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Autore: Tomi Dark angel    01/08/2015    11 recensioni
STEREK.
Tratto dalla storia: "-Pronto?-
-Scott…?-
-Sceriffo, che succede? Mi sembra un po’ tardi per chiamare…-
-La... la camera di Stiles è… un bagno di sangue. E lui non… non c’è più. Mio figlio, Scott. Mio figlio…-"
Stiles Stilinski sparisce per tre anni. Per tre anni tutti lo credono morto, per tre anni di lui non si hanno notizie. Quando però riappare, non è più lo stesso. Di lui non resta che una creatura nuova, un incubo talmente orrendo che anche Beacon Hills teme di accogliere.
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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-BASTA!!!-
Un grido, capace di spezzare ogni cosa. La terra trema, il cielo si inginocchia. Una voce potente, che scuote l’universo dalle fondamenta e spezza la bilancia di bene e male, intrisa di mille timbri diversi, giovani e anziani, maschili e femminili, ringhianti e bestiali. Quella è la voce del mondo, la voce della vita. La voce della Creazione stessa.
Improvvisamente, il mondo cade in ginocchio. Uomini, animali, creature sovrannaturali. Finanche le piante piegano steli e arbusti, mentre l’acqua smette di mormorare per prestare ascolto al nuovo arrivato, al Padre di ogni cosa, all’architetto dell’universo intero.
Luce. Vi è luce ovunque. Sboccia dappertutto, sfogando riflessi cristallini e argentati come raggi di luna onnipotente. Con implacabilità, respinge ogni ombra, ogni bestia malefica, schiacciando al suolo i demoni e costringendo gli angeli alla totale immobilità. Derek riesce ad avvertirla sulla pelle, quella potenza, e se in precedenza ha osato credere erroneamente che angeli e demoni fossero praticamente indistruttibili, è costretto a ricredersi. Nessuna forza dell’universo sarà mai capace di piegare una luce tanto inestinguibile, più di qualsiasi alba, più di qualsiasi sole mai nato e vissuto. Quella creatura ha visto nascere l’universo, l’ha rimodellato con sapienti mani di scultore, dolcemente ha toccato corde vocali e ruscelli d’acqua per consentir loro di parlare. Quella creatura è l’inizio e la fine di ogni cosa, il padre di qualsiasi giudizio universale. Quello è Dio.
Lentamente, Derek schiude le palpebre. Si costringe a guardare, a schiarire la vista, a lasciare che il mondo sbocci attraverso le sue retine. E allora lo vede, per quanto poco riesca a credere ai propri occhi. L’assurdo, l’improbabilità della vita stessa.
Un ragazzino di circa otto anni, con lucidi capelli neri e la pelle nivea. Occhi azzurrissimi di creatura ultraterrena, labbra piene che mille e mille voci hanno racchiuso e assimilato. Quelle mani così piccole, così innocenti, nella loro fragilità hanno plasmato l’universo e le sue stelle, la luna e il suo fratello sole. Indossa una lunga veste bianca legata in vita con un cordone dorato. Semplice, umile, come bambino appena venuto al mondo. I suoi stessi passi nudi che toccano l’erba la ripuliscono dal sangue, la purificano, lasciano che nuovi fili di smeraldo sboccino di nuovo e popolino il mondo di nuova vita laddove solo morte aveva inspirato.
Anche se dall’aria più nobile e abbigliato con semplicità quasi monacale, quel bambino Derek lo riconosce. Ci ha parlato, l’ha toccato, l’ha addirittura minacciato. Ha minacciato Dio. E Dio non è nient’altro che… Alastor. Il bambino demone, la creatura che osando un affronto all’Inferno scelse di risparmiarsi la lotta col branco e morire tra le braccia del suo stesso graziato, il ragazzino che ha visto morire e rinascere, senza mai accusare gli altri di alcuna colpa. Quando Alastor è morto, Stiles era lì e gli teneva la mano. Quando Alastor è morto, Stiles era lì e lo perdonava. Quando Alastor è morto, Stiles ha sprecato lacrime e grida, come se avesse perso un pezzo di se stesso, l’innocenza di un bambino che bambino non è mai stato.
Lucifero ruggisce, crolla in ginocchio. Disarmato, si copre gli occhi con le mani, tremando convulsamente al cospetto di quella luce bruciante che mai è stato in grado di affrontare. Debole, misero, sgraziato. Che ne è stato dell’uomo dolce e bellissimo che era poche ore addietro?
-Figlio mio, perché l’hai fatto?- mormora Dio con pacata dolcezza. –Questi morti, sono prole tua.-
Lucifero mugola, cerca di ringhiare. –Mi hanno sfidato! Hanno avuto ciò che meritavano! Sta lontano da me, Dio! Non ti temo!-
Dio sospira, e Derek, troppo vicino all’intera scena, avverte un soffio di vento scompigliargli i capelli. Mai in vita sua ha annusato un miscuglio tanto vasto di odori. Foresta, città, ruscelli, legna bruciata. I profumi del mondo intero sono racchiusi lì, tra le labbra di quel bambino tanto piccolo quanto apparentemente insignificante.
-Non pretendo da te alcun gesto di timore, figlio mio. Tuttavia, ho cercato di darti una possibilità e silenziosamente ho scelto di osservare le tue gesta, non secondo rigor di giustizia, ma di amore paterno. Non volevo condannarti, figlio mio. La tua strada, l’hai scelta da solo. Io non ti ho mai costretto, né mai ho chiesto ai miei angeli di macchiarsi di tanto sangue. La libertà che vi concedo, riguarda le scelte che non vi obbligherò mai a compiere. Siete liberi, ma la vera prigionia che vi imponete riguarda le vostre menti e gli schemi che credete di dover seguire. Non è questa la vita, figlio mio, e tu lo sai bene. Anche stavolta ti ho lasciato agire nella speranza che vincessi le tue malattie, ma contro il tuo stesso credo hai scelto l’accusa al perdono. Gli uomini sono figli miei, e non ti è concesso ferirli oltre. Non è il tuo posto qui, Satana; per questo ti chiedo ora di tornare nell’Abisso, ove ti condanno a restare fino alla fine dei Tempi.-
Ma Lucifero è sempre stato caparbio, disobbediente come figlio mai educato. Sceglie la sua strada ora, così come accadde già all’Alba dei tempi. Una scelta errata, una ribellione di macabro odio e sangue invocato. Non vi è amore negli occhi di Lucifero, poiché ciò che suo Padre stesso gli insegnò secoli addietro, è andato perduto nei recessi di un cuore che mai ha battuto veramente. Il gelo dell’Inferno ha scavato troppo a fondo, troppo in profondità, e alla fine di tutto, ha semplicemente barricato un animo vuoto, nullo di emozioni e affetto, un animo immortale che nella sua superbia ha preferito insegnare anziché imparare.
Con un ruggito animale, Lucifero tenta un ultimo riscatto, un ultimo disperato agguato alla vittoria. Lotta per se stesso, per ciò che ha fatto e meritato in passato come nel presente. Lotta per dimenticare ciò che è diventato e il bruciore della luce che gli consuma le retine. Lotta per annegare l’alba e guadagnarsi una libertà della quale egli stesso non saprebbe che farsene, come tomo scritto tra mani d’analfabeta. E, alla fine, dopo secoli di silenzio e ringhi reciproci, Lucifero sfida Dio al cospetto dell’alba e di tre diversi eserciti posti su scacchiera ormai devastata.
Derek sa di essere troppo vicino. Sente che lo scontro lo ucciderà seduta stante, perché ormai non si tratta più di angeli e demoni o più semplicemente di due eserciti che si scontrano. A combattere adesso, saranno i Creatori dell’universo, padre e figlio, bene e male, giorno e notte. I due opposti della bilancia, i due Grandi che mai nell’arco della storia saranno dimenticati.
Derek si copre il volto, chiude gli occhi. Si prepara ad essere spazzato via, ennesima vittima di quella guerra maledetta. Se ne andrà così, senza salutare né guardarsi alle spalle, pregando lo stesso Dio che ha innanzi di fargli riabbracciare Stiles almeno per un’ultima volta. Andrà all’Inferno se deve, ma vuole vederlo, fosse solo per parlargli, per scusarsi, per dirgli quanto quella storia l’abbia cambiato nel profondo. Grazie a lui, Derek crede nuovamente nei miracoli. Grazie a lui, l’incendio di casa Hale non è mai accaduto, se non nella storia e nel passato, ove è giusto che rimanga.
Derek vuole dirglielo, vuole che sappia. E forse, chiedere un ultimo miracolo, un’ultima grazia, non è poi così pretenzioso. Di preghiere, il mondo ne è pieno. Pregano uomini e bestie, piante e animali, e lo fanno nelle lingue più disparate. È qualcosa di antico e senza tempo, un oceano di parole che si riversa al cielo e piove come cascata inversa alle orecchie del Padreterno.
A volte però, alcune preghiere vengono ascoltate da chi semplicemente tende l’orecchio. E c’è qualcuno al mondo, che è capace di udire e riconoscere la voce di Derek con la facilità di moglie che ritrova il tocco del marito tanto amato.
Qualcosa cambia, qualcuno si frappone. Una piccola esplosione, un fascio di luce devastante che investe Lucifero a distanza ravvicinata. Derek lo sente urlare, e allora apre gli occhi per posarli sulla pallida mano che emerge dal bozzo di candore per afferrare il polso del Diavolo e deviarlo al suolo, laddove le lame si piantano nel terreno.
È allora che le Madri Natura sfoderano il loro devastante potenziale, rivoltandosi contro l’unica minaccia che presuntuosa ha sperato di schiacciare il pianeta. Ognuna tende un braccio, ognuna volge la propria attenzione verso il capo di quell’esercito sgradito che il mondo è pronto a rigettare come putrido avanzo di mangiare. La terra si solidifica intorno alle lame di Lucifero e da essa, l’acqua risale lungo il braccio, serpeggiando oltre il gomito, su fino alla spalla. Il vento la trasforma, ghiacciandola di strati massicci, cristallini, che poco a poco intridono la pelle e i muscoli, i tendini e le ossa. Lucifero è bloccato.
