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Autore: L0g1c1ta    07/08/2015    3 recensioni
Dieci ragazzi e una professoressa.
Ognuno di loro ha una storia. Ognuno di loro ha un passato.
Passano insieme quattordici giorni di vacanze all'estero e insieme decidono di fare un rito per entrare nel Regno dell'Incubo, risvegliando l'Uomo Nero ed entrando nel suo mondo.
Mano a mano che esplorano il luogo si rendono conto che anche i Guardiani e altri spiriti si trovano costretti ad abitare in quest'isola ove sono ricercati dalla reale padrona del Regno: Macula Sanguinea.
Tra umani e spiriti si cuciranno rapporti d'amicizia o inimicizia.
Riusciranno a tornare a casa?
Riusciranno a sfuggire dalle mani della megera Macula Sanguinea?
Riusciranno a scampare alla morte?
Genere: Angst, Generale, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Cinque Guardiani, Nuovo personaggio, Pitch
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Vecchietta L0g1: Una sera, tanto tanto tempo fa, quando ero ancora una ragazzina, decisi di scrivere una fanfiction di nome “The World of Nightmare”… *attacco di tosse*
Ah, si lo so! Ci ho messi centinaia e miliaia di anni per scrivere questo temutissimo, ultimo capitolo. Ma, finalmente, è qui!
Cari lettori, detto questo ci vediamo di sotto!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Apro gli occhi lentamente. Pitch mi ha svegliata in un modo decisamente troppo stupido: non ha più fantasia, questo è certo. Quando torneremo a casa, dovrò necessariamente fargli vedere alcuni dei videogiochi horror che preferisco. Per il bene della sua carriera.
Sandman non c’è. Non mi sorprendo: si sveglia sempre prima di me, forse rimane sveglio anche in piena notte ad aspettare il sole. Credo di sapere il perchè, ma prima devo trovare le parole giuste per dirgli tutto ciò che ho in mente. Crede che io non lo sappia, che dorma vicino a me, nello stesso letto. Si sveglia presto, prima di me, per non farmi sospettare nulla. Ma non ha calcolato alcune cose: io, sia di giorno che di notte, sono come un gufo, vigile. Apro il pugno: il volantino è spiegazzato, ma ancora intatto. Forse dovrei mostrarglielo e spiegargli man a mano cosa ho intenzione di fare. Scendo dal letto e, lentamente, mi dirigo verso le scale.
In cucina, seduto a tavola, c’è Sandy. Appena poggio piede a terra, mi vede e mi saluta con calore. Questo non mi aiuta per niente.
“Buongiorno, dormito bene? Niente incubi?” scuote la testa. Per fortuna, niente incubi. La malattia ne provoca molti, soprattutto in questo periodo, il motivo non lo so. Un paio di volte gli ho chiesto cosa sogna di tanto orribile da farlo svegliare sudato in piena notte. La prima volta che gliel’ho domandato, era troppo agitato per rispondermi. La seconda volta ha formato con la sabbia due vascelli che si scontravano a vicenda. Il più grande e minaccioso ha fatto affondare l’altro più piccolo ed elegante. Non so perché questo per lui sia stato un incubo.
Mi siedo accanto a lui. Sulla tavola vi sono due scodelle piene di latte con cereali. Mino dimentica sempre che a me non piacciono molto, ma, a quanto pare, Sandy non è dello stesso parere. Mentre mastica mi osserva attentamente, nota la mia stanchezza. Sarà anche malato, dimagrito, pallido ed esausto, ma comprende sempre quando qualcosa non va in me. Non so, ma questo sesto senso mi piace.
Stai bene? Hai avuto un incubo?” riesco a decifrare. Forse è meglio se mi calmi un po’. Non so proprio da dove potrei cominciare il discorso e la sua gentilezza mi blocca la lingua.
“In effetti si. Ma non so perché mi sia svegliata: era l’incubo più stupido che abbia mai fatto” dico, pensando a Pitch e al suo stupido modo di svegliarmi. L’omino rigira gli occhi con un sorriso ironico, si è abituato alle mie stranezze.
Ti va di raccontarmene?
“Va bene. Ero in un luogo buio, con degli astri di vari colori e forme e… alberi di liquirizia. Se non che, dopo aver camminato per un po’, vedo uno spazio completamente bianco e, al centro del luogo, una scacchiera. Dopo averci giocato un po’, spunta fuori un bisbetico e permaloso cavaliere nero e lo invito a giocare…” sento una mano afferrarmi la gamba e graffiarmi lentamente la carne fino a giungere al tallone. Sandy non si accorge di niente, meglio così “…dopo aver vinto e parlato un po’, il cavaliere ed io ci alziamo dalle sedie e camminiamo insieme. Non ricordo cosa gli ho detto, ma sicuramente l’ho insultato. Allora quel tipo, arrabbiato, mi afferra per i capelli e, con un’insolita forza fisica, abbastanza curiosa per un gracile come lui...” la mano si è spostata sull’altra gamba. Non so se abbia un coltello, ma graffia con molta più forza, tanto da sentire del sangue scivolare giù per il polpaccio “…mi scaraventa verso un albero. Poi il cavaliere, come per magia, fa apparire una lama e me la conficca in mezzo agli occhi. La cosa ridicola è che, alla fine, il soldato mi ha addirittura riso in faccia. E mi sono svegliata” noto lo sguardo perplesso di Sandman, credevo che si fosse abituato a me.
“Ti avevo avvertito che era l’incubo più stupido che abbia mai fatto!” simula qualcosa simile ad una risata muta. Ora mi chiedo: come inizio il discorso? Mangio un po’, in silenzio. Come posso fare? Di sicuro ciò che dirò lo deluderà. Certo, mi era grato, quella volta, di averlo salvato, ma… non riesce a credere che io sappia fare una cosa del genere. Quando siamo andati a pescare, mi aveva chiesto perchè avevo ucciso quelle persone. Non era arrabbiato, ma sorpreso e contrariato. Non avrei mai voluto che lo scoprisse. È una parte di me che detesto e disgusto perfino io. Gli risposi che non avrebbe dovuto preoccuparsi: gli avevo detto che l’avevo fatto soltanto per salvarlo, e poi cos’altro avrei potuto inventarmi per trarlo in salvo? Si era rilassato molto, aveva capito che dicevo la verità, ma poi mi chiese se, per essere stata così calma, lo avessi mai fatto prima d’ora. Gli risposi immediatamente di no. Non lo convinsi per niente. Sono felice che questo piccolo grande particolare non abbia cambiato quasi nulla delle nostre giornate insieme, non tocchiamo mai quest’argomento. Ma questa volta non si può fare altrimenti. Smetto di mangiare a metà, lui ha quasi finito i cereali.
“Sandy, ti devo dire una cosa importante” dico, giocherellando col cucchiaio, cercando di essere più disinvolta possibile. Cerco anche di non guardarlo in faccia: fa male dirgli qualcosa del genere. Forse se giocassi con le parole…
“Ricordi che talvolta ti parlavo dei ragazzi nel nostro gruppo, quelli ancora dispersi? Fra questi vi è mio cugino, ovviamente gli voglio molto bene… E ho scoperto dove si trova…” rialzo gli occhi porgendo il volantino che mi ha dato Pitch. Sandman lo legge, interessato: “Condanna a morte”, il resto è una descrizione fisica di Gianni e dello spirito che lo accompagna. Non scrive il perché della sua condanna a morte e neanche chi l’ha condannato a morte. Sandy rialza gli occhi dal foglio, incredulo.
Ma com’è potuto accadere?
“Sinceramente non lo so. Non hanno scritto nulla a riguardo, ma non posso starmene qui mentre viene condannato a morte ingiustamente. Riesci a capire ciò che sto dicendo?” dopo qualche secondo annuisce. No, non ha capito bene. Forse è meglio approfittarne.
“M’inventerò qualcosa per riuscire a liberarlo in tempo” è perplesso, ma, dopo poco tempo, la sua espressione cambia. Questa volta, capisce. Mi guarda intensamente per diversi secondi. Sto sudando e m’innervosisco, il suo viso muta in un’espressione severa. Non è per niente adatto a lui questo viso. Non so proprio come io faccia ad essere così pressante con persone come lui. Sono una gran delusione come amica… sempre se lui mi definisca un’amica. Sembra rifletterci molto. Alla fine sospira, sconsolato.
Se credi che tu possa fare la cosa giusta, allora puoi andare” sono sorpresa, per niente sollevata. Non ha senso: perché dovrebbe lasciarmi andare? Io non lo avrei fatto se mio fratello me l’avesse chiesto. Quindi… perché? Queste domande ora sono inutili.
“Grazie per aver capito… Quando tornerò te lo farò conoscere: è il ragazzo più buono del mondo” non sembra per niente interessato all’idea. Sa che qualcuno morirà, sa che ucciderò qualcuno. L’idea non gli piace per niente, ma, non so il perché, mi lascia andare. Anch’io non mi sento bene. Percorro le scale e raggiungo camera mia. Chiudo la porta lentamente. Apro il baule, visto che l’armadio è completamente riempito di armi, ormai lo uso per i vestiti. Non so se indossare quell’abito che mi ha dato Astrea la prima volta che sono giunta al teatro per salvare Mino e il Coniglio di Pasqua. Non posso passargli accanto come se nulla fosse con questo addosso. Lo poggio sul letto, intanto recupero i due Bowie, la borsa nera, una pistola, per sicurezza la porto con me. Rinchiudo l’armadio. Se le cose andranno bene, non dovrò nemmeno toccare le armi.
Osservo per un po’ quell’abito. Quello è perfetto per non farmi notare, per non far vedere il mio viso, per farmi sembrare un ragazzino, in estremis. La cosa è diversa: ho bisogno di quest’abito e Sandman non può impedirmelo, per sua sfortuna. Lo indosso, aggancio la borsa alla cintura gettandoci all’interno il libro che ho preso nella casa di Gennarino. Penso un po’ prima di uscire. Riapro l’armadio e prendo una spada leggera: non si sa mai. Cerco di essere più veloce possibile a raggiungere la porta d’entrata. A malapena la sfioro. Sandman è rimasto lì a giocare con il cucchiaio immergendolo nel latte. Dopo questa, come minimo, mi darò una calmata con le armi. I due ciondoli di Yoshi escono fuori dall’abito tintinnando fra loro. Sfilo la metà blu scura. Mi avvicino alle sue spalle e, lentamente, glielo faccio indossare. Con le dita sfiora la pietra scura, con lo sguardo mi chiede cosa sia.
“Un mio amico me li aveva regalati” in contemporanea gli mostro anche la metà gialla, quella che tengo al collo “Sono molto importanti per me, vorrei che una metà la tenessi tu. Quando tornerò i due ciondoli si ricongiungeranno, come noi due, e staremo di nuovo insieme” questa non l’avevo pianificata. Mi è uscita dalle labbra come un fiume in piena. Non avevo intenzione nemmeno di donare a Sandman uno dei due ciondoli di Yoshi. Yoshi mi ha detto di darne una metà a colui che ritenevo degno di essere il mio compagno, ho capito cosa intendeva. L’ho fatto d’istinto. E mi sto comportando come una bambina, di nuovo.
Grazie” dice, girando e rigirando il ciondolo tra le dita. La pietra brilla al sole.
“Abbine cura: è molto importante per me” annuisce distrattamente. Passano un paio di secondi in silenzio. Non ho riparato totalmente le mie parole, ma almeno ho scongelato un po’ l’aria tesa. Sandman si alza sulla sedia, sembra un po’ più alto di me. Mi abbraccia, triste. Questo non me l’aspettavo. Quanto può far male sapere che una persona che conosci rischierà la vita? Spero di non saperlo mai. Ricambio l’abbraccio.
“Tornerò fra pochi giorni. Andrà tutto bene, Sandman” non è quello che lo preoccupa, sa che ce la farò. Per qualche strana ragione, non dà ascolto al suo cuore e non mi blocca, nemmeno quando varco la porta, nemmeno quando mi allontano dalla Casetta. Mi aspettavo di vederlo dietro di me per trattenermi o per convincermi di non andare. Sento un’insolito vuoto. Avrei voluto che mi fermasse. Raggiungo di corsa il bosco, dove Pitch mi aspetta.
“Eccoti qui, quanto tempo ci hai messo?”
“Andiamo, Pitch, prima però dovremo fermarci al teatro: devo avvisare qualcuno che Sandman è solo” annuisce superficialmente. Monta sopra ad un destriero di sabbia nera. Mi fissa per qualche secondo, quella bestia scura. Salto dietro a Pitch. Non ho il tempo di aggrapparmi all’uomo che questo stupido ronzino impenna e mi fa cadere all’indietro. Black, capito cos’è accaduto, ride. L’ha fatto apposta, ne sono certa.
“Diavoli…!” mi sfugge di bocca, ritornando in piedi. Cadendo, l’elsa della spada mi aveva colpito alle costole.
“Beh, Fabia, dopo aver torturato ogni giorno i miei Incubi, non  i sorprendo se questi non abbiano intenzione di avere più fiducia in te. Ah, si, hai ragione sono proprio un cavaliere bisbetico e permaloso! ” spiega, continuando la risata isterica. Ogni volta che ci allenavamo, Pitch usava i suoi Incubi come bersagli per me trasformandoli in uomini e animali. In effetti, molto spesso non gli ho trattati bene. Pensandoci bene, mai. Amore reciproco, tutto qui. Pitch quieta la bestia e m’invita a salire. Salto di nuovo dietro a lui e, questa volta, mi stringo forte a Black, dovessi morire. Non ho mai cavalcato o Pitch mi ha mai fatto cavalcare un Incubo. Solo una volta, quando non ero cosciente, ricordo solo l’altissima velocità. E se cadessi?
“Tranquilla, Fabia: accelererò lentamente, in modo che non avrai da patire troppo” non passa nemmeno un secondo che partiamo a velocità folle. In breve siamo in cielo. Non voglio cadere, assolutamente no.
“Fabia, non stringere troppo: mi stai soffocando!” dice, ridendo. L’ha fatto di proposito, maledetto Black! Ti faccio vedere io quanto sono forte, stupido fantino… L’uomo ha uno spasmo.
“Fabia, smettila!” dice, colpendomi pesantemente ai polsi. Te lo scordi che mollo la presa. Pochi secondi dopo, il destriero scende dal cielo e tocca terra. Lascio i fianchi di Black. Devo averlo stretto molto forte: si stringe al bacino e respira profondamente, non so se per rabbia o perché non aveva davvero più fiato. Credevo che ci fossimo fermati perché Pitch voleva farmi smettere, invece siamo arrivati nella stalla del teatro. Un ceffone mi fa cadere di nuovo da cavallo. Black è proprio permaloso…
“La prossima volta farò ancora più lentamente, va bene?” dice, scendendo da cavallo. Non dico niente riguardo il ceffone: è totalmente inutile. Da quando prendo lezioni da lui, Pitch ha preso la strana abitudine di maltrattarmi con sberle, prese per i capelli e, quando faccio una cosa veramente molto ‘stupida’, calci. Dice che, in questo modo, dimentico il dolore quando mi ferisco. Di sicuro l’ha detto solo per giustificare i suoi maltrattamenti usati unicamente per il suo malsano divertimento o per vendetta personale. Glielo concedo soltanto perché parlo male di lui indirettamente agli altri, perché ciò che ha detto non è del tutto falso e, soprattutto, perché mi vendico abbastanza spesso.
“Va bene. Ora devo trovare Farut o Mino e gli dico di Sandy. Tu resta qui” ferma il mio passo afferrandomi per i capelli e strattonandomi all’indietro. Ha cominciato a tirarmi i capelli non appena ha scoperto il mio odio verso le carezze alla testa. Che sia dannato in eterno. Oh, vero, è già dannato in eterno.
“Veramente pensavo di venire con te” mi volto, perplessa “Non mi hai mai detto chi abita qui e non vedo l’ora di scoprirlo” lo fisso come se avessi di fronte a me un idiota senza speranza, cosa abbastanza vera. Cioè, non è mai entrato dentro senza che io ci fossi?
“D’accordo: vorresti bussare alla porta e dire: toc toc, c’è qualcuno in casa? oppure ti nasconderai tra le ombre come un topolino impaurito?” chiedo, apatica. Finge di non cogliere l’ironia della mia battuta.
“Pensavo di celarmi in questa ombra” risponde, indicando un’ombra in particolare: la mia. Per me non fa differenza. Scrollo le spalle ed entro dentro il teatro. Mentre mi avvio per i corridoi, ho una strana sensazione: come se qualcuno mi stesse continuamente osservando. Fisso la mia ombra: leggermente più scura delle altre, ma l’anomalia più visibile è che ha la forma di Pitch Black e non la mia. Non c’è nessuno nei dintorni, oltre a lui.
“Sei tu a creare questa sensazione?” chiedo, sussurrando. Guai se qualcuno pensasse che io parlo con le ombre. Per quanto ho capito, Pitch Black, da gran parte degli spiriti, è considerato come un portatore di caos e morti. Non c’è da meravigliarsi, visto il suo atteggiamento e l’inutile guerra che ha creato in epoca medioevale e anche quell’altra formata… l’anno passato? O forse di più?
“Quale sensazione?” chiede l’ombra, sinceramente curiosa. Probabilmente l’ho udita solamente io.
“Ho un blocco alla gola, come se mi mancasse l’aria, come se qualcuno mi osservasse incessantemente” continuo a sussurrare. Sinceramente non vorrei che qualcuno ascoltasse ciò che sto dicendo, ad un’ombra, per di più! Io e l’ombra ci blocchiamo, guardandoci. Pitch sporge il suo viso dalla semioscurità. Mi guarda interessato.
“Stai dicendo sul serio?”
“Black, ho una grande inquietudine da quando sei nella mia ombra. Devi essere per forza tu” il volto di Pitch svanisce e lascia in pace la mia ombra, nascondendosi all’interno di un’altra poco lontana da me.
“Hai la stessa sensazione?”
“No, è passata” vedo la forma di Pitch Black mentre si tasta il mento, pensando.
“Molto interessante… Ciò spiega molto…”
“Non lo hai mai saputo in duemila anni?” chiedo, rigirando gli occhi.
“Beh, Fabia, sicuramente non chiedo alle mie vittime che sensazione hanno quando mi celo all’interno delle loro ombre!” dice, spazientito. Sento qualcuno in lontananza fischiettare un motivetto allegro. Voglio farmi un paio di risate: so chi è, solo lui riesce ad essere felice, nonostante siamo in  un postaccio e con il pericolo alle calcagna.
“Black, nasconditi nella mia ombra: avrai una bella sorpresa…” l’uomo, nonostante non abbia capito, ubbidisce, miracolosamente. Il fischiettio si propaga in tutto il corridoio fino a vedere il proprietario di quella voce allegra, seguito subito dopo da un gigantesco coniglio. L’omone natalizio mi nota, mi saluta e comincia a parlarmi in russo, l’altro mi ignora.
“Fabi, bentornata!”
“Ciao, Kolja. Scusa, sono di fretta. Dove sono Mino e Farut?” sembra molto felice, chissà il perché…
“Sul palcoscenico a provare delle nuove invenzioni” afferma, orgoglioso per qualcosa che non so.
“Invenzioni?” annuisce.
“Mino è un genio! Ha costruito di tutto in questi giorni. Gli ho insegnato qualcosa sui meccanismi dei giocattoli e…voilà! Crea un trenino a vapore con i vecchi scarti. Ogni giono gli insegno qualcosa di nuovo e dopo un po’ crea delle cose con i residui del teatro. Quel ragazzo è un genio!” ripete, orgoglioso. Ora ho capito, Kolja ha fatto da insegnante a Mino riguardo la meccanica. Black non è l’unico maestro, a quanto pare. A proposito di Black… chissà come mai è rimasto immobile come un salame… Chissà…
“Perfetto, vado subito da loro! Grazie, Kolja”
“Ciao, Fabiola” dice ritornando a fischiettare, seguito da Calmoniglio che, prima di seguirlo, mi ha lanciato uno sguardo corrucciato. Poco mi importa di lui. Corro verso il palcoscenico. Una mano mi strattona per i capelli. Ma quando imparerà a non toccarmi la testa?
Questo avresti dovuto dirmelo. Spiega praticamente ogni cosa! Ecco dove si trovavano!” fingo di fare l’offesa.
“Ma, Black, non me l’hai mai chiesto, prima di tutto. E poi, per quale motivo avrei dovuto raccontarti una cosa del genere?” fa apparire un bastone e me lo mena in testa. Mi sfugge un gemito. Questo faceva male. Poi devo trovare un modo per vendicarmi.
“Sii più rispettosa, scimmietta. Ora sbrigati a trovare quei due giganti, dopodichè ci dirigeremo al Castello” ubbidisco, massaggiandomi la testa. Raggiungo il palcoscenico. Noto che in mezzo ad esso vi è una vecchia libreria avvolta di muffa. Strano, non c’è nessuno.
“Fabi, attenta!” non riesco a voltarmi in tempo, che un titano decisamente più grande di me mi afferra per le spalle e insieme spariamo dietro le quinte. Mi agito e mi dimeno, fino a liberarmi. È Farut, imbarazzato e furioso più di me. Dietro la tenda, fuori, sento un ‘No…!’ acuto e deluso. Il gigante color bronzo strattona il tendone rosso fino a spalancare totalmente l’anfiteatro. Vedo Mino vicino alla libreria ammuffita, con un’aria decisamente scontenta. Farut si avvicina a lui, sudato e arrabbiato.
“Bravo, genio, stavi per ammazzare Fabiola jan!” il genio alza la testa, assottigliando le palpebre. Mino è sempre stato, per quel poco che conosco, un ragazzo molto riflessivo. Si arrabbia abbastanza facilmente, ma non alza mai le mani. Ma da quando conosce Farut, il suo carattere sta mutando velocemente.
Ammazzare? Ma se nemmeno funzionano, questi cosi inutili!” Farut mostra il petto, come un tacchino sul punto di prendere a beccate qualcuno. Se non finissero sempre per uccidersi di botte, sarebbero quasi divertenti.
“Allora buttali, così farai felice anche me e non avremo dei problemi, se esplodessero! Lo sapevo che era una cattiva idea!” il viso di Mino si sta dipingendo di rosso.
“Ma se tu…!” meglio interrompergli, prima che si prendano a pugni, cosa che accade all’incirca… sempre.
“Salve a tutti e due. Allora, cosa sta succedendo?” chiedo, comunque interessata. Mino sospira.
“Fabi, credo che hai presente le bombe, no?” annuisco “Bene… ho provato a farne qualcuna, ma, come vedi, non hanno funzionato… Eppure la miscela è la stessa che ho studiato!” dice, indicando la libreria intatta. Noto che al secondo ripiano vi è un aggeggio strano, rotondo e grigio. Una mina. Mino ha creato una bomba…?
“Incredibile…!” sono veramente sorpresa. Che fosse intelligente, lo sapevo, ma fino a questo punto, sembra quasi inquietante.
“Beh, lo sarebbe se avesse funzionato. Ma come vedi…”
“È pur sempre incredibile”
“È pur sempre pericoloso” m’interrompe Farut. Che Mino perda la pazienza con lui, lo trovo legittimo.
“Devi buttarlo subito! E se esplodesse?”
“Ma se ne ho fatte altre venti!” Farut si schiaffa una mano in fronte, sinceramente sconvolto. Meglio entrare di nuovo nel discorso, questo silenzio è disturbante.
“Mino, ma quelli sono occhiali?” mi rivolge un sorriso sincero. È da un po’ che l’ho notato: il ragazzo ha un paio di occhiali tenuti al loro posto grazie ad una sorta di scura cinghia elastica. Col dito fa tintinnare il vetro.
“Già, non sono nuovi ma è pur sempre qualcosa. Ora riesco a vedere da lontano, un po’ meno da vicino, ma, ripeto, è qualcosa. Gli abbiamo trovati ad un vecchio mercatino. Il proprietario voleva buttargli perché si erano rotti, ma gli ho presi, gratis, e gli ho riparati con questa cinghia. Sai, pensavo che mi sarei dimenticato delle vostre facce se non gli avessi trovati!” questa volta è lui ad essere orgoglioso. Sono sinceramente felice per lui. Lo capisco molto, anch’io indosso gli occhiali: ho l’occhio destro difettoso, con quello non vedo da vicino. L’oculista aveva detto che non era un grado molto elevato e che l’occhio sarebbe ritornato in sesto anche in un anno, ma con l’ausilio di occhiali. Gli usavo per leggere e studiare ma, visto che non gli ho più, devo arrangiarmi. Non è un grande problema: mi basta chiudere l’occhio e leggo abbastanza bene oppure, semplicemente, allontano il libro o scrivo con il braccio teso. Non sono ai livelli di semi cecità di Mino. Comunque, quelle bombe m’interessano, ma di sicuro nessuno dei due mi darà l’autorizzazione per usarle. Saranno difettose, ma mi potrebbero essere utili.
“Mino, devo andare al Castello per alcune faccende e Sandy ora è da solo. Potresti andare da lui, per sicurezza?” lui annuisce, felice di stare lontano da un Farut particolarmente lagnoso. Velocemente ci saluta e corre fuori, salutando Kolja che stava passando da quelle parti. Mi pare di aver sentito un ‘Mino, ho detto te mille volte di non correre per scale!’ Ci siamo solo io e Farut. Sto per voltarmi ed andarmene, ma Farut mi blocca per una spalla.
“Dì la verità, stai andando a trovare un altro dei nostri?” mi volto, tranquilla. Non c’è bisogno di nascondere nulla.
“Si, forse so dov’è Gianni. Anzi, so dov’è. Se le cose andranno bene, e sarà così, domani sarà fra noi” lui annuisce fra sé e sé.
“Mmm… Te l’ha detto lui?” Lui… chi?
“…?”
Lui, l’Uomo Nero, o come cacchio si chiama!” nonostante ricordi che Farut abbia visto la nostra ‘chiaccherata’ e nonostante ciò che pensi a riguardo m’interessi ben poco, sento come se il mondo avesse deciso di crollarmi addosso, giusto per farmi un dispetto. Negare è assolutamente ridicolo: sarebbe come affermare ad un gorilla che le banane sono velenose, e Farut è abbastanza simile ad una scimmia. Ma, sinceramente, sono rimasta senza parole, letteralmente. Farut sospira. Anche a lui sono cresciuti molto i capelli. Già prima di catapultarci in questo posto toccavano le spalle, ora sono addirittura più lunghi. Sembra un metallaro vestito con tuta e maglia a maniche lunghe.
“Lo prenderò per un si. Volevo solo sapere se trovavi i ragazzi grazie al tuo cervello o grazie a quello di Lui. Ora non fare commedia negando tutto: tanto ho sentito ogni cosa, quella notte” conclude, senza fare un’espressione comprensibile.
“…Farut… Devo andare. Saluta Kolja da parte mia” dico, passiva, ma scossa interiormente. Non me l’aspettavo. Probabilmente lo conosco ben poco.
“Sappi che, il giorno dopo quella notte, avrei voluto buttarti fuori a calci da casa. Se saresti morta di fame era poco importante, tanto avevi quell’uomo con te, ti avrebbe aiutato lui, pesavo. Ma tu non c’eri, eri con Mino, eri scappata via” deglutisco.
“Però Sandy mi aveva detto di darti una seconda possibilità. Non so perché, ma credeva in te, molto” penso di sentirmi male “Non ti ho creduto per niente, ma almeno la gente che c’era alla festa sta tornando e… beh… ho pensato che sarebbe stato meglio lasciarti fare e… basta. Anche se non sono del tutto d’accordo riguardo questo andare via per diversi giorni e poi ritornare con delle cicatrici… ne sei piena sulle braccia, manco fossero ragnatele, poi anche quella sorta di scottatura sull’ombellico, e sono certo che ne hai altre… E poi, non mi fido di quell’uomo. Sei piccolissima: potrebbe anche stufarsi di te e abbandonarti da qualche parte o peggio” in quel ‘peggio’ sento più di quel che ci sia in apparenza. Involontariamente guardo l’ombra che ospita Pitch. Perché è muto? Perché non si muove? Perché fissa in quel modo Farut? “Ma stai facendo un buon lavoro, nonostante tutto. Quindi… va bene, meglio così, ho pensato. Tanto mancano solo tuo cugino, la mora e il giapponese. Per il resto è ok, basta che non si approfitti di te quell’uomo” anche in questa frase sento più di quanto dovrebbe esserci. Vedo l’ombra di Pitch uscire dalla mia e scappare via. Non so cosa possa aver pensato. Che Pitch si approfitti di qualcuno, lo trovo probabile. Ma carnalmente, non penso. Non credo proprio che si potrebbe approfittare in quel senso di una ragazzina, che sia solo per farle paura o per un motivo più grande “Beh, è tutto, volevo solo dirti questo. Niente di che…” non è bravo con le parole, su questo non ci sono dubbi. Non capisco se voglia dire altro, ma devo andare.
“Capisco… grazie”
“Di nulla. Ora devo andare, North s’innervosisce se non vede me o Mino” si avvia, ma poi si ferma “Tappo, un’ultima cosa: buona fortuna. Torna tutta intera, questa volta. Poi, quando torni, devi raccontarmi ogni cosa: da quella scema di Carmen non avevo capito niente di quel fatto del Castello, né dall’altro pervertito di suo fratello” sembra aver trovato un’altra cosa da aggiungere “Ah, si, un’ultima cosa: ora che Mino ha degli occhiali, credo che gli dirò la verità, sugli spiriti e il resto. Quindi, se domani lo troverai abbastanza sconvolto, non esserne troppo scioccata” gli sorrido tristemente. Non so nemmeno se avrei voluto che mi trattenesse. È come se volesse che io vada a morire. È quasi impossibile che il destino m’impedisca di stare calma e ferma, come una mia qualsiasi coetanea.
 
