Magari è proprio il fatto che sia stato tu a proporglielo, a sconvolgerlo.
«Tu» esclama, additandoti prima di prendere un profondo respiro «questo è impossibile e proprio tu vieni a dirmi una cosa del genere? Sei spaventato di nuovo, My? Hai ancora una delle tue ridicole crisi di coscienza? Il My degli ultimi mesi, il mio My, non mi verrebbe mai a chiedere di lasciarlo per inseguire l’impossibile.»
«I fatti sono cambiati.»
«Quali fatti? John è sposato e io scopo con te!» sbotta. Lo fa con rabbia e sbattendo un pugno sul tavolo, dal quale si rovesciano provette e piastre di petri. Alcune addirittura si sfracellano sul pavimento, rompendosi in mille pezzi. Eppure nessuno di voi ci fa caso. No, tu sei troppo deciso ad andare fino in fondo e lui è così sconvolto e impaurito, che non bada a nient’altro che non sia tu.

E in un attimo, con lo stridere nervoso dei vetri che sfregano contro le piastrelle, schiacciati dalla suola delle tue pregiate scarpe di cuoio, il mondo sembra fermarsi. Voi due, con il vibrare incessante del grosso frigorifero ed il pesante respirare di Sherlock; ecco che proprio lì, tutto quanto assume contorni differenti. È come se non foste più a Baker Street, ma sul tetto del Barts e tu fossi pronto a buttarti di sotto.
«Odio John Watson, Sherlock» esordisci, tentando in tutti i modi di trattenere il tripudio di emozioni che ti sconvolge la mente. «Lo odio con tutto me stesso e ti posso assicurare che se dovessi seguire il mio istinto, lo farei rinchiudere in una prigione e butterei la chiave. E nemmeno questo ripagherebbe tutto il male che ti ha fatto. Sono arrabbiato, perché quell’uomo aveva la possibilità di viverti alla luce del sole e non lo ha fatto. John non ha idea di quanto sia fortunato a poterti prendere per mano mentre passeggiate ad Hide Park. Non ha una cazzo di idea di cosa voglia dire doverti vivere in segreto. Lo odio, lo odio, odio e odio perché non si è neanche reso conto di ciò che provava lui stesso, anzi, ti ha buttato via e messo da parte. E confido nella tua intelligenza, così che tu possa credermi sul fatto che è così. Eppure, tutto ciò non significa niente. Quello che provo io non conta, perché per quanto ti ami e per quanto felice tu possa essere stato con me in questi mesi, non potrò mai darti quel che John ha da offrirti. Lui è venuto da me, al Diogenes club, qualche giorno fa. Le parole che ha detto… io gli ho chiesto di venire qui, questa mattina, così che possiate parlare.»
«Tu non avevi il diritto, tu… lui mi ha lasciato, My. Ha sposato un’altra e se n’è andato» sussurra e sì, le labbra gli tremano e nel contempo gli occhi si bagnano appena.
«Le persone si separano, Sherlock e cambiano la propria vita quando lo ritengono necessario. L’affido condiviso della bambina non sarebbe impossibile da ottenere, potremmo facilmente mediare con Mrs Watson. Di questo potrei occuparmene io mentre per quel che riguarda il matrimonio, non ci sarà nemmeno bisogno di un divorzio, dato che Mary Morstan non esiste, il loro matrimonio non vale.»
«Ma ti ascolti? Parli come se fosse soltanto una questione di pratiche da sbrigare. E poi quello che abbiamo noi non vale più? Dici di amarmi alla follia, ma nel frattempo ti struggi perché ti sei convinto che siamo sbagliati e alla prima lamentela sulla sua patetica e sciatta vita assieme a quella, mi scarichi e ti convinci che John mi ama pazzamente?» Decidi di sorvolare su buona parte di ciò che ha detto. Sherlock ha parlato preda della rabbia e non essendo lui troppo abituato a gestire le emozioni, quando ha paura fatica a controllarsi come dovrebbe. È raro sentirlo parlare in quel modo, succube di sentimenti tanto profondi. Eppure capita, specialmente se un certo dottore è coinvolto. Quando si ha a che fare con John, Sherlock perde completamente il lume della ragione. Ora infatti, ti pare proprio che le tue parole lo abbiano spaventato a morte. Teme di illudere sé stesso, di stimolare la sua già fervida immaginazione. Ha paura di sperare che ci sia ancora una possibilità e che il suo cuore si possa spezzare il mille pezzi, un’altra volta. È un rischio affidare tuo fratello a John Watson, ma è una scommessa che dovete fare, un passo azzardato che è necessario compiere.