-ADESSO!!!- ruggisce una voce che con un sussulto di speranza, Derek riconosce.
L’esercito amico si rianima, prende vita come automa che si risveglia alla prima scossa di elettricità. I demoni attaccano ferini, sicuri ora più che mai, forti di una luce che mai avrebbero pensato di poter anche solo guardare. Adesso essa li bacia, li ripulisce e, mentre gli avversari restano in ginocchio e si consumano nella cecità e nell’odio della loro miseria, l’esercito di Stiles combatte, respingendo implacabile la minaccia, un passo alla volta. Dieci, cento, mille. I demoni iniziano a cadere come burattini, spazzati via da Minosse o semplicemente massacrati da frecce e proiettili scagliati dagli Argent. Scott si trasforma in una furia inarrestabile e ruggendo, sgombra la via che conduce verso Stiles e Lucifero. Spalla a spalla con Chris e Allison, libera il passaggio, scagliando via chiunque incontri sul suo cammino.
È allora che loro si risvegliano. Insieme, uniti, possenti come supernove in via di esplosione. Peter Hale oltrepassa Scott con un balzo e, fiero e bellissimo come angelo vendicatore, inarca il corpo a mezz’aria, tende le braccia, abbandona ogni brandello del suo essere a quei sentimenti che l’hanno condotto fino a quel punto di vittoria e umanità. Si risveglia al bacio del sole, rinasce tra le appendici della luna e lì, ancora posseduto da quell’ombra cristallina che lo segue e dinanzi all’oro dell’alba che lo benedice, un possente lupo grigio atterra fiero su quattro enormi zampe artigliate. Gli occhi blu baluginano, ma possiedono ancora quella pupilla verticale che soltanto all’ombra fugace di Dumah potrà essere riconducibile. Con un balzo, il lupo raggiunge Lucifero e gli azzanna il braccio libero, facendolo urlare di dolore.
-LYDIA!!!-
La ragazza spalanca le ali candide di civetta, gli occhi iridescenti brillanti come smeraldi al bacio benefico del sole. Balza senza paura giù dalla spalla di Madre Acqua, il corpo fulgido di longilinea magnificenza. Le ali si sbattono, spandendo all’aria un profumo di fragola misto a un oceano di riflessi di cristallo, sfaccettature di preziosità che si riflettono nel corpo come nell’anima. Lydia piove dall’alto, veloce come un proiettile, e senza esitare cala un pugno sul ginocchio di Lucifero.
Derek sente l’osso sfracellarsi mentre il Diavolo cade in ginocchio, vittima di una ragazzina alata dai tacchi a spillo che adesso gli afferra i capelli e lo costringe a piegare la schiena in una posa che quasi gli spezza le vertebre cervicali. Derek capisce allora che è il suo turno. Si rialza per Stiles, per Valefar, per Isaac… per il mondo. Per la prima volta, si sente un Guardiano, un figlio della luna come del sole e del mattino. Creatura dell’oscurità come del giorno, angelo senz’ali al cospetto non di Dio, ma dell’uomo. È questo il destino degli Hale e Derek non si è mai sentito più fiero del suo stesso essere.
Balza all’improvviso, i muscoli in tensione e la schiena inarcata. Ed è allora che si trasforma. Più grande di qualsiasi altro lupo, più nero di qualsiasi notte oscura, con immense ali di corvo e profondi occhi demoniaci di un devastante blu zaffiro. Chiude le fauci intorno alla spalla congelata di Satana, stringe con forza sulla pelle fin quasi a spezzarsi i denti, ma resiste. La bocca sanguina, le zanne scricchiolano, ma Derek non si ferma. Spinge a fondo, sempre più a fondo, finché l’osso non si spezza e il braccio… semplicemente viene sradicato dal tronco. Derek lo strappa via con uno scatto della testa e un battito d’ali che produce un vento talmente devastante da far barcollare chiunque nel raggio di miglia. Finanche alcuni demoni crollano in ginocchio mentre Dio pronuncia la sua ultima e più definitiva condanna:
-Bastò allora il più piccolo dei miei figli per scaraventarti giù dal Paradiso, Stella del Mattino, e ora il più piccolo dei miei figli ti getterà nuovamente nel baratro che hai osato abbandonare per puro diletto di vendetta!-    
La luce accanto a Dio si dissipa, morbida come drappo di seta, ripiegandosi in quattro ali maestose, più grandi e più belle di qualsiasi ultraterrena fantasia.
Di angeli, il mondo ne ha visti tanti. Raffigurati in dipinti, interpretati nei film o addirittura riprodotti in fulgide sculture. A parte ciò, Derek ha avuto modo di incontrarli e vederli da vicino, con la loro devastante, altera magnificenza. Tutti bellissimi, tutti gloriosi oltre ogni dire. Ma, nonostante questo, Derek non ha mai incontrato il più splendido degli angeli. Più bello di quanto fu Lucifero stesso in tempi di gloria, più fragile e possente di qualsiasi fiore o cascata… più umano di chiunque altro.
Stiles Stilinski emerge dalla candida luce emanata dalle sue stesse ali, le cui piume enormi, sottili, delicatamente sovrapposte, splendono fulgide come drappi di incanto lunare. Le ripiega dietro la schiena, quattro splendide appendici di vestigia argentata la cui grandezza supera di sproposito il piccolo corpo sottile che incredibilmente le sostiene senza fatica. Nonostante la luce aliena che ricopre d’oro e d’argento la sua pelle nuda, liscia di qualsiasi cicatrice e totalmente esposta fino all’abbraccio dei pantaloni di seta bianca stretti in vita, Derek non riesce a non riconoscerlo in tutta la sua devastante umanità. Riconosce quelle labbra che tante volte ha baciato, quegli occhi benedetti che adesso brillano dorati ma umani sul viso pallido dal naso all’insù.
È quello il vero aspetto di un angelo, quelli i veri occhi di un figlio di Dio. Occhi che emanano pietà, occhi che parlano di perdono antico e senza tempo. Occhi giovani, ma che tanto hanno vissuto e tanto ancora hanno da vivere. Occhi di semplice ragazzo umano.
-Torna nell’ombra, Lucifero.- ruggisce Stiles, e la sua voce è talmente potente da scuotere le ossa di Derek e l’animo di qualsiasi vivente nel raggio di miglia e miglia. –Torna a casa, ove è giusto che tu rimanga!-
E allora, nello stesso istante in cui Derek, Peter e Lydia si allontanano, Stiles si sbilancia in avanti, figlio di quella stessa alba che adesso riflette sulle sue ali un’aurora boreale di colori sconfinati e sconosciuti, brillanti più di qualsiasi cristallo. Dinanzi al mondo e al bacio della nuova era, bene e male si affrontano per l’ultima volta in uno scontro impari che vede l’oscurità in ginocchio al cospetto della sua ultima e più importante condanna.
Stiles tira indietro il braccio, poi scatta. Il pugno colpisce Lucifero con tanta forza da sbalzarlo lontano, fragile e a pezzi come marionetta ormai inutilizzabile. Il suo corpo compie un arco miserabile nell’aria pulita dell’alba e, nello stesso istante in cui inizia l’ascesa, Dio tende un braccio e apre un crepaccio di fiamme e grida sotto di lui. Mani pallide di dannati emergono come mefitici arti di condanna dal crepaccio, pronte ad accogliere quel re miserevole e senza onore che fragilmente crolla nell’abisso per l’ultima volta, sconfitto dal più piccolo e umile degli uomini.
Mentre Lucifero cade, l’esercito nemico comincia a incespicare. I pochi sopravvissuti tentano la fuga, ma non molti avranno il coraggio di inginocchiarsi e arrendersi al cospetto dei propri stessi fratelli che, spiazzati, non troveranno alcun coraggio di ucciderli. Quelle creature, nonostante tutto, fanno parte di un’unica, bizzarra famiglia. Non è granché, e a volte si è dimostrata imperfetta, violenta, finanche anomala… ma è pur sempre una famiglia.
È finita. La guerra è finita, il mondo è salvo. E i demoni rimasti? Li si può definire ormai liberi, leggeri, vivi? Meritano ricordi, un’opportunità, una speranza che mai nessuno osò attribuirgli. Ma loro ci hanno creduto fino alla fine, fino alla morte. Sono fratelli di Stiles, ed egli, nonostante tutto, non osa rinnegarli. L’hanno ferito, torturato, schernito e tradito, ma ormai si tratta del passato. Se è stato possibile vincere la guerra più cruenta dell’universo, allora non è così difficile perdonare un fratello che soltanto a gesti ha saputo domandare perdono. È questo che Stiles ha imparato, è questo ciò che è. E non potrebbe essere più fiero della sua stessa esistenza, dopo ciò. Non se ne fa niente di ali, coda affilata, benedizione divina o maledizione satanica. Certe cose, cadono in secondo piano se paragonate agli occhi di un fratello che adesso, posto in ginocchio dalla vita e dalla sconfitta, trema convulso ai piedi dei nemici e si copre miseramente la testa, tremante alla luce di un sole che egli stesso inconsciamente ha rifiutato.
Incredibilmente, così come nessuno oserebbe mai fare in vita sua, Stiles Stilinski, l’angelo dalle ali tinte di vestigia astrali, volta le spalle a Dio. Non lo ringrazia per essere intervenuto, non lo ringrazia per averlo salvato. Semplicemente, non parla. Cammina lentamente, i piedi nudi che toccando l’erba baciando il mondo di nuova vita. Tralicci d’edera sbocciano dal sangue e dai detriti anneriti, sfiorandogli gentili le caviglie e reclamando gloriosi quel panorama di distruzione che finalmente, merita null’altro che degna sepoltura nelle menti di chi non potrà mai dimenticare.
