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Autore: Meahb    26/01/2009    1 recensioni
Un sogno.
Un tributo.
Una possibilità persa e forse ritrovata.
Poche parole per raccontare una grande storia.
Una storia che, volenti o nolenti, non finisce mai. Perchè certe storie sono come miracoli. E i miracoli non si dimenticano.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Orlando Bloom
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*2*

 





Lo vedo che cammina lentamente verso l’uscita del gate.
Ha la testa bassa, il cappello, una felpa grigia e un paio di jeans larghi. Si trascina dietro il trolley nero, quello che Emily gli ha regalato per il suo ultimo compleanno. Sembra che al suo interno ci siano tutti i momenti della loro storia, forse è per questo che lo traina così lentamente.
Mi adocchia, sorride, fa un cenno con la mano.
Scuoto la testa, facendo una smorfia.
“Flo!”, mi saluta. Lascia il trolley e mi abbraccia, serrandomi in una stretta potente. Istintivamente sorrido.
E’ vero che tra me e Orlando ultimamente ci sono state innumerevoli incomprensioni, ma è anche innegabile che gli voglia bene come al mio piede destro. In fin dei conti è Rlà. Qualcosa vorrà pur dire.
Mi squadra, soffermandosi sulla maglietta dei Rolling Stones che indosso. Che per inciso è la sua.
“Ti trovo in forma!”, butta lì, compiaciuto.
“Mi piacerebbe dire lo stesso di te”, lo sbeffeggio.
Mi abbraccia, avviandosi verso l’uscita dell’aeroporto, “Mi odi ancora?”
“Domanda retorica”.
Ridacchia, “Dai, dimmi qualche novità succulenta!”
“Sei un cretino”.
“Questa è vecchia”, borbotta, guardandosi intorno.
“Rlà mi permetti una cosa?”
“Spara”.
“Possiamo evitare di fingere che vada tutto bene?”
Lascia andare un lungo sospiro, quindi mi bacia in testa, “Vedremo…”
Annuisco.
Vedremo….

 

 

 


