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Autore: Koa__    28/07/2015    5 recensioni
L'animo umano è di difficile comprensione, John, quello di Sherlock Holmes lo è ancora di più. La verità, però, è che nessuno ha mai compreso per davvero mio fratello, né lei, né io, né nessun altro. Rassegnamoci al destino che ci è toccato, dottore e proviamo a vivere degnamente la vita che ci spetta. Questo è il solo modo affinché Sherlock sia sereno. Sacrificarsi per lui non è nulla se non un dovere.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incest, Triangolo
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- Questa storia fa parte della serie 'Prigione di seta'
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Parte quinta



Le scale le scendi in fretta. Vuoi scappare e vuoi farlo subito. Hai bisogno, anzi, devi tornare alla tua vita. A quella routine a cui tanto sei affezionato, alla quotidianità fatta di piccole ossessioni che oramai ti è cara. Pertanto, quei diciassette gradini, li ridiscendi quasi di corsa, li divori uno dopo l’altro come un affamato farebbe di fronte ad un succulento piatto d’arrosto. Non passeggi con eleganza come sei solito fare, piuttosto sei carico di una premura che difficilmente metti in mostra. Non è degno di un gentiluomo come Mycroft Holmes, il farsi vedere preda della foga. Per tua fortuna oggi sei solo, Mrs Hudson ancora non è rientrata (deduci grazie ad un barlume di lucidità). Inoltre la tua auto non ti sta aspettando di sotto. L’avevi fatta andar via; ricordi? Sì e chissà per quale buffo motivo hai chiesto all’autista di andarsene. Tra l’altro, dato che il messaggio ad Anthea lo hai spedito non più tardi di pochi istanti fa, sai che ti toccherà aspettarlo. In genere detesti non avere ciò di cui hai bisogno, pronto nell’immediato, ma oggi senti che farai uno strappo alla tua consueta regola. Poco male, ti dici, avrai il tempo necessario di racimolare le idee, per poter riacquistare così quel minimo di dignità che ti è rimasta. Anche se dentro ti stai dilaniando, è vitale per te mantenere un degno controllo. Far vedere, insomma, che nulla in te è cambiato e che sei sempre il solito freddo, austero e gelido Mr Holmes. Un Ice-Man che ora a stento riesce a venir fuori. Già, perché nemmeno il venticello estivo che ora ti solletica il viso, ti è d’aiuto. Provi ad inspirare profondamente, inalando più aria che puoi nei polmoni. Tuttavia la calma ancora non arriva. Le mani tremano; quando hanno iniziato? La testa pulsa, duole e fa male alle tempie. Vorresti solo seppellirti, addormentarti e non risvegliarti mai più. Vorresti dimenticare ogni cosa, persino dell’esistenza di Sherlock. Vorresti… no, niente di tutto questo. Ora è soltanto la sofferenza che possiede la tua mente, la verità è che non ti sei mai pentito e mai ti pentirai che ciò che hai fatto. Perché è durata poco, e ha fatto male, ma non importa. Ne è comunque valsa la pena. Ne è comunque valsa la pena. Ne è com…