Stiles raggiunge il più vicino dei demoni sconfitti, una ragazza dai lunghi capelli biondi coperta di sangue e terra, di tremori e pianti sommessi. Appare come una normalissima fanciulla, un’umana prostrata dalla vita e dall’oscurità che non riesce a respingere, nonostante il bacio cocente della luce. Quella ragazza, ha ucciso molti degli amici di Stiles. Quella ragazza gli ha spezzato le ossa e l’animo, quando era giù all’Inferno. Eppure, nonostante tutto, lui non riesce ad accusarla. Non prova odio per lei, non un barlume di furia omicida. Così come accadde allora, quando il falso Alastor fingeva di morire, così anche adesso Stiles si inginocchia al cospetto della sua stessa umiltà. Lascia che il morbido pantalone di candida seta si sporchi di sangue e terra mentre il giovane si china dolcemente e, sorprendendo i nemici molto più di qualsiasi amico che abbia mai avuto modo di conoscerlo davvero, la stringe tra le braccia come se fosse il più caro dei familiari.
-Ti perdono.-
Due parole, più potenti di qualsiasi guerra. Due parole, più potenti di qualsiasi arma. Laddove l’odio non ha saputo spingersi con la forza, lì vi giunge la dolcezza di una voce inaspettata, angelica, che parla di umanità e carità terrena. Di sangue, il mondo ne ha visto abbastanza. Ha ospitato violenze, soprusi, rabbia, bestialità. Eppure, nonostante tutto, sradicare il bene è molto più difficile di quanto possa apparire. Stiles lo imparò quando, sorridendo, sua madre gli disse di accettare la morte e salutarla con umorismo e anche un pizzico di familiare amicizia. Allora, Claudia stava morendo. Moriva, ma non aveva paura. Moriva, ma nell’oscurità non ci credeva davvero perché certi mostri, esistono nell’immaginario e negli occhi di chi li teme. La sua magia, quella vera, non si è mai estinta. È perdurata negli anni, attraverso gli occhi e i gesti di suo figlio, e per secoli ancora andrà avanti, trasmessa da chi, guardando quelle stesse iridi di umana pietà, ha saputo imparare che sono le piccole cose a cambiare il mondo: una risata di bambino, la carezza di un nonno al nipote, il pianto felice di una madre che stringe il figlio tra le braccia.
Questo, la giovane demone stretta adesso tra le braccia di Stiles, sente di poterlo capire. Lo capisce mentre qualcosa nel suo cervello scatta, lo capisce mentre il vago ricordo del suo io passato la vedeva avvinghiata a una madre, un padre, una sorella. Una famiglia. Ce l’aveva anche lei, allora.
Lentamente, Stiles si separa dalla ragazza e le afferra il viso tra le mani. La costringe a guardarlo negli occhi, quelle iridi ricolme di luce e polvere di stelle. La demone sta guardando la più alta delle beatitudini in volto e, nonostante tutto… non fa male, né paura. Non brucia come si aspettava.
-Sei libera.- sorride Stiles, lasciandola andare. –Lo siete tutti!-
Mai più Dumah. Mai più morti innocenti. Alla luce della luna Stiles gridò questa promessa e adesso alla luce del sole quella stessa parola data compie il suo giro e chiude il cerchio. Lì, al cospetto del mondo ormai salvo e in pace, i demoni non appaiono più tanto spaventosi. Dell’oscurità, non se ne fanno più niente. È buia, soffocante e fa freddo. Non sa di casa e casa non potrà mai essere tale poiché, per quanto di indole oscura, quegli stessi demoni nascono da uomini vivi di luce e speranze. È per questo che, senza più vergognarsi o temere la propria stessa natura, ogni demone tende la mano e afferra quella del fratello sconfitto per aiutarlo ad alzarsi in piedi da pari a pari. Si fissano in viso, si stringono in abbracci nuovi che sanno di calore e non bruciano la pelle. Improvvisamente, la luce non è poi tanto male.
-Bel lavoro, figlio mio.- interviene una voce roca, sdoppiata, che inconsciamente  stira le labbra di Stiles di un infante sorriso nascituro. Il ragazzo si volta, la pelle luminosa ora più che mai e finalmente le vede: due incappucciate, due sorelle. Si tengono per mano, per la prima volta dall’alba dei Tempi si toccano amichevoli in un gesto naturale che sa di mille ere passate, di mille cose non dette. Vita e Morte, luce e oscurità. Alla fine di tutto, non sono poi così diverse. Due piatti di un’identica bilancia senza i quali quella stessa bilancia non esisterebbe affatto. Il mondo si basa anche su questo, e Stiles pensa che dopotutto, la vita non potrebbe essere più bella di così: violenta, oscura, irta di pericoli. Eppure, allo stesso tempo, anche pregna di beata luminosità. La vera vittoria dell’universo è questa.
-Ciao, mamma.- sorride Stiles, e allora… semplicemente, la donna in nero abbassa il cappuccio con mani non più scheletriche, non più prive di carne e muscoli. Quelle mani, adesso sono morbide e sottili, fragili di dita affusolate e unghie di giovane donna in sboccio.
I presenti si aspetterebbero qualsiasi cosa da quel volto. Che aspetto può avere la Morte? La sola parola altisonante è capace spesso di chinare capi e prostrare in ginocchio re e regine, ma il volto? Nessuna fantasia potrebbe prepararli a questo. Alcuni pensano che si tratti di un teschio vuoto e senz’orbite; altri ancora che sia una donna tentatrice dai freddi occhi di ghiaccio.
Non è così.
La Morte ha l’aspetto più ordinario del mondo. Giovane e bellissima, florida di un pallore lunare con qualche neo a punteggiare la pelle morbida. La donna ha lunghi capelli castani, un sorriso luminoso e gli occhi… Dio. Quegli occhi, Derek li conosce. Li ha guardati da vicino così spesso da poterli disegnare pur non sapendo impugnare una matita. Può scolpirli nella roccia e nelle stelle, nell’acqua e nel ghiaccio più freddo dell’Artico. Quegli occhi dorati, fulgidi di albe e tramonti, di sole e aurore boreali, Derek li amava. Li ama. Ma non appartengono a Stiles, non ora. Eppure sono i suoi, il licantropo ne è certo. Possibile…?
-Lo sapevi, vero?- sorride la donna con gentilezza prostrante di giovane madre. –Sapevi perché Lucifero ti aveva trasformato in demone.-
Col cuore in gola, Stiles annuisce. Si specchia adesso negli occhi di quella donna; occhi così simili ai suoi, così vivi e sereni. Stiles li ha già guardati mille e mille volte, studiandoli e fidandosi del loro calore, della loro luce, dell’affetto che sempre hanno racchiuso. Stiles è nato e cresciuto attraverso quelle iridi dorate, figlio dello stesso sole che gentile lo abbracciava, lo scaldava, lo istruiva. Occhi di madre… occhi di Claudia Stilinski.
La Morte ha tanti volti. Per questo è anziana, per questo è giovane, per questo conosce l’uomo molto più di sua sorella Vita. Si pensa che appunto, le persone scoprano l’importanza della vita vera solo quando morte sopraggiunge. La abbracciano, la comprendono, e allora la Signora Nera le assimila e capisce a sua volta.
La Morte non ha un solo volto, un solo corpo, un solo spirito. Essa è un concentrato di anime, un oceano di persone che raramente si permette di prendere il suo posto. Claudia Stilinski è un’anima, ma è anche la Morte in persona, poiché solo un defunto assimilato dall’aldilà potrà vantare di conoscere l’aldilà stesso.
-Sapevi che Lucifero ti trasformò e ti fece uscire dall’Inferno perché temeva che con la tua sola presenza avresti contaminato tutti i suoi uomini, spingendoli verso la luce. La verità è che aveva paura di te e non riusciva a controllarti.-
Dolcemente, Claudia allunga una mano pallida e tremante, le dita sottili come quelle del figlio. Suo figlio. Come è cambiato, come è cresciuto. Quando era in vita, Claudia abbandonò un bambino in lacrime, fragile, dagli occhi enormi e le braccia sottili. In un momento di disperazione, pensò che non sarebbe sopravvissuto a ciò che lo aspettava. Troppo piccolo, troppo umano. Troppo Stiles. E Stiles non era adatto ad andare avanti, ad affrontare vita e morte così presto. Claudia morì piangendo, pregando, implorando che in qualche modo, Stiles si salvasse.
Bizzarro come a volte, le preghiere trovino il loro modo di avverarsi. A dispetto di tutto, Dio non impedì ad un innocente di cadere all’Inferno e non a Lui sarà attribuita la salvezza di Stiles. No. Il vero eroe di tutto, è Stiles stesso. Non più troppo fragile, non più troppo umano, poiché umanità e fragilità erano in realtà la risposta ad ogni problema.
Claudia stende le dita e le appoggia sulla guancia del figlio. Caldo, vivo e bellissimo più di qualsiasi angelo. Come in un sogno, quei piccoli frammenti sfaccettati che si spaccarono allora nell’animo di Claudia, si ricompongono adesso, al cospetto del sole e di un figlio dopo lungo tempo ritrovato. Finalmente, dopo anni, Stiles rivede sua madre. Può toccarla, può parlarle, può guardarla negli occhi e dirle ogni cosa. Frasi semplici di bambino, sorrisi mai donati, racconti di una vita trascorsa e vissuta in assenza di una madre. Eppure, nonostante tutto, il fiume di parole che si era preparato sparisce all’istante, sostituito da un solo, semplice sguardo. Basta questo, occhi negli occhi, e Claudia capisce.
Quello è suo figlio, dopotutto, e nessuno meglio di lei potrà mai capirlo. È una parte di Claudia, un pezzo d’anima e di cuore staccatosi per puro ben di vita. Guardando Stiles negli occhi, Claudia fissa semplicemente se stessa. È la vita vera, quella che vede, e non potrebbe essere più fiera di così. Stiles è il suo capolavoro, la sua più grande opera d’arte.