“Il viaggio prevede l’ascolto di tutte le canzoni tristi che hai nel repertorio?”.
Gli scocco un’occhiataccia, quindi continuo a concentrarmi sulla strada senza neanche rispondergli.
“Dico sul serio, Flo”, borbotta acciuffando una sigaretta dal cruscotto, “Non potremmo sentire qualcosa di più allegro?”
“Hai qualche motivo per essere allegro?”, gli domando infastidita, “Io no. Quindi dato che il capitano dell’imbarcazione sono io, la musica la decido io”.
Ridacchia, “Ve lo hanno insegnato a scuola?”
“Cosa?”
“A leggere nel pensiero della gente”.
Stringo il volante con entrambe le mani, “A parte il fatto che qui non stiamo parlando di gente, Rlà. Qui stiamo parlando di te. E di Emy. In secondo luogo, permettimi di sfatare il mito. Non ci vuole un indovino per sapere quello che pensi”.
Si accomoda sul sedile, guardandomi di traverso.
“E cosa penso?”
“Che sei un cretino”
“Questo è quello che pensi tu”, puntualizza con una leggera smorfia.
Mi stringo nelle spalle, “Questo è quello che penso io e altre quindici persone, ma non è il caso di essere così puntigliosi”.
“Cosa avrei dovuto fare, scusami”.
Non riesco neanche a capire se si tratti di una domanda o se si stia semplicemente scusando per la piega che hanno preso le cose. O forse, con ogni probabilità, non sono in vena di interpretazioni.
Non oggi.
Non con il matrimonio di Emy a due giorni di distanza.
Non con un cognato come…bhè…non che sia male, beninteso. Io lo adoro. Ma Orlando è Orlando. E Orlando ed Emy sono praticamente inscindibili.
Almeno per me.
“Non parli più?”
Sbuffo, “Cosa devo dirti?”
Sospira, “Ce l’hai tanto con me”, sbuffa, “Ce l’avete tutte con me. Sono due mesi che, a rotazione, mi becco gli insulti di ognuna di voi. In dialetti e lingue a me sconosciute”, si gratta la testa, “Ma mai nessuna si è messa nei miei panni. Vi siete assise sui vostri troni e avete semplicemente cominciato a giudicarmi. Mai un consiglio. Mai una parola di conforto. Solo indici puntati contro”.
“E’ questo che pensi?”
Annuisce, “Si è questo che penso. E non capisco neanche il perché. Em adesso è felice, ha trovato un ragazzo che la ama e di cui è innamorata. Non capisco perché siete tutte così accanite quando mi permetto di dire la mia”.
“Perché sei un cretino”.
Lo sento bofonchiare qualcosa, quindi si gira e mi guarda, “Avanti!”, mi incita, “Dimmela come me la vuoi dire. Ci stai girando intorno da due mesi, ormai. Non è da te”.
Acciuffo una sigaretta e la accendo.
Avevo deciso di smettere ma le contingenze non me lo hanno permesso. Se smettessi di fumare adesso, sarei in grado di compiere una strage. Senza salvare neanche i bambini.
“Ti ricordi quella volta che siamo andati tutti insieme a Dublino?”
Annuisce, prendendo una sigaretta a sua volta.
“Io vi guardavo”, sospiro, “Guardavo Emy mentre parlava e ti fissava negli occhi, disegnando in aria mille fantasie solo per te. Ti raccontava così tante cose, con così tanta passione che mi si infiammava il cuore. Non ho mai visto tanto amore nei suoi occhi come quando si posavano nei tuoi. Ho sempre pensato che voi due eravate stati messi nel mondo per incontrarvi. Per vivervi. Non ho mai avuto nessun dubbio in merito. Non importava quante donnicciole si sarebbero infilate nel tuo letto, non importavano neanche le tue filippiche ogni volta che incontravi una nuova ragazza e ti ostinavi a convincerci che era quella giusta. Non è stata influente Kate. Non è influente neanche Malibu Stacy, se è per questo. C’era un filo invisibile che vi univa e che non si spezzava mai. Neanche quando te ne andavi per inseguire qualcosa che, sapevi, non avere neanche la metà di quello che aveva Emy”, sputo il fumo, frugando nella mente alla ricerca delle parole giuste.