Li hai visti baciarsi, realizzi interrompendo quel mantra assurdo che suonava da trappola mortale. Li hai visti baciarsi e poi Sherlock ricambiare la stretta di John, per perdersi infine, in un bacio appassionato. E no, non era un incubo, ma la più tragica delle realtà. Si sono abbracciati con così tanta foga! Sfatti e scomposti com’erano, con le lacrime agli occhi e le dita tremanti. E poi si sono baciati e sì, tu hai addirittura sorriso. Non di felicità, no. Solo… una vittoria malinconica. Perché li hai visti baciarsi e baciarsi ancora, in modo appassionato e disperato. E poi sei fuggito. È finita quindi. E questa volta la chiusura sarà definitiva, da oggi in avanti non ci sono spiragli o porte aperte. D’ora in poi sarai soltanto un fratello. Quel tipo di parente che rivedi alle cene di Natale, ai matrimoni o ai funerali. Sarai quel genere di fratello maggiore che spia una vita che avrebbe potuto avere, ma che ha rifiutato. È finita, finita per sempre.
«Mycroft.» Una voce, la sua voce, spezza in modo brusco il fruire sciolto dei tuoi pensieri. Ti volti, lo fai di scatto e non preoccupandoti di apparire sorpreso. Questo è imprevisto. Credevi d’aver messo bene in chiaro che avevate chiuso, che non c’era più nulla da dirvi, che quel voi che per tutta la vita hai bramato di poter ottenere, era ormai svanito. È sbagliato vederlo lì, in cima alle scale perché adesso, Sherlock dovrebbe trovarsi al piano di sopra, con il dottore e non con te.
«Che fai qui?» domandi, marcando la domanda con una punta di disperazione. Sì, non ti premuri di nasconderla, non avrebbe senso e poi vuoi fargli capire quanto tutto questo ti faccia star male. Quando metterà fine alla tua agonia? Pensi. Quanto ancora ci vorrà? Dovesti scappare e mettere tra te e quella casa, chilometri e chilometri. Perché più hai modo di incontrare i suoi occhi, più fa male. E tu sei così stanco. Non ne puoi più di soffrire e ti patire in silenzio, no tu vorresti solo gridare e urlare al mondo il dramma che ti sei cucito addosso. Non ce la fai ancora a pensare a Sherlock. Tu vuoi solo cambiare pagina. Sono anni che in fondo lo desideri, decenni che ci provi senza mai riuscirci per davvero. Oggi è tempo di farlo. Eppure, e non lo ritenevi possibile, è proprio lui a non permettertelo ed ora se ne sta a metà di quella scalinata. E ti guarda. Si torce le mani e si mordicchia le labbra, probabilmente, in un tentativo di cercare i termini più adatti. Assurdo è che dopo tutto quello che avete vissuto assieme, ancora fatichi a rapportarsi con te e ad esternare i suoi sentimenti.

