*2*
Ha la testa bassa, il
cappello, una felpa grigia e un paio di jeans larghi. Si trascina dietro il
trolley nero, quello che Emily gli ha regalato per il suo ultimo compleanno.
Sembra che al suo interno ci siano tutti i momenti della loro storia, forse è
per questo che lo traina così lentamente.
Mi adocchia, sorride, fa
un cenno con la mano.
Scuoto la testa, facendo
una smorfia.
“Flo!”, mi saluta. Lascia
il trolley e mi abbraccia, serrandomi in una stretta potente. Istintivamente
sorrido.
E’ vero che tra me e
Orlando ultimamente ci sono state innumerevoli incomprensioni, ma è anche
innegabile che gli voglia bene come al mio piede destro. In fin dei conti è
Rlà. Qualcosa vorrà pur dire.
Mi squadra, soffermandosi
sulla maglietta dei Rolling Stones che indosso. Che per inciso è la sua.
“Ti trovo in forma!”,
butta lì, compiaciuto.
“Mi piacerebbe dire lo
stesso di te”, lo sbeffeggio.
Mi abbraccia, avviandosi
verso l’uscita dell’aeroporto, “Mi odi ancora?”
“Domanda retorica”.
Ridacchia, “Dai, dimmi
qualche novità succulenta!”
“Sei un cretino”.
“Questa è vecchia”,
borbotta, guardandosi intorno.
“Rlà mi permetti una
cosa?”
“Spara”.
“Possiamo evitare di
fingere che vada tutto bene?”
Lascia andare un lungo sospiro,
quindi mi bacia in testa, “Vedremo…”
Annuisco.
Vedremo….
Gli scocco
un’occhiataccia, quindi continuo a concentrarmi sulla strada senza neanche
rispondergli.
“Dico sul serio, Flo”,
borbotta acciuffando una sigaretta dal cruscotto, “Non potremmo sentire
qualcosa di più allegro?”
“Hai qualche motivo per
essere allegro?”, gli domando infastidita, “Io no. Quindi dato che il capitano
dell’imbarcazione sono io, la musica la decido io”.
Ridacchia, “Ve lo hanno
insegnato a scuola?”
“Cosa?”
“A leggere nel pensiero
della gente”.
Stringo il volante con
entrambe le mani, “A parte il fatto che qui non stiamo parlando di gente, Rlà.
Qui stiamo parlando di te. E di Emy. In secondo luogo, permettimi di sfatare il
mito. Non ci vuole un indovino per sapere quello che pensi”.
Si accomoda sul sedile,
guardandomi di traverso.
“E cosa penso?”
“Che sei un cretino”
“Questo è quello che pensi
tu”, puntualizza con una leggera smorfia.
Mi stringo nelle spalle,
“Questo è quello che penso io e altre quindici persone, ma non è il caso di
essere così puntigliosi”.
“Cosa avrei dovuto fare,
scusami”.
Non riesco neanche a
capire se si tratti di una domanda o se si stia semplicemente scusando per la
piega che hanno preso le cose. O forse, con ogni probabilità, non sono in vena
di interpretazioni.
Non oggi.
Non con il matrimonio di
Emy a due giorni di distanza.
Non con un cognato
come…bhè…non che sia male, beninteso. Io lo adoro. Ma Orlando è Orlando. E
Orlando ed Emy sono praticamente inscindibili.
Almeno per me.
“Non parli più?”
Sbuffo, “Cosa devo dirti?”
Sospira, “Ce l’hai tanto
con me”, sbuffa, “Ce l’avete tutte con me. Sono due mesi che, a rotazione, mi
becco gli insulti di ognuna di voi. In dialetti e lingue a me sconosciute”, si
gratta la testa, “Ma mai nessuna si è messa nei miei panni. Vi siete assise sui
vostri troni e avete semplicemente cominciato a giudicarmi. Mai un consiglio.
Mai una parola di conforto. Solo indici puntati contro”.
“E’ questo che pensi?”
Annuisce, “Si è questo che
penso. E non capisco neanche il perché. Em adesso è felice, ha trovato un
ragazzo che la ama e di cui è innamorata. Non capisco perché siete tutte così
accanite quando mi permetto di dire la mia”.
“Perché sei un cretino”.
Lo sento bofonchiare
qualcosa, quindi si gira e mi guarda, “Avanti!”, mi incita, “Dimmela come me la
vuoi dire. Ci stai girando intorno da due mesi, ormai. Non è da te”.