“Ma poi, non ho capito come né perché, il filo si è spezzato”.
Lui abbassa lo sguardo, poi torna a guardarmi con una strana espressione.
“Non sono stato io a spezzare il filo”, si giustifica.
“Non è stata neanche Emy”, preciso io, stizzita.
Lui ridacchia innervosito, “Em ha incontrato chi tu sai e se ne è innamorata. Fine della storia”.
Socchiudo gli occhi, ripetendomi mentalmente di mantenere la calma. Non posso ucciderlo. Non devo ucciderlo.
Emy non me lo perdonerebbe mai.
Respira Flo, da brava. Non arrabbiarti. In fin dei conti è Orlando, no?
E cosa dice sempre Emy? ‘Sospetto che Orlando sia leggermente deficiente’.
Esatto.
Concentrati su quel ‘leggermente’ e respira.
“Sai che penso, Bloom?”.
“No”, dice lui, “Te lo sto giustappunto chiedendo”.
“Penso che sei un invertebrato di merda”.
E mi esce così bene che se fossimo stati sul set di un film, sarebbe stata una scena perfetta. Giusta l’intonazione, giusta la luce e assolutamente giusta la mia espressione facciale.
Sembro Marlon Brando nel Padrino.
Orlando spalanca occhi e bocca in sincrono. E’ uno spettacolo stupefacente.
Mi appunto mentalmente di raccontare tale meraviglia a Emy. Dettaglio per dettaglio.
“Co..prego?”, balbetta.
“Mi hai sentito bene”, taglio corto io, “Penso che sei un invertebrato di merda”.
“E perché, di grazia, hai tale somma considerazione di me?”, deglutisce.
“Lo sai”.
Allarga le braccia, scuotendo la testa, “Ti giuro di no. Illuminami!”.
“Partiamo da principio, vuoi?”
“Te ne sarei grato”, sospira.
“Benissimo. Partiamo da Kate peso un chilo scarso Bosworth”.
Lo vedo irrigidirsi.
“Hai idea di cos’ha passato Naimh quando sei venuto zampettante a casa nostra per informarci di com’era bella la vita da quando ti eri innamorato?”
Non risponde. Meglio per lui.
“Sundance ha dovuto fare appello a tutto il suo buddista autocontrollo per darle un sostegno. E io ho ballato la giga irlandese per venti giorni solo per farla ridere un po’”, lo guardo di traverso, “Hai presente cosa significa ballare la giga irlandese per venti giorni?”
Si gratta il pizzetto senza emettere verbo alcuno.
“Eppure, in tutta onestà, potresti dire che ti abbia lasciato andare?”
“Em?”
“No, Gesù Cristo!”, sbotto, “Naturale che sto parlando di Emy”.
“Si…cioè…no, non mi ha lasciato andare”.
Annuisco soddisfatta. Forse prima del 2020 riesco a fargli capire un paio di cosette.
“Appunto. Non ti ha lasciato andare. Neanche per un secondo. E’ stata male, ha pianto, ha sanguinato, l’ho vista parlare con le stelle per nottate intere pur di riuscire a trovare la forza di non abbandonarti alla tua strada. Ha stretto i denti, ha imprecato ma è rimasta esattamente dove tu volevi che fosse. Né un passo avanti, né un passo indietro”.
“Lo so”, mormora dispiaciuto.
“E poi finalmente ci siamo levati dalle palle la Iena Bicolor! Per tua informazione, ho ballato la giga irlandese anche in quell’occasione. Ma Emy la ballava con me. E quando rideva non rideva solo con la bocca, rideva anche con gli occhi”.
“Me lo ricordo. Una di quelle sere c’ero anche io”.
Scuoto la testa, “Non una di quelle sere, Rlà. Tu c’eri tutte le sere che aveva mandato il Signore. Eravate tornati Emy e Orlando e non c’era niente di meglio al mondo che vedervi di nuovo insieme”.
