Quarto
Capitolo
Il
Dottore era tentato di afferrare il monitor con entrambe le mani e
scuoterlo violentemente.
L’unica cosa
che lo trattenne dal farlo fu la consapevolezza di non avere
possibilità di
trovare Rose senza le indicazioni sullo schermo. Non gli andava di
dover
riparare una cosa distrutta in un momento di furia omicida, insomma.
La
frustrazione, però, era ai massimi livelli. Era rimasto in
quel
tunnel dimensionale per secoli e
proprio quando era riuscito a stabilire un contatto con Rose il Tardis
era
sgusciato fuori, interrompendo la comunicazione. Era stato talmente
preso dalla
ragazza da non accorgersi neanche delle vibrazioni degli urti contro le
pareti
dimensionali, pensò.
Non aveva
tempo per abbattersi, comunque. Doveva riflettere,
assemblare le poche informazioni che aveva cercando di ricostruire un
quadro
della situazione, prima che l’universo
gli crollasse addosso. Metaforicamente, da un lato, ma fisicamente
dall’altro
poiché, se avesse perso
Rose – si
rifiutava di pensare ad un quando
–
avrebbe distrutto ogni galassia nel raggio di anni
luce. Spense per un attimo la collera che cominciava a
montargli dentro, azionando razionalmente
il cervello.
Aveva detto
di essere in un bosco.
Riflettendoci
bene, questo era tutto
ciò che sapeva. Ed era molto poco da cui partire. Anzi, era niente da cui partire.
Ma non si
scoraggiò, e selezionò ogni singolo bosco
presente nell’universo
di ogni dimensione raggiungibile, in modo tale da visitarli tutti in
rapida
successione. Con una permanenza di qualche secondo avrebbe potuto
stabilire la
presenza o l’assenza di Rose in quel posto.
In
situazioni normali non avrebbe perso l’occasione di
attraversare
alcune foreste nella lista, come La Laguna di Cipressi Capovolti, posto
pericolosissimo a dire il vero, o il Bosco di Salici Lunari. Li avrebbe
visitati tutti con la ragazza, decise. Sempre se avesse voluto
viaggiare ancora
con lui dopo quell’esperienza. Non l’avrebbe
biasimata, se avesse deciso di
tornare a condurre una vita normale con Jackie.
Sospirò,
poi premette il pulsante di scorrimento veloce, spedendo il
Tardis nel primo bosco sulla lista.
*
La
connessione con il Dottore si era interrotta, lasciando
nell’animo
di Rose un groviglio di sensazioni
contrastanti.
La speranza che aveva provato al sentire la voce del Signore del Tempo,
però,
non era svanita, e la ragazza era un po’ meno sconfitta di
fronte ad un destino
di prigionia. Le pareti della gabbia, ad ogni modo, si erano, metaforicamente, ristrette quando aveva
realizzato di essere inscatolata in una manciata di pixel ripetuti.
Sospirò.
L’unica cosa che poteva fare al momento era aspettare il
caratteristico suono della materializzazione del Tardis, ma potevano
volerci
ore, se non giorni.
L’unica informazione
che aveva dato al Dottore era quella di essere in un bosco, e se lo
conosceva
bene come pensava ora era alla ricerca di ogni singolo mucchio
di alberi sulla faccia dell’universo.
Il
problema era che lei poteva essere in ognuno di essi come in nessuno, considerando la
particolarità
degli tronchi che si ergevano intorno a lei.
Per
l’ennesima volta provò a ristabilire il
collegamento, urlando
nella sua mente il nome del Dottore, ma anche questo tentativo
fallì come i
precedenti.
Frustrata,
si appoggiò al fusto più comodamente,
preparandosi ad una
lunga attesa.
*
Immagini
di rami e foglie si susseguivano davanti ai suoi occhi, ma il
Dottore prestava attenzione soltanto al monitor del Tardis, che
lampeggiava
incessantemente la scritta NON TROVATA.