Ogni genitore pensa prima o poi che il suo pargolo incarni la perfezione in Terra, come un re o una regina nato per sbaglio in una fattoria dimessa e indegna, ma Claudia… Claudia sa che suo figlio è davvero un angelo. Non per le ali, non per la luce che lo avvolge o per le vesti candide. L’aspetto non c’entra nulla, adesso, perché quello lì è un angelo vero, di quelli gentili che insegnano ai bambini a volare e agli adulti a guardare la luce del sole quando dimenticano come alzare la testa. Quella creatura, in tutta la sua gloriosa grandezza, non emana potenza, ma quieta serenità mista a un messaggio che solo Stiles potrebbe trasmettere: “Sono solo un normalissimo ragazzo”.
E Claudia pensa allora di aver vinto ogni battaglia, ogni sconfitta, ogni momento di tristezza e disperazione. La sua vittoria è lì, semplice e bellissima, fiera e abbagliante più degli astri, e Claudia non vorrebbe mai aver avuto nient’altro dalla vita. Suo figlio.
-Sono fiera di te, tesoro.- sorride, e allora Stiles stringe le labbra, le fa tremare. Buffamente, col suo aspetto da guerriero sceso in Terra, dimostra per l’ennesima volta la sua spiccata umanità: innanzi al suo esercito, innanzi al mondo e a Dio in persona, Stiles scoppia a piangere come un bambino. Si strofina gli occhi con una mano, singhiozza debolmente di una sofferenza che Claudia mai vorrebbe vedergli in viso. Paura, tristezza, rabbia. Passerà, Claudia lo sente. Eppure, è felice anche di questo perché nonostante il sangue, l’odio, le grida e la battaglia, Stiles non ha perso se stesso. A dimostrare che in lui c’è ancora quell’anima splendente di dolce umanità, è proprio un sottile pianto di bambino.
Claudia lo abbraccia così come ha sempre sognato di poter fare, così come è giusto che faccia una madre. Si concede di toccarlo, di sfiorare le ali e la pelle troppo calda, forse unico rimasuglio del suo essere demoniaco. Profuma di casa, di sole e di luna, e attraverso quegli odori, Claudia rivive una vita che credeva d’aver perso. Respira, corre, ride, vive. E a donarle tutto questo, è semplicemente suo figlio.
-Hai trovato la tua stella da seguire, alla fine.- sorride Claudia, accarezzandogli i capelli e la schiena con adorante dolcezza di rugiada. Tocchi fugaci, gentili, innamorati come solo quelli di una madre sanno essere.
-Non voglio che tu te ne vada…- singhiozza Stiles, aggrappandosi puerile alle vesti nere così come un bambino si attacca al seno della madre quando ha fame. Serra gli occhi, inspira il profumo familiare della donna che lo ha donato alla vita, che gli ha insegnato a camminare e a parlare, a vivere e a imparare dalla vita stessa.
Le sue mani, sono adesso quelle di Claudia, poiché da lei hanno imparato come muoversi.
Le sue gambe sono adesso quelle di Claudia, poiché da lei hanno imparato come camminare.
I suoi occhi sono adesso quelli di Claudia, poiché attraverso quelle stesse iridi dorate, Stiles ha imparato a vedere la vera essenza delle cose. Con quegli occhi, lui guardò Derek per la prima volta, e lo vide davvero, coi suo difetti e il suo burbero strato di rudezza lupina. Tuttavia… sono quelle le iridi che hanno osato spingersi più a fondo, oltre il muro di rabbia e gli oceani di risentimento. Lì, Stiles ha trovato un diamante nerissimo, grezzo, selvaggio, e un pezzo per volta, pazientemente, l’ha ripulito per dare alla luce qualcosa di nuovo che, paradossalmente, in realtà c’è sempre stato. Il diamante più puro di tutti.
-Prendi me.- sussurra improvvisamente, e allora Claudia si separa da lui per guardarlo in viso, corrucciata. Sbatte le palpebre, con ciglia scure che aleggiano come setole di piuma sugli archi morbidi degli occhi. Stiles non ha paura di lei, non teme la Morte. È sua madre, la donna che gli tendeva la mano quando cadeva imparando a camminare. Adesso, per l’ultima volta, Stiles le chiede un aiuto, una mano tesa. Ancora aggrappato miseramente alle sue vesti, l’angelo più bello di tutti si inginocchia e china il capo, servo umile al cospetto della grande Madre che per lui, è madre davvero.
-Prendi me e lascia andare i miei fratelli. Valefar, Isaac… Dumah. Sono morti per seguire me e non vi è giustizia in questo. È la mia famiglia, mamma. Non posso lasciarli morire, così come tu rifiutasti di abbandonare papà, la cui malattia stava per finirlo. Non è ancora la loro ora, mentre la mia è giunta tre anni fa. Riportami a casa, mamma. Non lasciarmi indietro ancora una volta.-
Come è bizzarro il mondo. Certe storie si ripetono, altre ancora mutano in tragedia o in eroica storia dal finale incerto. Ben poche invece, sono le favole. Esistono, come creature mitologiche quasi impossibili da scorgere, ma se si presta abbastanza attenzione, ogni tanto capita di trovarsene una tra le mani, preziosa più di qualsiasi gemma. E la storia di Stiles Stilinski è forse una di quelle sorprendenti favole dai contorni irreali. Sbocciata come la più bizzarra delle commedie, evolutasi in lacrimevole tragedia per culminare infine in qualcosa di diverso, un risvolto sorprendente che mai nessuno avrebbe immaginato.
All’inizio di tutto, quando tre anni addietro Stiles morì, piangeva. Piangeva lui, piangeva il cielo, piangeva il mondo. Quel giorno vide lo spezzarsi di un’anima spaventata, fragile, troppo giovane per conoscere l’aldilà e affrontarlo da solo. Era qualcosa di sbagliato, qualcosa di innaturale. Però, incredibilmente, quella stessa anima fragile ha trovato la forza di compiere il miracolo. Nulla pretese da Dio, se non pietà per i suoi cari, ma mai domandò aiuto per avere la forza di alzarsi in piedi. Stiles scelse di provarci da solo, di cadere e ritentare, più e più volte, fino a spezzarsi le ossa e le unghie. Non smise mai, finché non riuscì a sovrastare le sue stesse debolezze. Era solo, fragile sassolino in balia di una burrasca. Ma tutti sanno che, se abbastanza pesante, un sasso affonda e si arpiona al suolo, coprendosi di sabbia e aggrappandosi testardo al fondale dell’oceano. Nessuna marea lo smuoverà più, nessuno tsunami riuscirà a spostarlo. E quel sassolino, da solo, avrà sconfitto il mondo.
Stiles è adesso ben diverso da un sassolino. È una montagna, una potenza viva sviluppatasi e cresciuta attraverso le piccole cose. E lì, adesso, quella stessa potenza dimostra infine un’ultima dose di umana carità, una richiesta che zittisce il mondo intero.
-Sei cambiato, figlio mio.- sussurra Claudia. –Quando ti vidi per la prima volta, da piccolo, eri molto pallido, anche se in salute. Pensai che fossi candido come neve destinata a sporcarsi. A causa mia, la sozzura dell’Inferno ti avrebbe sepolto, soffocato, annerito come il più nero dei carboni. Eri il mio cigno destinato a vederti spezzare le ali… e a fare questo, ero stata io. Tua madre, la donna della quale più di ogni altra ti fidavi. Ti insegnai a camminare, nonostante sapessi che un giorno, quelle gambe te le avrebbero fatte a pezzi. Ti insegnai a vedere, pur sapendo che quegli occhi… i tuoi bellissimi occhi… sarebbero stati accecati e consumati dalle fiamme.-
Colpe. Claudia pensava di poterle sostenere, ma un peso tanto grande schiaccia e fa a pezzi più di qualsiasi immonda ferita. Una madre ha venduto suo figlio, una madre l’ha cresciuto e accudito come carne da macello.
Claudia cade in ginocchio, i grandi occhi colmi di lacrime argentine. Fissa in viso suo figlio, colui che è caduto e riemerso dall’Inferno senza mai odiarla, senza mai giudicarla. Né angeli né santi farebbero una cosa del genere. Loro no: Stiles sì.
-Ti ho ucciso, figlio mio!- esclama, abbracciandolo debolmente, misera e tremante come solo una donna in pezzi potrà essere. –Ti ho spinto nel baratro, e tu pregavi per me! Ti ho lasciato morire, e tu mi perdonavi! Non potrò mai chiederti perdono abbastanza, perché le ali te le hanno già spezzate più volte e l’hanno fatto in nome mio!-
-E in nome tuo sono tornato a volare.-
Claudia smette improvvisamente di piangere, gli occhi sbarrati fissi in quelli caldi e benevoli di suo figlio. Li ha visti crescere, quegli occhi, da infanti a ragazzini, da ragazzini a ragazzo in sboccio. Adesso però, Claudia fissa negli occhi un vero uomo, più maturo di quanto potranno mai essere molti altri adulti.
-Non scordare, mamma, che io queste ali le devo a te. A te devo la vita, a te devo ciò che sono. E… se sei fiera di me almeno un quarto di quanto io lo sono adesso di me stesso, sii felice. Sii felice al pensiero che tutto questo è stato possibile grazie a te; sii felice al pensiero che tuo figlio, attraverso i tuoi stessi insegnamenti, ha avuto modo di trovare appigli per risalire alla luce. Sei mia madre e se pure mi uccidessi di nuovo come ti sto implorando di fare, sappi che mi toglieresti solo qualcosa che caritatevolmente mi hai già donato di tua iniziativa dalla nascita.-
Claudia non ha bisogno di rispondere, di piangere, di abbracciarlo. Ha capito. Adesso sa. Le basta uno sguardo al volto di suo figlio, e tutto scorre a posto, come pezzi di un puzzle finalmente ricostruito. Ora, non resta che una cosa da fare.
