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Autore: Yahohel    20/07/2015    2 recensioni
Sequel de "Le mille stanze del Tardis"
Rose e il Dottore, dopo le fatidiche 24 ore in cui è tornato bambino, vanno alla scoperta del Tardis, aprendo porte ignari di ciò che troveranno dall'altra parte.
Quello che nasce come un gioco innocente si trasforma, però, in un confuso groviglio di sentimenti inespressi, pronti ad esplodere come una bomba ad orologeria.
I nostri eroi riusciranno ad aprire l'ultima porta?
Het!Ten/Rose
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 10, Rose Tyler
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quarto Capitolo

Il Dottore era tentato di afferrare il monitor con entrambe le mani e scuoterlo violentemente. L’unica cosa che lo trattenne dal farlo fu la consapevolezza di non avere possibilità di trovare Rose senza le indicazioni sullo schermo. Non gli andava di dover riparare una cosa distrutta in un momento di furia omicida, insomma.

La frustrazione, però, era ai massimi livelli. Era rimasto in quel tunnel dimensionale per secoli e proprio quando era riuscito a stabilire un contatto con Rose il Tardis era sgusciato fuori, interrompendo la comunicazione. Era stato talmente preso dalla ragazza da non accorgersi neanche delle vibrazioni degli urti contro le pareti dimensionali, pensò.

Non aveva tempo per abbattersi, comunque. Doveva riflettere, assemblare le poche informazioni che aveva cercando di ricostruire un quadro della situazione, prima che l’universo gli crollasse addosso. Metaforicamente, da un lato, ma fisicamente dall’altro poiché, se avesse perso Rose – si rifiutava di pensare ad un quando – avrebbe distrutto ogni galassia nel raggio di anni luce. Spense per un attimo la collera che cominciava a montargli dentro, azionando razionalmente il cervello.

Aveva detto di essere in un bosco.

Riflettendoci bene, questo era tutto ciò che sapeva. Ed era molto poco da cui partire. Anzi, era niente da cui partire.

Ma non si scoraggiò, e selezionò ogni singolo bosco presente nell’universo di ogni dimensione raggiungibile, in modo tale da visitarli tutti in rapida successione. Con una permanenza di qualche secondo avrebbe potuto stabilire la presenza o l’assenza di Rose in quel posto.

In situazioni normali non avrebbe perso l’occasione di attraversare alcune foreste nella lista, come La Laguna di Cipressi Capovolti, posto pericolosissimo a dire il vero, o il Bosco di Salici Lunari. Li avrebbe visitati tutti con la ragazza, decise. Sempre se avesse voluto viaggiare ancora con lui dopo quell’esperienza. Non l’avrebbe biasimata, se avesse deciso di tornare a condurre una vita normale con Jackie.

Sospirò, poi premette il pulsante di scorrimento veloce, spedendo il Tardis nel primo bosco sulla lista.

*

La connessione con il Dottore si era interrotta, lasciando nell’animo di Rose un groviglio di sensazioni contrastanti. La speranza che aveva provato al sentire la voce del Signore del Tempo, però, non era svanita, e la ragazza era un po’ meno sconfitta di fronte ad un destino di prigionia. Le pareti della gabbia, ad ogni modo, si erano, metaforicamente, ristrette quando aveva realizzato di essere inscatolata in una manciata di pixel ripetuti.

Sospirò. L’unica cosa che poteva fare al momento era aspettare il caratteristico suono della materializzazione del Tardis, ma potevano volerci ore, se non giorni. L’unica informazione che aveva dato al Dottore era quella di essere in un bosco, e se lo conosceva bene come pensava ora era alla ricerca di ogni singolo mucchio di alberi sulla faccia dell’universo.

Il problema era che lei poteva essere in ognuno di essi come in nessuno, considerando la particolarità degli tronchi che si ergevano intorno a lei.

Per l’ennesima volta provò a ristabilire il collegamento, urlando nella sua mente il nome del Dottore, ma anche questo tentativo fallì come i precedenti.

Frustrata, si appoggiò al fusto più comodamente, preparandosi ad una lunga attesa.

*

Immagini di rami e foglie si susseguivano davanti ai suoi occhi, ma il Dottore prestava attenzione soltanto al monitor del Tardis, che lampeggiava incessantemente la scritta NON TROVATA.

Stava cominciando a perdere le speranze. Cosa avrebbe fatto? Cosa avrebbe raccontato a Jackie per alleviare il suo dolore? Ma soprattutto, cosa avrebbe detto a se stesso per placare il proprio?

Sentiva di aver fallito. Le aveva promesso mondi magnifici da visitare, avventure e pericoli, ma di quelli che si affrontano con il sorriso sulle labbra, certi di uscirne vincitori. Ed ora, per colpa sua, Rose avrebbe passato il resto della sua breve vita murata in un bosco inesistente.

Perché, se quel posto fosse stato reale, nulla gli avrebbe impedito di sparire qui e apparire lì in un millisecondo, per stringerla tra le braccia e baciarla.