Stava
cominciando a perdere le speranze. Cosa avrebbe fatto? Cosa
avrebbe raccontato a Jackie per alleviare il suo dolore? Ma
soprattutto, cosa avrebbe detto a se stesso
per placare
il proprio?
Sentiva
di aver fallito. Le aveva promesso mondi magnifici da
visitare, avventure e pericoli, ma
di
quelli che si affrontano con il sorriso sulle labbra, certi di uscirne
vincitori. Ed ora, per colpa sua, Rose avrebbe passato il resto della
sua breve vita murata
in un bosco inesistente.
Perché,
se quel posto fosse stato reale, nulla gli avrebbe impedito di
sparire qui e apparire lì
in un
millisecondo, per stringerla tra le braccia e baciarla.
La
ricerca pareva durare da secoli,
tanto il suo animo era logorato da quell’attesa senza fine,
quando la lista
giunse al suo ultimo punto e il Tardis si fermò con un
ronzio. Rose Tyler non
era in nessun bosco. Aveva mappato
l’intero universo, alla ricerca di una qualche dannata
foresta, boschetto,
macchia ombrosa, cespuglio gigante,
nel quale la ragazza potesse celarsi, ma non c’era nessuna
traccia del suo
personale Lupo Cattivo.
Sospirò.
Le mancava anche quando faceva cose incoscienti, come
immagazzinare nella sua mente il cuore
del Tardis costringendolo a rigenerarsi per salvarla.
Si
domandò se poteva salvarla, adesso.
*
Potevano
essere passati dieci minuti come due ore, è difficile dirlo
quando sei immerso nel silenzio più totale e la cosa ti fa
salire un così gran
mal di testa da far scappare tutte le pecorelle
immaginarie, impedendoti di ordinare più di cinque numeri
consecutivamente.
Dimensione
temporale a parte, Rose si riscosse dal suo torpore.
Qualcosa nel paesaggio intorno a lei era mutato per un secondo.
Batté
un paio di volte le palpebre per mettere a fuoco il più
lontano
possibile tra gli alberi. Qualsiasi cosa fosse, doveva essere esterna al bosco come lei, altrimenti si
sarebbe ripetuta nei singoli fotogrammi, suppose.
Non dava
segno di volersi palesare nuovamente, ad ogni modo, perciò
Rose si sdraiò di nuovo sul tronco, pur mantenendosi vigile.
Ed eccola
di nuovo, al limite del suo campo visivo, una luce. In
un’occasione normale non ci avrebbe neanche fatto caso, ma in
quella situazione
si sarebbe aggrappata a qualsiasi cosa pur di uscire da quel posto
infernale.
Perciò
cominciò a correre verso quel puntino luminoso, come una
falena
incontro ad una torcia.
Eviterei di
finire contro un vetro,
ridacchiò. O peggio, carbonizzata.
Mentre
avanzava verso la sua meta, incespicando nelle radici di quegli
stupidi alberi immaginari, la sua
mente collegò quel baluginio con quello del faro la notte
prima, e non poté
fare a meno di domandarsi se non stesse correndo incontro ad una
trappola. La
similitudine con la falena le parve piuttosto indovinata, a quel punto.
Ma lei
non era uno stupido insetto
notturno, perciò rallentò e cominciò a
riflettere sul da farsi.
Non
poteva essere avventata, avrebbe dovuto procedere con cautela, ed
evitare di comportarsi come il Dottore quando aveva toccato quella
crepa.
Il
terreno di fronte a lei le pareva piuttosto lineare, niente salti
dimensionali e, se si tralasciava il fatto di trovarsi in un bosco
creato da un
bambino con CTRL-C, il paesaggio era piuttosto normale.
Quel faro,
poi, anche se il paragone era poco
adatto al luogo, non sembrava minaccioso.
Anzi,
Rose aveva l’impressione che la luce lampeggiasse ad altezza uomo. Questo poteva essere
sia un bene che un male, a pensarci bene.