 
“Secondo me, qualche spirito particolarmente pazzo ti deve per forza proteggere: Fabia, onestamente, è impossibile che una mortale abbia così tanta fortuna in un luogo come questo!”
 
 
Spesso Pitch mi ripete questa cantilena quando mi vede in azione. Non faccio mai molto caso a quest’affermazione. Da che mondo è mondo, ho sempre avuto molta fortuna. Credo che sia qualcosa di naturale, a questo punto. Che mi protegga qualcuno è ridicolo e, anche se fosse, per quale motivo? Nessuno, ovviamente. È semplice fortuna, nulla di più, nulla di meno. Raggiungo le stalle in tempo record, prima di andarci, però, sono andata in uno degli spoiatoi per prendere delle cose... Pitch ritorna ad avere una forma corporea e fa apparire un altro Incubo. Saliamo entrambi, in silenzio.
Pitch ha deciso di non farmi arrabbiare: non va troppo veloce, ma nemmeno molto lentamente, finalmente… Sorvoliamo la città dall’alto. Ho la stessa sensazione di quando sono sull’aereo: man a mano che raggiungiamo il cielo, le mie orecchie si appannano, ma stranamente il vento, che in teoria dovrebbe essere turbolento, è docile.
“Strano, nonostante siamo in alta quota, il vento e il rumore che produce si sentono a malapena” rifletto per un momento “Vengono respinti quasi interamente dalla sabbia dell’Incubo!” sembra felice di averglielo fatto notare.
“Ottima osservazione, Fabia. Vuoi sapere dov’è il segreto? Nella sua consistenza. Normalmente la mia sabbia, allo stesso modo di quella di Sandman, al contatto è soffice. Ma se subisce una forte pressione, essa s’indurisce. In questo modo non cede quando combatto e nemmeno quando sono a diversi chilometri da terra, sferzato dal vento. Se ti aspettavi qualcosa di magico, ti sbagli di grosso, piccola” in verità immaginavo qualcosa molto terra terra e semplice, come appunto ho indovinato. Sotto gli zoccoli del destriero, vedo il ponte dove domani verrà portato Gianni. Si stanno già preparando: due uomini, che sembrano più dei puntini vestiti di nero, stanno costruendo una piattaforma e legando delle corde, esattamente come previsto.
“Riguardo a ciò che mi hai raccontato nel tuo sogno: è vero? Hai veramente intenzione di salvare quel ragazzo in modo che venga preso per morto? E hai intenzione di fare tutto ciò durante il processo?” annuisco, lui lo nota.
“Ma mi chiedo, perché aspettare domani per fare tutto ciò? Non sarebbe meglio agire immediatamente, trovare il luogo dove l’hanno rinchiuso e liberarlo? Non sarebbe molto più semplice e meno rischioso?” ovviamente il cervello di Pitch è andato a quel paese anche ora. Oltre al fatto che ha una faccia poco convincente. E dire che è decisamente più grande e, probabilmente, più intelligente di me.
“Pensaci un po’ su: se lo liberassi ora, ogni guardia di questa città lo cercherà. Forse andranno a cercarlo in un luogo abbandonato come il teatro e troverebbero molti altri spiriti oltre a lui, e tutto ciò che ho fatto sarebbe vano. Ma, anche se non lo trovassero, credi che riuscirebbe a nascondersi tanto a lungo e in completa libertà? E, soprattutto, non ho idea dove l’hanno portato. Potrebbe essere qui in città, ma dove? Vicino al centro, oppure in periferia? In qualche casa o prigione? No, Pitch, non ho intenzione di avere sotto il mio stesso tetto un ragazzo fuggitivo” si volta, abbastanza perplesso. Ha capito ogni parola, ma con Black c’è sempre un ‘ma’.
“Ma…” ecco, appunto “…cosa hai intenzione di fare?” involontariamente sorrido. Mi piace dargli suspence, specialmente quando non ha idea di cosa ho in mente, ovvero raramente, soprattutto in questo periodo. Dev’essersi abituato anche lui a me.
“Black, se tutto ciò che hai visto in questi mesi, tutto ciò che ho fatto, fosse stato ‘incredibile’, ciò che ho in mente, allora, sarà ‘assurdo’. Sto per fare la cosa più grande che io abbia mai fatto in tutta la mia vita e ho anche una certa probabilità di non riuscire nell’intento. Ma, stai tranquillo: non moverò un dito al riguardo”
“Immagino…” afferma, cupo. Avrò detto qualcosa di sbagliato? La città sparisce sotto la sabbia del destriero. Dopo un po’, Black scuote la testa, ancor più accigliato. Sto seriamente iniziando a preoccuparmi: non si sa mai con l’Uomo Nero.
“Cosa c’è?”
“Non ci posso credere che Sandman ti abbia lasciata andare…” mormora a bassa voce, sufficiente per sentire con chiarezza ciò che ha affermato.
“Forse perché si fida di me?”
“No, perché sa che, nonostante ti voglia bene, non può obbligarti a fare ciò che non desideri. Per quanto ho compreso, a lui ha interessato, principalmente, che il suo bel fiorellino bianco sta andando a tagliare la gola ad un paio di persone, come minimo” conclude, secco. Avevo compreso anch’io la tristezza di Sandman. Quella chiacchierata durante la pesca era andata piuttosto male. Aveva capito subito che non era la prima volta che facevo una cosa del genere. Sapesse quante persone sono morte grazie a me…
“E a te cos’ha interessato, principalmente?” dico con tono indifferente. Può darmi botte in testa e farmi cadere da cavallo, ma ora sta superando quel poco di limite che ho.
“Che tu stai andando a suicidarti, questo è ciò che mi interessa principalmente!” perfetto… Ci mancava soltanto che s’interessasse della mia umilissima presenza. Ora dovrei sentirmi in colpa per qualcosa? Restiamo in silenzio per molto tempo, troppo tempo. Abbiamo superato la città e ora sorvogliamo la foresta. Fra poco arriveremo a destinazione. Sento il suo petto fare un profondo respiro.
“Quindi… è ufficiale, il tuo vero nome è Fabiola. Avresti dovuto dirmi anche questo…” dice, con un tono duro, mai sentito da lui. Ci mancava solo questa.
“Pensavo che lo avresti immaginato. Insomma, il nome Fabia è molto raro e molti mi chiamano col mio nome completo”
“Anche Fabiola è un nome molto raro, soprattutto in Italia…” sembra piuttosto arrabbiato. Si, è decisamente arrabbiato. Non so cosa si aspettasse da me: se vorremo essere pari, nemmeno io so moltissimo di lui, dalla sua prima guerra nei Secoli Bui in poi dal verso opposto, intendo. Per pareggiare i conti e per rinfrescargli la memoria, dovrò seriamente trovare un modo per scoprire il suo passato. Sarà interessante e divertente, spero.
“Beh, tecnicamente, il mio nome completo sarebbe Maria Fabiola Santarcangelo” dico, indifferente. Trattengo il fiato e mi aggrappo con molta più forza a Pitch: il cavallo ha impennato senza motivo. Nitrisce, infastidito, forse Black deve aver fatto una manovra brusca e deve aver fatto irritare il quadrupede. Siamo sospesi a mezz’aria, ad un centinaio di metri da terra. Il cavalluccio non è intenzionato a proseguire e l’Uomo Nero non è intenzionato a fare qualcosa per far cavalcare ancora questo coso. Lentamente si volta. Non so se preoccuparmi o meno, ma ora ha uno sguardo paralizzato. Non capisco se è arrabbiato o altro.
“Maria…” si volta ancora. Sprona l’Incubo a continuare a galoppare.
“Maria…” mi sto preoccupando. Per sicurezza sfioro la pistola. Annuisco.
“Maria…!” forse è meglio continuare a stringerlo: se continua a respirare così affannosamente, rischierei di cadere giù. L’idea però non sembra una delle peggiori: siamo in mezzo alla foresta, tra gli alberi, potrei anche saltare sopra ad un ramo e correre via, in caso di manovra brusca da parte del tizio a cui sono appiccicata. Continua a fare respiri irregolari e a… singhiozzare? Non so se prendere la revolver in mano o continuare a stringermi a lui. I suoi singhiozzi si sono intensificati fino a scoppiare. Si, Black è scoppiato, a ridere.
“Maria! Maria!” non si accorge della mia perplessità.
“Si, Maria. Non vedo cosa ci sia di tanto buffo” sinceramente non capisco la sua scoppiettante ilarità. Quante persone ci sono col nome Maria? Un bel po’, in giro per l’Italia. E non trovo nemmeno che sia un nome particolarmente ridicolo. C’è di peggio, insomma.
“Maria! Come la Vergine Maria, la madre di Cristo! Quale nome più inadatto per te!” se non fossimo a circa cinquanta metri da terra e se non fossi sopra ad uno dei suoi demoni neri, gli avrei sparato. Per davvero. Tanto le pallottole non feriscono gli Spiriti Oscuri come lui, meglio per me.
“Cosa vorresti insinuare?” cerca di calmarsi, ma è fuori di sé.
“Intendevo dire che sei stata paragonata alla persona che, secondo il cristianesimo, sarebbe una tra le più pure del creato. Perché mai i tuoi genitori avrebbero sprecato un nome tanto virtuoso per te?”
“Colpa mia se mia nonna si chiamava Maria? Colpa mia se nella mia famiglia è usanza dare ai figli come secondo nome quello dei genitori?”
“Gira il discorso come vuoi, ma quel che hai detto è esilarante!” e ricomincia a ridere. Siamo a venti metri da terra ad una velocità non tanto forte. Tanto vale provarci, mi ha fatto arrabbiare. Prendo la pistola e gliela punto alla schiena. Quando ride in quel modo non lo sopporto.
“Non farmi arrabbiare troppo, Black, sai meglio di me che posso diventare pericolosa. E non pensare che tu abbia una sorta di mantello protettivo solamente perché sei mio maestro!” quest’ultima affermazione, al posto di farlo arrabbiare, riesce a farlo calmare, leggermente.
“Va bene, va bene, Maria” marca troppo quel nome. Non mi piace essere chiamata con quel nome. In passato venivo chiamata in quel modo, era come una presa in giro. Se Pitch scopre che detesto anche quel nome, e se ci prenderà gusto a chiamarmi in quel modo, non so nemmeno cosa gli farei. Il destriero si ferma sopra a delle rocce. Mi accorgo solo in quel momento di essere sopra ad una torre del Castello. Siamo stati velocissimi. Forse dovrei chiedere più spesso passaggio a Black, almeno si rende utile. Scendiamo insieme.
“Ora che lo sai, vorresti chiamarmi Fabiola?” scuote la testa, ancora divertito per il nome Maria.
“Le abitudini sono dure a morire. E poi, preferisco di gran lunga Fabia, come nome” mi scrollo la sabbia nera addosso e rimetto la pistola al suo posto, nella cintura.
“Perché?”
“Fabiola è troppo principesco come nome. Mi fa ricordare una bambina piena di fiocchetti, perline e merletti. No, Fabia, anche se più grezzo, è un nome decisamente adatto a te. Inoltre, ti rende più adulta e matura, mentre invece Fabiola è un nome da mocciosa” ti sentisse Sandman… sarebbe in completo disaccordo con te… Una volta, prima di aver scoperto tutto di me, mi aveva detto che non aveva mai visto un nome più azzeccato per una persona. Aveva detto che Fabiola è un nome che ispira forza e grandezza, nobile e regale. Cosa darei per vederli insieme, parlare insieme, sarebbe molto interessante: sono praticamente due completi opposti, sia di fisico che caratterialmente!
“Fa come vuoi… Però il tuo Incubo ha un non so che di strano” dico, mettendo una mano sotto i capelli, fingendo di avere un formicolio fastidioso. Lui mi guarda perplesso. Non ha ancora imparato la lezione.
“Cosa?”
“Il suo fianco è un po’ giallo, o è forse una mia impressione?” avvicinandomi, il cavallo mi ha ignorata. Anche lui ha dimenticato quanto posso essere pericolosa per lui. Faccio per sfiorargli quel punto ‘giallo’ e, come per magia, il suo fianco s’illumina per davvero d’oro. Il destriero s’imbizzarrisce e cerca di scrollarsi di dosso quella sabbia, come se stia per essere mangiato vivo da essa. Poco dopo la sabbia dorata lo inghiotte totalmente, trasformando il cavallo nero in quel che sembra una fenice splendente. La creatura vola via, verso gli altri spiriti sotto di noi. Black sta per esplodere, ma non dalle risate.
“Piccola disgraziata, come diavolo hai fatto!?”
“Da quando Sandman vive con me, accade che della sabbia mi si appiccichi addosso, quasi sempre ai miei capelli. Ne ho presa un po’ e ne ho spalmiata sul tuo cavalluccio” rispondo, scrollando la giungla che ho in testa. Ne esce fuori una gran quantità di sabbia, tanta da riempire un bicchiere. Ne prendo un po’, riempiendo un sacchetto che ho nella cintura. Potrebbe servirmi, chi lo sa.
“Sei disgustosa…” commenta aspramente, osservando furioso il suo ex destriero mentre gioca ad acchiapparello con dei bambini con orecchie a punta e abiti da cacciatori, probabili elfi.
“E adesso come dovrei fare a riprenderlo con tutta questa gentaccia?!” mi volto per scendere le scale.
“Problemi tuoi…” inizio a correre lontano da Pitch, prima che decida di prendermi, imprigionarmi in qualche posto buio e di costringermi a fare incubi in eterno, come talvolta mi minaccia.
 