“Io amo Em”, butta lì deciso, come a volermi rassicurare su qualcosa che già so.
Non gli rispondo nemmeno. Non c’è bisogno di aggiungere parole ad una frase del genere. Non ce n’è mai stato. Non ce ne sarà mai.
“Quanto ti ha dato?”, domando io a bruciapelo.
“Non credo neanche di poterlo quantificare”, sussurra lui guardando fisso davanti a se.
“Quanto pensi di averle dato?”
“Meno di quello che meritava”.
Rimango in silenzio senza dire nulla. Non ce n’è bisogno.
Orlando mi conosce, sa quello che penso e sa esattamente come lo penso. Potrebbe anche fare un disegno della forma dei miei pensieri. Soprattutto quando si parla di Emily. In quel caso, potrebbe anche scriverci sopra un trattato.
Ma non lo fa. Non lo ha mai fatto.
Si è sempre messo nella posizione di vedere lei attraverso i nostri occhi. Ha sempre dato per buone le nostre interpretazioni. Si è sempre fidato dell’amore che nutrivamo per lei e di quello che nutrivamo per lui.
Ma adesso ha smarrito la strada.
E da quando Emily non cammina più al suo fianco, sembra un bambino sperduto e impaurito. Sprovvisto dei punti cardinali di cui necessitava per orientarsi.
Un po’, lo ammetto, mi fa tenerezza.
Ma d’altro canto combatto quotidianamente contro l’istinto di prenderlo a pedate nel culo.
Lo sbircio con la coda dell’occhio e riconosco l’espressione che gli dipinge il viso.
Me l’ha insegnata Emy, quell’espressione.
Eravamo ai Kensington Garden, un pomeriggio d’aprile. Orlando si era da poco lasciato con Kate e stava attraversando un periodo piuttosto critico. Spesso si chiudeva nei suoi pensieri escludendoci completamente, preso solo dal flusso di emozioni che tentava disperatamente di gestire. Non riuscendoci neanche, a volte.
E in quei casi si voltava verso Emily e sorrideva. E lei camminava piano verso di lui, gli prendeva una mano e cominciava a raccontargli la vita nel suo più profondo significato.
Emily dice sempre che Orlando l’ha salvata e questo lo so anche io. Ma non dice mai di come lei abbia salvato Orlando innumerevoli volte in innumerevoli occasioni.
L’espressione che ha adesso mi ricorda quei momenti. I momenti in cui, per inciso, si smarriva nel sentiero delle sue emozioni senza sapere come uscirne.
Vorrei poterlo aiutare ma non so davvero come fare.
Gestire le emozioni che gli provoca il suo rapporto con Emily è difficile anche per me, nonostante conosca bene entrambi.
Sospiro e comincio a trafficare con lo stereo della macchina, alla ricerca disperata di una canzone.
Una canzone che parli al posto mio.
Ed è proprio questa, quella che cercavo.
Quella giusta.
A friend of a friend needs a favor no questions asked, there’s not much more to say” comincio a canticchiare.
Orlando sorride, annuendo con la testa.
Me and the wife, we need the money We’ve got four kids all hungry, one on the way. Slip these sweat socks in your shirt and pray they think your packin’
Be sure to keep your head down, don’t look ‘em in the eye, and don’t get fancy, ricky, we ain’t jimmy cagney. Look at me, lets do the job and lets get home tonight
”. Continuo testarda, alzando il volume dello stereo e della mia voce. Voglio che capisca di cosa sto parlando. Voglio che ricordi cosa significa questa canzone.
“I got a half tank of gas and if we run all the lights, well slip across the border on the wrong side of right”
Si
unisce a me e Jon con la sua voce dolce, sorridendo.
“And just like Butch and Sundance well ride until the dawn, sipping whiskey, singing cowboy songs, on the right side of wrong”.