Acciuffo una sigaretta e
la accendo.
Avevo deciso di smettere
ma le contingenze non me lo hanno permesso. Se smettessi di fumare adesso,
sarei in grado di compiere una strage. Senza salvare neanche i bambini.
“Ti ricordi quella volta
che siamo andati tutti insieme a Dublino?”
Annuisce, prendendo una
sigaretta a sua volta.
“Io vi guardavo”, sospiro,
“Guardavo Emy mentre parlava e ti fissava negli occhi, disegnando in aria mille
fantasie solo per te. Ti raccontava così tante cose, con così tanta passione
che mi si infiammava il cuore. Non ho mai visto tanto amore nei suoi occhi come
quando si posavano nei tuoi. Ho sempre pensato che voi due eravate stati messi
nel mondo per incontrarvi. Per vivervi. Non ho mai avuto nessun dubbio in
merito. Non importava quante donnicciole si sarebbero infilate nel tuo letto,
non importavano neanche le tue filippiche ogni volta che incontravi una nuova
ragazza e ti ostinavi a convincerci che era quella giusta. Non è stata
influente Kate. Non è influente neanche Malibu Stacy, se è per questo. C’era un
filo invisibile che vi univa e che non si spezzava mai. Neanche quando te ne
andavi per inseguire qualcosa che, sapevi, non avere neanche la metà di quello
che aveva Emy”, sputo il fumo, frugando nella mente alla ricerca delle parole
giuste.
“Ma poi, non ho capito
come né perché, il filo si è spezzato”.
Lui abbassa lo sguardo,
poi torna a guardarmi con una strana espressione.
“Non sono stato io a
spezzare il filo”, si giustifica.
“Non è stata neanche Emy”,
preciso io, stizzita.
Lui ridacchia innervosito,
“Em ha incontrato chi tu sai e se ne è innamorata. Fine della storia”.
Socchiudo gli occhi,
ripetendomi mentalmente di mantenere la calma. Non posso ucciderlo. Non devo
ucciderlo.
Emy non me lo perdonerebbe
mai.
Respira Flo, da brava. Non
arrabbiarti. In fin dei conti è Orlando, no?
E cosa dice sempre Emy? ‘Sospetto
che Orlando sia leggermente deficiente’.
Esatto.
Concentrati su quel
‘leggermente’ e respira.
“Sai che penso, Bloom?”.
“No”, dice lui, “Te lo sto
giustappunto chiedendo”.
“Penso che sei un
invertebrato di merda”.
E mi esce così bene che se
fossimo stati sul set di un film, sarebbe stata una scena perfetta. Giusta
l’intonazione, giusta la luce e assolutamente giusta la mia espressione
facciale.
Sembro Marlon Brando nel
Padrino.
Orlando spalanca occhi e
bocca in sincrono. E’ uno spettacolo stupefacente.
Mi appunto mentalmente di
raccontare tale meraviglia a Emy. Dettaglio per dettaglio.
“Co..prego?”, balbetta.
“Mi hai sentito bene”,
taglio corto io, “Penso che sei un invertebrato di merda”.
“E perché, di grazia, hai
tale somma considerazione di me?”, deglutisce.
“Lo sai”.
Allarga le braccia,
scuotendo la testa, “Ti giuro di no. Illuminami!”.
“Partiamo da principio,
vuoi?”
“Te ne sarei grato”,
sospira.
“Benissimo. Partiamo da
Kate peso un chilo scarso Bosworth”.
Lo vedo irrigidirsi.
“Hai idea di cos’ha passato
Naimh quando sei venuto zampettante a casa nostra per informarci di com’era
bella la vita da quando ti eri innamorato?”
Non risponde. Meglio per
lui.
“Sundance ha dovuto fare
appello a tutto il suo buddista autocontrollo per darle un sostegno. E io ho
ballato la giga irlandese per venti giorni solo per farla ridere un po’”, lo
guardo di traverso, “Hai presente cosa significa ballare la giga irlandese per
venti giorni?”
Si gratta il pizzetto
senza emettere verbo alcuno.
“Eppure, in tutta onestà,
potresti dire che ti abbia lasciato andare?”
“Em?”
“No, Gesù Cristo!”,
sbotto, “Naturale che sto parlando di Emy”.
“Si…cioè…no, non mi ha
lasciato andare”.
Annuisco soddisfatta.