-Devo essere molto sbadata.- sorride alla fine. –Lo sono stata così spesso ultimamente, vero, sorella?-
Da sotto il cappuccio, Vita sorride di un ghigno enigmatico, che narra mille e mille storie nuove e ancora da raccontare. –Lo sei sempre. Ma siamo sorelle, e devo ammettere che questo tratto della personalità ci accomuna piuttosto fastidiosamente. Infatti, credo di aver trattenuto qualche filo vitale di troppo, nell’arco delle ultime ore.-
Stiles sbatte le palpebre, improvvisamente conscio del significato di quelle parole. Vuole pensare di non essersi sbagliato, vuole credere in qualcosa che potrebbe rivelarsi errore, presa in giro o purissima illusione. Però… si tratta di sua madre e Claudia gli ha insegnato a non dire bugie. Lei non mente mai, perciò Stiles vuole crederci. Per l’ennesima volta, vuole rischiare.
-Stiles!- esclama Agares, ancora vivo ma con entrambe le ali spezzate. Fissa con occhi sbarrati l’orizzonte, laddove il sole splende più fulgido che mai, una criniera d’oro brillante che come cascata liquida piove sul mondo e su delle… figure. Due ragazzi, pare. Zoppicanti, storditi, appoggiati l’uno all’altro come bizzarri vecchietti curvi ma di giovane aspetto.
Stiles assottiglia lo sguardo, le labbra già tese nel barlume luminoso di uno splendido sorriso. E alla fine, li riconosce.
-Perché mi guardano tutti male? Se ce l’hanno con me, sappi che ti getto tra la folla come esca e scappo.- mormora il più alto dei due, e Stiles allora non può fare a meno di coprirsi la mano con una bocca e scoppiare a ridere mentre lacrime cristalline germogliano brillanti dagli angoli degli occhi. Lui, quella voce l’ha sentita tante e tante volte quando era all’Inferno, al Dogma, a casa o dinanzi ai resti di casa Hale, durante gli allenamenti col branco. Una voce che lo consigliava, una voce che lo accoglieva e lo curava con la sola pacata gentilezza dell’intonazione. Una guida.
Ancora zoppicante, sporco di terra, con un occhio cieco e la pelle schizzata di sangue, Valefar sorride come se non avesse mai fatto altro in vita sua, un piccolo sole che sboccia sul suo volto e gli illumina lo sguardo di serena beatitudine. –Ehilà, dolcezza!-
Stiles vorrebbe correre da lui, abbracciarlo, forse anche dargli un pugno in faccia per essersi fatto uccidere, ma a quanto pare, qualcuno che ha pensato di fare le stesse cose c’è già: un giovane corpo di ragazza travolge Valefar, placcandolo e schiacciandolo al suolo in un turbine di piume, abiti e tacchi a spillo che per giusta punizione gli sfiorano pericolosamente l’inguine.
-IO TI AMMAZZO!!!- ruggisce Lydia, sovrastandolo come una feroce leonessa. Ha i capelli scompigliati, gli occhi brillanti di minacciosa pupilla verticale il sole alle spalle che bacia di oro colato la sua pelle pallida, così simile al candore di nivea civetta che si specchia nelle piume bianchissime delle ali. –Sei il peggior essere vivente che esista! Sei un bugiardo, un bastardo, un vigliacco e un… un… che cavolo, ti odio da morire!-
Lydia continua a minacciarlo senza riprendere fiato, furiosa per il terrore provato, per la rabbia repressa, per il senso di impotenza che, si promette, mai più vorrà affrontare a testa bassa. Mai più ascolterà la sua famiglia morire, mai più lascerà che tutto si sgretoli intorno a lei mentre il mondo le strappa dal petto una parte di quel cuore che inconsciamente ha avuto il coraggio di ricostruirsi da solo, argilla fragile tra le mani dello stesso demone che ha rischiato tutto per lei, per il suo domani, per quel futuro che senza di lui, per Lydia non sarebbe esistito affatto.
Sorprendentemente, Valefar scoppia a ridere. Abbandona il capo all’indietro e volge al cielo il suono più infantile e cristallino del mondo, puro in ogni suo aspetto. Felice, vivo, carico di ubriaca armonia. È il canto degli angeli che vibra contro le sue stesse corde vocali, il canto di un bambino che rigenera il mondo osservandolo con occhi appena nati.
Alla fine, Valefar si calma appena e, ancora ridendo, afferra il viso di Lydia tra le mani ancora luride di sangue e terra. Mani che stavolta, osano toccarla e sono fiere di poterselo meritare.
-Hai ragione, dolcezza. Ti amo anche io.-
-Fare il carino non ti risparmierà i numerosi calci in culo che merit…-
Valefar ha sentito abbastanza. Per troppo tempo ha creduto di averla persa e per troppo tempo ha pensato di non poterla mai più toccare lì, alla luce dell’alba, dove il mondo finalmente si risveglia e li guarda baciarsi, anime intrecciate di diverse razze ed epoche.
Lydia è ancora arrabbiata, e se lo ripete come un mantra per non dimenticarlo perché improvvisamente, sente di poter scordare finanche il suo stesso nome. Quelle labbra sanno d’acqua e carità, di fuoco e ardore, di terra e beata rinascita. Lydia può sentirle, insieme ai denti appena appuntiti che le pungolano la pelle per ricordarle che ormai va tutto bene. Sono insieme, stretti al cospetto di Dio, e al cospetto di Dio demone e alata fanciulla si baciano, giocano le lingue in una danza incantevole e senza tempo, arcana più di qualsiasi era. Sono a casa, sono insieme. E, soprattutto, sono liberi.
Isaac si accorge di essere caduto solo quando comincia a pensare che effettivamente, l’angolazione da cui guarda il mondo non è poi così naturale. Non ricorda di essere crollato, ma dopotutto, è troppo stanco per restare in piedi e non è un male che le gambe non lo reggano più. Strano a dirsi, ma proprio adesso che il suo corpo è totalmente devastato, Isaac si sente più integro e vivo che mai. Non più inutile marionetta accantonata in un angolo, non più oggetto in disuso dimenticato da Dio e dagli uomini.
Per la prima volta, Isaac è vivo e felice di esserlo. Si sente se stesso e si accetta per ciò che è perché semplicemente ha perduto la vita già una volta pensando che forse, ogni singolo respiro è troppo breve per interromperlo di tanto in tanto con singhiozzi disperati. Piangere non è un male, ma spesso, il sorriso è il miglior modo per asfaltare la strada del futuro. Non è facile aggrapparsi alla felicità giorno dopo giorno, ma forse ne vale la pena anche perché adesso, il suo traguardo Isaac lo vede.
Una mano tesa. Emerge dal bacio accecante del sole, fastidioso e abbagliante come faro puntato negli occhi. Isaac vorrebbe coprirsi il volto, ma sa di non averne la forza. Tutte le energie che gli restano infatti, sceglie di impiegarle nell’alzare il braccio e afferrare quella mano forte di ragazzo che già tante volte l’ha aiutato a rialzarsi. Isaac si fida ciecamente di quella stretta calda e sicura, morbida e bellissima. Sa di ancora, di salvezza.
Lascia che Scott strattoni, lascia che il corpo si sbilanci verso l’alto con grazia beata e, ancora debole, Isaac cade nel morbido nido sicuro delle sue braccia. È come piovere su una nuvola di sogno dopo lunghi giorni di incubi, una nuvola che profuma di casa e ragazzo, di dolcezza e familiarità. Rinascere dalla morte non è nulla, se non si ha un motivo per farlo e Isaac torna a respirare davvero solo quando ha modo di affondare la faccia contro il petto ferito del suo Alpha. È a casa, stanno bene, sono vivi. E finalmente, Isaac si sente più intatto che mai. Un finale come quello, non lo ha mai immaginato nemmeno nei sogni più reconditi, lontani e inafferrabili.
Suo padre non lo ha mai picchiato.
Sua madre non lo ha mai ripudiato come figlio ed essere umano.
Ha una famiglia, Isaac; ha una casa. Ed è tutto lì, in quell’abbraccio convulso che quasi lo soffoca di tremiti e paura, di sollievo e felicità a stento trattenuta. Isaac credeva che l’alba fosse una cosa semplice, per quanto bella: si tratta del banale sorgere del sole, uno sbocciare morbido di luce aranciata che poco a poco si schiarisce, innalzandosi al cielo e vincendo l’oscurità del mondo.
Errore.
In realtà, l’alba è diversa per ogni essere vivente. Si tratta di un ritorno alla luce dopo un lungo periodo di oscurità. Per alcuni è nascita, per altri riposo, per altri ancora semplice e pura visione di un domani regalato. Per Isaac invece, l’alba è Scott. Nella sua lucentezza, essa è racchiusa negli occhi scuri di una creatura della notte, nel suo sorriso timido, nell’abbraccio soffocante che sembra non volerlo abbandonare mai più.
Isaac ha creduto nell’alba, e infine, quella è arrivata.
Lentamente, quasi con cautela, Scott lo lascia andare. Si separa dolcemente da lui, indietreggia appena, ma senza staccare le mani dai suoi avambracci, come se temesse di vederlo sparire di nuovo, come fiore appassito divorato dall’acido. Ma Isaac non può sparire di nuovo. Non gli è concesso, non finché Scott sarà vivo e avrà bisogno di lui.
-Stai bene?- domanda Isaac, studiando il sangue di Scott che ancora gocciola da ferite in via di guarigione.
L’Alpha sorride luminoso, scrolla il capo. Poi torna ad abbracciarlo e sorprendentemente… fa scorrere le mani nei suoi capelli e il naso lungo la linea della mandibola. È un gesto gentile, familiare, che a dispetto di tutto, non imbarazza nessuno dei due. Per entrambi, è una cosa purissima e naturale, e Scott sente di poter affrontare qualsiasi incubo semplicemente avendo Isaac accanto.