E
adesso cantiamo insieme, permettendo alla tensione di stemperarsi. Permettendo alla musica e alle parole, che qualcun altro ha utilizzato al nostro posto, di parlare per noi.
E so con
certezza assoluta che Orlando, tra quelle note e quelle parole, ci sta mettendo anche un po’ di Emily.
La stessa Emily che gli cantava questa canzone nei momenti giusti, quelli in cui lui non aveva bisogno di semplici parole bensì di melodia.
Allungo una mano e afferro la sua.
Lui si volta e mi sorride con un espressione grata. So che gli sto chiedendo molto, ma so che non si tirerà indietro.
Non stavolta.
Le casse strillano inferocite la voce calda di Bon Jovi ed io e Orlando continuiamo a cantare imperterriti, gridando al cielo e al vento quelle parole che, probabilmente, ci salveranno quando ne avremo entrambi più bisogno.

 

 

Orlando beve il suo caffè e indica la mia figura con un cenno della testa.
“Come va la cura che stai seguendo?”, bofonchia sgranocchiando un croissant.
Alzo un sopracciglio, abbassando lo sguardo, “Va. Dovrei smettere di fumare ma non ci riesco. Emy dice che sono un’incosciente, Sundance mi nasconde i pacchetti di sigarette una volta al giorno e mio padre mi invia per e-mail i trattati sui probabili problemi che derivano dal fumare quando si segue una cura del genere”, sbuffo, “Smetterei solo per non sentirli più blaterare”.
Orlando ridacchia, “Non blaterano, Flo. Hanno ragione. Dovresti darti una regolata”.
“E allora dovreste darvi una regolata anche voi”, ribatto con un sorrisino finto.
“Noi?”, domanda lui sinceramente stupito.
“Si”, sentenzio, “Tu e la mia amica. Ho riflussi di bile a cadenza oraria per colpa vostra. E mi pare giusto informarvi che neanche quelli fanno bene alla riuscita di tale cura”.
Lui si sporge verso di me, in volto un’espressione incuriosita.
“Scusa Flo ma… fino a ieri eri così felice del nuovo acquisto di Em e adesso ritratti?”
Sorrido mostrandogli i denti, quindi lo colpisco con un calcio preciso sullo stinco.
“Cazzo, Flo!”, impreca.
“Cazzo un cazzo”, lo fulmino con un’occhiataccia, “Mi prendi per il culo e pretendi di passarla liscia?”
Si massaggia la gamba, chinandosi e borbottando qualcosa che dubito sia inglese. Aspetto paziente che finisca, quindi tossicchio per velocizzare i tempi.
“Dicevamo?”, domando con un sorriso.
“Dicevamo di te che ritratti il futuro marito di Emily”, mormora stizzito.
“Io non lo ritratto. Mai fatto”, sottolineo, “Quando Emy me lo ha presentato ero contenta. Titubante ma contenta. E sono rimasta titubante e contenta fino a due mesi fa”.
“Poi?”
“Poi ho rischiato un embolo, un ictus, un infarto e una paresi facciale nell’ordine in cui te li ho elencati”.
“Perché?”
Ridacchio, “E’ la sagra delle domande del cazzo?”
“Non essere sboccata Flo, non ti si addice”, mi rimbrotta lui.
“Mi si addice più di quel che immagini”, lo contraddico con una smorfia.
“Comunque non mi hai risposto”, tergiversa lui soffiando sulla sua tazza di caffè.
“Non so come dirtelo per far si che tu lo capisca”, mormoro poco convinta.
“Provaci”, mi incita lui con un sorriso incoraggiante.
“Allora…bhè…ok…diciamo che Emy e Leox sono una coppia incredibile. Li ho visti crescere insieme sia come individui sia come coppia e questo mi ha sempre rallegrato. Cioè, sono bellissimi insieme non trovi?”
Lui annuisce infastidito.
“E lui è veramente meraviglioso con lei. La fa sorridere, capisci? E non c’è niente di più bello al mondo che vedere Emily sorridere con quell’espressione lì. Quella beata e serena che ho sperato sempre di vederle in faccia”.
Orlando giocherella con il cucchiaino senza pronunciarsi in proposito.
“Ma il punto è che io pensavo si trattasse di una cosa passeggera, ok? Non avrei mai immaginato di sentirmi dire che si sarebbero sposati. Chiamami pure cretina ma è così”.
“Si amano Flo. Quando due persone si amano è prevedibile che prima o poi facciano un passo del genere”.