«Non posso lasciarti andar via.»
«Co-cosa significa?» domandi, balbettando. Il che mostra quanto tu sia completamente fuori di te, ma non per via del fatto che le parole sembrano volersi mangiare l’un l’altra, quanto per via del fatto che è la seconda domanda che gli fai in pochi istanti. E no, il Mr Holmes che tutti conoscono non chiede mai nulla a nessuno. Mr Holmes sa e lo sa sempre. Adesso, al contrario, pare tu sia completamente rincitrullito e che d’un tratto tu abbia perduto logica e pensieri. C’è solo la speranza a dominarti. L’irrazionale, prepotente e indomita speranza. La quale prende possesso dei più celati meandri della tua mente, sconvolgendoli completamente. Ora è l’idea che lui abbia, nonostante tutto, scelto te, a dominarti. È il pensiero che quello con John fosse un bacio di addio. Una speranza vana, probabilmente, ma è tutto ciò che ti rimane.
«Vuol dire che non capisco e io detesto non capire» esordisce lui, scendendo di un gradino «hai organizzato questo incontro, andando contro quel che desideri per noi due ed è assurdo. Io lo so cosa vuoi, My. Cosa desideri e quindi spiegamelo, perché è impossibile e non riesco ad arrivarci. Ti presenti qui con John Watson e mi lasci; perché?» La sua domanda, la forza della sua disperazione, del suo tragico non comprenderti nemmeno adesso e dopo tutto ciò che avete passato insieme, ti arriva al petto come una stilettata e brucia come farebbe una ferita aperta. Sherlock Holmes capisce sempre tutto, soprattutto l’animo umano. Sa perché le persone agiscono in una determinata maniera e quale emozione le spinga a farlo. Eppure, ora è talmente coinvolto che la sua mente è appannata e opaca. La realtà deve avere per lui contorni sfumati e incomprensibili al pari di geroglifici. E non sei tu, non è il tuo averlo lasciato a renderlo così illogico ed impulsivo. Ma John. Quel che è appena accaduto, i ricordi scatenati da quei terribili due anni... è stato semplicemente troppo. E ora tuo fratello si sta aggrappando ad un brandello di stoffa, come quando era un bambino e ti tirava per la giacca, chiedendoti in un muto e timido gesto di non farti andare via. Ma non è giusto e glielo devi far capire, lui deve conoscere ogni cosa, ogni tuo più piccola incrinatura del vostro rapporto.
«Perché è sbagliato» enunci, con fare lievemente più sicuro di te. «Per quanto io possa provare sentimenti o tu ne possa nutrire nei miei confronti, il nostro resta comunque un tragico errore.»
«Da quando ti lasci condizionare dal giudizio degli altri?» ribatte prontamente lui, sibilando quelle parole con un evidente disprezzo.
«Da quando so che hanno ragione.»
«Ma “hanno” chi? Chi? Di chi hai tanta paura? Dei nostri genitori? Di quegli idioti del Diogenes club? Dei tuoi amici con la corona?»
«No» scrolli la testa, negando «nessuno di loro. Mi riferisco al mondo, alla comune morale. Parlo di tutte quelle cose che abbiamo sempre finto di ignorare, ma che ci feriscono molto più profondamente di quanto non vogliamo ammettere. Anzi, che mi feriscono. Come il fatto di non poterti baciare in pubblico o di dover fare il fratello agli occhi degli altri, quando in realtà vorrei tutt’altro. Per quanto confessarlo sia difficile, io ho sempre sofferto il nostro rapporto. Anche se forse tu non ci crederai. Sherlock, mi son sempre sentito spezzato a metà, una parte di me ti voleva mentre l’altra sapeva che sarebbe stato un rapporto mal sano e sofferto. La nostra non è mai stata una relazione come ne hanno le persone comuni. E non denigrare il resto del mondo dando loro degli idioti, perché quegli idioti hanno tutto quello che io vorrei per noi due. E non è giusto e mi fa un male del diavolo. Ma lo stare con te mi provoca lo stesso immenso dolore, che suscitava in te la presenza di John. Ti amo così come tu amavi lui.»
«Io non…» prosegue lui, incastrandosi le dita tra i capelli e lasciandosi cadere sul gradino. Non riesce ad arrivarci e non te ne stupisci, Sherlock ha sempre vissuto al di sopra del resto del mondo. Lui che osserva la sua Londra da una lente d’ingrandimento e che si è sempre creduto al di sopra di tutti, ora è più umano che mai. E soffre molto più di quanto abbia sofferto. Di fatto puoi dire che abbia paura, che tema il cambiamento, che tema anche il rapporto con John e che sia principalmente questa la causa di tutto. Non bastano poche parole e un bacio per cancellare ogni cosa, John aveva ragione. E ora tuo fratello si ritrova a dover compiere una scelta, una decisione orribile e che tu gli stai imponendo.
«L’incesto non è la base per un rapporto sano, Sherlock. Il mio amore per te non ha mai avuto presupposti da considerarsi naturali. Sei stato la mia ossessione, la mia più grande malattia ed è tempo di guarire e di andare avanti. Io so che è il momento giusto.»
«Non è vero» ribatte lui, ancora non controllato. Ancora rilasciato sugli scalini e affranto come mai lo hai visto. «Tu temi ciò che dice la gente e che riescano a vedere quello che sei veramente. Sei tu l’uomo spaventato, non io. Contiamo solo noi, My, quello che vogliamo io e te. Null’altro.»
«Questo tuo voler sempre vivere sopra le righe, Sherlock, non ti porterà a niente di buono.»
«Oh, quante stronzate!» grida, scattando in piedi. «La verità è che hai solo paura. Ne hai avuta per anni, quando ti dannavi dicendo di avermi traviato.»
«E per te invece è sempre stato solo sesso» tuoni, imperioso. L’eco della tua voce riecheggia ovunque, persino su per quelle stesse scale, in cima a quelle scale laddove sai esserci Watson. Vibri, lo fai di rabbia e di gelosia. Tremi e nel mentre i tuoi occhi si accendono, fiammeggiando di ira. Ecco che alla fine hai espresso ciò che già da tempo sospettavi. Lui ovviamente sussulta, si ritrae e poi socchiude gli occhi e ti fissa. Ora è lui ad essere arrabbiato.
«Sei ingiusto.»
«Parliamoci sinceramente, Sherlock. Qui siamo ben oltre la fraterna compassione e quindi tanto vale scoprire il gioco. Anche se, e me ne rendo conto, ciò non è assolutamente da me. Noi due. Questo» gli spieghi facendo roteare la punta dell’ombrello in sua direzione. «Tutto questo, è sempre stato un gioco per te. Quindici anni fa non avevi che vent’anni e avevi voglia di sperimentare; ho forse torto? Di certo non sono stato il tuo primo amante, né l’ultimo, ma sono stato il primo che hai considerato come di tua proprietà. Ed io, sciocco sentimentale, mi sono addirittura convinto che fossi puro ed innocente, che fossi un angelo, il mio angelo. Quanto mi sono sbagliato… ora però me ne rendo conto e vedo tutto. No, non ci volevo credere perché non ho fatto che idealizzarti. Sei tu che mi hai sedotto e che volevi giocare a scoparti il fratellone idiota e innamorato. Avevi ragione, sai?» mormori, con fare amaro «il tuo animo è nero quanto il mio. Io sono un vecchio ossessionato dalla tua bellezza. Tu però sei fatto di ombre e il tanfo dei tuoi peccati si sente fino a qui.»