 
 
 
 
 
Tecnicamente ho un piano abbastanza grezzo, i dettagli non gli ho ancora lavorati. Mi bastano delle persone capaci che facciano il lavoro al posto mio: da sola non posso farcela e mi serve qualcuno che conosca la magia o che abbia dei muscoli forti. Non conosco quasi nessuno di questi spiriti, nonostante ciò che ho fatto per arrivare sin da loro. Leo è stato molto più fortunato: con gli spiriti sembra avere molto più successo che con i suoi coetanei. Ricordo pochi nomi di quelli che Leo mi ha detto, altrettanto per i volti. Ho bisogno di qualcuno che mi possa aiutare. Credo che Leo possa darmi una mano.
Mi trovo al centro del Castello. Sembra un mercato di paese. Vi sono bancarelle, spiriti ovunque che riempiono gli angoli più insoliti di questo spazio aperto, ma niente che possa collegarsi ad un bambino umano. Forse è meglio chiedere a qualcuno. Getto gli occhi un po’ ovunque. Riconosco la bambola, Lucy, mi pare, che mi ha ricucito i vestiti.
“Signorina, buongiorno” lei mi risponde salutandomi con un gesto della mano.
“Sa dove si trova Leonardo?” nella sua bancarella verde vi sono stoffe e vestiti. Fa tenerezza… Lei cerca di parlarmi a gesti. Non gli capisco. Oltre ad essere muta, non so come non faccia ad essere anche ceca: avendo solo dei bottoni al posto di bulbi oculari, non dovrebbe essere un problema? A quanto pare no, nota il mio smarrimento. I suoi capelli, più pezzi di stoffa nera che capelli, si agitano al vento simulando una persona che dorme.
“Sta ancora dormendo? Pensa che dormirà ancora per molto?” in risposta, alza in contemporanea spalle e mani al cielo, scuotendo la testa.
“Non lo sa? Oh… Allora mi dica: se dovessi chiedere aiuto a qualcuno, chi mi consiglierebbe?” sembra essere decisa della risposta: cerca freneticamente nelle tasche del suo vestito rattoppato di mille colori e mostra un bottone nero con una stampa arancione di una zucca sorridente.
“Ah… Qualcun altro che non sia Jack O’Lantern?” lei sembra ridere timidamente, scuotendo la testa negativamente.
“Capisco… Dove potrei trovarlo?” indica il bottone, agita le mani allegramente, accosta le dita ai suoi bottoni scuri avvicinando gli indici e i pollici come per simulare degli occhi stretti e lunghi e, infine, indica una torre, quella dove Jackie mi ha fatto fare il secondo volo.
“Mmm… Quindi il nostro caro Jackie starebbe giocando con Nikito in quella torre?” annuisce, felice di essere stata compresa immediatamente. Sospiro, non mi va di rivedere quel tizio.
“Vi ringrazio, signorina. Buona fortuna con le vendite” dico, salutandola. Risponde al mio saluto. Perfetto… ci mancava solo rivedere dell’idiota irlandese… Dietro di me batte le mani, per attirare la mia attenzione. Appena mi volto, vedo fra le sue mani un vestito bianco. Lo riconosco: è il vestito che ho usato per giungere fin qui, con i Sanz. Me lo porge con gli stivaletti e lo scialle. Sembrano splendere di luce propria, tanto sono puliti. Mi sorride, indicando i punti rattoppati che io, francamente, non avevo nemmeno notato. Sono stupita.
“Vi ringrazio” dico, adagiando nella borsa il vestito. Mentre mi volto, mi saluta nuovamente. Chissà perché vengono chiamati Spiriti Oscuri, se di oscuro, alcuni di loro, non hanno nulla?
Raggiungo la torre. È decisamente più alta di come me la ricordavo. Fa niente. Comincio a percorrere i gradini. Anche se più alta, almeno è molto più illuminata di quella volta che sono entrata qui. Sento dei mormorii. Non credo che sia una mia impressione: man a mano che raggiungo le scalinate più alte, riesco a comprendere delle parole. Ecco, si, ora sono chiarissime. Sembrano due persone che urlano assieme una filastrocca.
“Felice tu sarai se vincer tu vorrai, uno due e tre!” lo ripetono un’altra volta e un’altra ancora.
“Questa volta sono io a salire. Ora ti prendo!” Jackie, lo si riconosce facilmente. Guardo in alto: ai piani più alti vedo Niki. Ride felicemente.
“Felice tu sarai se vincer tu vorrai, uno due e tre!” Niki ha ripetuto una frase completa in italiano? Non male, era ora. Mentre dicevano ciò, agitavano i pugni e insieme mostrano due simboli diversi: Niki una carta e Jackie un sasso. Morra cinese su per le scale? Mai visto, ma sembra divertente.
“Su su! Ho vinto! Ho vinto!”
“Bravissima! Ora ti mangio!” Niki ride e prova a liberarsi dalla stretta dello spirito di Halloween. Sembra quasi una barzelletta: uno Spirito Oscuro che gioca con una bambina. Non fa ridere per niente, ma è quasi sospetto. Le risate di Niki fanno eco ovunque. No, non è sospetto per niente, pensandoci bene.
“Mmm… Buona questa bambina giapponese! Ne prenderò un altro po’!” salendo le scale l’ho visto fingere di addentare la piccola. Non so se fare la mia apparizione o…
“Cosa… diavolo… stai… facendo?!” oh, Mary. Vengo abbastanza spesso in questo castello a far visita ai bambini e di solito, mentre giocano con Jackie, capita che spunti fuori questa strega a rovinare tutto. Non so nemmeno se il concetto di ‘giocare’ rientri nel suo vocabolario.
“Sto facendo un assaggio di Oriente. Vuoi un po’?” guardando dalla tromba delle scale, riesco a vedere quel poco che c’è da vedere. Jackie porge la piccola che, nel frattempo, ride per quel che sta succedendo. Mary si avvicina minacciosamente al giovane uomo. La piccola smette di ridere.
“Jackie, sai che ho fatto delle scoperte?” non ha niente di rassicurante la sua voce, come se Mary possa essere rassicurante.
“Come i troll preparano la loro marmellata di lumache? Grazie per averlo scoperto per me, in effetti sono molto saporite. Chissà come…?”
“No! Altre scoperte…” sembra sul punto di dargli un ceffone.
“Ad esempio?”
“Ad esempio il motivo per cui questa piccola peste mi ha rovinato i capelli e, soprattutto, da chi è stata ordinata di fare un tale scempio”
Quindi Mary aveva un’altra pettinatura… ecco una delle cose poco interessanti che aggiungerò alla mia lista.
Rovinato? Ma se stai benissimo!”
“Non deviare il discorso!” questo si che era un urlo “Ora desidererei, come minimo, il tuo perdono!” ecco chi ha fatto lo scempio… Ora ne prenderà di santa ragione, non c’è bisogno di un veggente per capirlo.
“Perdono? Per aver migliorato il tuo aspetto? Fai sul serio, pasticcino, oppure bluffi?” sento uno schiocco di frusta molto più potente di quel che immaginavo. Vedo Jackie ondeggiare sul posto. Decisamente: è stato un colpo secco, in confronto agli altri.
“Perfetto! Allora dovrai sentire il pentimento in altri modi!” esclama, spazientita. Vedo dei movimenti di gonna lassù.
“Ma… Ma… Ma che fai con Niki?!”
“Già che ci sono, porto via tua figlia, fino a quando non sarai assolto completamente” lo afferma con un tono di voce talmente ferma ed indifferente che potrei credere di aver sentito male. Jackie sembra incredulo.
“Ma… dove la porterai?!”
“Nel mio Regno, mi sembra ovvio. Anche lei ha bisogno di una punizione” non so quale sia il suo Regno, o quel che è, ma il sovrano di Halloween sembra pietrificato.
“Mary…” sembra nervoso, ma cerca di essere serio “Non puoi punire Niki per qualcosa di cui le ho ordinato io…”
“E perché mai? Solo per averti ascoltato, dovrebbe essere punita” si avventa sulla bambina e la trascina via, ignorando le sue urla.
“Oh, sta’ zitta tu!” anche Jackie si avventa sulla piccola.
“Mary… Mary… Troviamo un’altra soluzione, ma che riguardi solo noi due, va bene?” quella si volta, interezzata.
“Quindi…?”
“Quindi… ti faccio un’offerta: lascia Niki e in cambio, potrai fare di me tutto quel che vuoi… per… per un mese…” questa soluzione sembra interessarla molto.
“Curiosa soluzione… Ma anche lei dev’essere punita. Com’è giusto che sia! Dopotutto, è la piccola che aveva in mano le forbici!”
“Allora...!” la interrompe, più agitato che mai “Ne possiamo parlare più tardi…?”
“Ad esempio?” gli urla.
“…domani. Hai la mia parola: starò qui, su questa torre, domani mattina. Parola d’onore di Signore di Halloween” sembra fare un’inchino, non vedo bene.
“Molto bene, nel frattempo potrò immaginare cosa farne di voi due” Niki scappa dalla strega e raggiunge Jackie. Mary se ne va.
“Certamente, Mary…” fa un sospiro di sollievo. Credo sia il momento di uscire fuori dall’ombra, ora che la megera è svanita dalla circolazione.
“…sai che non ti capisco? Non vedo cosa trovi di tanto attraente in una donna come lei…” raggiungo in fretta la vetta della torre. L’ho notato da tempo, anzi, credo che l’abbiano notato chiunque qui: Jack O’Lantern ama Bloody Mary, un amore ridicolo e non corrisposto. Il cielo è nuvoloso, non so se pioverà. Niki sembra felicemente sorpresa di vedermi: molla i pantaloni di Jackie, mi raggiunge di corsa e mi abbraccia.
“Ciao, Niki” si separa da me.
“Ciao!” sono sorpresa: di solito non dice nemmeno una parola.
“Gliel’ho insegnato io: non è così stupida come dice Mary. Se le viene ripetuto un paio di volte una parola, se la ricorda per settimane! Bentornata nel Castello” dice, salutandomi. Niki se ne va, scendendo le scale. Jackie le ha fatto segno di andare via. Non capisco. Mi fa segno di seguirlo. Mi avvicino a lui, al bordo della torre. Là sotto, gli spiriti non diminuiscono di numero, anzi, aumentano sempre più. Sembra un formicaio di mille colori. Jackie cerca qualcosa nel suo cappotto.
“Allora, perché una bella bambina come te si troverebbe qui, conciata in questo modo? Non credo sia per Leo… giusto?” sarà un bizzarro personaggio, ma le poche volte che parlo con lui noto che ha un buon occhio e orecchio riguardo ogni argomento.
“Giusto. Sto per compiere un’altra impresa, ma ho bisogno di qualcuno che mi possa aiutare. E, mi pare, che tu conosca molti più immortali di tanti altri qui presenti” trova ciò che cercava: un sigaro. Non sapevo che fumasse. Lo aggiungerò alla lista delle cose che m’interessano. Nota il mio sguardo. Ridacchia.
“Tranquilla: i bambini, probabilmente, non lo sanno. Meglio così: non si rovineranno i polmoni” inizia a schioccare le dita. Da esse escono delle scintille. Al terzo tentativo, sul suo pollice, brucia una fiamma color sangue. L’avvicina al sigaro per accenderlo. Soffia fuori una nuvola di fumo. Nota ancora una volta il mio sguardo interessato. Sapevo che fosse molto più forte e veloce di quel che sembra, ma che usasse delle fiamme, non mi era entrato nemmeno nell’anticamera del cervello.
“Non hai mai visto nulla del genere?”
“Mai, Jackie” sembra prenderci gusto. Con la sinistra tiene fermo il sigaro, con il destro graffia la pietra della torre. Dalle crepe che ha creato, spuntano fiammelle rosso rubino. Questo è insolito.
“Ma la pietra non brucia…” esclamo, notando che le fiammelle non muoiono per via della mancanza di combustibile. Con uno schiocco di dita, Jackie le fa spegnere.
“Mi sembra normale che tu sia sorpresa: non molti immortali lo sanno, quindi non vedo perché dovrebbe saperlo anche una mortale come te” sarà insolito come queste parole mi abbiano gelato. Una folata di vento fa volare le nuvolette di fumo di Jackie in faccia a me. Profumano di menta, non so come. Nota anche questo mio sguardo. Sembra divertito. È incredibile come riesca a far apparire un sorriso come un ghigno inquietante.
“Hai sentito bene, bambina. Non negarlo, ti prego…” afferma, con aria distaccata, continuando a fumare.
“Non so di cosa tu stia parlando” non mi crede. Avrei potuto dire di meglio, in effetti.
“Va bene, facciamo finta che io abbia sbagliato. Allora non ti dispiacerebbe farmi vedere come sei magicamente sopravvissuta cadendo da questa torre?” mi lancia un’occhiata di sfida con un chè di terrificante. Sembra godersi ogni mia espressione neutra. Ecco perché non voglio parlare con lui: avrà anche un secolo o due più di me, ma si comporta pur sempre da idiota. È il personaggio timburtoniano peggiore che io abbia mai incontrato. Dubito che potrebbe sostituire Johnny Depp nella parte di Sweeney Todd… No, nessun personaggio timburtoniano ha questo fascino maligno. Detesto ammetterlo ma è così: Jack O’Lantern, anche se irritante, è pur sempre molto attraente, nonostante abbia un retrogusto inquietante che da un lato ti fa tremare, ma dall’altro ti attrae come il miele con le api. È una trappola perfida. Probabilmente da vivo era un bel giovane, ma poi, diventato spirito, ha assunto questa forma oscura.
Alzo un sopracciglio. C’è molta gente sotto: potrei cadere sopra uno di loro e salvarmi magicamente, come l’ultima volta. Soltanto che, la scorsa volta, sono caduta sopra dei panni stesi e una bancarella. Mi sono presa anche una lunga cicatrice. Devo aver sbattuto contro qualcosa di lungo e appuntito perché non riesco proprio a capacitarmi della sua esistenza stampata sulla mia pelle. È la più grande che abbia mai avuto: parte dalla spalla sinistra e finisce giù, sul fianco destro. È la cosa più brutta che abbia mai visto in questo posto, dopo gli Incubi, ma quegli nemmeno possono contare. Per fortuna dopo due settimane dal rosa rossastro è diventata biancastra, come le altre. Chissà se, tornata a casa, riuscirò mai a toglierle. Faccio dei passi in avanti e cado giù. Non faccio in tempo a sentire le vertigini da caduta libera, che qualcosa mi afferra. Alzo lo sguardo: Jackie si è pericolosamente sbilanciato in avanti, afferrandomi per il braccio. Si trattiene dal cadere anche lui incastrando le gambe alla pietra. Sospira sconsolato.
“Credo di aver sottovalutato la tua pazzia” cerca di non far cadere il sigaro incastrato fra i denti. Sembra che si sia allarmato molto. Mi riporta su con la sua innaturale forza. Non ho il tempo di dire nulla che mi afferra il volto dolcemente, esaminandolo minuzioso. Passa il pollice sulla mia guancia. Questa cosa m’inquieta. Muove il dito bruscamente facendo un taglietto. Sobbalzo. Sento il sangue uscire fuori dalla ferita.
“Nemmeno le mie fiamme sono così rosse” deve aver fatto un taglio abbastanza profondo, perché una striscia di sangue percorre il mio viso fino a gocciolare per terra. Mi porge un fazzoletto completamente bianco. Lo afferro, delusa.
“Da quanto tempo lo sai…?” tampono la ferita col fazzoletto.
“Da quando sei arrivata qui, più o meno” soffia altro fumo. Questa volta che ha un’aria seria, pare molto più bello. Forse avrei dovuto invertire la domanda: perché Mary non vuole un giovane uomo come lui? Sarà per il suo carattere poco maturo?
“E come l’hai capito?” mi lancia uno sguardo beffeggiatore.