-Lui muore e dopo chiede anche se io sto bene. Ma tu guarda…- ridacchia Scott, prendendogli il viso tra le mani. Lo guarda da vicino, si specchia in quegli occhi così vivi, così azzurri. In essi, Scott rivede la placidità del mare in bisaccia e il bacio del cielo che all’orizzonte incontra abbracciandolo quello stesso oceano. Il suo mondo vive di nuovo, ed è racchiuso lì, in quegli occhi di bambino così grandi e semplici, così puri e incontaminati. Occhi d’angelo. L’alba di Scott è proprio lì.
-Bentornato a casa.- sussurra, appoggiando la fronte alla sua. Sorridono entrambi, viso contro viso, sereni di respiri condivisi e occhi di cielo e terra che s’incontrano lì, all’alba del nuovo giorno.
-Non li sopporto.- sbotta Valefar, rialzandosi.
-Neanche io.- rincara Lydia, infastidita.
-Ne hanno ancora per molto, secondo te?-
-Spero di no, ma non si daranno mai una mossa. Sono più imbranati di un ornitorinco sulla terraferma.-
-Tra tutti i paragoni, proprio l’ornitorinco… chi gliel’ha dato quel nome del cazz…-
Ma Lydia non lo ascolta più. Silenziosamente, sgattaiola verso Scott e Isaac, e Valefar la segue. Entrambi silenziosi, entrambi leggeri come l’aria. Forse è per questo che Isaac e Scott non si accorgono della loro presenza, ed è per questo che entrambi sbarrano gli occhi quando quattro diverse mani spingono seccamente le loro teste ad accostarsi qualche centimetro di troppo.
Le labbra collidono, si incastrano, si accarezzano stupite. Scott sbarra gli occhi, Isaac si immobilizza in quella ridicola posizione, ponderando l’idea di fingersi morto di nuovo per poi seppellirsi dalla vergogna. Scott lo ammazzerà, ne è certo. Lo radierà dal branco, lo farà a pezzi con gli artigli.
Isaac vorrebbe staccarsi, davvero. Eppure… quel contatto non è poi così male. Scott sa di sole e menta e le sue labbra sono più morbide di qualsiasi drappo di seta voluttuosa. Isaac non ha mai creduto di poter toccare  il sole, di poterlo abbracciare e baciare. Nonostante ciò, adesso lui sta assaporando il sorgere della sua stessa alba. La sfiora, gentilmente si azzarda ad approfondire quel tocco reverenziale di pallido servo che contro ogni logica osa adesso muovere le labbra e schiuderle timoroso. Lascia che la lingua guizzi, lascia che quella luce dorata lo inondi per la prima e forse ultima volta.
Crack. Crack. Crack.
Schioccando, ogni più piccola crepa di quella bambola danneggiata che è sempre stata Isaac, si sana. Il giovane licantropo si abbandona per l’ennesima volta alla sicurezza di quel rifugio familiare che improvvisamente… risponde al bacio.
Timoroso e gentile, Scott gli avvolge un braccio intorno ai fianchi e affonda l’altra mano in quei capelli morbidi di seta e nastri dorati che ha sempre bramato sfiorare. Può sentirli contro i palmi, morbidi e bellissimi come sogno adesso vicino, a portata di mano, che poco a poco lo abbraccia e risponde alla dolcezza del suo tocco.
L’alba di Scott non potrebbe essere più accecante di così: brilla più del diamante e irradia un calore mai provato che abbraccia senza scottare. È uno sbocciare leggero, fragile, timoroso. Scott sente adesso di star toccando quello stesso fiore possente che, nella sua semplice dolcezza, ha saputo vincere il mondo… ha saputo vincere lui.
Baciare Isaac, è come disegnare. Stavolta, Scott ne è capace, si sente degno, e serenamente può osservare da vicino la grandezza di quell’opera che mai nessun Dio saprebbe creare. Lingue che tracciano delicati arabeschi di sapori mescolati, mani che scorrono scie iridescenti sulla pelle e tra i capelli, occhi che schiusi si osservano da vicino e non smetteranno mai di ridere luminosi. La loro opera più gloriosa si spende lì, al cospetto di un esercito, alla fine della battaglia più violenta che l’universo abbia mai visto e al sorgere di un sole nuovo di un altrettanto nuova era.
 
Peter Hale è esausto. Non ha mai lottato tanto in vita sua e, cosa più importante di tutte, non ha mai visto il mondo con gli occhi di un lupo. Lo ha sempre sognato, ci ha sempre sperato. Avere quattro zampe, un muso lungo, essere animale in tutto e per tutto. Si sente un re della sua razza, si sente completo e per la prima volta, totalmente incontaminato. Non che sia una bellissima sensazione, considerato che lui non è nato per essere uno dei buoni. Tuttavia, non è male sentirsi parte di qualcosa. Avere un branco, una famiglia, essere guardato con affetto anziché con odio sporco e putrido di cecità. Certe cose, Peter non le ricordava più. Detesta ammetterlo a se stesso, ma è bello, e si odia anche solo per averlo pensato.
Ancora fermo su quattro zampe irte di graffi e sangue scuro, Peter non sa cosa fare. Vede il branco gioire, Lydia e Valefar darsi il cinque mentre quei due imbecilli di Scott e Isaac finalmente capiscono che il loro posto è sempre stato in realtà tra le braccia dell’altro.
E lui? Che ne è di Peter Hale? Il branco lo avrà anche accettato, ma lui non entrerà mai a far parte di quella famiglia. Peter è un solitario, un diverso. Ha svolto il suo lavoro, lì, e adesso è giusto allontanarsi.
Lentamente, si volta verso i miseri resti bruciati del bosco. Lo guarda, spera che almeno per un po’ sappia accoglierlo. Almeno lui, nella sua selvaggia natura silenziosa, potrà accettarlo. Dopotutto, Peter una famiglia non ce l’ha più. L’ha persa anni addietro, in un incendio che tra le sue stesse vittime, si portò via anche il vecchio Peter.
Va bene così. La battaglia è finita, Lucifero è sconfitto. Anche se per poco, Peter si è sentito se stesso. Non gli interessa salire in Paradiso. Della beatitudine, non se ne fa niente. Tuttavia, ha ringraziato a modo suo Dumah e ciò che gli ha dato. Adesso è ora di andare, di guardare oltre.
Un passo dopo l’altro, Peter si allontana dalla battaglia. Raggiunge il limitare del bosco, che lentamente, davanti ai suoi stessi occhi, si risveglia. Madre Terra si inginocchia, mastodontica oltre ogni dire, con ricci scolpiti avviluppati di tralicci d’edera e fiori che sbocciano e appassiscono in un ciclo veloce, continuo, infinito. Il cerchio della vita.
La donna tocca terra con la mano gigantesca, grande più dell’intero bosco di Beacon Hills, e allora qualcosa cambia, il mondo risponde e poco a poco, mentre Peter continua a camminare, gli alberi rinascono, crescono, stiracchiano rami e germogli di fogliame sempre più fitto, sempre più vivo e smeraldino. Sotto le sue zampe, l’erba fiorisce e l’edera avvolge i massi sporchi di sangue, ripulendoli di un peccato del quale il bosco non ha colpe. Un pezzo alla volta, una pianta dopo l’altra. Peter le guarda rinascere, tornare alla vita lì dove cenere e sangue son piovuti come tempesta maledetta sulla purezza della natura viva e incontaminata. Alla fine, chiudendo il ciclo, quella stessa natura reclama il suo pianeta e la guerra sparisce, soffocata dal verde e dal bianco, dal rosso e dal viola, dal blu e dal giallo.
Peter si sente nuovamente a casa, perché quello è il suo bosco, e Madre Terra non poteva ringraziarlo meglio di così. Prima di lasciare Beacon Hills, riposerà nello stesso luogo che ha accolto e sepolto il vecchio se stesso e la sua famiglia. Penultimo degli Hale ancora in vita, penultimo guardiano prostrato dalla vita e dalla violenza che essa ha racchiuso.
Ma nessun lupo, per quanto solitario, sopravvive a lungo senza un branco. La solitudine non è un male, ma sa diventare infetta se non vi è una cura in grado di respingerla di tanto in tanto.
-Vai da qualche parte, tesoro?-
Peter si immobilizza, sbarra i grandi occhi dalla pupilla verticale. Occhi blu, occhi demoniaci. Gli occhi di…
-Sai che non è male questa nuova forma? Ti preferisco così, quando sei costretto a chiudere quella boccaccia sexy.-
Un tonfo, lo zampettio di quattro arti da furetto sull’erba soffice e ancora in sboccio. Odore di animale, odore di giovane donna. Odore di demone appena emerso dall’Inferno.
Peter si volta di scatto, le orecchie dritte e le narici dilatate ad inalare quel profumo che mai più avrebbe sperato di poter sentire. Odore di pulito, odore di giovane donna. Lui lo riconosce, quell’odore.
Sbatte le palpebre e lei è lì, baciata dai cristalli sfaccettati del sole che emergono dalle folte chiome degli alberi. Metà in ombra, metà in luce, così come è sempre stata la sua anima, il suo essere, la sua esistenza. Una fanciulla alta e bellissima, dal fisico slanciato e gli occhi di intoccabile smeraldo stellato. Vi è la foresta di Peter, in quegli occhi; la stessa in cui è nato e morto, sepolto e rinato. Riesce a vedere il suo vecchio se stesso, in quelle iridi di giovane donna, e improvvisamente, Peter non si sente poi così cambiato. Visto attraverso quegli occhi, si sente ancora se stesso.
Lentamente, in risposta al sorriso provocante della giovane donna, Peter torna umano. Nudo e bellissimo, glorioso di muscoli e pelle tesa, sporca di sangue e terra. Selvaggio, così come Dumah lo ricorda. Un vero lupo, con o senza pelliccia.