Forse prima del 2020 riesco a fargli capire un paio di cosette.
“Appunto. Non ti ha
lasciato andare. Neanche per un secondo. E’ stata male, ha pianto, ha
sanguinato, l’ho vista parlare con le stelle per nottate intere pur di riuscire
a trovare la forza di non abbandonarti alla tua strada. Ha stretto i denti, ha
imprecato ma è rimasta esattamente dove tu volevi che fosse. Né un passo
avanti, né un passo indietro”.
“Lo so”, mormora
dispiaciuto.
“E poi finalmente ci siamo
levati dalle palle
“Me lo ricordo. Una di
quelle sere c’ero anche io”.
Scuoto la testa, “Non una
di quelle sere, Rlà. Tu c’eri tutte le sere che aveva mandato il Signore.
Eravate tornati Emy e Orlando e non c’era niente di meglio al mondo che vedervi
di nuovo insieme”.
“Io amo Em”, butta lì
deciso, come a volermi rassicurare su qualcosa che già so.
Non gli rispondo nemmeno.
Non c’è bisogno di aggiungere parole ad una frase del genere. Non ce n’è mai
stato. Non ce ne sarà mai.
“Quanto ti ha dato?”,
domando io a bruciapelo.
“Non credo neanche di
poterlo quantificare”, sussurra lui guardando fisso davanti a se.
“Quanto pensi di averle
dato?”
“Meno di quello che
meritava”.
Rimango in silenzio senza
dire nulla. Non ce n’è bisogno.
Orlando mi conosce, sa
quello che penso e sa esattamente come lo penso. Potrebbe anche fare un disegno
della forma dei miei pensieri. Soprattutto quando si parla di Emily. In quel
caso, potrebbe anche scriverci sopra un trattato.
Ma non lo fa. Non lo ha
mai fatto.
Si è sempre messo nella
posizione di vedere lei attraverso i nostri occhi. Ha sempre dato per buone le
nostre interpretazioni. Si è sempre fidato dell’amore che nutrivamo per lei e
di quello che nutrivamo per lui.
Ma adesso ha smarrito la
strada.
E da quando Emily non
cammina più al suo fianco, sembra un bambino sperduto e impaurito. Sprovvisto
dei punti cardinali di cui necessitava per orientarsi.
Un po’, lo ammetto, mi fa
tenerezza.
Ma d’altro canto combatto
quotidianamente contro l’istinto di prenderlo a pedate nel culo.
Lo sbircio con la coda
dell’occhio e riconosco l’espressione che gli dipinge il viso.
Me l’ha insegnata Emy,
quell’espressione.
Eravamo ai Kensington
Garden, un pomeriggio d’aprile. Orlando si era da poco lasciato con Kate e
stava attraversando un periodo piuttosto critico. Spesso si chiudeva nei suoi
pensieri escludendoci completamente, preso solo dal flusso di emozioni che
tentava disperatamente di gestire. Non riuscendoci neanche, a volte.
E in quei casi si voltava
verso Emily e sorrideva. E lei camminava piano verso di lui, gli prendeva una
mano e cominciava a raccontargli la vita nel suo più profondo significato.
Emily dice sempre che
Orlando l’ha salvata e questo lo so anche io. Ma non dice mai di come lei abbia
salvato Orlando innumerevoli volte in innumerevoli occasioni.
L’espressione che ha
adesso mi ricorda quei momenti. I momenti in cui, per inciso, si smarriva nel
sentiero delle sue emozioni senza sapere come uscirne.
Vorrei poterlo aiutare ma
non so davvero come fare.
Gestire le emozioni che
gli provoca il suo rapporto con Emily è difficile anche per me, nonostante
conosca bene entrambi.
Sospiro e comincio a
trafficare con lo stereo della macchina, alla ricerca disperata di una canzone.
Una canzone che parli al
posto mio.
Ed è proprio questa,
quella che cercavo.
Quella giusta.
“A friend of a friend needs a favor no questions asked,
there’s not much more to say” comincio a canticchiare.
Orlando sorride, annuendo
con la testa.
“Me and the wife, we need the money We’ve got four kids
all hungry, one on the way. Slip these sweat socks in your shirt and pray they
think your packin’
Be sure to keep your head down, don’t look ‘em in the eye, and don’t get fancy,
ricky, we ain’t jimmy cagney. Look at me, lets do the job and lets get home
tonight”. Continuo testarda, alzando il volume dello stereo e della mia voce. Voglio che capisca di cosa
sto parlando. Voglio che ricordi cosa significa questa canzone.