«Sei ingiusto» ripete lui, sempre più nervoso e teso. Il vederlo ridotto in questo stato ti suscita un dolore immenso, ma è necessario ed anche se i suoi occhi sono sempre più impregnati di lacrime e l’animo gli trema di un miscuglio non definito di rabbia e dolore. «Non è giusto che tu dica che era solo sesso. Anche se…»
«Non temere di dirmi la verità» lo rimproveri, con fare leggermente più bonario. Tanto che lui sogghigna appena, regalandoti un leggero sorriso. «Va tutto bene. Non ti devi scusare, né devi temere chissà che cosa.» In tutta risposta, lui annuisce e ridiscende appena un poco le scale, avvicinandosi ancora di più a te.
«Sai, hai ragione: io non sono una brava persona. La verità è che ti ho usato, l’ho fatto quindici anni e fa e anche in questi ultimi mesi. Le persone buone non fanno questo, non si comportano come me. Le persone buone sono quelle come John Watson, quelle che commettono errori in nome della disperazione, non in nome dell’odio. Io lo amavo così tanto e odiavo a tal punto Mary, che non riuscivo a tollerarlo, né ad accettarlo. Quindi ho allontanato lui e mi sono avvicinato a te, ho sfruttato il tuo amore sperando che mi desse le stesse sensazioni che mi dava John quando viveva con me. Ti ho consumato, Mycroft e l’ho fatto soltanto per tentare di dimenticarmi di lui. Io sono sempre stato solo, quando ero un ragazzo tu non c’eri mai e… e poi è arrivato John Watson e quando ho capito di averlo perso, ho sentito un vuoto qui: nello stomaco. Ho provato a dimenticarmi di lui, a rinchiudere ogni cosa che lo riguardasse in una stanza della memoria. Ma invano. John mi tornava in mente in ogni momento e qualunque cosa io stessi facendo. Tranne quando ero con te. Tutto ciò che abbiamo fatto è stata la mia salvezza, My. E mi mancherà. Tu mi mancherai. Perché d’accordo, è così e hai ragione. Io ti ho sfruttato abbastanza. Però ti chiedo di credermi, su di una cosa ti imploro di farlo. Ti ho voluto bene davvero e mai, mai ti vorrei fuori dalla mia vita.»
«Sherlo…»
«Sono vissuto cercando di fare della logica e della ragione un lavoro, una maniera di esistere. Ho escluso i sentimenti dalla mia vita, ci provo da sempre e per buona parte della mia vita ho creduto di esserci riuscito. Diciamo pure che mi sono illuso. Credevo di essere superiore agli altri e per questo migliore. Perché non provavo niente e per questo mi sentivo intoccabile. E adesso eccomi qua. Sono patetico, Mycroft. Ho creduto che non sarei mai stato in grado di amare, né che qualcuno avrebbe potuto amarmi e invece guardami: sono un uomo con due cuori. Da oggi uno smetterà di battere e non ho idea di come potrò fare senza... senza di te» conclude, chinando il volto.
«Gli esseri umani non hanno due cuori, Sherlock. Forse è giunto il momento di smettere di credersi Dio e di scendere a patti con quello che provi per John. Ho sperato per tanto tempo che trovassi qualcuno che ti fosse adatto, che un’altra persona ti amasse. Quell’uomo là di sopra, è quella persona. E non ti puoi permettere di perderlo. Se ora tu venissi via con me e lasciassi lui, te ne pentiresti per tutta la vita e finiresti col dare la colpa a me. Per quanto… beh, ammetto di essere egoista e di non volere il tuo odio.»
«Non lo avrai» annuisce, con fare deciso prima di riprendere a parlare. «Avrà delle domande. John, intendo.»
«Puoi raccontargli la verità, se è questo che vuoi sapere.»
«Io… insomma avevi detto di voler mantenere il segreto.»
«Sì, ma cosa importa oramai? È già passato.»
«Giusto» annuisce Sherlock, in un modo che interpreti come nervoso. China infatti il capo, permettendo così ad un odioso silenzio di calare fra voi. Tu, lui e il non parlare. Il rumoreggiare del vostro respiro. Il luccichio dei vostri occhi e il barlume di sentimenti che ancora aleggiano nelle vostre menti. Cervelli così simili, per due uomini tanto diversi. Differenti in tutto. Nei modi di parlare e pensare, di approcciarsi alle persone. Diverse maniere di amare. Ma al tempo stesso troppo simili in tutto. Voi. Immensamente criptici e contorti. Così oscuri e tetri nei pensieri, piuttosto che nella profondità dei sentimenti che provate. Emozioni che vi bruciano e lacerano persino le membra stesse, da tanto sono prepotenti. Tu, lui e un non parlare che non è mai pesato, ma che riecheggiava con fare leggero e che spesso era addirittura piacevole. Non dirsi nulla perché bastava uno sguardo ed era sufficiente cogliere la sfumatura d’un gesto, per sapere. E ora, lo stesso vostro silenzio nel quale tanto amavate crogiolarvi, pesa quanto un macigno e s’impregna di un imbarazzo che vi è sconosciuto. È l’odore di un rapporto finito, questo. Il retrogusto dolciastro di un boccone che avete voi per primi reso amaro. È una pace tesa e carica di quei troppi ricordi che adesso vorticano nelle vostre menti come fossero impazziti. È la fine. La vostra fine. Ora non ti resta nulla, se non un’uscita degna della nomea di Mr Holmes. Pertanto rotei su te stesso e prendi a camminare a passo lieve, verso l’uscio rimasto spalancato. Fai qualche passo e già pregusti il venticello piacevole che fino a poco fa ti carezzava il volto. Potresti chiudere la porta, ora, e mettere fine a tutto una volta per tutte. Eppure non te ne vai, non hai ancora intenzione di farlo. Perché giunto sulla soglia del 221b di Baker Street, ecco che ti volti. Lui ci fa caso e quindi solleva il volto di scatto e poi prende a fissarti. Ha gli occhi così grandi e liquidi… e oh, è così eccessivamente bello, che nonostante tutto ti ritrovi a sorridergli.
«Per quel che vale» esordisci, poggiandoti all’ombrello che tieni puntato a terra «sappi che in futuro potrai sempre contare su di me. Per qualsiasi cosa. Non cambierà il mio costante sorvegliarti.» Lui non dice nulla, ma per te il suo restare zitto vale molto più che mille parole. Per fortuna non evita il tuo sguardo, non fugge al piano di sopra, ma resta lì a guardarti. A darti il suo muto addio, regalandoti per un ultimo frangente quegli occhi così immensamente belli ed in nome dei quali, ti ripeti spesso, faresti di tutto. Persino lasciarlo per darlo ad un altro uomo. Ti senti un martire e forse è anche vero, ma non t’importa. Non conta quello che il tuo lato irrazionale pensa di te, soltanto la ragione importa. La logica che da tempo ti grida che è giunto il momento di andare avanti, di tentare di vivere un’esistenza degna di questo nome.