Che
qualcuno la stesse attirando lì di
proposito?
*
Il
monitor si spense e, con lui, ogni speranza del Dottore venne meno.
Si trovava in un vicolo cieco, ma senza neanche la
possibilità di tornare
indietro. Non c’era più niente, dietro.
Non c’era Rose.
Poteva
solo cercare di andare avanti.
Ma aveva
terminato l’elenco da visitare e senza ulteriori indizi non
sapeva dove andare a sbattere la testa. Era a un punto morto e
lì sarebbe
rimasto. Cosa poteva fare ancora?
Ristabilire
il collegamento era una cosa folle.
Il Tardis non avrebbe sopportato la pressione dimensionale e
sarebbe collassato su se stesso creando un buco nero. Era disposto a
correre il
rischio?
Si
sistemò meglio sul sedile, simulando un atteggiamento di
calma. Non
aveva molte opzioni.
Rimanere
lì e sperare in un miracolo, oppure rischiare tutto e
aggrapparsi all’unica possibilità che gli si
figurava davanti e che assumeva
sempre più i tratti di una missione
suicida. Infilarsi volontariamente
in un tunnel intra dimensionale voleva dire, per prima cosa, trovare
una faglia attiva.
Per
quello non dovevano esserci troppi problemi, avrebbe fatto una
visitina ai suoi amici di Torchwood
in Galles. L’incognita era la manovra stessa. Nessuno cercava
intenzionalmente
di rimanere incastrato in un qualcosa fuori dallo spazio-tempo
perché, tra le
altre cose, c’era l’alto rischio di non uscirne
più.
Passare
il resto della vita invischiato
nel miele come un insetto non lo
allettava particolarmente, ma era consapevole di non avere alternative.
Perciò
premette qualche pulsante per fare uscire il Tardis dallo stand-by e si spostò - in un battito di ciglia piuttosto rumoroso e
movimentato - verso la sua meta.
Cardiff
era sempre la stessa. Forse
dovrei salutare Jack e tutta la banda, pensò
guardando il pavimento che
celava il loro quartier generale. Ma si ricordò di Rose,
sperduta chissà dove,
e capì di non avere tempo per i convenevoli.
Mentre
rientrava nel Tardis, pronto ad iniziare la manovra, sentì l’ascensore di Torchwood salire
e
imprecò mentalmente. Si era dimenticato delle telecamere
disseminate lì intorno
e il suo mezzo di trasporto era tutto fuorché silenzioso.
“Dottore!
Che bello rivederti!” la voce del Capitano Jack Harkness
giunse alle sue spalle, perciò si voltò cercando
di assumere l’espressione più
cordiale del suo repertorio.
“Hey!
Sai, passavo di qua, e non ho potuto fare a meno di rivedere
Cardiff” rispose con un sorriso che si faceva via via
più sincero. Era felice
di rivedere il suo amico, dopotutto.
“Ma
stavi facendo a meno di un saluto al tuo vecchio
compagno di avventure?” la frecciatina del soldato lo
colpì
in pieno, facendolo sentire colpevole.
“Hai
il numero del Tardis,
Harkness, puoi sempre chiamare tu”
“Stai
facendo la prima donna,
Dottore?” lo riprese ridendo l’altro
“Devo invitarti a cena per farmi
perdonare?” aggiunse, flirtando come suo solito.
“Smettila
Jack! Sono un alieno sposato io!” replicò falsando
la voce.
“Con
il Tardis?” rise lui “Oppure con
Rose?” domandò, strizzandogli
l’occhio.
A sentire
il nome della ragazza ogni ilarità cadde dal viso del
Signore del Tempo, rendendolo prossimo alle lacrime.
“A proposito,
dov’è?” chiese,
allungandosi per vedere all’interno del Tardis.
Al
silenzio del Dottore tornò a guardarlo, accorgendosi del
tormento
nei suoi occhi.