“Grazie ai miei occhi, bambina” nota il mio sguardo perplesso “Pensi davvero che io gli abbia avuti sempre così, neri e cupi? Sai, durante le notti di Ognissanti, Halloween e della Festa dei Morti, le anime di coloro che non hanno accesso né al Paradiso né all’Inferno (il Purgatorio è il nostro stesso mondo), riescono ad avere una piccola quantità di potere, grazie al quale assumono la forma di spiriti e mortali, probabilmente per sperare di restare sulla Terra fra i vivi e di prenderne il posto. Come lo ricevano questo potere è un mistero, ma probabilmente è per via della posizione della luna che fa questo scherzetto. Sono piuttosto bravi a mutare forma. Il mio compito, a parte organizzare Halloween, è quello di proteggere i bambini da quegli spiriti e di impedirgli di fare qualche pazzia fino a quando scadranno i tre giorni e questi non avranno pù potere. I miei occhi servono per riconoscere le loro anime, ma anche quelle di altri immortali e mortali. Inizialmente la rabbia mi ha reso ceco, ma ora non ci sono dubbi, bambina. Stai tranquilla: oltre a me, non lo sa nessun’altro. Ma non credo che rimarrà un segreto per molto tempo, non per colpa mia, ovviamente. Ma, sai, questo castello è come un paese: tutti sanno tutto e tutto viene saputo da tutti” non so, ma il suo sorriso mi agita. Vorrei che non mi stesse così vicino. Ovviamente fa il perfetto contrario. Per un attimo vengo pietrificata dai suoi occhi. Chissà perché sono talmente neri da sembrare inchiostro con deboli e rare luci rossastre che sembrano pezzi di stella. Mi rianimo sentendo il fazzoletto sulla mia guancia. Jackie sta continuando il lavoro al posto mio.
“È già guarita… Troppo in fretta. È po’ bizzarro, ma utile” non prendo nemmeno in considerazione ciò che ha detto, quasi non ricordo il perché sono qui con lui. Riprende il fazzoletto, con modi così fini da non accorgermene subito.
“Forse dovremo parlare di più noi due” questa frase mi disturba. Non ho tempo per una chiacchierata. Ma forse è meglio accontentarlo: spero che mi aiuterà poi.
“E di cosa?” per fortuna decide di allontanarsi un po’ da me, vicino al bordo della torre. Mi fa segno di avvicinarmi a lui e io, a malincuore, ubbidisco.
“Hai presente gli angeli e i demoni?” sono perplessa riguardo l’argomento. Annuisco, curiosa.
“Ok, ma dimentica le ali, la coda, le falci e le aureole. I veri angeli e demoni sono sia umani che spiriti. Pochi ne hanno visti e chi ne incontra difficilmente si rende conto di quel che sono realmente. Tranne che io e qualche raro immotale” aspira dal sigaro. Non capisco se vuole farmi perdere tempo o se vuole giocare con me. Per ora è  meglio assecondarlo.
“Cosa intendi dire?”
“Ti sei resa conto di quante tipologie di spiriti esistano. Noi tutti serviamo per dare un certo ordine al mondo degli umani. Ma, talvolta, il nostro lavoro non è sufficiente. Siamo solo delle mani esterne, ma è essenziale anche qualche aiuto interno. Forse è meglio se parto dai demoni. La signora che governa qui gli crea, anzi, dà loro una certa quantità di magia. In genere assume questi personaggi alla nascita, ma senza che ne siano a conoscenza. Al contrario di ciò che ho detto, il loro compito serve esclusivamente a dare disordine nel mondo: terroristi che vorrebbero una svolta nel mondo, assassini introvabili, dittatori particolarmente ambiziosi. Questa cerchia di persone sono in grado di distruggere l’armonia che gli spiriti hanno creato con fatica per decenni, secoli e, talvolta, anche millenni” con un certo disagio ascolto ciò che dice. Non ho molto tempo e nemmeno voglia di ascoltarlo.
“Ma la magia che possiedono in cosa consiste?” aspira ancora dal sigaro.
“Non è qualcosa di simile a quel che possediamo noi: è una quantità di magia troppo scarsa. È come un up-grade: ti consente di avere maggiore resistenza di un normale umano, una certa abilità fisica, come ad esempio forza e velocità…” lancia un’occhiata veloce alle mie gambe “…hanno una rigenerazione veloce…” i suoi occhi sfiorano il graffio che mi aveva fatto “…una gran quantità di fortuna che solo noi spiriti possediamo e sono anche delle calamite sia per umani che per immortali, nonostante alcuni di loro non siano eloquenti…” mi guarda intensamente negli occhi, soffiando del fumo “…ma ciò non lo trovo insolito: con un’aurea empia e burrascosa come la loro è ovvio che abbiano un’attrazione abbastanza forte, ma questa loro abilità dipende da persona a persona, non è detto che riesca sempre” credo di aver inteso dove vorrebbe arrivare e la cosa mi innervosisce.
“E gli angeli…?”
“Gli angeli sono simili ai demoni, anche se il loro destino è diverso. Loro ci aiutano a dare l’ordine che il mondo, talvolta, necessita. La magia che possiedono è quasi totalmente simile a quella dei demoni, ma benigna: hanno un’aurea deliziosa…” aspira altro fumo. Sembra rendersi conto solo ora che il sigaro sta per finire. Per tutto il tempo ha fissato il mercato sotto di noi “L’Uomo nella Luna dona a loro questa magia, generalmente dopo uno spiacevole incidente: auto sfasciate, cadute accidentali, anche qualche ladro entrato in casa con una pistola… Spesso ne escono fuori con una particolare cicatrice, voglia o dei segni bizzarri, a volte anche negli occhi…” da un po’ di tempo mi sta scandagliando le iridi da vicino, troppo vicino. Indietreggio, abbastanza nervosa. Quando fa così, lo ammetto, è inquietante.
“…cosa fai?”
“Non posso più guardarti negli occhi? Ah, che strano! La tua iride, nonostante l’incrocio del verde e del marrone, alla base ha anche delle chiazze color luna. Particolare, ma grazioso, come la loro padroncina” sbatto la schiena contro la pietra che segnala il bordo della torre. Jackie si accorge di qualcosa, modifica la sua espressione in una più docile, anche se, a mio parere, non ha cambiato molto. I suoi occhi hanno un chè di malizioso e soffocante. Mi sento un moscerino in sua presenza, soprattutto perché mi prende, senza preavviso, per le mani e, con una dolcezza signorile, mi tira indietro.
“Perdonami. Troppo assillante, eh? Forse è per questo che Mary fa fatica a dirmi di si”
“Jack O’Lantern…” lo interrompo “…dubito che io sia un angelo o un demone, soprattutto perché non ricordo alcuna trasformazione o incidente mortale” allarga il suo sorriso.
“Te l’ho detto, bambina: L’Uomo nella Luna e Sanguinea non si presentano alle loro creazione, non ne sono nemmeno coscienti. Semplicemente, durante la loro normalissima vita da umani, capita che s’immischino in qualcosa che modifichi la loro vita e anche degli altri” lascia le mie mani. Sono un po’ scossa. Cerco di sorridere, nonostante il suo di sorriso batte il mio in fatto di divertimento. Probabilmente sono più nervosa del solito. E poi, non so nemmeno per cosa!
“Non hai nemmeno le prove, Jackie…” dà un’occhiata veloce al sigaro, quasi del tutto consumato.
“Fabiola, francamente, quante possibilità ci sono che una gracile bambina come te sia riuscita a tenermi testa? Nonostante l’agilità, certo”
“Tsk… Quando si ha la rabbia nel cuore, si diventa sordi e ciechi. Eri talmente infuriato che, probabilmente, non ti eri nemmeno reso conto di quanti sbagli facevi nel cercare di colpirmi, qua sopra” soffia sul sigaro che, incredibilmente, va a fuoco e sparisce col vento diventando cenere.
“Forse… Ma hai fatto una bella caduta da quassù, mi pare. Tecnicamente avresti dovuto morire, oppure ferirti gravemente” è cocciuto, ma sicuro di quel che dice.
“Ti ricordo che sono svenuta per lo sforzo e che ho dormito per due giorni, visto che non riuscivo a muovermi quasi per niente” già, e durante quel periodo Mary cercava di avvelenarmi. Due volte, per essere precisi. Ma smise quando cercai di usare come assaggiatori Leo e Niki. Aveva preso il piatto e gettato contro uno specchio che ha letteralmente divorato piatto e cibo. Dopodichè si è spaccato il vetro, dopo pochi secondi. La donna se n’era andata dalla stanza, come se niente fosse. Credo che mi odi molto più di quel che credo.
“Si, ma qualche giorno dopo eri scattante come se non ti fosse accaduto nulla” su questo ha ragione. Sto per ribattere con qualcosa. Me lo impedisce con una mano alzata. Da inquieta, sto diventando arrabbiata.
“Devo imparare a chiudere la bocca, me lo dimentico sempre” puoi dirlo forte “Oh, beh… Mi puoi ricordare perché sei qui e perché vuoi il mio aiuto?” nonostante un lieve tic al naso e degli occhi socchiusi per l’umiliazione per non aver vinto con le parole, gli racconto di Gianni e dello spirito che, tecnicamente, domani dovrebbero essere appesi per il collo. La faccenda sembra interessargli molto, soprattutto quando mi ha chiesto l’età di mio cugino. Alla risposta, si massaggia le palpebre, con un atteggiamento di sofferenza.
“Sarà il cuore debole o il mio compito, ma detesto vedere o sentire di un bambino che viene trattato in questo modo”
“‘Bambino’ è un termine improprio: il ragazzo ha sedici anni” scuote la testa, sedendosi su di una roccia della torre.
“Bimba, a mio parere si è bambini dai quindici fino ai diciotto anni. Superati questi, si è ragazzi. Il resto è troppo per venir spiegato” ok… Annuisco imbarazzata. E quindi io, tecnicamente, secondo lui, dovrei essere una mocciosa? Forse ‘bimba’ è più che sufficiente. Più avanti, forse, li chiederò altro a riguardo. Si volta bruscamente verso gli spiriti sotto di noi. Le sue gambe ondeggiano. Ho quasi paura che cada giù.
“Allora, spero che tu abbia già un piano per salvargli. Ti darò tutto l’aiuto che vuoi, o almeno ciò che posso: con questa barriera che abbiamo in testa, anche i miei poteri sono diminuiti molto” rivelargli tutto sarebbe troppo noioso. E poi, non so nemmeno se fare dei cambiamenti nel piano o se arricchire di particolari.
“Non dovrai fare nulla: non pretendo nulla da te. Vorrei solo che mi aiuti a trovare delle persone ancora in grado di usare le proprie abilità” annuisce, interessato.
“Di chi hai bisogno?”
“Prima di tutto di qualcuno che possa aggiustare e anche modificare in meglio oggetti esplosivi, come delle bombe e, nel caso, anche di crearle” sembra ancora più interessato di prima. Faccio uscire fuori dalla borsa le piccole mine di Mino. Aveva detto di buttarle, ma Gelsomino non butta mai nulla di suo. Lui ‘nasconde’, ma non butta via. Sempre se il suo concetto di ‘nascondere’ sia valido. Tanto per intendere, erano in mezzo a due vestiti nella sua stanza nel teatro. Jackie sembra sul punto di darmi una brutta notizia.
“Beh, io conosco un satiro che s’intende di aggeggi esplosivi. Il problema è che non so se sia ancora vivo o no. Oh, guarda qua: dei nuovi arrivati! Sembrano pagani” guardo giù con lui. Sono appena arrivati nella piazza degli sconosciuti vestiti con chitone e tunica. Non gli riconosco bene, ma ne conto cinque. “Sono più che certo che abiteranno qui e se abiteranno qui ci sarà una ribellione per le stanze e il cibo” lo ignoro. C’è un tizio tozzo coi capelli rossi, ciò che sembra una fata variopinta, un satiro, una ragazza vestita col tradizionale chitone bianco e un tipo incappucciato di blu. Jackie si sporge bruscamente, con occhi incuriositi. I quattro entrano nel castello. Jackie, per fortuna, ritorna al suo posto.
“Erano antichi greci?” lui annuisce sommessamente.
“Tra quelli c’era il satiro di cui ti ho parlato, si fortunata! Si chiama Apollonio, è un genio in queste cose” sono perplessa.
“In quale universo parallelo un greco, tralasciando che è satiro, mescola la sua conoscenza e sapienza con una non-greca e, soprattutto, moderna?” Jackie ride. Faccio il liceo classico da due anni, credo di conoscere i greci abbastanza da dire che siano, tralasciando tutto ciò che hanno fatto con la poesia e la filosofia, il fulcro del razzismo, maschilismo e altro di cui non voglio pensare ora. Mi sembra strano che un satiro, creatura di solito solitaria e avvezza al divertimento, è facile intuire di che tipo, possa conoscere qualcosa di diverso da ciò che lo caratterizza.
“Credimi, tutti mi hanno detto la stessa cosa. Ma, sai, Apollonio è un tipo molto particolare, tanto da essere stato bandito dalla sua comunità in Grecia. Per dirla breve, si era appassionato di marchingegni, ma i suoi compagni non erano d’accordo, gli ordinarono di non portare quelle cose nel loro bosco, lui si è rifiutato e lo hanno cacciato via. Ma è una brava persona, credimi, bisogna solo conoscerlo bene. È il greco meno greco che io abbia mai conosciuto” è sceso dalla pietra e credo sia sul punto di buttarsi giù. All’ultimo si volta verso di me.
“Vieni qui, piccola, andremo insieme da loro, così parliamo di ciò che hai in mente” lancio un’occhiata al mercato sotto di noi.
“Preferisco le scale”
“Vieni qui, angioletto…” inavvertitamente poggia una mano dietro la mia schiena e una sotto le cosce. Non mi dimeno: siamo vicino al bordo e non voglio spaccarmi la testa cadendo giù. Mi tiene in braccio come una principessa. La situazione già la detesto e mi sento scomoda.
“Che cosa stai facendo…?” mi è uscito molto più acido di quel che volevo.
“Tranquilla, bimba, non ti accorgerai nemmeno di cadere” questo è pazzo! Si volta dal lato inverso e indietreggia verso il bordo. Mi stringe così tanto da non sentire né vedere nulla, tanto da sentire la sua pelle bollente contro la mia ghiacciata.
“Non voglio andare giù…!”
“Siamo arrivati, non è stata una tragedia, vero?” sorride divertito per la mia espressione, probabilmente scioccata. È stata una caduta talmente veloce da non aver sentito nemmeno le vertigini, ma ho sentito chiaramente il mio corpo venire sbattuto contro la terra. Mi dimeno tanto da cadere. Mi rialzo velocemente. Barcollo un po’, vedo le mie gambe tremare. Mi volto verso Jackie. Sembra divertito da quel che mi è successo. Nessuno ci nota, forse sono abituati a cose peggiori. Sono tanto arrabbiata da dargli un pugno, dritto allo stomaco. Non se l’aspettava. Fa una faccia paonazza, trattenendosi la pancia.
“Sei un pazzo!”
“Ti ho pur sempre fatto risparmiare cinque minuti di scale!” finge di fare l’offeso, più divertito che arrabbiato. Non molti lo sanno, ma l’antica regola che parla di quanto la donna sia tanto scaltra da avere l’istinto di dare uno schiaffo innocente invece di un pugno ben assestato, per me non è valida. Se le altre ragazze tirano ceffoni, io tiro mazzate, tanto forti da farti cadere a terra. Fortunato Jackie ad essere uno spirito e di non soffrire il dolore come lo soffriamo noi.
“Piuttosto, dov’è il satiro? Sei certo che vorrebbe ascoltarmi? Sono una ragazzina, dopotutto” si massaggia la pancia.
“Mica fai box?” lo fulmino “Ok, andiamo. Ma non so se riuscirai a convincerlo. Forse è meglio se alzi il cappuccio: magari riusciamo a fare qualcosa di buono” ubbidisco. Siamo entrati nel Castello. Jackie mi dirige verso delle sale spoglie e vuote “È vero che qui molti sono scocciati e distrutti da questo posto e vorrebbero fare rivoluzioni dalla mattina alla sera, ma ricordiamo che è un greco e tu non lo sei, peggio, sei una bambina e, a parte l’età che maschereremo con un falso stato di spirito, i greci non apprezzano pareri femminili. Cercherò di convincerlo, ma non sarà semplice” altrochè se lo so… La vedo difficile.
“…cosa vuol dire che è una pazzia?!”
“Stai zitto, ragazzo, ho i nervi a fuor di pelle: abbiamo viaggiato per due notti di seguito, ti ricordo”
“Ma i ragazzi?! Li lasceremo nelle loro mani?!”
“Stai zitto e fammi pensare!” siamo entrati in un’altra sala altrettanto spoglia, cupa e buia. A malapena distinguo Jackie che fa da guida. I quattro si sono radunati tra poltrone e divanetti, discutendo animamente, in particolar modo il rosso e il satiro. Vedo la fata variopinta nascondere il viso fra le mani, non so se è esasperazione o sofferenza. Jackie, vicino a me, con una malizia inquietante, avvicina l’indice alle labbra. L’irlandese si avvicina di soppiatto dietro la fata e le poggia le mani sugli occhi.