Finalmente, può guardarlo negli occhi. Quegli occhi che ha visto prima di morire, quegli occhi che racchiudono ere di follia e macabra sofferenza. È possibile ripulire quello sguardo? È possibile guarirlo, lasciare che torni alla luce? Dumah pensava di no, ma dopotutto, chi è lei per giudicare? Si è svegliata all’Inferno, viva e senza più un paletto di ghiaccio a inchiodarla alla parete. Era morta, ed è tornata in vita. Anche nell’oblio più nero della sua esistenza, ha pregato di poter aiutare Peter e il branco, a dispetto del suo passato di bestia. I miracoli accadono, il mondo cambia, e con esso, mutano anche le persone. Tutto è possibile, perfino sconfiggere il Diavolo.
-Vai da qualche parte, dolcezza?-  sorride lei mentre Diaval le si arrampica lungo la gamba, con la piccola coda bianca che oscilla e i baffi che vibrano.
-Dipende.- risponde Peter, avvicinandosi. –Hai qualche buona meta da consigliarmi, a parte l’Inferno?-
-Quello è il massimo, dopo i Caraibi. Specialmente se ti piace il caldo.-
Peter sorride di un sorriso pulito, sereno, che per la prima volta, gli bacia il volto di nuove storie tutte da vivere e raccontare. Dumah lo conosce bene, quel volto. Somiglia molto al suo. Lei dopotutto, non è così diversa. Entrambi hanno un passato devastante, entrambi hanno sfiorato la follia e fatto scelte sbagliate. Non basterà un po’ d’acqua per ripulire il sangue che sporca loro le mani, ma forse… forse, unendo le forze, sarà possibile fare qualcosa. Non sarà facile, non sarà indolore. Cammineranno insieme, trovando di tanto in tanto la forza di rialzarsi a vicenda. Non è poi un’idea così brutta, dopotutto.
Valefar è cresciuto, ormai. Non ha più bisogno di lei. È giusto che Dumah lo lasci andare. È ora di intraprendere la sua strada e seguire quella linea del via che Stiles e il suo fratellino hanno tracciato per lei davanti ai suoi stessi piedi. Le hanno indicato la strada, ma adesso sta a lei percorrerla. Sarà una gran, bella scarpinata. Maledetti ragazzini. Valefar dovrà sorbirsi ogni cartolina del suo viaggio e imprecare come un camionista ogni volta che vedrà una sua foto. Dumah sarà viva, ma a modo suo. Per ora, vuole sbocciare come è giusto che sia. Vuole sentirsi degna, prima di ripresentarsi al cospetto del suo fratellino.
Strano a dirsi, ma a Dumah non piace viaggiare da sola. È noioso, è stancante e stressa piuttosto facilmente.
-Hai mai visto il Tempio della Terra?- domanda improvvisamente.
-No, ma mi piacerebbe visitarlo. E magari, se c’è qualche sacerdotessa sexy da quelle parti…-
-Certo, se ti piacciono le vecchie incartapecorite dalla pelle coperta di foglie, gioia.- lo interrompe Dumah, facendogli l’occhiolino. –Ma potrei sempre vestirmi da sacerdotessa, che ne pensi?-
Peter annuisce soddisfatto. –Penso che sarebbe perfetto.-
Lentamente, Dumah stiracchia il braccio e apre le dita, tendendo la mano così come Peter fece allora mentre lei moriva. Lo guarda in viso, parla con lo sguardo. E chiede se gli occorre davvero una compagna di viaggio.
Peter non ha bisogno di parlare per farsi capire chiaramente. Lascia soltanto che la mano scivoli in quella piccola e morbida di lei, troppo calda ma ugualmente bellissima. La stringe, vi si aggrappa e capisce che forse, non ha bisogno di restare in quel bosco per trovare riposo. La sua mente ha trovato la pace già lì, nella stretta di quelle piccole dita che giorni addietro, Peter si era ripromesso di non dimenticare.
Forse, ritrovare se stessi non è poi così impossibile.
-Andiamo?- sorride lei.
-Andiamo.- conferma Peter, e allora le tenebre li abbracciano, portandoli lontano, oltre i cieli e gli astri, oltre i mari e le terre più lontane. Viaggeranno a lungo, fianco a fianco, attraverso luoghi ed ere la cui magia non avrà eguali. Capita ancora di ascoltare qualche storia che parli di loro, favole epiche di fate ed elfi, orchi e animali parlanti. Il mondo vero, non è poi così noioso, dopotutto, e Peter Hale avrà modo di sperimentarlo fino alla fine dei suoi giorni, al fianco della donna che ama, demone e lupo, lupo e demone avvinti in un intreccio di anime così diverse, eppure ugualmente tanto simili da parere nient’altro che semplice tutt’uno.
 
L’arco di una vita sa essere bizzarro oltre ogni dire. Si nasce piangendo, si vive soffrendo e spesso, ci si spegne semplicemente con sollievo. Alcuni ringraziano il cielo di aver vissuto mentre altri, contro il cielo ci sputano rabbiosi, bestie in gabbia nella prigionia di un mondo che soltanto alla fine del percorso ha voluto liberarli.
Ci sono volte, tuttavia, in cui nascono gli angeli. Non animali, non bestie in preda alla follia. Semplici angeli senza ali, creature splendide di divina carità gentile, figlie di una bilancia sottile che contrappone quei pochi elementi al piatto troppo carico dei folli rabbiosi. Da una parte, la gente lotta con unghie e schiaffi, ma dall’altra… dall’altra non vi è violenza. Le persone chinano il capo, accettano, subiscono. E, alla fine di tutto, perdonano. Stupide? Forse. Folli? Probabile. Ma il mondo è fatto anche di questo, vero?
Stiles si sente adesso uno di quei folli. Lì, mentre guarda negli occhi Dio in persona e gli chiede ciò che mai nessun pazzo oserebbe fare, poiché alla beatitudine aspirano i gentili quanto finanche i malvagi. Ma Stiles non se ne fa niente del Paradiso, adesso. Non quando la sua unica serenità è lì sulla Terra.
-Cosa hai detto, figlio mio?- sussurra Dio, incredulo. Alle spalle di Stiles intanto, Claudia trattiene a stento una risata e suo figlio sorride a sua volta, educatamente.
-Io non sono un angelo, Signore.- asserisce senza vergogna. –Le tue fila, di me non se ne fanno niente. Io non vivo per servire Dio, ma l’uomo. Non sono nato angelo e non ho intenzione di morire con queste ali: non è con queste che ho imparato a volare. Sono stati i demoni ad appoggiarmi quando avevo più bisogno di aiuto, sono loro i miei fratelli. La mia famiglia ha la coda, ali nere e zanne affilate, e distinguo in loro più purezza di quanta ne abbia mai vista nel falso candore dei tuoi figli. Ti chiedo dunque di ridarmi ciò che mi appartiene, perché adesso lo capisco… cosa fa di un uomo, un uomo? Forse le sue origini, il suo aspetto? O c’è qualcos’altro, Signore?-
Lentamente, alle spalle di Stiles sopraggiunge qualcuno, un uomo dagli occhi verdi con appollaiato in spalla il più fiero dei corvi imperiali. Gli stringe forte la mano, fissa Stiles con sguardo innamorato di giovane licantropo. Occhi adoranti che mai videro in lui parvenza di reale bestialità, occhi che hanno saputo scegliere e insegnare che c’è qualcosa di più del reale aspetto che una creatura dimostra.
Insieme, Stiles e Derek fronteggiano Dio, lo guardano, lo sfidano. Non chinano il capo, poiché entrambi rappresentano adesso la libertà più alta dell’uomo, la sua prima e più importante difesa, il suo scudo. Insieme, così come era all’inizio, così come sarà sempre.
Alla fine, Dio sospira. –Non ho mai preteso di capirti, figlio mio. Morte e Vita hanno ragione: ho creato delle creature piuttosto complesse, e alla fine la mia stessa superbia mi è sfuggita di mano. Non mi opporrò alle tue scelte, poiché mentre fingevo la mia morte, tu dimostrasti misericordia laddove avrei potuto scorgere nulla più dell’odio. Sei stato caritatevole, e per questo sarai ricompensato, così come ricompensa fu concessa a Derek, Lydia e Peter. La loro vicinanza alle anime di voi demoni concesse loro di aggrapparvisi, di trasformarsi… e forse, essere contaminati dall’essere demoniaco non è poi così sbagliato, visti i famigli che contro ogni logica siete riusciti a creare.-
Stiles annuisce, forte di quella mano che ancora stringe la sua, vivo di quel sole che gli bacia la pelle e non brucia più. Nonostante tutto, lui l’alba vuole guardarla con occhi demoniaci. La sua vera natura, la sua giusta rinascita, possiede nient’altro che quella forma, ed è giusto reclamarla. Lui vuole essere quello stesso demone che bellissimo appariva agli occhi di Derek, quel demone che ha salvato vite e sacrificato se stesso. Quella creatura, nella sua miserevole oscurità, ha fatto molto più di quanto possa anche solo immaginare qualsiasi altro angelo.
-Non ti ho mai abbandonato, figlio mio. Tu pregavi, e io ascoltavo. Ero al tuo fianco anche quando pensavi che non ci fossi. Sono tuo padre, dopotutto. E di questo, non posso che vantarmene.-
Claudia li raggiunge, dolcemente, poggia una mano sulla spalla di Stiles. È ora di andare.
Stiles vorrebbe implorarla di restare, inginocchiarsi, scoppiare in lacrime, ma sente che stavolta, è giusto così: deve lasciarla andare. Il suo circolo vitale è finito, ma non lo lascerà mai veramente. I defunti dopotutto, sono nient’altro che invisibili. Ci sono anche quando ci si illude di averli persi per sempre, ma basta a volte un soffio di vento, la carezza di un fiore o l’abbraccio di un sogno nella notte per capire che non siamo poi così soli.