“Appunto”
“Appunto che?”
Incamero aria e mi sistemo meglio sulla sedia.
“Rlà io so che Emily ti ama. E so come ti ama, in che misura, con quali colori e con quali canzoni. Potrei stare qui fino al mese prossimo ad elencarti mille cose che mi persuadono a credere che ti ami ancora. Nello stesso identico modo in cui ti amava un anno fa. Né più né meno. Ma so anche quello che è successo quando ha cominciato a camminare per una strada che non portava più il tuo nome”.
“Cos’è successo?”
Lo fisso negli occhi, risoluta come un killer. So che sto per ferirlo ma so che devo farlo.
Tu l’hai delusa”, mormoro a voce bassa.
Negli occhi di Orlando scoppiano mille emozioni contrastanti che danno profondità a quello sguardo che adesso mi sta puntando contro come fosse un fucile a canne mozze.
“Ti dispiacerebbe spiegarti?”, mi domanda con un tono sottile e affilato come un rasoio.
Bevo un po’ del mio caffè, cercando di trovare le parole giuste per farmi capire.
“Lei non ha mai guardato indietro, Orlando. Questo è bene che tu lo capisca”, attacco con un tono di voce che non ha niente a che vedere con quello che ho di solito, “Emily ha sempre messo te al primo posto. Anche quando tu non ricambiavi il favore con lei. Finchè poi ha incontrato qualcuno che si comportava esattamente come lei faceva con te. E quel qualcuno è stato in grado di farsi strada verso il suo cuore. Lentamente, con premura. Non ha mai voluto prendere il tuo posto, se ne è semplicemente ritagliato uno tutto suo. Ma a differenza di te, quell’orticello che si era guadagnato, lo ha curato e custodito. Lo ha reso un posto sano e sereno in cui Emily poteva rifugiarsi quando ne aveva bisogno”, lo guardo negli occhi, “E credo che neanche lui immaginava di sposarla, un giorno. Leox ha sempre saputo che prima di chiunque altro, per Emily, venivi tu. Ma tu non sei venuto Orlando. Lei è fuggita verso un territorio che non ti contemplava e tu ti sei arreso”.
“Questo lo pensa Em?”
Scuoto la testa, “Questo lo penso io. Ma se lo penso io vuol dire che lo pensa anche Emy. Ma piuttosto che dirlo a qualcuno venderebbe la collezione dei Queen che le abbiamo regalato a Natale”.
“Tu pensi che io mi sia arreso?”, mi domanda sconvolto.
Annuisco, “Penso di si. Penso che hai venduto il tuo coraggio al miglior offerente pur di non dover fare i conti con qualcosa che esulava da quello che fino a cinque minuti prima pensavi di conoscere”.
“Io sto con Miranda”, dice. E suona quasi come una giustificazione.
Peccato che io non ci casco.
“Davvero?”, domando, alzando un sopracciglio.
Lui fa una smorfia, “Lo sai che è vero”
“Mai presa in considerazione quella lì”, sorrido affettando innocenza, “Non ci prendiamo io e lei”.
“Non vi prendete perché tu non hai mai fatto uno sforzo per capirla”
“Capirla?”, ridacchio, “Che vuoi dire? Che c’è da capire? Capire Miranda è come mettersi a studiare la linea retta di un acquario dei pesci rossi”.
Orlando mi guarda senza capire, “L’acquario dei pesci rossi non ha linee rette”
“Appunto”, rido, “Quindi Miranda non ha niente da far capire. E’ come un forno al microonde. Quello che ci metti dentro è esattamente quello che ti restituisce. Peccato che non ha ricambiato il favore con te”.
“Che vuol dire?”
“Tu le hai messo dentro la fama”, sghignazzo, “Non solo. Ma comunque la fama era la cosa che più voleva che tu le mettessi dentro. Stando alla mia teoria avrebbe dovuto restituirtene un po’, ma così non è stato. Anzi. Da quando stai con lei le persone non parlano più di te come attore che produce, ma come attore che fa il cretino con la fidanzata modella”, faccio una smorfia.
“Em è sempre stata più indulgente di te, a tal proposito”.
“Emy ti ama come ama la sua vita, tesoro. Io no. Io ti adoro, ti ammiro e ti stiro pure ma ho una visione più oggettiva delle cose”.
“Sarebbe?”
Mi alzo in piedi, camminando verso la cassa.
“Te lo spiego in macchina, cammina”.