Anche se… Di nuovo provi dolore. È un male che mozza il respiro e stringe lo stomaco in una morsa. Si tratta di un senso di nausea che ti serra la gola. Probabilmente vuoi vomitare, allo stesso tempo però non ti muovi e prendi a stringere con innaturale forza il manico dell’ombrello tanto che le nocche della tua mano sbiancano ed un fastidio inizia a pervaderti il braccio.
«Lui è infelice, Sherlock» mormori, a voce strozzata. Ti rendi conto di averlo spiazzato, non si aspettava di certo che ammettessi una cosa simile, però ora ne è sconvolto. Ed ha paura, sempre di più. Tanto che il terrore gli domina lo sguardo, annientando il pallido tentativo di controllarsi che sta effettuando su di sé. E intanto ti fissa. Non smette un solo momento di guardarti e più reggi il suo sguardo, più capisci che ti mancherà da morire.
«Me lo ha confessato» prosegui, sempre più certo e fermo sulle tue convinzioni, nonostante l’istinto ti dica di fare tutt’altro. Di prenderlo e scomparire dalla faccia della terra, per esempio. «E nemmeno ce ne sarebbe stato bisogno. Lui sa di aver commesso un errore, sa di non poter venir meno alla responsabilità che si è assunto nei confronti della bambina, ma è anche sicuro di non poter più vivere quella vita. Lui vuole te ed ora verrà qui, per riprenderti.»
«E tu… e io…» balbetta, Sherlock Holmes, balbetta ed inciampa nelle parole che accavalla l’una sull’altra in maniera incomprensibile. Arranca con fare scomposto e molto poco rigido. Non è serio e controllato, non è altezzoso e al tempo saccente. Assomiglia più che altro ad una matassa informe di sentimenti, un blob di emozioni indefinibili, da tanto sono complesse. Ancora spaurito ed insolitamente emotivo, prende a camminare per il salotto, fino a che non si ferma di fronte la finestra e guarda di sotto con aria ansiosa. Sherlock è sempre stato lento nell’assimilare i concetti, soprattutto se hanno a che vedere con i sentimenti. Non è la prima volta che appare agitato, la maschera raffigurate il composto caos che è solito portare, gli conferisce spesso quell’aria sconvolta e fuori di sé, che ora gli dipingono il volto. Niente però è mai vero. Non quanto lo è adesso. Le sceneggiate da prima donna, quando è preda della noia, non sono niente a confronto di quello che prova adesso. D’altra parte è così chiaro leggere il suo volto, che un sincero moto di commozione ti stringe il cuore. Le sue espressioni sono tirate e tese, le mani picchiettano freneticamente sul legno lavorato dello Stradivari che ha appena imbracciato e che strimpella, pizzicandone le corde, nel vano tentativo di calmarsi.

Poi, d’improvviso, quel frenetico agitarsi di mente e corpo, si quieta d’improvviso. E lui si ferma. Ed in una plateale svolazzata di vestaglia, Sherlock si volta. Ora c’è composta freddezza sul suo viso. Da dove sia uscita, tu proprio non lo sai. Sei certo che non si sia placato no, il suo Mind Palace è un tumulto agitato di sensazioni ed informazioni che sta tentando di mettere in ordine. Ma nonostante il caos emotivo, ti guarda e lo fa intensamente. Il suo è uno sguardo che ti inchioda, che ti mette all’angolo e in nome del quale potresti fare ogni cosa. Hai vissuto tutta la vita dicendo a te stesso che non riuscivi a dirgli di no, che hai obbedito ad ogni suo ordine a capo chino . Tuttavia, adesso sei ben deciso a non lascarti trascinare ed infatti, sorprendentemente lo precedi e in un attimo tutto cambia.
«Va tutto bene, Sherlock. Io starò bene.» La sua risposta non tarda ad arrivare e, naturalmente, non è quella che avevi preventivato. Le parole che pronuncia, stonano con la sicurezza che mostra e con la gelida fermezza delle sue espressioni. Stridono, con la durezza dei toni del viso, ma allo stesso tempo dilagano in quel fiume agitato che caratterizza il suo sguardo. Nei suoi occhi traspare tutto il tuo terrore, ogni paura, ogni parola non detta, ogni sentimento per John rinnegato, cacciato indietro e infine confessato, a te e a te soltanto. Perché di dirlo a John Watson, Sherlock ne ha sempre avuto paura. Ciò che ti confessa è quindi spiazzante e suscita in te un profondo moto di compassione, tanto che per assurdo la tua mente vola e riesuma un ricordo antico. Ci siete tu e tua nonna seduti nella cucina di casa vostra, ad aspettare. E poi c’è una porta che si apre ed un parlottio di fondo. Infine ci sono i suoi piccoli occhi che tra uno sbadiglio ed un gorgoglio, incrociano i tuoi. Quegli stessi occhi azzurri che hai davanti adesso, ti paiono esattamente come li vedesti per la prima volta, in quel lontano giorno di gennaio. Quel fagottino tra le braccia di una madre che non avevi mai visto così tanto sorridente, e che ancora adesso ti inchiodano tarpandoti il respiro.
«Io… non so cosa devo fare.» Stai per ribattere perché la risposta è banale quanto lo è ciò che ha detto. Le parole però ti muoiono sulle labbra, perché il campanello suona facendo sussultare entrambi. Lui si volta verso la finestra, lo fa con uno scatto rapido. Lo vedi inspirare profondamente quando si rende conto di chi sia.


Eccolo. Il momento. Inizia la tua fine, Mycroft.


«Devi semplicemente dirgli di sì.»
 


Continua
 


Prima di chiudere devo ringraziare Skinplease ed emerenziano che hanno recensito il precedente capitolo. Grazie perché probabilmente se non ci foste voi non credo che avrei postato nemmeno il secondo, di capitolo. Sì, è tutto un po’ deprimente e io sono un po’ tanto depressa, e anche il capitolo è depresso...
Koa
   
 
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