La ricerca pareva durare da secoli, tanto il suo animo era logorato da quell’attesa senza fine, quando la lista giunse al suo ultimo punto e il Tardis si fermò con un ronzio. Rose Tyler non era in nessun bosco. Aveva mappato l’intero universo, alla ricerca di una qualche dannata foresta, boschetto, macchia ombrosa, cespuglio gigante, nel quale la ragazza potesse celarsi, ma non c’era nessuna traccia del suo personale Lupo Cattivo.

Sospirò. Le mancava anche quando faceva cose incoscienti, come immagazzinare nella sua mente il cuore del Tardis costringendolo a rigenerarsi per salvarla.

Si domandò se poteva salvarla, adesso.

*

Potevano essere passati dieci minuti come due ore, è difficile dirlo quando sei immerso nel silenzio più totale e la cosa ti fa salire un così gran mal di testa da far scappare tutte le pecorelle immaginarie, impedendoti di ordinare più di cinque numeri consecutivamente.

Dimensione temporale a parte, Rose si riscosse dal suo torpore. Qualcosa nel paesaggio intorno a lei era mutato per un secondo.

Batté un paio di volte le palpebre per mettere a fuoco il più lontano possibile tra gli alberi. Qualsiasi cosa fosse, doveva essere esterna al bosco come lei, altrimenti si sarebbe ripetuta nei singoli fotogrammi, suppose.

Non dava segno di volersi palesare nuovamente, ad ogni modo, perciò Rose si sdraiò di nuovo sul tronco, pur mantenendosi vigile.

Ed eccola di nuovo, al limite del suo campo visivo, una luce. In un’occasione normale non ci avrebbe neanche fatto caso, ma in quella situazione si sarebbe aggrappata a qualsiasi cosa pur di uscire da quel posto infernale.

Perciò cominciò a correre verso quel puntino luminoso, come una falena incontro ad una torcia.

Eviterei di finire contro un vetro, ridacchiò. O peggio, carbonizzata.

Mentre avanzava verso la sua meta, incespicando nelle radici di quegli stupidi alberi immaginari, la sua mente collegò quel baluginio con quello del faro la notte prima, e non poté fare a meno di domandarsi se non stesse correndo incontro ad una trappola. La similitudine con la falena le parve piuttosto indovinata, a quel punto.

Ma lei non era uno stupido insetto notturno, perciò rallentò e cominciò a riflettere sul da farsi.

Non poteva essere avventata, avrebbe dovuto procedere con cautela, ed evitare di comportarsi come il Dottore quando aveva toccato quella crepa.

Il terreno di fronte a lei le pareva piuttosto lineare, niente salti dimensionali e, se si tralasciava il fatto di trovarsi in un bosco creato da un bambino con CTRL-C, il paesaggio era piuttosto normale. Quel faro, poi, anche se il paragone era poco adatto al luogo, non sembrava minaccioso.

Anzi, Rose aveva l’impressione che la luce lampeggiasse ad altezza uomo. Questo poteva essere sia un bene che un male, a pensarci bene.

Che qualcuno la stesse attirando lì di proposito?

*

Il monitor si spense e, con lui, ogni speranza del Dottore venne meno. Si trovava in un vicolo cieco, ma senza neanche la possibilità di tornare indietro. Non c’era più niente, dietro. Non c’era Rose.

Poteva solo cercare di andare avanti.

Ma aveva terminato l’elenco da visitare e senza ulteriori indizi non sapeva dove andare a sbattere la testa. Era a un punto morto e lì sarebbe rimasto. Cosa poteva fare ancora? 

Ristabilire il collegamento era una cosa folle. Il Tardis non avrebbe sopportato la pressione dimensionale e sarebbe collassato su se stesso creando un buco nero. Era disposto a correre il rischio?

Si sistemò meglio sul sedile, simulando un atteggiamento di calma. Non aveva molte opzioni.

Rimanere lì e sperare in un miracolo, oppure rischiare tutto e aggrapparsi all’unica possibilità che gli si figurava davanti e che assumeva sempre più i tratti di una missione suicida. Infilarsi volontariamente in un tunnel intra dimensionale voleva dire, per prima cosa, trovare una faglia attiva.

Per quello non dovevano esserci troppi problemi, avrebbe fatto una visitina ai suoi amici di Torchwood in Galles. L’incognita era la manovra stessa. Nessuno cercava intenzionalmente di rimanere incastrato in un qualcosa fuori dallo spazio-tempo perché, tra le altre cose, c’era l’alto rischio di non uscirne più.

Passare il resto della vita invischiato nel miele come un insetto non lo allettava particolarmente, ma era consapevole di non avere alternative.

Perciò premette qualche pulsante per fare uscire il Tardis dallo stand-by e si spostò - in un battito di ciglia piuttosto rumoroso e movimentato - verso la sua meta.

Cardiff era sempre la stessa. Forse dovrei salutare Jack e tutta la banda, pensò guardando il pavimento che celava il loro quartier generale. Ma si ricordò di Rose, sperduta chissà dove, e capì di non avere tempo per i convenevoli.

Mentre rientrava nel Tardis, pronto ad iniziare la manovra, sentì l’ascensore di Torchwood salire e imprecò mentalmente. Si era dimenticato delle telecamere disseminate lì intorno e il suo mezzo di trasporto era tutto fuorché silenzioso.