 

 

Orlando mi fissa con un espressione sbigottita.
“Dove cazzo sei maledetta stradina?”, borbotto digrignando i denti.
“Flo posso sapere cos’è che stai cercando, esattamente?”
“Esattamente Rlà, una strada”.
“Ci stai camminando sopra”, specifica lui con un espressione simile a quella di uno psicologo che sta cercando di far ragionare un pazzo.
“Evidentemente ne sto cercando un’altra, no?”, spiego, sforzandomi di non imprecare.
“E perché ne dovresti cercare un’altra? Siamo su quella giusta”.
“Rlà, fammi una cortesia. Gioca con il cellulare e non importunarmi”, mugugno scrutando il paesaggio circostante.
“Mi dici dove mi vuoi portare?”, insiste quello.
Sbuffo, “In un posto isolato. Ti uccido e ti sotterro. Nessuno ti troverà e io avrò un problema in meno”.
“Sei simpatica”, soffia lui, ironico.
“ECCOLA!”, grido all’improvviso, scattando sul sedile.
Giro il volante a trecentosessanta gradi e mi immetto su una stradina di campagna, a velocità sostenuta.
Orlando mi guarda terrorizzato.
“Flo, non vorrei morire, se non è un problema per te!”
Scuoto la testa, “Nessun problema, Mr Magnificent, rallento. Dovrei portarti all’avvenimento vivo. Altrimenti Emy mi gambizza!”
“C’entra Em?”, domanda lui.
A volte ho il sospetto che Orlando abbia problemi di comprensione. Niente di grave, beninteso. Ma in alcuni frangenti mi trovo a pensare che sia un completo idiota. Probabilmente perché gli voglio bene come voglio bene al mio piede destro. Ma molto più semplicemente perché, alle volte, gli si inceppano i neuroni in ragionamenti che solo lui capisce. Neanche Jung avrebbe qualcosa di intelligente da dire, a tal proposito. Ne sono convinta.
“Che domanda sarebbe?”, indago con sospetto.
“Voglio sapere se è stata Em a dirti di portarmi qui”.
Svolto a destra, sospirando profondamente.
“No. Emy non sa che ti sto portando qui. Non ne ha la più pallida idea. Anzi,per inciso, l’unica cosa che ha detto è stata ‘Flo, tesoro, ci pensi tu ad andare a prendere Orlando? Vai e lo porti direttamente qui da noi. Così ti fermi anche tu e mi dai sostegno per due giorni. Ok?’. Ecco quello che ha detto Emy”.
“Non ti ha chiesto di parlarmi?”
“No”
“Non ti ha neanche chiesto di chiamarla mentre eravamo in viaggio?”
“No”
“Non ti ha dato nessuna canzone magica da farmi ascoltare?”
“No”
“Non ti ha detto niente a proposito del fatto che Miranda non viene?”
“No”
“Non ti ha neanche…”
“Rlà, NO. No. No. NO. Quale parte della parola ‘no’ non ti è chiara?”
Si accascia sul sedile, “Em non mi ama più”.
Sbuffo. Quindi fermo la macchina e scendo.
Orlando rimane un po’ senza parlare, quindi esce a sua volta e si appoggia al cofano.
“Che posto è questo?”, mi chiede, mentre traffico con la chitarra nei sedili posteriori.
“L’ha trovato Emy per caso, qualche mese fa. Dice che sembra la copia esatta del posto in cui Legolas compare per la prima volta nel Signore degli Anelli”.
Lo sento ridacchiare e so anche perché.
Sorrido, quindi mi siedo sul cofano accanto a lui, e comincio a pizzicare le corde della chitarra.
“Ascolta bene, adesso”, gli dico, “In realtà c’è qualcosa che Emy ha detto”.
Mi sbircia con la coda dell’occhio.
“Stamattina”, puntualizzo, “Abbiamo parlato al telefono. Non sarò io a svelarti il contenuto della conversazione ma posso dartene un piccolo assaggio”, gli sorrido, “Sono sicura che capirai da te”.
Annuisce, guardandosi intorno estasiato.
Inizio il giro d’accordi che apre la canzone ed Orlando si volta a guardare le mie mani che si muovono veloci sulle corde.