“Bene bene… Guardate chi è tornata, la mia avversaria preferita. Ah, sempre impegnata coi soliti denti, eh, Thootie?” lei si scrolla di dosso le mani e inizia a fluttuare per aria. La sua somiglianza con quella di un colibrì è impressionante. Per un attimo i due greci tacciono, interessati. Jackie ammicca alla fata. Lei sembra incredula, quasi timorosa.
“Jack? Jack O’Lantern?” lui s’inchina, più beffardo che rispettoso.
“Ancora vivo e vegeto, Thoothiana” i due greci sembrano riconoscerlo, in particolare il satiro si mette d’avanti.
“Ma che ci fai tu qui?” chiede, perplesso.
“Gestisco il Castello Abbandonato e importuno Bloody Mary, niente di chè… Immagino che sia stato un viaggio molto lungo” chiede, questa volta serioso. Il rosso si aggiusta l’himation, il mantello dei greci, stropicciato per essersi seduto.
“Abbiamo viaggiato con le sirene per tre giorni e tre notti, senza nemmeno un briciolo di tregua” alza la voce, arrabbiato. Il suo sguardo azzurro è penetrante “Le donne sono meno stanche e stremate di me! Nemmeno nella Guerra avvenuta a Troia ho dovuto marciare così tanto!” la Guerra di Troia? Aspetta… Probabilmente gli eroi greci esistono e si sono tramutati in spiriti? Questo si che è un’informazione interessante.
“Oltretutto abbiamo perso due giovani e avranno una morte crudele se non interveniamo!” il satiro chiude lentamente gli occhi, come se avesse sentito la stessa storia tanto da essere stufo di risentirla ancora una volta. Fisso Jackie. Nota il mio sguardo.
“Signore mio, cos’è successo?” il rosso sembra avere un’ira negli occhi. Spero che non sia lo stesso Achille: non mi va di essere considerata una piccola amazzone e non voglio nemmeno conoscere un personaggio che io, francamente, detesto. Ma non credo che sia il piè veloce: è troppo giovane e non mi pare che Achille avesse questi folti capelli rossi. Ricordo che Menelao fosse rosso di capelli, ma non credo che sia lui. Dev’essere qualcun altro che ora non mi viene in mente.
“Non credo che tu lo sappia, ma una decina di mortali, veri mortali, per un errore o per qualche piano che non conosciamo, sono stati portati qui attraverso un portale di Macula Sanguinea. Vi erano due giovani con noi, ma sono stati catturati dai Fantasmi” Jackie mi lancia uno sguardo che io intendo “Abbiamo saputo che domani, al centro della capitale, verranno impiccati sotto false accuse, per aver seguito la strada giusta, la nostra. Pensavo di liberarli, prima dello scadere del tempo, ma non ho nessuno che possa aiutare un vecchio compagno di guerra” Apollonio scuote la testa, coi nervi a fuor di pelle, irritato. La fata ha uno sguardo vuoto. Jackie mi lancia un occhiolino malizioso. Con un gesto fluido e veloce, mi abbassa il cappuccio. Le mie onde cadono in avanti, giusto per darmi fastidio ancor di più.
“Veramente, è cambiato molto in questi mesi, tanto che penso che dobbiate fare lo stesso anche voi con le vostre abitudini, se vogliate con tutta la buona volontà salvare questi due giovani” la fata lo guarda amareggiata.
“Jackie, non sono dell’umore per i giochi di parole”
“Nemmeno io lo so, soprattutto dopo essere diventato padre di due bambini” i suoi occhi viola lo fissano vuoti, dal basso verso l’alto. Jackie non è male come oratore: gli ha stesi subito, ma non è difficile imbrogliare un greco, soprattutto se ha partecipato alla Guerra di Troia. Inizia a raccontare di tutto ciò che è accaduto, della barriera sulle nostre teste, di noi ragazzi e di Leo e Niki. Probabilmente aggiungerà altro… Qualcuno alle mie spalle batte un dito sulla mia spalla.
“Fabi…?” mi volto, perplessa. È la ragazza col chitone che li accompagna. Dietro di lei vedo il ragazzo albino, questa volta col cappuccio abbassato. La ragazza mi guarda tra lo speranzoso e il vago.
“Sei davvero tu…?” è come se un velo invisibile fosse caduto dal volto della ragazza. Per sicurezza guardo le sue braccia: sul sinistro ci sono vari tipi di braccialetti. La riconosco. Si avvicina, sicura, molto più di quanto abbia visto in lei in due settimane.
“Sei viva…” lentamente mi cinge le spalle, tirandomi a sé, cosa mai vista in lei “Gianni era molto in pensiero…” si stacca da me. Sono perplessa. Mi avvicino a lei e, senza sbattiti di ciglia o arrossamenti delle guance, le tasto il volto.
“Cecilia de Rosa… Ceci, stai bene?” annuisce assottigliando le palpebre e cercando di non far tremare il labbro. Ora la riconosco. Prima non l’ho riconosciuta, probabilmente per il suo comportamento molto più deciso. È cambiata molto, non solo nei movimenti. Il chitone che indossa sembra troppo grande per lei. Con la coda dell’occhio vedo la fata staccarsi dal gruppo. Gli altri tre non l’hanno notata, meno che Jackie che le ha sorriso infine.
“Ceci, va tutto bene?” la mora come l’ebano, in preda ai singhiozzi, mi abbraccia, molto forte. Non riesco a far altro che stare ferma e immobile.
“Gianni è… è… è… è…!” sospiro. So che quando Ceci piange, non riesce a far altro che balbettare.
“Lo so, Ceci, Gianni domani sarà giustiziato se non si farà qualcosa per impedirlo” l’allontano da me, non mi piacciono gli abbracci di Ceci: sono molto… umidi “Tranquilla, lo porterò a casa per te, sano più di un pesce” arrossisce vistosamente, tanto da impedirle di continuare a singhiozzare. Cecilia pensa che io non lo sappia, crede che io non lo immagini nemmeno, ma io noto ogni cosa, anche i suoi rossori quando è nei suoi paraggi, i suoi sguardi speranzosi e tanto altro che mi fa pensare solo ad una cotta… Già, purtroppo, credo che sia amore vero… La fata ripassa gli occhi su di me, guardando la mia spada, interessata.
“Chi sei?” non so bene il perché, ma m’inchino, in segno di rispetto, ma un inchino maschile che se Black mi vedesse ora mi taglierebbe le orecchie e mi costringerebbe a mangiarle: a lui non piace il mio lato maschile.
“Probabilmente la risposta ai vostri problemi” ritorno dritta “Sono Maria Fabiola Santarcangelo, pronta per salvare i due giovani, visto che anche questo, come per voi, è il mio obbiettivo” la fata strabuzza gli occhi. Il ragazzo albino mostra timidamente i suoi occhi azzurri. Sembra abbastanza scosso.
“Fabiola Santarcangelo…?” chino di nuovo la testa. 
“Si, signora. Fabiola Santarcangelo” le sue labbra mormorano qualcosa d’indistinto. Solo ora mi accorgo che Jackie e i due greci si sono interessati al nostro dialogo. Ad un certo punto i suoi occhi si spalancano, come se si fosse resa conto di una cosa importante.
“Oh, Cielo…” si avvicina, forse troppo, al mio viso. I suoi occhi violacei fanno una gara di sguardi coi miei verdastri. Dopo diversi secondi d’attesa, il suo sguardo ritorna cupo.
“Non assomigli molto a Gianni, ma credo che tu sia sua cugina” si è fermato il mondo e tutti gli astri del cosmo. D’istinto apro la bocca.
“Posso chiederle il vostro nome?” l’aria, anche se pesante, la preferisco a quella tesa di prima. La fata inclina leggermente la testa e sorride con occhi stanchi.
“Sono Dentolina, Guardiana della Memoria, Fata dei Dentini” il mondo è tornato a girare, l’aria è ancora più pesante. Non riesco a battere le palpebre “Gianni mi ha parlato solo una volta di te, ma non avevo torto sul fatto che anche tu, come tuo lui, fossi bella” mi gira la testa, il mio cuore sbatte violentemente contro la cassa toracica più e più volte. Non riesco a mutare espressione. L’aria è ancor più pesante.
“Mi spiace per quel che è accaduto a tuo cugino. Mi rendo conto che avrei potuto… fare di più” la interrompo: mi si sta accartocciando il cuore soltanto nel vedere i suoi occhi dispiaciuti. Sembra mortificata, per un motivo stupido.
“Non vedo il motivo per dispiacersi, signora. Come ho già detto prima, sono la soluzione ai vostri problemi” non faccio in tempo a vedere la sua espressione che mi volto verso i due greci “Spero di aver sentito bene: volete salvare il giovane a ogni costo possibile” il satiro non riesce ad esprimere un suo probabile disappunto che il rosso si fa avanti.
“Ovviamente! Dobbiamo andare subito in città per trovarlo e liberarlo, prima di domani!”
“Ragazzo, cuciti la bocca!” Apollonio, se fosse un po’ più arrabbiato, si strapperebbe la barba “Non è possibile irrompere in città: come spiriti siamo riconoscibili a dir poco! E non ho intenzione di seguire un altro piano stupido e…!” lo interrompo prima di dire altro. Quando i greci cercano di ragionare e non ci riescono si arrabbiano, quando si arrabbiano diventano furiosi e quando diventano furiosi prendono le spade e si ammazzano a vicenda, poco è importante se si tratta di un nemico o di un tuo fratello. I due mi fissano oltraggiati. Non sono abituati ad essere interrotti da una donna, anzi, da una ragazzina quattordicenne.
“Vi prego di prestare attenzione, so già come liberare i due, ma ho bisogno di silenzio e sguardi fissi su questa mappa” detto questo, tiro fuori il libro e lo apro dove si trova la mappa di tutta l’isola. Anche Jackie è interessato. Spiego abbastanza dettagliatamente ciò che ho in mente. Dopo qualche minuto di spiegazioni, il rosso sembra sul punto di esplodere, positivamente.
“È perfetto! Non è nemmeno molto difficile, quasi quanto entrare dentro le mura Stige” trattengo un sospiro di sollievo: quasi non ci posso credere che un greco abbia voluto anche solo ascoltarmi. Se ha fatto il paragone con le mura di Troia, allora dev’essere stato uno dei cinque che è stato sorteggiato per entrare nella città dentro il cavallo.
“Sono sorpresa soltanto di sapere che questo Regno è un’isola. Come possiamo essere certi che non sia rischioso? E poi, Fabiola, non credi che… insomma, sia troppo per te?” riprendo il libro.
“Se intendete ciò che io dovrei fare nel piano, vi assicuro che io sono meno in pericolo di chiunque parteciperà, soprattutto perchè coordinerò le azioni di tutti. Se intendete altro… Sappiate che l’età non è l’esperienza” non distinguo bene la sua espressione. Sembra sbalordita, non so se negativamente o positivamente.
“Ma questo… dovevamo farlo noi… Non tu, bambina…” sembra che la cosa la faccia stare male.
“Dentolina, pensaci un po’ su: non è male come idea e non è nemmeno troppo rischioso come sembra, serve solo qualcuno che sia ancora molto veloce e che voglia farlo. A me piacerebbe partecipare, ma non so se…” la fata la interrompe con un tono di voce severo e irritato.
“Non dirlo nemmeno per scherzo, Cecilia” vedo con la coda dell’occhio lo sguardo remissivo della mora, per queste parole.
“Spero che qualcuno possa aiutarmi”
“Sono fra i primi ad accettare, sono Neottolemo. Farò ciò che mi chiederai, Fabiola” anche questo è ridicolo a dir poco: un greco qualunque non avrebbe nemmeno sognato di dire una cosa del genere. C’è di sicuro qualcosa dietro tutto ciò.
“Tu sei Apollonio, ne capisci di esplosivi, mi hanno detto” Jackie sogghigna tetralmente, comincio a detestarlo. Il satiro annuisce, teso. Gli mostro le bombe di Mino, tutte e venti. Le esamina velocemente. Fa un foro ai lati e la miscela cade nella sua mano.
“Non è male come preparato, ma inatatta per la situazione: credo che dovrò aumentare la dose, se vuoi il risultato che ci hai detto, ovvio” nessuno oltre a me l’ha visto, ma probabilmente ha accettato perché Neottolemo gli ha lanciato uno sguardo truce. Ci mancava solo questa… Un greco contro un altro greco, peggio di così… Meglio parlare subito. Me l’ha spiegato Pitch: se voglio avere una buona attenzione su un gruppo e voglio che eseguano i miei ordini, non devi lasciarli riflettere nemmeno per un secondo, devi fare in modo che credano di fare la cosa giusta. Ma non li sto ingannando: se le cose andranno come da piano, nessuno si farà male e non è nemmeno un piano utilizzato per un doppio scopo.
“Perfetto. Ora ci servirebbe soltanto qualcuno in grado di nuotare e di restare in acqua, anche per molte ore”
“Chi meglio delle sirene che ci hanno accompagnato?” risponde Neottolemo “Sono vicino al fiume e la loro Regina ci conosce. Possono stare sott’acqua anche per giorni interi. Spero che accetterà” Jackie mette un dito in mezzo a noi.
“Scusate la curiosità, ma vorrei sapere dove alloggeranno i due ragazzi, dopo essere caduti in acqua e pescati” Dentolina accenna un sorriso per la battuta.
“Nel teatro insieme ai Guardiani e gli altri ragazzi” alla fata si drizzano le piume. Ad un certo punto vedo Jackie alzare la testa e i suoi occhi s’illuminano gioiosi. Neottolemo e Apollonio sobbalzano per questo movimento improvviso.
“Sentite, e se venissi anch’io per assistere al salvataggio insieme agli altri due bambini?” nessuno fiata.
“Non vedo perché dovresti portare con te Leonardo e Nikito, ma, se vi nascondete nel posto indicato, direi di si. Dopotutto, né tu né i bambini somigliate molto a spiriti. Però i tuoi occhi…” anche i suoi denti brillano, lucenti. Dentolina è ancora scossa, Ceci è meravigliata.
“Tranquilla, porterò degli occhiali da sole o m’inventerò qualcos’altro” mi rivolgo ad Apollonio.
“Le mine saranno pronte ed esploderanno quando lo vorremo?” annuisce.
“Entro stasera saranno pronte ed esploderanno, tranquilla, ma devo iniziare subito…”
“E fallo ora! Vai!” grida il rosso. Per poco ho pensato che avrebbero cominciato una nuova Guerra di Troia, ma per fortuna il satiro mi strappa di mano le venti bombe e se ne va. Ceci e Dentolina sono sorprese, non credo solo dal comportamento di Neottolemo.
“Neottolemo, so che tu sei bravo ad usare l’arco, credi di farcela?” annuisce deciso. In verità, se guardiamo solo le leggende greche, Neottolemo si ‘classifica’ al terzo posto tra i migliori arcieri: il primo è Odisseo, il secondo è Filottete.
“Bene, ci mancano le Sirene…” il figlio di Achille già corre verso l’uscita. Potrebbe essere il nuovo piè veloce, in effetti… Qualcosa mi blocca il braccio. Lancio un’occhiata dietro: l’albino mi ha bloccato con il suo lungo bastone. Lo guardo intensamente. Abbassa subito lo sguardo.
“…Fai sul serio?” inclino la testa, non capendo. Sembra spaventato da qualcosa, non so cosa. Da me forse? “…Ti chiami davvero Fabiola?” dopo un po’ annuisco. Non capisco bene cosa vuole dirmi. Sembra sussurrare il mio nome un paio di volte, come se cercasse di ricordarlo. Ora non ho il tempo per pensare a lui. Mi viene in mente un’ultima cosa.
“Jackie, cambio di programma: tu dovrai portare Dentolina e Cecilia nel teatro, dagli altri Guardiani” non sembra aver capito bene “Sarebbe meglio se anche la Guardiana si riunisse agli altri, immagino che vogliate rivedere i vostri colleghi” dico, rivolta alla fata. Lei annuisce, più forte di prima.
“Jackie, fammi questo favore, portali tutti e tre dagli altri, visto che tu conosci la città. Meglio questa notte, quando nessuno da fastidio” sembra pensieroso.
“Se per questo, allora mando Leo e Niki ad accompagnarli: sanno la strada e sono più capaci di me con le mappe” non ho niente da obbiettare. A mio parere ha un’idea sotto: i suoi occhi brillano di entusiasmo.
E io credevo che sarebbe stato difficile trovare aiuto.
 