Stai per chiuderti la porta alle spalle, quando la sua voce, di nuovo, ti coglie impreparato. È proprio lui, Sherlock, che scende i pochi gradini che vi separavano e lo fa di corsa. Ti raggiunge e a stento ci credi. Non indugia neanche per un istante, ma subito ti stringe in un abbraccio forte. Non è il toccarsi di due amanti. E non è il bacio dato ad un uomo che si ama, quello che ti lascia su di una guancia che subito arrossisce. Lo sai perché, quando dividevate il letto, il vostro sfiorarsi era ben diverso.
«Grazie di aver capito Sherlock Holmes» sussurra, al tuo orecchio prima di lasciarti andare. Adesso però è il tuo momento di coglierlo di sorpresa e infatti lo trattieni per un braccio. Lui si volta e scopre i tuoi occhi, quelli che mai con lui sono stati freddi e distaccati. Quelli che ora sono troppo pregni di un amore distrutto, perché tu lo possa nascondere.
«Promettimi che ti lascerai amare, Sherlock. Promettimelo. Io ho bisogno di saperlo, devo essere certo che ti tratterà come meriti. Dal canto mio, ti giuro che lo terrò d’occhio e se dovesse di nuovo ferirti, prometto qui e adesso che lo ucciderò con le mie stesse mani.» Sherlock spalanca gli occhi, di sicuro sconvolto dal tono duro delle tue parole, dalla minaccia reale che stai facendo e che ora ti scorre nello sguardo. Il tuo è un solenne giuramento e che sancisci qui e adesso.
«Te lo prometto» annuisce, baciandoti nuovamente sulla guancia, prima di allontanarsi. Lo fa camminando a ritroso e senza distogliere gli occhi dai tuoi. Lo fa permettendo a quella lacrima che già da tempo premeva per voler uscire, di crollare e di solcargli il viso. Vederlo piangere è un dolore immenso e quando sparisce al piano di sopra, scomparendo alla tua vista, è ancora peggio. Li senti parlare, lui e John, a malapena comprendi ciò che si dicono. Ma ormai non importa. Perché sono insieme e solo questo conta.