Well I heard there was a secret chord , that David played, and it pleased the Lord, but you don't really care for music, do ya?
Well it goes like this, the fourth, the fifth, the minor fall and the major lift
The baffled king composing Hallelujah

Lo vedo che annuisce con un sorriso.

“Well Your faith was strong but you needed proof , You saw her bathing on the roof .Her beauty and the moonlight overthrew you ,she tied you to her kitchen chair .And she broke your throne and she cut your hair, and from your lips she drew the Hallelujah”

E chissà quanto di Emily Orlando vede in queste parole.
Chissà quanto amore riesce a leggerci, nonostante tutto.

“Well baby I've been here before, I've seen this room and I've walked this floor, I used to live alone before I knew ya
I've seen your flag on the marble arch. Love is not a victory march it's a cold and it's a broken Hallelujah”

Lo sento che sospira. Lo vedo che guarda lontano, come a voler volare con lo sguardo fin lì. Fin dove avrebbe voluto stare. Là dove non ha avuto il coraggio di rimanere.

“Well there was a time when you let me know. What's really going on below, but now you never show that to me do you? And remember when I moved in you? And the holy dove was moving too and every breath we drew was Hallelujah”

E nel suo viso, si illuminano le emozioni dei ricordi.
Fa quasi male a guardarle.

“Well maybe there's a God above but all I've ever learned from love was how to shoot somebody who'd out drew ya.
And it's not a cry that you hear at night, it's not somebody who's seen the light it's a cold and it's a broken Hallelujah”

Continuo a pizzicare le corde, lentamente. Lo sbircio con la coda dell’occhio cercando di intuire cosa sta pensando. Inutilmente.
I suoi pensieri sembrano inaccessibili. Così come le sue emozioni.
Sembra presente eppure, nello stesso tempo, sembra lontano anni luce da tutto quello che sta accadendo intorno a lui.
Probabilmente perché fino ad ora, non aveva realizzato di aver perso quasi definitivamente l’unica persona che lo abbia veramente amato.
Completamente amato.
La sua Em.
Perché solo Orlando può permettersi di chiamarla così. Per lui è Em. Solo per lui.
“Rlà?”, lo chiamo sottovoce.
Lui si gira lentamente e noto solo in quel momento il riflesso di lacrime remote che gli fa brillare gli occhi.
Mi sorride, incoraggiante.
Em non ha mai smesso di amarti”, gli dico.
Lo so”, sospira.

NOTINA

 

Comprendo che dare un nome così idiota ad una nota fa passare a chiunque la voglia di leggerla, ma oggi mi sento così. Mi sento un po’ idiota.

Prendetemi come vengo, please.

Questa one shot nasce esattamente stamattina mentre ero seduta sulle scale della facoltà ad ascoltare, per l’appunto, Jeff Buckley.

E nasce grazie ad un sms della sopracitata Naimh, Em o Emy che dir si voglia.

In realtà affonda le sue radici in questi giorni trascorsi, dove ci siamo permesse cazzate e riflessioni che alla fine sono sbocciate in questa follia.

 

Naimh, chiaramente questa è TUA.

Tutta tua.

Sai che seguo te e le tue passioni in ogni tempo e in ogni mondo, ma ho voluto dare un tributo alla coppia che più mi ha fatto emozionare in questi ultimi mesi. Spero di essere stata all’altezza di almeno un quarto dei tuoi pensieri.

 

Ed è anche per voi. Per tutte voi che leggete e che li avete amati.

Che li avreste voluti vedere insieme per davvero.

Che vi siete augurate di avere almeno la metà delle stelle che vedevamo nei loro occhi quando leggevamo di loro.

E che avete colto un piccolo particolare… piccolo ma, tuttavia, non trascurabile.

 

Non è scritta bene, ma è scritta col cuore.

Spero vi sia piaciuta!

 

 

Un abbraccio che circonda

Am

 

 

 

P.S. Le ciliegie dovrebbero tornare a penzolare nel finesettimana!

  
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