 
 
 
 
Era passato un giorno, un giorno, prima di incontrare Jackie su quella torre per colpa di quella piccola peste asiatica. Ora era mattino, esattamente in orario, come sempre.
Si stava dirigendo verso la stessa torre del giorno addietro, come deciso da Jackie. Sospirò, pensando a quel che era sembrata il giorno prima. Devo essere sembrata un mostro, pensò. Forse non avrebbe dovuto perdere la pazienza in quel modo. Forse avrebbe dovuto chiudere la bocca sull’argomento e fare finta di non aver sentito una delle sue tante spie negli specchi che le riferiva il motivo del suo strambo taglio di capelli.
Dopotutto, pensandoci bene, non era la fine del mondo. Era solo un taglio che, se ricordava bene, molte figlie delle sue vicine di casa avevano quando erano bambine. Niente di incredibilmente tragico, ripensandoci. E poi, quelle bambine erano ricche quanto lei e suo padre, quindi niente da temere o da vergognarsi. Il taglio, riguardandosi in uno specchio di passaggio, era fatto anche meglio del previsto e, soprattutto, a fin di bene, non per insultarla o per renderla ridicola, no, solo per toglierle dalla testa un mucchio di cotone che era prima la sua acconciatura. E, francamente, si stava annoiando anche lei di quella pettinatura.
Jackie ha fatto un ottimo lavoro, pensò, riflettendosi ancora. Ma, dopotutto, lui l’ha sempre aiutata, in ogni cosa. La primissima volta che l’ha aiutata, non l’ha nemmeno ringraziato a dovere…
Suo padre era un medico, uno dei migliori a Londra. Illustre, raffinato, patriota, fedele alla Regina più di chiunque altro. E questo uomo pieno di valori l’aveva uccisa, facendo credere a tutta Londra che Mary Ann Stewart era morta di tifo, a ventidue anni. Il perché lo sapeva, ma erano molti i perché della sua azione, allineati perfettamente come tasselli del domino, ma ve n’era uno fra tutti.
Annie Stewart uccise alla sua nascita: la madre morì di parto, l’unica persona che Vincent Stewart amava al mondo. Non avrebbe voluto allevare quella vipera dall’aspetto fastidiosamente simile a quello della moglie defunta, ma doveva, per la sua reputazione.
Riuscì a sopportarla per ventidue anni, ma un nuovo tassello si compose in quella scala di domino e Vincent Stewart lo spinse, facendo crollare i pezzi neri e bianchi.
S’innamorò di un ragazzo. Un ragazzo come tanti, virtuoso e gentile. Ma per Vincent quello era la goccia che fece traboccare il vaso: il ragazzo era figlio di un becchino, tra gli ultimi gradini sulla scala della ricchezza. Vincent lo scoprì. Vincent moriva dentro. Vincent non poteva più sopportare di perdere anche la sua reputazione medica.
Così, Vincent Stewart uccise Annie Stewart.
Di fronte agli occhi tremanti della figlia, mentre le ignettava il sonnifero che lei, all’epoca pensava che fosse veleno. La ragazza si risvegliò all’interno di uno spazio chiuso. Non riusciva ad uscire. Non riusciva a muoversi. Gridava, colpiva il legno nella speranza che qualcuno la venisse a salvare. Nessuno venne. Per ore, forse giorni, rimase a piangere e ad odiare il suo assassino che l’aveva rinchiusa in quel luogo nero e cupo. In quello spazio chiuso, Annie Stewart morì di stenti, ma con le lacrime di ira agli occhi, volendo vendetta.
La ragazza si risvegliò. Una luce bianca e forte la liberò dalla sua prigione. Riuscì a vedere il suo salvatore: la luna. Le disse solo una cosa: Bloody Mary. Non capì il significato di quelle parole. Non riuscì a chiedere altro che la luna già scomparve dietro le nuvole.
In poco tempo ricordò ogni cosa. Si guardò attorno. Era in un cimitero. Un dubbio le vorticò in testa. Si voltò e il dubbio divenne realtà. Dietro di sé vi era una lapide, con un nome inciso: Mary Ann Stewart. Guardò sotto di sé, notò di essere esattamente sopra la tomba. La sua tomba. Gridò di rabbia per minuti che sembravano ore: Vincent Stewart, forse per non creare sospetti o forse per farla soffrire prima di morire, le aveva dato un sonnifero ed Annie Stewart si era risvegliata, ma dentro la sua tomba, a morire di fame e sete.
Le urla cessarono quando udì un’altra voce oltre la sua, non disperata, ma calma, diversa, mai udita. Quella voce l’aveva sbeffeggiata, ma non era importante. Credeva di essere diventata un fantasma, un essere senza forma, bianco e neutro. Inizialmente credette che anche lui lo fosse, ma osservandolo attentamente, pensò che fosse impossibile.
“Il demonio si nasconde sotto mentite spoglie, spesso ci ingannano grazie alla bellezza” dice un passo della Bibbia. Quel giovane che vedeva la attirava e, allo stesso tempo, le intimava terrore. Era più alto di lei, vestito elegantemente, pelle bianco lattea, capelli del medesimo colore e occhi che soltanto un demone avrebbe potuto avere. Perché Annie lo credeva veramente: quello era un demone e si era presentato a lei per avere qualcosa in cambio, forse per un patto.
Il demone era gentile, si presentò col nome Jackie. Le chiese cosa desiderava, lei rispose: vendetta contro Vincent Stewart, gli disse che avrebbe dato la sua anima se l’avrebbe aiutata. Jackie la guardava, come per confrontarla. Lui rispose che non voleva anime, ma avrebbe dovuto darle altro. Chiese di averla per un anno. Col sorriso tetro e malizioso di Jackie, Annie capì. Era stata educata duramente, disprezzando i ceti inferiori, specialmodo le prostitute dei viottoli bui di Whitechapel. Ma ormai non le importava molto del dopo, ma di quel che avrebbe potuto fare al suo assassino con l’alleanza di un demone. Accettò il patto.
Jackie sapeva molte cose, tante che Annie non le credeva vere fino a quando non le vedeva lei stessa. Jackie era spesso pressante e spesso le ricordava di rispettare il patto ed Annie sempre gli dava la sua completa fiducia. Scoprirono che poteva entrare negli specchi e apparire a coloro che si riflettevano attraverso. Viaggiava in quel mondo parallelo che era diventata in seguito la sua casa. Scoprì di riuscire a modellare quel luogo a suo piacimento e di far diventare lei stessa l’incubo peggiore di Vincent Stewart.
In pochi giorni, Vincent Stewart si convinse di essere pazzo: il fantasma della figlia le appariva negli specchi, lo terrorizzava, lo trasportava all’interno di un luogo che non conosceva e che desiderava ardentemente ogni notte di fuggire da esso.
La gente di Londra capiva solo che il medico era sconvolto dalla morte della figlia. Ma dopo tre mesi, si convinsero anche loro che Vincent Stewart fosse pazzo. Mary era soddisfatta del suo lavoro, tanto da accorgersi a malapena che le occhiate maliziose di Jackie si erano, insolitamente, fermate.
Il medico migliore di tutta Londra venne portato a Bedlam, il manicomio più temuto di tutta Londra. Venne chiuso in una stanza, con una camicia di forza, senza finestre né specchi. Vincent era felice: il fantasma non avrebbe più tormentato le sue notti. Si sbagliava.
Una notte, la prima dopo settimane di pace, Vincent Stewart vide di nuovo il fantasma della figlia. Il cuore del dottore non riuscì più a sopportare tutto questo e scoppiò. Il cadavere di Vincent Stewart venne ritrovato un’ora dopo, dopo che le infermiere riuscirono ad aprire la porta, insolitamente, sbarrata. Venne trovata una scritta dello stesso dottore: Bloody Mary, la Strega negli Specchi. Così si diffuse la leggenda di Bloody Mary, ironicamente creata dal suo stesso assassino.
Annie cambiò il suo nome in Mary e ne comprese il significato.
Non aveva mai riso così tanto in tutta la sua vita, mai. Mai stata tanto felice. Smise di ridere quando il demone le sussurrò: “Non hai dimenticato qualcosa?”. La felicità divenne terrore.
Il demone la portò via dalla sua città, lontano dal suo paese, scoprendo troppo tardi di essere scappata in Irlanda. Era spaventata da quel che sarebbe accaduto fra di loro. Non aveva mai baciato un ragazzo se non il figlio del becchino, ma mai lui l’aveva toccata e mai aveva desiderato altro da lei.
La portò in una città che non conosceva, troppo cupa e con persone troppo mostruose per essere umane. La ragazza chiamò quel luogo ‘Inferno’. La portò in una casa elegante quasi più della sua, grande e scura.
Era notte fonda quando giunsero in quel luogo, in una camera da letto. Il demone iniziò a spogliarsi dicendo: “Oggi è il cinque febbraio, il patto inizia da stasera: dovrai dormire con me” e lei degluì nell’udire tutto ciò.
Le ordinò di svestirsi e le diede una camicia da notte. Ciò la confuse, soprattutto quando anche Jackie si vestì per dormire. La adagiò sopra al letto con lui sdraiato vicino. Tremava per la paura, ma non ne aveva affatto bisogno: il demone, tralasciando il modo con cui la stringeva a sé e qualche carezza durante il sonno, non l’aveva toccata. Ciò la rese ancora più perplessa soprattutto quando i giorni si susseguivano e Jackie non faceva altro che obbligarla a ballare con lei, passeggiare in sua compagnia, visitare il suo paese con lui come guida, pettinarle i capelli e tanto altro. La cosa più atroce, sempre se la si poteva definire in quel modo, che faceva era ordinarle di dormire ogni notte con lui, ma senza toccare e nemmeno guardare la sua intimità. Era troppo gentile per essere vero. I giorni passarono, così come la primavera divenne estate.
Un giorno Mary capì il comportamento strano di Jackie. Implicitamente, una sera, glielo chiese. Jackie capì e le sussurrò: “Non voglio la tua carne, voglio il tuo cuore”. Non comprese la frase se non il mattino dopo, quando si svegliò prima del giovane e questo, credendola ancora addormentata, prima di alzarsi per vestirsi, le baciò la tempia con tanto amore da essere tutto terribilmente ovvio: un demone si era innamorato di lei.
Si rese conto che non fosse infatuazione: se lo fosse stato, dopo tutti quei mesi, Jackie avrebbe rinunciato, ma lui era sempre gentile e lei non capiva il perché. Non era considerata una ragazza molto bella, ma nemmeno brutta: era una classica bellezza inglese, niente di più, niente di diverso, una macchiolina in mezzo a tante altre a Londra. Di carattere era un disastro: nessuno voleva la sua lingua acida e il suo portamento troppo raffinato. Ricordava perfettamente che Vincent Stewart desiderava renderla in sposa, probabilmente per eliminare quella vipera che si trovava in casa sua. Ogni pretendende rifiutava la proposta subito dopo averle parlato, ma a lei poco importava, il matrimonio per lei era considerato una perdita di tempo inutile. Quindi non capiva: Jackie cosa aveva visto in lei di tanto speciale?
Spesso, in quel periodo, Jackie andava via di notte. Ciò la insospettì, fino a quando decise di seguirlo, fino a giungere in quella cittadina insolita in cui vivevano. Insolita, non solo per via dell’atmosfera e delle strade cupe, ma perché avesse vita soltanto di notte, mentre di giorno i cittadini si rinchiudevano, come se fossero spaventati dal sole.
Pensò che, finalmente, il demone avesse capito di aver fatto uno sbaglio a stare dietro a lei e che avesse deciso di conoscere altre donne, si sbagliò. Trovò Jackie mentre inviava informazioni e ordini ai cittadini, come un capo fa con i suoi dipendenti e a controllare e istruire i suddetti nel preparare ciò che sembravano in tutto e per tutto dei dolci. Mary non capì.
La sera dopo tutto era come sempre, come la sera dopo ancora e quella di seguito e in poi. Jackie era sempre più indaffarato, finchè non giunsero i primi di autunno.
Mary lo trovò di nuovo un’altra notte e gli chiese il motivo di tutto ciò. Lui le raccontò la verità, su ogni cosa, anche sulla sua identità. Mary era fuori di sé, per la prima volta dopo mesi. Gli chiese il motivo per cui le aveva mentito sulla sua vera identità. In tutta risposta lui rise, letteralmente: “Non ti ho mentito: sono Jack O’Lantern, lo spirito o demone di Halloween!”. Era talmente arrabbiata che gli tirò un ceffone, il primo mai dato a Jackie e di sicuro non sarebbe stato l’ultimo.
Durante i tre giorni in cui lo spirito sparì in giro per il mondo, Mary riflettè seriamente sulla sua nuova vita. E ora, cosa avrebbe fatto? Non aveva uno scopo, non aveva un obbiettivo, non aveva nulla. Non si era mai sentita così povera in vita sua.
Jackie tornò, la trovò nella sua stanza a pensare. Jackie si sdraiò, felice, sul letto. Le disse di stendersi vicino a lui. Lei non ubbidì anche dopo che lo spirito le aveva ricordato del patto. Dopo qualche secondo, lui si alzò e si sedette vicino a lei. Con la sua felicità, le diede un piatto pieno di dolci. Lei ne assaggiò uno. Si stupì nel scoprire quanto fosse buono. Tante emozioni si ammucchiarono nel suo cuore in quel momento, tanto da farla piangere. Jackie, nonostante tutto, la abbracciò e la consolò in modo così dolce e gentile da farla addormentare.
Si svegliò qualche ora dopo, ancora con i pensieri della sera prima. Jackie la ascoltò e capì ogni cosa. Le fece una grande proposta: “Sai, Mary, potremo vivere una vita noi due. Magari non come la immagini, magari non come la desidero, ma potrebbe bastarci” troppo tardi si rese conto che era una proposta di matrimonio. Non sapeva cosa dire e per fortuna la voce di una vecchia strega risvegliò Jackie, chiedendogli di aiutarla per un’emergenza. Ma fu necessario il suo sguardo per far capire allo spirito che non avrebbe accettato.
Jackie per molti giorni divenne triste e Mary non sapeva cosa fare per renderlo felice come lo era sempre stato da quando si conoscevano. Il sei
febbraio il patto si sciolse, ma Mary non sapeva che fine avrebbe fatto da sola. Jackie le fece un’altra proposta che lei accettò: esserle assistente nella gestione della città e nel preparare i dolci di Halloween.
Così andò la sua vita e Jackie non si era ancora rassegnato alle sue continue negazioni. Sentiva che Jackie non avrebbe potuto essere suo marito. Niente da obbiettare sul suo aspetto fisico, nemmeno del suo carattere, non troppo snervante, spesso cortese e autorevole. Era lei il problema: avrebbe dovuto dimenticare il figlio del becchino, sapeva che era stupido pensare a lui, sapeva benissimo che lui era di sicuro morto e lei non poteva più riaverlo indietro, lo sapeva perfettamente, ma non riusciva a toglierselo dalla testa. Non poteva dimenticarlo, non poteva dimenticare come l’aveva amato e come avevano cercato un modo per sposarsi, per vivere lontani, solo loro due, prima che il padre lo avesse scoperto e la uccidesse.
Era ancora nel suo cuore e nemmeno Jackie riusciva a levarglielo dalla testa. E, soprattutto, non riusciva a provare gli stessi sentimenti che aveva provato con quel ragazzo. Non riusciva a vedere Jackie al posto del figlio del becchino e dubitava profondamente che sarebbe mai accaduto.
Con una scrollata di spalle non pensò più a quei ricordi. Si rese conto di essere sulla torre e di aver camminato tanto senza nemmeno accorgersene. Jackie, a parte al lavoro, non era mai stato un tipo puntuale, ma nemmeno troppo ritardatario, quindi si sedette su una roccia e aspettò. Sapeva bene cosa fare: chiedere scusa alla piccola Niki, a Jackie e dire che quella faccenda l’aveva già dimenticata e che non era dispiaciuta per i capelli. Tutto qui, niente di più, e tutto sarebbe ritornato come prima.
Con qualche secondo di ritardo si accorse della presenza di Jackie, sorridente e raggiante, forse troppo “Buongiorno, Mary”. Notò che indossava degli abiti molto moderni: pantaloni da tuta grigi, maglia a maniche lunghe del medesimo colore, scarpe sportive e vecchie. Non badò molto a questi particolari.
Lei si alzò, decisa su cosa fare “Jackie, eccoti! Buongiorno anche a te…” le parole si smorzarono notando un particolare disturbante: c’era solo lui. Dov’era Niki? Le venne un dubbio.
“Jackie, dov’è Niki?” lui fece uno sguardo simile al tipo ‘ah, sapevo che l’avrebbe chiesto!’.
“Oh, probabilmente in città con Leo e i suoi amici” le ci volle un paio di secondi per comprendere al meglio le parole. Sbattè le palpebre più volte, sperando che fosse uno scherzo o che avesse udito male.
“In città?”
“Esatto” rispose, col suo sorriso infantile e gioviale che Mary aveva sempre odiato, soprattutto perché lo adoperava nei momenti sbagliati.
“Quindi mi hai mentito…?” chiese, con la rabbia sul punto di traboccare.
“Mentito? Io ho detto che sarei venuto io, ed eccomi qui!” un lieve fastidio alle palpebre la costrinse a sfiorarsi gli occhi. Ci riflettè sopra per qualche minuto, prima di decidere di dire qualcosa.
“Jackie… io…” Jackie si avvicinò, questa volta molto più prudentemente e senza il suo sorriso.
“…uh?”
“…Ti ODIO!” disse tutto d’un fiato. Questa volta lo lego, eludo i suoi poteri per un mese e lo rinchiudo nei sotterranei insieme ai cadaveri!, pensò Mary, mentre apriva il libro e dava sfogo alla sua magia nera. Poi però si rese conto che Jackie stava scappando da lei, buttandosi giù dalla torre. Lei cominciò ad inseguirlo, facendo il suo esempio, ignorando gli sguardi terrorizzati o orripilati degli spiriti che cercavano di evitarli per sopravvivere agli attacchi dei pezzi di specchi di Mary.
“Jackie, ti ucciderò!” lo spirito di Halloween, continuando a correre per i corridoi, si rese conto di avere più di un nemico. Mary era molto lenta, allora decise di far correre qualcun altro oltre a lei: molte copie di immagini riflesse di spiriti uscivano fuori dagli specchi e dai vetri inseguendo con le stesse abilità dei loro originali il povero giovane uomo.
Per poco Jackie non venne acciuffato da un gigantesco golem d’acciaio, subito dopo si gettò fuori dalla finestra, raggiungendo con un gigantesco balzo la quinta torre dalle mille trappole.
Voltandosi vide Mary imprecare qualcosa che, fortunatamente, le sue orecchie non udirono. Questa volta l’aveva fatta franca e in grande stile! Posizionò le mani ad imbuto sulla bocca e cominciò ad urlare.
“Scusami, Mary!” in tutta risposta, la strega gli lanciò un gigantesco frammento di specchio grigio che si conficcò nella pietra neanche fosse una stalagmite di ghiaccio. Jackie la evitò in tempo e ricominciò a saltare su per le torri e a fregare nelle sue tasche per trovare gli occhiali da sole: sperava di essere ancora in tempo per il grande salvataggio.
“…Jackie! Se ti fai rivedere, ti giuro che ti rinchiudo nelle segrete…!”
…e sperò che North avesse potuto avere un’ospite in più per qualche giorno… o settimana… o forse anche per un mese o due, se necessario.
 
 
 
 
 