Sei solo.
Ora, ora è finita davvero.

Ed è proprio in quel momento che finalmente crolli. Lì, sulla soglia del 221b di Baker Street, fai cadere l’ombrello a terra e ti lasci andare. Sconfitto e affranto. Completamente distrutto. Cadi senza badare alla porta aperta o ai passanti che ora ti guardano incuriositi. Non ti importa di loro. Non ti interessa ciò che pensano di te. Vorresti solo cacciarli e dir loro di andare via, di non fermarsi a spiarti tentando di capire se sei un drogato o un ubriaco. Via. Ti piacerebbe gridarglielo, ma non ci riesci. Le parole non riescono a formarsi, i termini muoiono soffocati da concetti confusi, da idee gettate alla rinfusa dentro un cervello troppo grande ed eccessivamente gonfio di dolore, per poter concepire qualcosa di sensato. Non fai nulla. Non pensi a niente. Solo piangi. Lo fai in silenzio, senza drammi o singhiozzi, niente melodrammi o arie d’opera. Solo tu e lacrime silenziose che ti solcano il volto. Tu che sei sconvolto da un dolore inconcepibile che ti deforma il viso e le espressioni, rendendole dure e irriconoscibili. Lasciato cadere come sei, senza più nemmeno l’ombrello a sorreggerti, ma completamente abbandonato. Non manchi di pensare al fatto che è stata colpa tua, che avresti potuto impedire a John di vedere Sherlock. Eppure lo hai invitato a Baker Street e hai permesso che accadesse. È come hai pensato: questo è il tuo tetto del San Barts ed il marciapiede è duro, non raccoglie le tue lacrime come farebbe un amante generoso. No, te le rimanda indietro e lo fa con violenza. La strada è fredda, inospitale. Non comprende il tuo sacrificio, non lo capisce e perciò non ti consola. Nemmeno ti giustifica. A stento ti tollera.