“Dottore! Che bello rivederti!” la voce del Capitano Jack Harkness giunse alle sue spalle, perciò si voltò cercando di assumere l’espressione più cordiale del suo repertorio.

“Hey! Sai, passavo di qua, e non ho potuto fare a meno di rivedere Cardiff” rispose con un sorriso che si faceva via via più sincero. Era felice di rivedere il suo amico, dopotutto.

“Ma stavi facendo a meno di un saluto al tuo vecchio compagno di avventure?” la frecciatina del soldato lo colpì in pieno, facendolo sentire colpevole.

“Hai il numero del Tardis, Harkness, puoi sempre chiamare tu”

“Stai facendo la prima donna, Dottore?” lo riprese ridendo l’altro “Devo invitarti a cena per farmi perdonare?” aggiunse, flirtando come suo solito.

“Smettila Jack! Sono un alieno sposato io!” replicò falsando la voce.

“Con il Tardis?” rise lui “Oppure con Rose?” domandò, strizzandogli l’occhio.

A sentire il nome della ragazza ogni ilarità cadde dal viso del Signore del Tempo, rendendolo prossimo alle lacrime.

 “A proposito, dov’è?” chiese, allungandosi per vedere all’interno del Tardis.

Al silenzio del Dottore tornò a guardarlo, accorgendosi del tormento nei suoi occhi.

“Cosa è successo?” sussurrò.

Avrebbe potuto dire tanto, raccontare tutta la storia, ma non ne aveva la forza, era come svuotato di ogni volontà di reagire. Perciò pronunciò poche parole, cercando di controllare la voce.

“L’ho persa”. Ecco. Composto, senza tremolii eccessivi.

“E’ morta?” fece l’altro, spalancando gli occhi. Nella mente del Dottore cominciarono a disegnarsi immagini orribili, di morti atroci, con Rose come protagonista. Si affrettò a scacciarli. Rose era viva, l’avrebbe salvata.

Poi la realtà dei fatti gli piombò addosso come un macigno.

“E’ come se lo fosse” s’incupì, tremando impercettibilmente “Non posso raggiungerla”.

“Sì, ma dov’è?” insisté il Capitano.

“Non lo so” mormorò il Dottore. Poi crollò. “Non lo so! NON LO SO!” gridò, prima di scoppiare in lacrime, contro la spalla del suo amico.

“La ritroveremo” disse l’altro stringendolo forte “te lo prometto”.

*

La luce era ancora lì, e Rose non faceva altro che domandarsi se stesse facendo la cosa giusta o sarebbe stata inghiottita nuovamente dalle onde nere e pesanti oltre la crepa.

Dopo minuti di pensieri vorticosi, infatti, la ragazza era giunta alla conclusione che la cosa – o la persona, non poteva dirlo – che la stava attirando era la stessa del mondo oltre la spaccatura e la sensazione di attrazione-repulsione che provava di fronte a quello scintillio tra gli alberi era la stessa del faro. I precedenti non erano di certo incoraggianti, ma forse quella era la volta buona.

Continuò ad inoltrarsi nella foresta, finchè non raggiunse il limite, ritrovandosi di nuovo nella radura dalla quale era partita un’infinità di tempo addietro.

Attese qualche secondo che i suoi occhi si abituassero alla luce del sole, prima di allargare lo sguardo alla ricerca di quel particolarissimo richiamo.

Il paesaggio era identico a prima, ma sotto il salice scorse una figura perciò si apprestò da quella parte, con il cuore in gola, ma niente poteva prepararla a quello che vide.

Niente di pericoloso, apparentemente. Anzi.

Era una donna, senza alcun dubbio. Ma le somiglianze con il suo archivio di esperienze finivano lì.
Sembrava fatta di luce solida – sempre che questa qualità potesse essere attribuita a qualcosa di normalmente impalpabile – con due occhi di un blu stupefacente e la bocca che accennava un sorriso.

La creatura sollevò un dito di luce e le fece segno di avvicinarsi.

Poi parlò.

“Ci incontriamo ancora, Lupo Cattivo”.

*

 

 

 

 

Note dell’Autore:

Ehilà! Eccomi qui, una volta tanto puntuale! Sì, ci sto prendendo gusto con questi finali pieni zeppi di suspense, anche se non dovrebbe essere troppo difficile indovinare di chi si tratta :3
Spero non vi dispiaccia la guest star che ho inserito in questo capitolo, e il loro mini flirt, ma dato che shippo Jack Harkness con qualsiasi essere respirante (anche se la Janto resta la mia ottippì) non potevo non mettercelo *__* Spero che questi fine-capitolo non vi facciano perdere l’interesse verso la storia, dato che io lo faccio con l’intento opposto, ovvero farvi scervellare su come andrà avanti :)

Se vi piace, o no, se avete dubbi, perplessità, critiche o complimenti (magari), lasciatemi una recensione, sono sempre più rare… La crisi colpisce anche qui! :’)

Fatemi sapere che ne pensate! Alla prossima settimana!

Baci,

L.

 

 

   
 
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