“I got a half tank of gas and
if we run all the lights, well slip across the border on the wrong side of
right”
Si unisce a me e Jon con la sua voce dolce, sorridendo.
“And just like Butch and Sundance well ride until the dawn, sipping whiskey,
singing cowboy songs, on the right side of wrong”.
E adesso cantiamo insieme, permettendo alla tensione di stemperarsi. Permettendo alla musica e alle parole, che qualcun altro ha utilizzato al nostro posto, di parlare per noi.
E so con certezza assoluta che
La stessa Emily che gli
cantava questa canzone nei momenti giusti, quelli in cui lui non aveva bisogno
di semplici parole bensì di melodia.
Allungo una mano e afferro
la sua.
Lui si volta e mi sorride
con un espressione grata. So che gli sto chiedendo molto, ma so che non si
tirerà indietro.
Non stavolta.
Le casse strillano
inferocite la voce calda di Bon Jovi ed io e Orlando continuiamo a cantare
imperterriti, gridando al cielo e al vento quelle parole che, probabilmente, ci
salveranno quando ne avremo entrambi più bisogno.
“Come va la cura che stai
seguendo?”, bofonchia sgranocchiando un croissant.
Alzo un sopracciglio,
abbassando lo sguardo, “Va. Dovrei smettere di fumare ma non ci riesco. Emy
dice che sono un’incosciente, Sundance mi nasconde i pacchetti di sigarette una
volta al giorno e mio padre mi invia per e-mail i trattati sui probabili
problemi che derivano dal fumare quando si segue una cura del genere”, sbuffo,
“Smetterei solo per non sentirli più blaterare”.
Orlando ridacchia, “Non
blaterano, Flo. Hanno ragione. Dovresti darti una regolata”.
“E allora dovreste darvi
una regolata anche voi”, ribatto con un sorrisino finto.
“Noi?”, domanda lui
sinceramente stupito.
“Si”, sentenzio, “Tu e la
mia amica. Ho riflussi di bile a cadenza oraria per colpa vostra. E mi pare
giusto informarvi che neanche quelli fanno bene alla riuscita di tale cura”.
Lui si sporge verso di me,
in volto un’espressione incuriosita.
“Scusa Flo ma… fino a ieri
eri così felice del nuovo acquisto di Em e adesso ritratti?”
Sorrido mostrandogli i
denti, quindi lo colpisco con un calcio preciso sullo stinco.
“Cazzo, Flo!”, impreca.
“Cazzo un cazzo”, lo
fulmino con un’occhiataccia, “Mi prendi per il culo e pretendi di passarla
liscia?”
Si massaggia la gamba,
chinandosi e borbottando qualcosa che dubito sia inglese. Aspetto paziente che
finisca, quindi tossicchio per velocizzare i tempi.
“Dicevamo?”, domando con
un sorriso.
“Dicevamo di te che
ritratti il futuro marito di Emily”, mormora stizzito.
“Io non lo ritratto. Mai
fatto”, sottolineo, “Quando Emy me lo ha presentato ero contenta. Titubante ma
contenta. E sono rimasta titubante e contenta fino a due mesi fa”.
“Poi?”
“Poi ho rischiato un
embolo, un ictus, un infarto e una paresi facciale nell’ordine in cui te li ho
elencati”.
“Perché?”
Ridacchio, “E’ la sagra
delle domande del cazzo?”
“Non essere sboccata Flo,
non ti si addice”, mi rimbrotta lui.
“Mi si addice più di quel
che immagini”, lo contraddico con una smorfia.
“Comunque non mi hai
risposto”, tergiversa lui soffiando sulla sua tazza di caffè.
“Non so come dirtelo per
far si che tu lo capisca”, mormoro poco convinta.
“Provaci”, mi incita lui
con un sorriso incoraggiante.
“Allora…bhè…ok…diciamo che
Emy e Leox sono una coppia incredibile. Li ho visti crescere insieme sia come
individui sia come coppia e questo mi ha sempre rallegrato. Cioè, sono
bellissimi insieme non trovi?”
Lui annuisce infastidito.
“E lui è veramente meraviglioso
con lei. La fa sorridere, capisci? E non c’è niente di più bello al mondo che
vedere Emily sorridere con quell’espressione lì. Quella beata e serena che ho
sperato sempre di vederle in faccia”.