Le immagini vorticano confuse. In un attimo rivivi il vostro ultimo dialogo, ritrovi il suo non capire, i baci a John e i suoi ti amo. Rivivi in un frangente i tuoi "no" determinati. Non gli hai concesso di scegliere, gli hai imposto una decisione e lui l’ha accettata. Sherlock non permette mai che qualcuno gli suggerisca come si deve comportare o che cosa deve pensare. Se adesso è al piano di sopra (con John) e non con te, è perché in fondo lo ha voluto. Lui lo ama, te lo ha detto così troppe volte... Per te è sempre stato sufficiente il sapere questo. E per quanto spaventato fosse all’idea di perderti, non ha mai provato per te quello che diceva di sentire. Non ha mentito, ha semplicemente omesso una certa verità e lo ha fatto innanzi tutto con sé stesso. E tu non ne puoi più. Hai vissuto questi ultimi anni ad ossessionarti, a pensare a come sarebbe potuto essere tra voi, a ricordare qualcosa che non sarebbe dovuto succedere. Perché era vero che volevi stare con lui, ma non ne potevi più di dover vivere nascosto. Hai sofferto ogni singola volta in cui hai dovuto guardarlo da lontano, senza poterlo toccare perché eravate in pubblico. Se lo avessi fatto probabilmente a Sherlock non sarebbe nemmeno importato. Ma tu sei diverso, a te importa ciò che pensano gli altri. Perché hanno ragione e l’incesto è immorale e sbagliato.

Ora sei solo stanco.

Vuoi chiudere gli occhi e dormire. Però non ti muovi, nonostante l’auto sia già arrivata, ancora resti lì e lì rimani. A disperarti per quel che hai perduto. Piangi mentre loro, al piano di sopra, iniziano quella che è una nuova vita insieme. Piangi, piangi e basta. E intanto questo tuo nuovo futuro inizia a costruirtisi attorno senza che nemmeno tu te ne renda conto. È una vita tutta diversa e che in parte mantiene vecchie abitudini, ma è così troppo diversa che neanche te la saresti mai potuta immaginare. Ci sei tu dietro una scrivania, con un occhio al lavoro e l’altro alle telecamere di sicurezza di Baker Street. Tu ad osservare la vita di tuo fratello da lontano, proteggendolo come hai sempre fatto. E sei sempre tu che distogli lo sguardo, o spegni lo schermo, appena li vedi baciarsi. Ancora fa male, ogni tanto, ma eviti di pensarci e vai avanti con tante piccole cose che hai scoperto essere immensamente piacevoli. Ma tu ancora non lo sai, lo ignori, e piangi. Lo fai in modo disperato. E in questo insopportabile dolore, sei quasi passivo come se subissi tutto senza combattere o tentare di negare. Non c’è più nulla da celare, di certo non a te stesso.