I tornadi erano in tempesta, più del solito in quel punto del cosmo, troppo furiosi per la sua nave.
Aveva fra le mani il timone, cercando inutilmente di cambiare la rotta per una corrente più docile. Girò con tutte le sue forze, cercando un appoggio più stabile. Un vortice particolarmente feroce colpì la sua povera nave e lo fece quasi cadere nel vuoto.
Era la tempesta peggiore mai vista. Le stesse stelle sembravano temerla nascondendosi da essa e vibrando di eccitazione.
Si rialzò in piedi, tentando di raggiungere di nuovo il timone, ma un’altra onda d’urto lo fece cadere di nuovo a terra. Quello, sicuramente, non era un vortice. Alzando gli occhi vide un altro vascello, imponente, sgraziato e ridente della sua piccola nave. La sciarpa si liberò del suo collo e la vide volare via, in qualche punto dello spazio nero.
Non vide chi guidava quel galeone, ma era sbattuto contro il rostro della sua imbarcazione. Incredibilmente, quel mostro nero continuò incurante il suo tragitto andando avanti a spaccare in due la sua nave.
Si rialzò in piedi a fatica, prima di cadere un’altra volta. Il vascello nero stava cominciando a bombardarlo con dei cannoni. Vide come il legno della sua nave prendeva fuoco, veniva percosso e sibilava dal dolore, lo stesso che provava lui stesso. La sua giubba blu sbatteva contro il vento, cercando un modo per liberarsi di lui e di fuggire via, come la sciarpa bianca e rossa.
Un altro colpo di cannone e questo fu l’ultimo: Sanderson cadde e precipitò giù nel buio, mentre la sua fedelissima nave, il Ciclone Blu, veniva trasformato in un mucchio di legna per il fuoco. Chiuse gli occhi sbarrando i denti per la disperazione. Aveva perso il suo amato veliero, un’altra volta.
Spalancò gli occhi e con uno scatto improvviso si alzò in piedi, ignorando il dolore alle gambe. Per qualche secondo ispezionò con gli occhi l’ambiente. Inizialmente credette che fosse nella sua stanza nel Ciclone Blu: anch’essa era piccola con un letto stretto gettato di lato. Dopo qualche minuto si rese conto di essere nella sua stanzetta della Casetta.
Era stato solo un’incubo.
Si gettò le mani agli occhi, avendo ancora in mente il brutto sogno. Non ne capiva proprio il significato: la sua prima morte era avvenuta troppo tempo addietro, in un luogo che a malapena riusciva a descrivere e a ricordare, perché sognava queste cose? E, soprattutto, perché veniva trascinato così profondamente nella disperazione per un ricordo sfocato e ormai dimenticato?
Rimase in quella posizione per molto tempo, le sensazioni che provava erano troppo vive per riuscire a ragionare correttamente. Aveva ancora la paura in gola per quel che gli era accaduto.
Ancora non completamente in sé, si rimise in piedi ed uscì fuori dalla stanza. Udì il lieve respirare di Mino e il sonoro russare di Farut. Di fronte a sé vide la stanza aperta di Fabiola, ma il letto era vuoto. Gli venne un’attacco di panico, ma subito dopo ricordò la conversazione del giorno prima con la bambina e si tranquillizzò, ma non molto. Fluttuò al piano di sotto e si sdraiò su uno dei divani del salotto.
Aveva molto sonno, ma non riusciva a dormire, sia per l’incubo sia per i vari pensieri accumulati dopo aver visto la camera vuota di Fabiola. Ripensandoci, sarebbe stato meglio impedirle di uscire di casa o forse solo dirle di no oppure che non fosse d’accordo col suo piano. Si girò e rigirò per tutta la notte su quell’argomento finchè non giunse l’alba e il sole cominciò a battere sui suoi occhi. Era esausto e molto preoccupato.
Fabiola che aveva in mente di fare? Buttarsi a capofitto nella folla e provare a liberare il cugino? O aveva un piano ancora più complesso? Credeva in lei, lo voleva con tutto il suo cuore. In quel mese divenne la sua scialuppa di salvataggio in mezzo a quel mare grigio. La malattia la sentiva decisamente più docile. Non credeva che Fabiola potesse essere così dolce dopo tutte quei giorni di silenzi. Spesso si chiedeva se fosse vero affetto oppure avesse un secondo scopo tutto ciò. Non era riuscito ad avere una risposta completa dal cambiamento radicale della bambina.
Quella notte, dopo il suo rapimento era sia felice per essere stato salvato e per essere stato perdonato da lei, ma, lo ammetteva, questa incertezza lo terrorizzava. Non aveva idea di cosa fare in sua presenza. Non aveva idea se fosse buona, oppure no, oppure entrambi.
Aveva scoperto che Fabiola fosse una perfetta attrice. Il giorno dopo il suo rapimento, durante la pesca insieme ai ragazzi, l’aveva presa e portata un po’ più lontano dai due e le aveva chiesto al riguardo. Sandman era bravo a capire chi mentisse, ma forse stava diventando un’incapace anche in quello. Alla prima domanda era più che certo che avesse detto la verità, ne era certo. Alla seconda, comprese che fosse una bugia soltando dopo, quando notò li sguardi agitati e tesi che Fabiola talvolta gli lanciava.
In quel mentre ebbe paura. Quanto era vera Fabiola? E quanto era falsa? Nei giorni seguenti continuò ad essere sé stesso, ma sapeva che la bambina avesse compreso ogni cosa. Non sapeva nemmeno lui quanto la cosa l’avesse spaventato nei primi giorni. Sapere è pur sempre motivo per uccidere. Se l’avesse detto agli altri ragazzi del suo gruppo, l’avrebbe ammazzato? Questa incertezza lo terrorizzava a dir poco. Dopo aver visto, il primo giorno che si ritrovò in quel Regno, dei bambini che cercavano di sparargli, l’idea che anche Fabiola lo potesse fare non gli sembrava così tanto incredibile. Soprattutto dopo aver visto la tranquillità con cui sparava col fucile.
Però gli sembrava assai insolito che potesse avere così tanta coordinazione. Era pur sempre una quattordicenne, dopotutto. Si ricordò della sera in cui vide Pitch Black presentarsi a lei. Non aveva idea di come si fossero conosciuti e non sapeva nemmeno perché fosse ferita la prima volta che l’aveva vista nella Casetta. Probabilmente Pitch stava rispettando i patti e stava riuscendo a trovare i ragazzi della festa e probabilmente Fabiola s’incontrava con l’Uomo Nero. Questa cosa lo terrorizzava ancor di più. Non poteva dire di conoscere la mente della bambina molto in profondità. Non poteva capire se Pitch Black avesse potuto corromperla per poterlo consegnare nelle sue mani. Erano tempi difficili per chiunque su quell’isola, ma Pitch era Pitch, imprevedibile. Quella sarebbe stata un’ottima occasione per ucciderlo.
Tutte queste incertezze e domande senza risposte da più di un mese lo stavano assalendo. Anche se Fabiola non l’aveva nemmeno sfiorato, man a mano che i giorni passavano, non erano spariti i dubbi. Si erano affievoliti, ma non dissolti. Stava quasi scartando l’idea di una corruzione da parte di Pitch Black, ma un doppio gioco di Fabiola era pur sempre un’opzione probabile. Lo ammetteva: spesso e volentieri preferiva non essere troppo vicino a lei.
L’unico momento, forse, era quando la bambina fosse totalmente innocente, quando dormiva. È incredibile come un’essere umano, anche se malvagio, potesse sembrare sereno e innocuo mentre era cullato dai sogni. Tutte le armature posizionate, anche per anni, durante il sonno venivano spezzate dai sogni. Ecco perché era considerato il Guardiano più forte fra i cinque, ecco perché il suo potere è immenso, anzi, era immenso. Sperava sempre che Fabiola non lo vedesse dormire vicino a lei, non sapeva cosa avrebbe pensato e cosa avrebbe fatto.
Aveva scoperto che non faceva incubi quando dormiva insieme a lei. Inizialmente credette che fosse un caso, spesso gli incubi aggrediscono coloro che dormono con nervosismo e paura, ma ben presto si accorse che non era così. Così come si accorse di cose assai insolite. Talvolta degli Incubi venivano durante la notte, probabilmente affamati. Non sempre riusciva a scacciarli via. Quando entravano nel subconscio di Fabiola, questi, dopo meno di un minuto, si autodistruggevano, non provocando alcuna emozione negativa né positiva alla bambina. Fece un altro esperimento dandole un sogno, senza toccare il suo passato. Ebbe un effetto insolito: il sogno, man a mano si affievoliva fino a che Sandman stesso ne perdeva il controllo e fuggiva via dal subconscio di Fabiola.
Non aveva mai visto una cosa simile in nessun altro bambino. Ma tutto ciò era poco importante: il sole continuava ad avanzare verso il cielo e Fabiola forse avrebbe fatto una pazzia. Lui stesso non poteva credere di non aver fatto nulla per non averla fermata. Ma era molto scosso dal fatto che la bambina le avesse detto in modo così diretto, dopo un mese di silenzio, che probabilmente qualcuno sarebbe morto quel giorno. Che qualcuno sarebbe morto per mano sua.
Cominciò a rifletterci seriamente: ma cosa aveva intenzione di fare Fabiola per salvare quel ragazzo? Non gli aveva accennato quasi nulla del suo piano, sempre se aveva un piano. Forse non sapeva ciò che stava dicendo. Non riusciva bene a capire quando mentiva e quando diceva la verità. Allora gli venne un po’ di paura: Fabiola aveva idea di cosa aveva intenzione di fare? O forse voleva lasciare tutto o la maggior parte delle cose al Fato e rischiare? Non poteva permettere un’assurdità da parte di Fabiola. Non riusciva nemmeno ad immaginarla nel salvare quel ragazzo. E in che modo, poi? E lui era stato talmente stupido da farla andare via. Abbassò lo sguardo verso la collana a forma di goccia blu che aveva al collo. Gli sembrava anche ridicolo il modo in cui l’aveva convinto a stare zitto.
E lui cosa poteva fare per impedirle un passo falso? Forse poteva controllarla o aiutarla in qualche modo. Ma in che modo? E come sarebbe riuscito a capire dove fosse? Si alzò dal divano, meno assonnato di prima. Si avvicinò al tavolo e riprese fra le mani il volantino con la descrizione del ragazzo. Lesse attentamente fino alla parte del luogo dove sarebbe avvenuta l’impiccagione. Sembrava il centro città quel ponte, non ne poteva essere sicuro. Di sicuro Fabiola sarebbe stata nei paraggi di quel vecchio ponte, avrebbe dovuto solo cercarla.
Per un attimo ripensò a quel che aveva pensato. Uno spirito malato in mezzo a tanti Cacciatori era come un topo in mezzo ad un branco di gatti. Se doveva cercare Fabiola e fermarla, allora avrebbe dovuto fare una gran pazzia lui stesso. L’idea di passare tutto il giorno in quella casa, pregando per Fabiola che ritornasse sana e salva e che non le sarebbe accaduto nulla di male, lo terrorizzava. Soprattutto il pensiero futuro che, se la bambina fosse stata ferita o, peggio, uccisa, avesse potuto fare qualcosa per aiutarla.
Fabiola aveva indossato un abito anonimo per quella missione suicida, forse avrebbe potuto fare anche lui qualcosa. Salì, fluttuando da un gradino all’altro, le scale. L’idea di aprire la porta della soffitta non lo sfiorò nemmeno. Andò nella stanza di Fabiola. Ripensò ai vestiti che indossava quando lo aveva salvato. Sicuramente li aveva conservati in camera sua, Fabiola aveva la strana paranoia di non buttare nulla né di rimettere al loro legittimo posto (in questo caso la soffitta) oggetti ricevuti in regalo o per altre ragioni. Era una strana mania, così come lo era la sua piccola paranoia dell’avere sempre ogni cosa sotto controllo e detestava molto se qualcuno toccava i suoi oggetti o non metteva in ordine le sue cose. Ma ora non era importante.
Senza pensare, aprì l’armadio, sperando di trovare dei vestiti che avrebbe potuto indossare. Per un paio di secondi non si rese conto di quel che stava vedendo, troppo preso dal piano che aveva in mente, ma poi comprese che ciò che stava vedendo non fossero vestiti ma armi. D’istinto richiuse le portiere e schiacciò la sua schiena contro di esse.
Per un attimo la sua mente fu vuota, non aveva la minima idea di cosa pensare. Perché quelle armi erano nell’armadio di Fabiola? Come c’erano finite là dentro? Perché erano lì? Anzi, forse l’ultima domanda aveva anche una risposta. Non osò riaprire le porte, troppo spaventato. Ma non era molto preso da quel che aveva visto in quel momento. Dentro di sé, lo ammetteva, se l’aspettava qualcosa del genere. Vide nel lato della stanza il baule. Si lanciò su di esso e, per fortuna, vide là dentro dei vestiti. Se prima il suo piano era una pazzia, ora era diventata la cosa giusta da fare.
Era vero: quelle persone erano dei Fantasmi, erano morti, erano persone malvagie in vita, il peggio del peggio selezionato per vivere in quel luogo, ma erano pur sempre persone, adulti e bambini e Fabiola non poteva uccidere alle sue spalle. Trovò il maglione, la sciarpa e il cappello usati da Fabiola, abbastanza grandi da stare addosso a lui. Non volle nemmeno provare i pantaloni: il maglione era sufficientemente grande da avvolgerlo del tutto.
Indossò tutti gli indumenti e rubò anche un mantello nero che se lo avvolse completamente. Probabilmente al ritorno Fabiola lo avrebbe mandato all'altro mondo per il disordine che aveva fatto nel baule. Pensò brevemente di lasciare un messaggio ai due ragazzi. Scartò subito l’idea: lo avrebbero trovato e portato con la forza nella Casetta. Sarebbe scomparso per un po’, ma ne sarebbe valsa la pena. Uscì fuori fluttuando verso il recinto della casa. Aveva scoperto che fluttuando sprecava meno energie che camminando. Per fortuna la mula di Fabiola era ancora lì, sveglia e, stranamente, sorpresa di vederlo.
Non pensò nemmeno di controllare se i ragazzi stavano dormendo o no: erano sempre abbastanza stanchi per addormentarsi immediatamente fino al mattino dopo. Aprì il recinto. Non sapeva come fare per muoverla, quindi la prese per il muso e, accarezzandola, la accompagnò lentamente fuori dal recinto. Non ne sapeva molto di animali da cortile. Lui è sempre stato un marinaio, sia d’acqua dolce, salata o dei venti del cosmo, invalicabili per molti. Non aveva avuto esperienza con gli animali di terra e dubitava di esserne minimamente capace. Però la mula gli stava ubbidendo, quindi era un passo avanti, però non sapeva come farla dirigere verso la città. Fabiola non faceva altro che saltarle in groppa e la mula, incredibilmente, le ubbidiva. Non sapeva bene come faceva.
Quindi le saltò in groppa e fin lì tutto andò nei piani, ma poi? Cosa poteva fare per dire alla mula dove andare?
“Sandman, dove vuoi andare?” sobbalzò. La mula aveva voltato la testa verso di lui e sentiva chiaramente la sua voce anziana e rauca ronzare nella sua testa e non poteva assolutamente essere frutto della sua immaginazione. Non sapeva cosa rispondere e quella continuava a fissarlo paziente.
“In città, allora?” dopo qualche secondo annuì, timoroso. La mula cominciò a trottare verso i campi di mele, abbastanza veloce. Il silenzio fra i due era assordante, soprattutto per via di così tante scoperte tutte in una volta: prima la sparizione di Fabiola il giorno prima, l’armadio pieno di armi e ora ci mancava solo una mula parlante, cosa che non aveva sinceramente mai visto prima d’ora. Superati i campi di mele, Sandman si stancò di quel silenzio e picchiettò leggermente sul capo della bestia per farla voltare.
“Chi sei tu?” chiese con un punto interrogativo. Quella lo fissò intensamente.
“Mi riconosci?” questa domanda gli fece girare la testa. Che fosse uno spirito intrappolato in un corpo da mula? Probabile. Scosse la testa, non riuscendo ad associare nessuna delle sue conoscenze all’animale con cui stava… parlando. Quella sembrava rendersi conto di quel che aveva chiesto.
“Ah, ma ti capisco: in questo corpo non riesco nemmeno io a riconoscermi e ho anche una voce ridicola… Ma questo te lo richiederò una prossima volta, forse quando tutta questa faccenda finirà e io ritornerò alla mia vera forma. Ora parliamo di cose serie: dove vuoi che ti porti di preciso e, soprattutto, cosa sta succedendo? Fabi è nei guai?” pensò che le sue supposizioni fossero esatte e che non aveva nulla di cui preoccuparsi e, anche se era abbastanza confuso dalla domanda posta prima, raccontò ogni cosa che gli era accaduto e che Fabiola gli aveva detto. La mula ascoltò con incredibile pazienza, senza inciampare durante la via.
“Non so tu, Sandman, ma credo che tu abbia torto: Fabi non è cattiva, credimi, fa queste cose, secondo me, perché è costretta. Non credo che accoltellerebbe una persona passeggiando per strada nel nostro mondo, né credo che sia pazza, forse ha qualche problema o ne ha avuti molti quando era bambina, ma non è folle. E credo anche che quel che stia facendo non sia una cosa stupida. Sono stata insieme a lei abbastanza tempo per capire che, anche se piccola, è decisamente più intelligente rispetto agli altri ragazzi del suo gruppo. È in gamba e capace. Non so cosa c’entri Pitch Black con lei, ma credo che sia tutto un caso e che tu non debba preoccuparti. Che Fabi, talvolta, sia bugiarda è vero, ma non è falsa. Se non tenesse a te, mica sprecherebbe tanto tempo in tua compagnia! È una ragazzina molto franca: se non provasse qualcosa di buono per te, allora ti avrebbe lasciato stare e tanti saluti. Vuoi tornare indietro o proseguire?” che la mula le avesse fatto un’osservazione del genere su Fabiola, proprio non se l’aspettava. Ma non voleva avere dubbi sul futuro della bambina, né voleva rimpiangerla se per caso le sarebbe accaduto qualcosa di grave. Credeva in lei, ma non riusciva ad essere tranquillo in quel momento e non rusciva a pensare di avere un dubbio del genere mentre era nella Casetta ad aspettare notizie di lei.
Non voleva perderla. Quindi scosse la testa alla mula e indicò le porte della città in avvicinamento. Avrebbe fatto una delle idiozie più grandi della sua vita, ma almeno le avrebbe fatto per il bene di qualcuno, sempre se Fabiola avrebbe accettato la sua presenza durante la missione.
 
 
 
 
 