Orlando giocherella con il
cucchiaino senza pronunciarsi in proposito.
“Ma il punto è che io
pensavo si trattasse di una cosa passeggera, ok? Non avrei mai immaginato di
sentirmi dire che si sarebbero sposati. Chiamami pure cretina ma è così”.
“Si amano Flo. Quando due
persone si amano è prevedibile che prima o poi facciano un passo del genere”.
“Appunto”
“Appunto che?”
Incamero aria e mi sistemo
meglio sulla sedia.
“Rlà io so che Emily ti
ama. E so come ti ama, in che misura, con quali colori e con quali canzoni.
Potrei stare qui fino al mese prossimo ad elencarti mille cose che mi
persuadono a credere che ti ami ancora. Nello stesso identico modo in cui ti
amava un anno fa. Né più né meno. Ma so anche quello che è successo quando ha
cominciato a camminare per una strada che non portava più il tuo nome”.
“Cos’è successo?”
Lo fisso negli occhi,
risoluta come un killer. So che sto per ferirlo ma so che devo farlo.
“Tu l’hai delusa”, mormoro a voce bassa.
Negli occhi di Orlando
scoppiano mille emozioni contrastanti che danno profondità a quello sguardo che
adesso mi sta puntando contro come fosse un fucile a canne mozze.
“Ti dispiacerebbe
spiegarti?”, mi domanda con un tono sottile e affilato come un rasoio.
Bevo un po’ del mio caffè,
cercando di trovare le parole giuste per farmi capire.
“Lei non ha mai guardato
indietro, Orlando. Questo è bene che tu lo capisca”, attacco con un tono di
voce che non ha niente a che vedere con quello che ho di solito, “Emily ha
sempre messo te al primo posto. Anche quando tu non ricambiavi il favore con
lei. Finchè poi ha incontrato qualcuno che si comportava esattamente come lei
faceva con te. E quel qualcuno è stato in grado di farsi strada verso il suo
cuore. Lentamente, con premura. Non ha mai voluto prendere il tuo posto, se ne
è semplicemente ritagliato uno tutto suo. Ma a differenza di te,
quell’orticello che si era guadagnato, lo ha curato e custodito. Lo ha reso un
posto sano e sereno in cui Emily poteva rifugiarsi quando ne aveva bisogno”, lo
guardo negli occhi, “E credo che neanche lui immaginava di sposarla, un giorno.
Leox ha sempre saputo che prima di chiunque altro, per Emily, venivi tu. Ma tu
non sei venuto Orlando. Lei è fuggita verso un territorio che non ti
contemplava e tu ti sei arreso”.
“Questo lo pensa Em?”
Scuoto la testa, “Questo
lo penso io. Ma se lo penso io vuol dire che lo pensa anche Emy. Ma piuttosto
che dirlo a qualcuno venderebbe la collezione dei Queen che le abbiamo regalato
a Natale”.
“Tu pensi che io mi sia
arreso?”, mi domanda sconvolto.
Annuisco, “Penso di si.
Penso che hai venduto il tuo coraggio al miglior offerente pur di non dover
fare i conti con qualcosa che esulava da quello che fino a cinque minuti prima
pensavi di conoscere”.
“Io sto con Miranda”,
dice. E suona quasi come una giustificazione.
Peccato che io non ci
casco.
“Davvero?”, domando,
alzando un sopracciglio.
Lui fa una smorfia, “Lo
sai che è vero”
“Mai presa in
considerazione quella lì”, sorrido affettando innocenza, “Non ci prendiamo io e
lei”.
“Non vi prendete perché tu
non hai mai fatto uno sforzo per capirla”
“Capirla?”, ridacchio,
“Che vuoi dire? Che c’è da capire? Capire Miranda è come mettersi a studiare la
linea retta di un acquario dei pesci rossi”.
Orlando mi guarda senza
capire, “L’acquario dei pesci rossi non ha linee rette”
“Appunto”, rido, “Quindi
Miranda non ha niente da far capire. E’ come un forno al microonde. Quello che
ci metti dentro è esattamente quello che ti restituisce. Peccato che non ha
ricambiato il favore con te”.
“Che vuol dire?”