“Cosa
è successo?” sussurrò.
Avrebbe
potuto dire tanto, raccontare tutta la storia, ma non ne aveva
la forza, era come svuotato di ogni volontà di reagire.
Perciò pronunciò poche
parole, cercando di controllare la voce.
“L’ho
persa”. Ecco.
Composto, senza tremolii eccessivi.
“E’
morta?” fece l’altro, spalancando gli occhi. Nella
mente del
Dottore cominciarono a disegnarsi immagini orribili, di morti atroci, con Rose come protagonista. Si
affrettò a scacciarli. Rose era
viva,
l’avrebbe salvata.
Poi la
realtà dei fatti gli piombò addosso come un
macigno.
“E’
come se lo fosse” s’incupì, tremando
impercettibilmente “Non posso
raggiungerla”.
“Sì,
ma dov’è?”
insisté il
Capitano.
“Non
lo so” mormorò il Dottore. Poi crollò.
“Non lo so! NON LO SO!”
gridò, prima di scoppiare in lacrime, contro la spalla del
suo amico.
“La
ritroveremo” disse l’altro stringendolo forte
“te lo prometto”.
*
La luce
era ancora lì, e Rose non faceva altro che domandarsi se
stesse facendo la cosa giusta o sarebbe stata inghiottita nuovamente
dalle onde
nere e pesanti oltre la crepa.
Dopo
minuti di pensieri vorticosi, infatti, la ragazza era giunta alla
conclusione che la cosa –
o la persona, non poteva dirlo
– che la stava
attirando era la stessa del mondo oltre la spaccatura e la sensazione
di attrazione-repulsione che
provava di
fronte a quello scintillio tra gli alberi era la stessa del faro. I
precedenti
non erano di certo incoraggianti, ma forse quella era la volta buona.
Continuò
ad inoltrarsi nella foresta, finchè non raggiunse il limite,
ritrovandosi di nuovo nella radura dalla quale era partita un’infinità di tempo
addietro.
Attese
qualche secondo che i suoi occhi si abituassero alla luce del
sole, prima di allargare lo sguardo alla ricerca di quel
particolarissimo
richiamo.
Il
paesaggio era identico a prima, ma sotto il salice scorse una
figura perciò si apprestò da quella parte, con il
cuore in gola, ma niente
poteva prepararla a quello che vide.
Niente di
pericoloso, apparentemente.
Anzi.
Era una donna, senza alcun dubbio.
Ma le somiglianze con il suo archivio di esperienze finivano
lì.
Sembrava fatta di luce solida
–
sempre che questa qualità potesse essere attribuita a
qualcosa di normalmente impalpabile
– con due occhi di un blu
stupefacente e la bocca che
accennava un sorriso.
La
creatura sollevò un dito di luce e le fece segno di
avvicinarsi.
Poi
parlò.
“Ci
incontriamo ancora, Lupo Cattivo”.
*
Note
dell’Autore:
Ehilà!
Eccomi qui, una volta tanto puntuale! Sì, ci sto prendendo
gusto con questi finali pieni zeppi di suspense,
anche se non dovrebbe essere troppo difficile indovinare di chi si
tratta :3
Spero non vi dispiaccia la guest star
che ho inserito in questo capitolo, e il loro mini flirt, ma dato che
shippo
Jack Harkness con qualsiasi essere respirante
(anche se la Janto resta la mia ottippì) non potevo non
mettercelo *__*
Spero che questi fine-capitolo non vi facciano perdere
l’interesse verso la
storia, dato che io lo faccio con l’intento opposto, ovvero
farvi scervellare
su come andrà avanti :)
Se vi
piace, o no, se avete dubbi, perplessità, critiche o complimenti (magari), lasciatemi una
recensione, sono sempre più rare… La crisi
colpisce anche qui! :’)
Fatemi
sapere che ne pensate! Alla prossima settimana!
Baci,
L.