Finché, ad un certo punto, un lampo squarcia il sereno e tu ti ritrovi completamente spiazzato. Che sia il destino bastardo o una divina manna dal cielo, non lo sai, non te ne interroghi e a dire il vero neanche o farai in futuro. Di certo non ci rimugini ora.
«Mr Holmes.» Una voce a te conosciuta ti coglie di sorpresa, ti prende d’improvviso in quello che è probabilmente il peggior giorno della tua vita. Non avresti voluto essere visto da nessuno in questo stato, ma ormai è troppo tardi ed ora un paio di occhi castani ti osservano con mal celata preoccupazione.
«Cielo, cosa le è capitato, Mycroft? Si sente bene? Ha bisogno di aiuto? Posso chiamare un’ambulanza se si sente male.» Lui fa domande, fa tante domande e ti tende una mano. Cosa dovresti fare, afferrarla? Non lo fai e al contrario di quanto dovresti, lo fissi con occhi sgranati e fare incredulo. Non è possibile che sia lì. Chi ce lo ha mandato? (Lo ha fatto Sherlock, ma tu non lo sai e probabilmente mai lo verrai a sapere. Lestrade però non dovrebbe stare lì. Non deve. Che se ne vada e ti lasci da solo. A piangere. A cadere. Dovresti alzarti e andartene, eppure non lo fai perché in fondo a tutto intravedi qualcosa. Sotto ai pianti, al volto di Sherlock e ai suoi occhi bellissimi. Sotto alla gelosia nei confronti di John Watson, noti qualcosa. C’è un’idea, assurda e imprevista, che ti balugina per la mente e più osservi la presenza che ti sta di fronte, più questa si materializza e diventa concreta. Perché l’uomo che ti offre la sua mano tesa è un detective ispettore che ti sta concedendo il suo aiuto. E quindi ti tende la mano, sperando che tu la prenda. Dagliela! Subito. Ora. Dagliela e raccontagli la tua storia. Non omettere nulla, nemmeno il più piccolo ed insignificante dettaglio. Raccontagli di quell’uomo di ghiaccio dal cuore che brucia, che ha amato così tanto da essersi consumato. Inizia da quella notte di quidici anni fa, dalla campagna francese dei vostri ricordi infantili e poi parlagli di John e di come si è insinuato nelle vostre vite dal primo attimo in cui ha incontrato quello strano uomo, chino su un microscopio. Parlagli dei vostri genitori. Dei figli del fattore, Pierre e Lucas. Di tua nonna e del suo essere incomprensibile. Raccontagli che suoni il pianoforte, che ami la musica di Debussy e l'opera italiana. Confessa ogni cosa, non fare di te una Madama Butterfly. Digli tutto, fallo subito e poi, forse, chissà che tu non riesca a vivere per davvero.
 


Fine

 
Un bacio a Sharon Tuccio che ha risposto in maniera corretta al mio giochino stupidisimo, riguardo il finale di questa storia.
 
Sì, questa è la fine. È finita proprio come sembrava: con un sacrificio. Mycroft in più di un’occasione si definisce “un martire” utilizzando quella è che assolutamente un’accezione negativa del termine. Forse lo è. Probabilmente è tanto contorto da non essere riuscito a tenersi la felicità quando l’aveva. Il punto però è che c’è un’altra chiave di lettura, che spero vi sia arrivata, un qualcosa che ribadisco fin dal primo capitolo di 'Prigione di seta' e in cui credo fin da che ho scritto la prima riga di questa serie: l’incesto è un errore. È un rapporto malsano e malato e che parte da presupposti che non sono parte di uno sviluppo naturale delle cose. Quella di Mycroft era un’ossessione e quando sono questi i presupposti per un rapporto, almeno per come la vedo io, le cose non possono andare bene. E questo io lo credo fermamente, per questa ragione il solo e unico finale possibile per questa serie, era questo. Anche se fa davvero un male del diavolo, a me per prima, credetemi. In ultimo, non ho voluto far finire questa serie con del Mystrade. Proprio no. Ma volevo che la nuova vita di Mycroft iniziasse con la confessione e con lui che sentiva il desiderio di raccontare tutto a qualcuno. La scelta è ricaduta su Greg, perché penso possa essere la sola altra persona, a parte John, a poter capire quello che è successo ai fratelli Holmes.

Detto questo, ringrazio chi ha letto questa serie fin dalla prima parte e chi mi ha sempre sostenuta con le recensioni.
Live long and prosper.
Koa
   
 
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