“Tu le hai messo dentro la
fama”, sghignazzo, “Non solo. Ma comunque la fama era la cosa che più voleva
che tu le mettessi dentro. Stando alla mia teoria avrebbe dovuto restituirtene
un po’, ma così non è stato. Anzi. Da quando stai con lei le persone non
parlano più di te come attore che produce, ma come attore che fa il cretino con
la fidanzata modella”, faccio una smorfia.
“Em è sempre stata più
indulgente di te, a tal proposito”.
“Emy ti ama come ama la
sua vita, tesoro. Io no. Io ti adoro, ti ammiro e ti stiro pure ma ho una
visione più oggettiva delle cose”.
“Sarebbe?”
Mi alzo in piedi,
camminando verso la cassa.
“Te lo spiego in macchina,
cammina”.
Orlando mi fissa con un
espressione sbigottita.
“Dove cazzo sei maledetta
stradina?”, borbotto digrignando i denti.
“Flo posso sapere cos’è
che stai cercando, esattamente?”
“Esattamente Rlà, una
strada”.
“Ci stai camminando
sopra”, specifica lui con un espressione simile a quella di uno psicologo che
sta cercando di far ragionare un pazzo.
“Evidentemente ne sto
cercando un’altra, no?”, spiego, sforzandomi di non imprecare.
“E perché ne dovresti
cercare un’altra? Siamo su quella giusta”.
“Rlà, fammi una cortesia.
Gioca con il cellulare e non importunarmi”, mugugno scrutando il paesaggio
circostante.
“Mi dici dove mi vuoi
portare?”, insiste quello.
Sbuffo, “In un posto
isolato. Ti uccido e ti sotterro. Nessuno ti troverà e io avrò un problema in
meno”.
“Sei simpatica”, soffia
lui, ironico.
“ECCOLA!”, grido
all’improvviso, scattando sul sedile.
Giro il volante a
trecentosessanta gradi e mi immetto su una stradina di campagna, a velocità
sostenuta.
Orlando mi guarda
terrorizzato.
“Flo, non vorrei morire,
se non è un problema per te!”
Scuoto la testa, “Nessun
problema, Mr Magnificent, rallento. Dovrei portarti all’avvenimento vivo.
Altrimenti Emy mi gambizza!”
“C’entra Em?”, domanda lui.
A volte ho il sospetto che
Orlando abbia problemi di comprensione. Niente di grave, beninteso. Ma in
alcuni frangenti mi trovo a pensare che sia un completo idiota. Probabilmente
perché gli voglio bene come voglio bene al mio piede destro. Ma molto più semplicemente
perché, alle volte, gli si inceppano i neuroni in ragionamenti che solo lui
capisce. Neanche Jung avrebbe qualcosa di intelligente da dire, a tal
proposito. Ne sono convinta.
“Che domanda sarebbe?”,
indago con sospetto.
“Voglio sapere se è stata
Em a dirti di portarmi qui”.
Svolto a destra,
sospirando profondamente.
“No. Emy non sa che ti sto
portando qui. Non ne ha la più pallida idea. Anzi,per inciso, l’unica cosa che
ha detto è stata ‘Flo, tesoro, ci pensi tu ad andare a prendere Orlando? Vai e lo
porti direttamente qui da noi. Così ti fermi anche tu e mi dai sostegno per due
giorni. Ok?’. Ecco quello che ha detto Emy”.
“Non ti ha chiesto di
parlarmi?”
“No”
“Non ti ha neanche chiesto
di chiamarla mentre eravamo in viaggio?”
“No”
“Non ti ha dato nessuna
canzone magica da farmi ascoltare?”
“No”
“Non ti ha detto niente a
proposito del fatto che Miranda non viene?”
“No”
“Non ti ha neanche…”
“Rlà, NO. No. No. NO.
Quale parte della parola ‘no’ non ti è chiara?”
Si accascia sul sedile,
“Em non mi ama più”.
Sbuffo. Quindi fermo la
macchina e scendo.
Orlando rimane un po’
senza parlare, quindi esce a sua volta e si appoggia al cofano.
“Che posto è questo?”, mi
chiede, mentre traffico con la chitarra nei sedili posteriori.
“L’ha trovato Emy per
caso, qualche mese fa. Dice che sembra la copia esatta del posto in cui Legolas
compare per la prima volta nel Signore degli Anelli”.
Lo sento ridacchiare e so
anche perché.
Sorrido, quindi mi siedo
sul cofano accanto a lui, e comincio a pizzicare le corde della chitarra.
“Ascolta bene, adesso”,
gli dico, “In realtà c’è qualcosa che Emy ha detto”.