-Buon viaggio, mamma.-
Claudia sorride e indietreggia. Affianca Dio insieme a sua sorella Vita, ma adesso, gli occhi della signora Stilinski sono in quelli di Derek, fieri e composti come quelli di un vero lupo Alpha.
-Se fai del male a mio figlio, ti stacco il…-
-MAMMA!!!-
Claudia ride, un suono argentino che si espande nell’aria come fulgida benedizione mattutina. Un ultimo saluto, la carezza benigna di una Morte che sì, forse non è poi tanto sbagliato trattare con un filo di gentile umorismo. Saranno insieme, alla fine di tutto, ma ognuno di loro ha ancora una strada da percorrere. Avventure pericolose, devastanti, forse mortali. Le affronteranno, le vivranno, e insieme, guarderanno al domani con la soddisfazione non dei sopravvissuti, ma dei viventi veri e propri. Sono un branco, dopotutto.
Mentre Morte, Vita e Dio spariscono lentamente in un dissiparsi di filamenti luminosi, baciati dall’aria pulita del mattino, Stiles si volta. Si specchia negli occhi di Derek come se fosse la prima volta, quelle iridi cristalline di smeraldo vivo, edera selvatica di liquida rinascita. Quegli occhi l’hanno fatto uscire dall’Inferno, quegli occhi l’hanno reso demone e uomo, angelo e guerriero. Attraverso quello sguardo, Stiles muore e resuscita in un eterno ciclo di vita che non smetterà mai di amare. È questa la sua scelta, è questo il suo domani. Quell’alba, è solo l’inizio.
-Pensi che abbia fatto una cavolata?-
Derek scuote il capo. –Odio gli angeli.-
-Già… aspetta, ma che te lo chiedo a fare? Parlo con uno che non ha mai visto Star Wars!-
Derek respira profondamente per invocare pazienza, poi di scatto lo afferra per le ginocchia e lo costringe ad allacciare le gambe intorno ai suoi fianchi. Lo solleva con leggerezza, con Diablo che gracchia e si alza in volo infastidito. Corpo contro corpo, anime a contatto alla fine di una battaglia che avrebbe dovuto spaccare da sola qualsiasi legame inscindibile.
-Ahia! Che cavolo fai?!-
-Ti porto a casa. E se stanotte ti addormenti durante la maratona di Star Wars, ti apro la gola. Con i denti.-
-Evvai! Maratona!-
-Non parlavo con te, Valefar!-
-Veniamo anche noi!-
-Isaac, Scott; espatriate.-
-Mi aggrego.-
-ALLISON!!!-
Semplicemente, Stiles getta il capo all’indietro e scoppia a ridere della stessa risata che da sola, ha scosso e abbattuto l’Inferno dalle fondamenta. Un suono puro, gentile, angelico così come gli angeli dovrebbero essere. Dopotutto, l’aspetto è solo un’indole visiva e nient’altro. Tutto ciò che conta in realtà, sono le scelte che si compiono: non come si iniziano le cose, ma come si decide di finirle.
Mentre le prime lingue di fuoco avvolgono brucianti le ali di Stiles, polverizzando piume e vesti, luce e aura celestiale, Derek lo bacia. Non teme le fiamme, non teme il mondo: tutto ciò di cui ha bisogno, è l’angelo dall’aspetto animale che stringe dolcemente tra le braccia.
 
A questo punto, non credo ci sia altro da dire. Io sono un semplice narratore, una voce fuoricampo che parla e scrive, grida e sussurra. Certe storie, andrebbero sepolte sotto metri e metri di silenzio, poiché troppo orribili per essere narrate, ma altre… altre necessitano una buona stesura su carta. Meritano di insegnare, di parlare, di gridare al mondo che c’è ancora una speranza anche quando ogni cosa crolla e tutto ciò che resta apparentemente è l’oscurità. Tiriamo le somme, dunque? Difficile. Non vi è un modo per concludere una storia, poiché essa rimarrà aperta e incompleta fino alla fine dei tempi. Correrà nei vostri animi e nelle vostre voci, nei vostri gesti e nei vostri sorrisi. Stiles ci crede, e per questo mi ha chiesto di scrivere questo piccolo racconto. Ha insistito tanto, e gli ci sono voluti mesi per convincermi.  
“Hanno bisogno di aiuto”, ha detto. Vorrei tanto sapere come funziona la sua mente. Eppure… sento che, in qualche modo, forse questa storia potrà aiutare veramente qualcuno. Non nel modo più convenzionale del termine, certo, ma sarà una speranza. Piccola, innocua, ma, come avrete avuto modo di appurare, sono proprio le piccole cose a cambiare il mondo. Ora, sta a voi. Scegliete la vostra strada, costruitela col sangue e col sudore, ma non smettete mai di andare avanti. Anche nell’oscurità più fitta, la luce troverà il modo di raggiungervi, così come raggiunse Stiles giù all’Inferno o Lydia mentre era al cospetto di Madre Morte.
Siate voi i veri angeli della vostra era. Siate uomini. Siate leggende. La luce del mondo non è mai scomparsa, ma per vederla davvero serve un pizzico di coraggio, una scintilla di fantasia e, perché no, anche un brandello di fede.

“Ho visto la luce sbiadire nel cielo
Nel vento, ho udito un sospiro.
Mentre i fiocchi di neve si adageranno sui miei fratelli caduti,
Dirò quest'ultimo addio.
Ora la notte sta calando;
Così finisce questo giorno.
Il cammino ora mi chiama, e io devo andare.
Al di là di colline e sotto l'ombra di alberi;
Attraverso terre dove nessuna luce ha mai brillato;
Lungo ruscelli argentati che scorrono verso il Mare;
Sotto le nuvole, alla luce delle stelle,
Sulla neve di un mattino d'inverno,
Seguo infine i sentieri che mi condurranno a casa.
E anche se non so dire dove la strada mi porterà
Siamo venuti tutti per la medesima via:
Ma ora è venuto il momento di dirvi addio.
Sono stato in molti luoghi, ho visto mote sofferenze
Ma non ho rimpianti, né mai dimenticherò
Tutti coloro che percorsero con me questa strada.
Ora la notte sta calando;
Così finisce questo giorno.
Il cammino ora mi chiama
E io devo andare.
Al di là di colline e sotto l'ombra di alberi;
Attraverso terre dove nessuna luce ha mai brillato;
Lungo ruscelli argentati che scorrono verso il Mare.
Mi terrò stretti questi ricordi,
Me ne andrò con la vostra benedizione
Per seguire infine i sentieri che mi condurranno a casa.
E anche se non so dire
Dove la strada mi porterà
Siamo venuti tutti per la medesima via.
Ma ora è venuto il momento
Di dirvi addio.”
 
https://www.youtube.com/watch?v=r4j_kCQ4f2Q
 
Angolo dell’autrice:
Non ho molte parole per descrivere questa piccola avventura. L’ho vissuta con voi, al vostro fianco, ma voglio che questa, per quanto piccola, sia il mio regalo per voi. Avete mai visto un’alba? Si innalza al cielo, spandendo dappertutto una luce vera e pulsante di vita. Quello è il momento in cui il mondo piomba nel suo più grande momento di irrealtà, il momento in cui il confine tra sogno e reale esistenza si assottiglia. Vi auguro dunque di vivere di quei momenti. Siate alba, siate vita. Siate voi luce per chi ha sempre e solo osservato un banale riflesso di candela.
Siate come Valefar, il cui dolce umorismo non è mai venuto a mancare, neanche in punto di morte.
Siate come Lydia, il cui coraggio ha scosso dalle fondamenta il mondo intero.
Siate come Isaac, la cui lealtà non ha mai saputo vacillare.
Siate come Scott, che ha perseguito i suoi ideali fino alla fine, lottando con le unghie e con i denti.
Siate come Peter, furbo e per nulla ingenuo.
Siate come Dumah, il cui amore fraterno l’ha condotta lontano, oltre la morte e la vita, oltre Dio e Lucifero.
Siate come Allison e Chris, il cui ingegno ha saputo salvare migliaia e migliaia di vite.
Siate come Stiles e Derek. Alla fine di tutto, oltre gli angeli e i demoni, hanno scelto la libertà. Insieme, vivranno meravigliose avventure, ma adesso sta a voi portarle avanti, immaginarle, sognarle e poi, perché no, anche raccontarmele.
Sognate, ragazzi miei. Sognate e abbiate sempre fiducia in voi stessi. Vivete la vita e, quando sarà il momento, abbracciate la morte nel modo più giusto. Vi affido dunque i miei cavalieri più splendenti. Ricordatevi di Valefar, Dumah, Stiles e di tutti gli altri, quando il coraggio viene a mancare. Ricordatevi di loro e della battaglia che insieme avete combattuto.
Il mio augurio è questo, e viene dal profondo dell’animo. Col cuore in mano adesso mi inginocchio ai vostri piedi e vi ringrazio per il tempo che avete dedicato alla mia umile storia. Non è nulla, ma voi mi avete fatta sentire come se fosse un grande tutto. Per questo, vi ringrazio. Alla fine di tutto, posso ripetermi per l’ennesima volta, giusto per non smentirmi mai. Grazie. Grazie dal profondo del cuore. Ma dopotutto, questo non è un addio, soltanto un arrivederci.
Ci rivedremo a Ottobre, se tutto andrà bene. Forse sentirete ancora parlare di me, con una nuova Sterek e una nuova storia tutta da vivere. Saremo insieme per l’ennesima avventura e ancora una volta cammineremo accanto a Stiles, Valefar, Dumah e gli altri. Sì, ci saranno anche loro. Perciò, almeno per ora, qui si scioglie la nostra compagnia. E grazie di tutto, miei splendidi angeli.

 
Tomi Dark Angel
  
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