Mi sbircia con la coda
dell’occhio.
“Stamattina”, puntualizzo,
“Abbiamo parlato al telefono. Non sarò io a svelarti il contenuto della
conversazione ma posso dartene un piccolo assaggio”, gli sorrido, “Sono sicura
che capirai da te”.
Annuisce, guardandosi
intorno estasiato.
Inizio il giro d’accordi
che apre la canzone ed Orlando si volta a guardare le mie mani che si muovono
veloci sulle corde.
“Well I heard there was a secret chord , that David played, and it
pleased the Lord, but you don't really care for music, do ya?
Well it goes like this, the fourth, the fifth, the minor fall and the major
lift
The baffled king composing Hallelujah”
Lo vedo che annuisce con
un sorriso.
“Well Your faith was strong but you needed proof ,
You saw her bathing on the roof .Her beauty and the moonlight overthrew you
,she tied you to her kitchen chair .And she broke your throne and she cut your
hair, and from your lips she drew the Hallelujah”
E chissà quanto di Emily
Orlando vede in queste parole.
Chissà quanto amore riesce
a leggerci, nonostante tutto.
“Well baby I've been here before, I've seen this
room and I've walked this floor, I used to live alone before I knew ya
I've seen your flag on the marble arch. Love is not a victory march it's a cold
and it's a broken Hallelujah”
Lo sento che sospira. Lo
vedo che guarda lontano, come a voler volare con lo sguardo fin lì. Fin dove
avrebbe voluto stare. Là dove non ha avuto il coraggio di rimanere.
“Well there was a time when you let me know. What's
really going on below, but now you never show that to me do you? And remember
when I moved in you? And the holy dove was moving too and every breath we drew
was Hallelujah”
E nel suo viso, si illuminano
le emozioni dei ricordi.
Fa quasi male a guardarle.
“Well maybe there's a God above but all I've ever
learned from love was how to shoot somebody who'd out drew ya.
And it's not a cry that you hear at night, it's not somebody who's seen the
light it's a cold and it's a broken Hallelujah”
Continuo a pizzicare le
corde, lentamente. Lo sbircio con la coda dell’occhio cercando di intuire cosa
sta pensando. Inutilmente.
I suoi pensieri sembrano
inaccessibili. Così come le sue emozioni.
Sembra presente eppure,
nello stesso tempo, sembra lontano anni luce da tutto quello che sta accadendo
intorno a lui.
Probabilmente perché fino
ad ora, non aveva realizzato di aver perso quasi definitivamente l’unica
persona che lo abbia veramente amato.
Completamente amato.
La sua Em.
Perché solo Orlando può
permettersi di chiamarla così. Per lui è Em. Solo per lui.
“Rlà?”, lo chiamo
sottovoce.
Lui si gira lentamente e
noto solo in quel momento il riflesso di lacrime remote che gli fa brillare gli
occhi.
Mi sorride, incoraggiante.
“Em non ha mai smesso di amarti”, gli dico.
“Lo so”, sospira.
NOTINA
Comprendo che
dare un nome così idiota ad una nota fa passare a chiunque la voglia di
leggerla, ma oggi mi sento così. Mi sento un po’ idiota.
Prendetemi
come vengo, please.
E nasce
grazie ad un sms della sopracitata Naimh,
In realtà
affonda le sue radici in questi giorni trascorsi, dove ci siamo permesse
cazzate e riflessioni che alla fine sono sbocciate in questa follia.
Naimh,
chiaramente questa è TUA.
Tutta tua.
Sai che seguo
te e le tue passioni in ogni tempo e in ogni mondo, ma ho voluto dare un
tributo alla coppia che più mi ha fatto emozionare in questi ultimi mesi. Spero
di essere stata all’altezza di almeno un quarto dei tuoi pensieri.
Ed è anche
per voi. Per tutte voi che leggete e che li avete amati.
Che li
avreste voluti vedere insieme per davvero.
Che vi siete
augurate di avere almeno la metà delle stelle che vedevamo nei loro occhi
quando leggevamo di loro.
E che avete
colto un piccolo particolare… piccolo ma, tuttavia, non trascurabile.
Non è scritta
bene, ma è scritta col cuore.
Spero vi sia
piaciuta!
Un abbraccio
che circonda
Am
P.S. Le
ciliegie dovrebbero tornare a penzolare nel finesettimana!