 
Questa settimana Fabia non dormirà.
Questo fu il primo pensiero di Pitch Black dopo aver trovato, catturato e trasformato in Incubo purosangue la fenice d’oro. Dopo tutto il giorno e tutta la notte. Era completamente esausto e Fabia, dopo aver visto il suo piano in azione, l’avrebbe pagata cara. Sapeva che la forza di un sogno era pari al credo della persona che lo aveva creato e quella stupida fenice era il colmo.
Si rimise in piedi, si scrollò via con potenti scosse tutta la terra che era finita sulle sue vesti e ricontrollò dettagliatamente se l’Incubo non avesse nemmeno una traccia di sabbia dorata. Niente. Era tutto perfettamente nero, proprio come doveva essere.
Aveva i nervi a fior di pelle per tutte quelle ore di assalti a vuoto e catture andate all’aria e aveva voglia di sfogarsi con qualcuno. Era ovvio con chi. Avrebbe dovuto solo trovarla, ma non era un problema per lui: gli esseri umani avevano miliardi di sensazioni di forme diverse l’una dall’altra da persona a persona, riusciva a riconoscere le emozioni di Fabia e per lui era un gioco da ragazzi ritrovarla anche in mezzo a centinaia di persone.
Quindi, ritirò il suo premio tra la sabbia nera, divenne ombra e si recò in città. Non gli ci volle molto per mimetizzarsi tra la folla e comparire vicino al ponte, già allestito e pieno di gente in attesa dell’impiccagione. Per un attimo rimembrò i Secoli Bui. Quelli si che erano bei tempi…
Cercò per qualche minuto le emozioni di Fabia e le trovò, probabilmente nel luogo meno probabile dove una ragazzina avrebbe dovuto essere. Si teletrasportò nelle ombre sul terzo piano di un edificio. Esattamente sopra il tetto. Tipico di Fabia. La trovò sdraiata a pancia in giù con le gambe che facevano avanti e indietro, la testa poggiata sulle braccia e il cappuccio in testa. Sembrava piuttosto felice. Ma lo sarebbe stata per poco, dopo il piano. Il nero non le sta per niente bene, pensò, vedendo i suoi abiti. La picchiettò con l’indice.
“Sappi che, se per caso vedrai degli Incubi in camera tua a morderti le dita, è per via del tuo piccolo scherzo” il fatto che la bambina li detestasse non lo sorprendeva minimamente: chi amava li Incubi? Ma il fatto che lei li odiasse perché fossero cavalli e non creature demoniache lo sorprendeva. Più scopriva la mente di Fabia, più credeva che non l’avrebbe mai compresa. Quella alzò la testa, serena.
“Ah, Pitch! Sei arrivato giusto in tempo per il grande piano, sempre se sia alla tua altezza. Ah, siediti, non so cosa pensino i pagani di te, ma sarebbe meglio non farti vedere da loro: aspettano il mio segnale e mi stanno guardando” disse a lui, sedendosi correttamente, ma a gambe incrociate, come un ragazzo, questa cosa la odiò. Sapeva perfettamente che l’aspetto di Fabia ingannava molto, che fosse molto piccola di età e che quindi poteva permettersi certe cose, ma odiava quando aveva un atteggiamento troppo maschile, cosa che impersonava spesso. Anche solo quella postura era disturbante per lui. Fabia lo sapeva e, naturalmente, le importava ben poco del suo parere. Intanto lei stava visionato il cielo “…uh. Tra poco si metterà a piovere. Meglio di così non potrebbe andare! E se ci saranno dei fulmini, anche meglio!” nel frattempo si era mimetizzato nella sua ombra e osservava ciò che stava accadendo. Sul ponte, a prima vista, pensò che a guardare il futuro spettacolo sarebbero stati solo una cinquantina di persone, ma notò che, anche se sul ponte non c’era molta gente, pur sempre tra strade, nelle finestre e addirittura sui tetti, c’erano altri Fantasmi impazienti di guardare. Potevano essere anche più di due centinaia e ne stavano arrivando ben altri dalle strade e i viottoli, interessati da ciò che sarebbe accaduto. A malapena si accorse che Fabia aveva tirato fuori un binocolo e osservava altrettanto estasiata le persone sul ponte.
“Sai, ho sempre voluto fare un grande piano. Tipo… che ne so… Lara Croft di Tomb Raider, oppure Ezio Auditore di Assassin’s Creed! Mi vedo bene nei panni di Lara Croft, solo che dovrei cambiare colore dei capelli e accorciarli un po’ e… mi servirebbe anche un elastico” disse tutto ciò fra sé e sé, pettinandosi la chioma con le dita. Non aveva idea chi fossero le persone che aveva nominato, ma poco gli importava. Piuttosto era molto più interessato a quello che aveva organizzato. Fabia aveva la sua stessa abitudine di fare gran parte delle apparizioni o piani strategici in grande stile. Dopodichè avrebbe proceduto a rovinarle la settimana come meglio poteva.
“Mi interessa ben poco il tuo entusiasmo. Piuttosto, cosa hai intenzione di fare? Cosa hai progettato?” nel frattempo altra gente era giunta nei pressi del ponte e si stava ammucchiando nelle strade vicine. Fabia gli porse il binocolo, con il suo solito sorriso sfacciato di quando era entusiasta. Lui lo prese, non sapendo che farne di quell’aggeggio. Ad un certo punto sentì in lontananza un ritornello fastidioso col tamburo.
“Ecco: fra poco inizierà tutto” gli strappò di mano il binocolo (ma che problemi ha?!), si alzò di scatto, badando a pestargli una mano (Fabia, la pagherai cara!), e puntò verso una stradina poco lontana. Decise di lasciar perdere li insulti (solo per oggi, Fabia…) e guardò nella stessa direzione dove guardava Fabia. Dopo qualche secondo di attesa e di silenzio, parlò.
“Pitch, conosco la donna che suona il tamburo” disse apatica. Non ebbe il tempo di innervosirsi per questo suo cambio di espressione che ricominciò “Oh, beh, sarà più divertente il piano, a questo punto” il corteo col tamburello si avvicinò sempre più e Fabia abbassò il binocolo.
“Cosa?” lei gli lanciò di nuovo l’aggeggio e gli indicò un punto ben preciso dove guardare.
“Guarda sotto al ponte, non noti qualcosa in più?” osservò quel punto col binocolo, importandosi ben poco di rimanere nascosto. Non vedeva nulla di insolito nelle travi di legno.
“Le assi principali del ponte, Pitch. Guarda meglio” e guardò, curioso. A malapena riusciva a vedere un particolare poco importante: riusciva a contare una decina di… strani affarini di metallo. Non li aveva notati prima credendo che fossero dei bulloni o qualcosa incastrato là sotto.
“Quelle sono mine, Pitch: esplosivi. Un pagano le ha costruite insieme ad un detonatore che farà scattare grazie ad un mio segnale. Ho posizionato le bombe tra le tre travi principali. Sarebbe bastato soltanto ricoprire la prima asse centrale, ma non si sa mai. Di sicuro non tutti coloro che sono lassù sapranno nuotare o sopravvivere ad un crollo. Qualcuno sarà schiacciato sotto i massi e il legno. Inoltre l’eslosione non sarà notata, visto che l’attenzione di tutti sarà sui due prigionieri. Uh… Gianni sembra più robusto del solito o forse è una mia impressione? Che brutta faccia che ha… Sembra deluso, proprio” non lo sorprese minimamente la sua totale mancanza di compassione verso i Fantasmi. Dopotutto, lui stesso glielo aveva inculcato. Non bisogna avere la minima compassione dei nemici, devi detestarli, in modo da eliminarli facilmente uno ad uno. Era la prima cosa necessaria da imparare ed insegnare e, anche se con Fabia non era totalmente sicuro di avercela fatta (ma perché è più filosofica dei suoi coetanei…?), aveva pur sempre fatto passi da gigante con lei. Le aveva insegnato quasi ogni cosa che sapeva e, grazie anche alla sua capacità avanzatissima di apprendimento, aveva imparato a difendersi e ad attaccare velocemente, sempre se i suoi standard riuscivano a concedergliele. Era pur sempre molto piccola e, anche se agile, non poteva fare l’impossibile. Era molto forte, più della media, ma avere un’avversario di fronte a sé era abbastanza problematico. Le aveva insegnato ad attaccare di sorpresa, metodo più adatto per lei. Meglio con delle armi piccole come i coltelli, di cui sembrava avere abilità. Come alieva non era male. Era riuscita anche a mutilare quel vecchio nella locanda (si, l’aveva seguita quella volta) con assoluta precisione e sveltezza da non fargli capire quel che gli stava accadendo. Ah, se avesse l’immortalità! Le chiederei, anzi, obbligherei subito di avere un’alleanza. Potrei facilmente sopportarla e sarebbe una perfetta assassina, spesso pensava. Ma non si poteva avere tutto dalla vita…
“Pitch, mi ascolti?” intanto, notò, il corteo era appena giunto a destinazione e la gente sul ponte apriva una strada di fronte ai due malcapitati.
“Pensavo che la missione fosse quella di salvare il ragazzo, non di ucciderlo. Non vedo perché dovresti rischiare in questo modo” disse, guardando con più attenzione il ragazzo. Non assomiglia per niente a Fabia.
“Il crollo del ponte è un diversivo. So che questo ponte è particolarmente detestato per il fatto che sia molto vecchio. Perché l’abbiano usato per l’impiccagione, non ne ho la minima idea. Userò questa cosa a mio vantaggio: farò credere che il ponte sia caduto per la gran quantità di persone addossate ad esso”
“Ma così tutti cadranno in acqua! E molti moriranno annegati o schiacciati dalle macerie, l’hai detto tu stessa!”
“Infatti, io voglio che cadano in acqua e che qualcuno muoia” intanto la donna che suonava il tamburo aveva appena iniziato a fare un discorso di cui non riusciva a distinguere nemmeno una parola, sia per la distanza sia per l’interesse principale per le parole di Fabia.
“Pensaci un po’ su: se il pubblico cadrà in acqua, allora lo faranno anche i due prigionieri. Qualche cadavere sparirà trascinato dalla corrente, alcuni saranno ritrovati ma a malapena riconoscibili, altri rimarranno sepolti sotto le macerie. In questo modo, se i due ragazzi non saranno ritrovati, allora si crederà nella loro morte, anche perché i due sono legati e totalmente immobilizzati. Chi potrebbe nuotare e fuggire in quelle condizioni?” ad un certo punto si ricordò delle parole di Fabia a Sandman. Voleva che i due sarebbero stati considerati morti. Ecco cosa aveva in mente!
“Ma come si libereranno dalle funi e come fuggiranno in acqua?” il discorso sembrava lungo e monotono e fu grato che fosse interessato ad altro in quel momento.
“In acqua ci sono delle Sirene” sussurrò vicino a lui, come se fosse un segreto importante “Sono riuscita ad avere la loro partecipazione. Prenderanno i ragazzi in acqua e li porteranno velocemente via, lontano dalla città. Non credo che ci sia da preoccuparsi per la loro salute: mio cugino è un’esperto nuotatore, l’altro è uno spirito, quindi non gli servirà respirare, inoltre so che le Sirene li tratteranno bene. La loro regina era piuttosto presa dalla missione, il perché non lo so. Per quanto riguarda le corde, ho incontrato il terzo arciere migliore mai esistito nell’Antica Grecia e gli ho chiesto di nascondersi in uno degli appartamenti laggiù e di scoccare una freccia alla corda che avranno al collo. Questo è il mio piano, Pitch Black. Il tuo sguardo interessato mi dice che ho fatto, anzi, farò un buon lavoro” non si aspettava di peggio da lei, in effetti. Ma non glielo avrebbe mai detto, mai. Era piuttosto orgoglioso di questo piano, anche se i suoi insegnamenti non erano serviti per arricchire il cervello di Fabia. Un tuono trapassò il cielo. Forse anche il tempo atmosferico avrebbe contribuito a seppellire le tracce di una fuga. E lui che temeva una sorta di piano suicida poco studiato! Ma non era il tipo che si complimentava con lei. Piuttosto, era meglio cercare il pelo nell’uovo.
“E questi soggetti avrebbero accettato le idee di una bambina? Non hai pensato a quel che accadrebbe a loro, in seguito?” lei si mise in piedi, probabilmente il momento era quasi arrivato.
“Hanno detto che fuggiranno nelle fogne, come hanno spesso fatto quando viaggiavano per, voglio dire, sotto la città. Non ho obbiettato nulla. Ammettilo, Black, questo piano è perfetto!” ora il suo entusiasmo era un tantino oltre la media per i suoi gusti. Beh, glielo concedeva solo fino a quella notte. Avrebbe voluto trovare un solo piccolo errore, ma anche un contrattempo era più che sufficiente. Revisionò mentalmente il piano di Fabia e, lo ammetteva ora, era ben studiato nei particolari. Ma notò qualcosa di insolito in secondo piano. Non ne fu certo fino a quando non prese per le mani il binocolo e lo vide per bene: la mula di Fabia, con qualcuno in groppa. Ma chi…? Quel… tizio... dopo aver collocato la mula in una stradina vicina, aveva cominciato lentamente ad infilarsi nella folla. Ma, nonostante la statura, era piuttosto visibile. Non fu certo della sua identità fino a quando non lo vide voltarsi lentamente e mostrare un frammento di viso. Pitch, involontariamente, sorrise.
“Veramente, Fabia, il tuo piano è fallibile, se guardiamo questo imprevisto” detto ciò, porse il binocolo a Fabia e le indicò il punto in cui vi era il problema. Fabia, dopo qualche secondo con l’aggeggio in mano, lo tolse dagli occhi con un’espressione fredda. Aveva realizzato ogni cosa. In quel momento gli venne in mente una piccola grande curiosità.
“Fabia, sai che fra poco il piano avrà inizio…” disse, con voce falsamente mielata. Vide Sandman avanzare tra la folla sul ponte. Se prima vi era una minuscola possibilità che l’Omino dei Sogni cambiasse idea e tornasse indietro, ora era improbabile “…sono proprio curioso di sapere chi dei due si salverà, piccola: tuo cugino o Sandman?” lei non staccava lo sguardo dall’omino di sabbia che cercava di mimetizzarsi fra la folla. La donna che stava dirigendo il discorso fece segno agli uomini di legare le corde ai colli dei due ragazzi. Fabia era impassibile.
“…?”
“Non capisci? Non ricordi il tuo grande piano?” la sbeffeggiò “Se farai il segnale di far partire la missione, il ponte esploderà, tuo cugino si salverà, ma Sandman, probabilmente, annegherà. Ti ricordo che è malato e non credo che in mezzo a tutta quella gente avrà soccorso” Fabia era ancora impassibile “Oppure potresti non inviare il segnale, facendo in modo che il ponte non esploda, Sandman non rischi la vita, ma tuo cugino verrà impiccato e morirà” spesso immaginava che Fabia fosse fatta di porcellana: tralasciando l’insolito colore di pelle, un’essere umano non avrebbe potuto tenere gli occhi immobili e insensibili per così tanto tempo e con un volto così scuro!
Finchè accadde. Udì tra il palato e la lingua un retrogusto amaro e sabbioso. Apparve all’improvviso e quel sapore orrendo non cessava di crescere fino a quando non avanzò e si scontrò con la gola. Istintivamente sbattè il palmo della mano contro la bocca. Cosa fosse era ovvio: la paura di qualcuno. Con gli occhi non vide nessuno che potesse collegarsi al terrore che stava assaggiando e che, incredibilmente, voleva che la smettesse di provare: troppo amara e salata, come avere della sabbia e dell’acqua di mare in bocca. Ad un certo punto abbassò gli occhi di fianco a sé. Fabia non aveva mutato espressione, eppure quello sguardo apatico gli parve molto diverso dal solito. Intese. Cercando di dimenticare il sapore disgustoso, ridacchiando, si chinò vicino alla bambina che, ovviamente, continuava a fissare quel punto preciso del ponte. La prese per le spalle e la scrollò.
“Fabia, Fabia, ma cos’hai? Ti capisco: non hai mai avuto l’occasione di fare una scelta molto più grande di te e ne sei spaventata” lei non sbattè nemmeno le palpebre “Fabia, ti do un aiuto. Ora pensa insieme a me: tuo cugino, lo vedo da qui, è un ragazzo forte, con una vita di fronte a sé e ne ha tutto il diritto di viverla, non trovi? Invece Sandman, anche se vivrà per l’eternità, è pur sempre malato, forse non sopravvivrà alla malattia e non credo che…”
“…sei un’egoista” disse lei, con voce vacua, ma decisa.
“C-cosa…?” chiese lui, sinceramente confuso. Fabia non l’aveva mai insultato, non così direttamente, non per un motivo che non comprendeva.
“Pensi solo ad uccidere Sandman e i Guardiani, ti importa poco di…” chiuse la frase in quel modo. Ma Pitch udì solo la prima parte di frase. Sbuffando si rimise in piedi.
“E cosa ti aspettavi, piccola? Sono pur sempre l’Uomo Nero, questo è il mio obbiettivo!” lei rimase impassibile “E poi, comunque, ti ho fatto un breve riassunto della realtà dei fatti. Non esiste la scelta ‘giusta’ e la scelta ‘sbagliata’. Esiste solo quale sia la scelta migliore! In questo caso la scelta migliore è tuo cugino, Fabia. Oltretutto, tu cosa c’entri con Sandman? Sandman che cosa c’entra con te? Fabia, ascoltami, quel ragazzo è tuo cugino. Fa parte della tua famiglia, tu gli vuoi bene e stai praticamente facendo un attentato per salvarlo. E Sandman cosa ha fatto per te e cosa farebbe mai per te appena ce ne saremo andati da questo posto? Ti dimenticherà subito, Fabia. Sei solo una fra i tanti bambini di questo mondo e nessun spirito esistente potrebbe ricordarne tutti. Anzi, tu non sei più una bambina, se non ora, fra un anno o due diventerai una donna e tu non sarai più fra i suoi ricordi” l’impassibilità di Fabia cominciava ad innervosirlo. Sul palco dei giustiziati, notò che la donna che prima aveva il tamburo con sé stava sussurrando qualcosa al cugino della bambina. Sandman si era posto circa al centro del ponte, vicino al palco.
“Beh, dovrai comunque scegliere, Fabia: il tempo stringe. Tuo cugino o Sandman?” la donna con la giubba da sergente rosso sangue guardò entrambi gli uomini e fece segno di alzare le corde. Fabia fece scattare la testa verso i suoi occhi.
“Entrambi!” detto questo fece un segno con la mano che, senza alcun dubbio, a prima vista sembrava un segno di saluto ad un amico lontano. In quel momento accaddero in contemporanea tre cose.
La prima: una sorta di fulmine (che poi comprese di essere una freccia) colpì le corde dei due ragazzi, distruggendole. La seconda: le travi di sostegno del ponte ceddero e il ponte stava velocemente crollando. La terza: Fabia gli aveva lanciato in grembo il binocolo e, di corsa, stava correndo di fronte a sé, sui tetti, verso il ponte. No, stava correndo verso il fiume, dov’era caduto Sandman e dove le rapide erano più forti per via della pioggia che stava iniziando a cadere dal cielo. Pitch, realizzando ciò, strabuzzò li occhi e il fiato gli mancò. Ricordò un giorno soleggiato, vicino ad una foce del fiume, dove lui e Fabia si stavano allenando.
 
 
“Fabia, cosa diavolo stai facendo? Attraversa il fiume!”
“Non posso”
“Ma perché? Perché sei arrabbiata, piccola? Non dirmi che hai paura dell’acqua?”
“…no”
“Aspetta… Fabia, tu sai nuotare, vero?”
“…”
 
Si mise una mano fra i capelli, sinceramente scosso. Le correnti del fiume erano decisamente troppo forti anche per coloro che erano in grado di nuotare, inoltre l’acqua era piena di detriti di ponte che avrebbero potuto colpire Fabia e, se non stordirla, ucciderla. Ebbe un attacco di panico, soprattutto quando la vide saltare dal tetto di una casa particolarmente inclinata verso il fiume. Sparì dalla sua visuale.
Oh, no.
Le persone stavano velocemente scendendo dai tetti e coloro che si trovavano vicini alla strada erano in preda al panico. Si udivano urla, schiamazzi e grida di aiuto. Pitch si tramutò in ombra e si sporse verso il tetto, avendo la conferma che Fabia fosse sparita in acqua. Per qualche secondo rimase lì ad osservare il punto in cui era scomparsa, mentre alcune persone stavano chiamando le guardie color rosso sangue per avere aiuto.
Pitch continuava a fissare quel punto dell’acqua.
Perfetto! E adesso come farò a farle scontare la pena per la fenice, se morirà?!, pensò Pitch.
 
 
 
 
 
 
Ancor prima di riprendere completamente i sensi, vomitò tutta l’acqua che aveva nei polmoni. Sputò e tossi, finchè il suo corpo non gli ordinò di smetterla.
Mosse le braccia, stanche ed esauste. Non aveva ben capito né ricordava cos’era accaduto. Ricordava solo l’acqua e… forse era morto. Era un’opzione plausibile, soprattutto perché l’acqua, sin da quando era malato, era diventato il suo veleno. Ora ricordava: il ponte era crollato e lui era caduto nel fiume.
Spalancò le palpebre. Era in un bosco, sulla riva. Non era morto. Quasi si dispiacque per ciò. Richiuse immediatamente gli occhi, diventati pesanti. La pioggia gli martellava le orecchie e gli impediva di pensare. Il fiume era arrabbiato e pressante, tanto che, con le sue onde, lo spingeva e lo urtava, indispettito dalla sua presenza.
Avvertì con le mani qualcosa di viscido che si muoveva sul suo maglione. Sobbalzò, spalancando gli occhi. Erano alghe. Che s’intrecciavano su tutto il suo corpo e lo stringevano forte, tanto da impedire alla sua sabbia di mischiarsi con l’acqua dolce che tentava di rigettare quel cumulo di sporcizia fuori dal fiume.
Si calmò. Com’era possibile che quel ammasso di alghe lo avesse avvolto in quel bozzolo verde? Era assai insolito, soprattutto perché alghe di quel genere, lo sapeva per esperienza, sorgevano nelle acque salate. Era certo che fossero di quel tipo. Inoltre, era impossibile che lo avessero avvolto in quella maniera protettiva, tanto da coprirgli addirittura i capelli e il viso. Si ricordò di Yaja. Durante il viaggio avevano parlato anche della sua malattia e di come si era sentito male al contatto con l’acqua e dell’insolita cicatrice sulla guancia.
Non volle pensarci. Nonostante il presunto intervento della mula, comunque dell’acqua era entrata nella sua sabbia e, oltre a sentire piccoli aghi trapassarlo, udiva grandissimo dolore alle spalle. Decise di uscire totalmente dall’acqua. Iniziò a trascinarsi con le braccia. Era incredibilmente pesante. Aveva il fiato corto. Trattenne il respiro fino a quando non fu certo di essere uscito completamente dall’acqua. Le alghe lo lasciarono andare e il bozzolo dove aveva viaggiato sparì in acqua.
Cadevano proiettili dal cielo. Gli fecero male, ma erano incuranti di lui, continuando a balzare sulla sua sabbia. Cacciò via un gemito di dolore. Quelle gocce erano letteralmente proiettili. Non volle più che scendessero sul suo collo e all’interno del maglione. Il cappello e il mantello erano spariti.
Si trascinò ancora un po’, fino a raggiungere i piedi di un sentiero. Non calcolò che un albero lì vicino, racconta l’acqua dalle foglie, avesse poi lanciato una piccola cascata sui suoi capelli, rendendo ancora più atroce la sua sofferenza. Appena spostò il suo capo da un’altra parte, fece sprofondare la testa nei suoi pugni e le lacrime abbandonarono i suoi occhi. Quel dolore alle spalle era diventato ancora più assillante. Era incredibile vistala situazione, ma bruciava. Lo ustionava dall’interno e non lo abbandonava. Cercò di muovere le spalle, ma il dolore, anziché cessare, aumentava a dismisura.
Non uscivano nemmeno dei gemiti dalla sua bocca. Non sapeva cosa fosse quel dolore, ma era impassibile e voleva ucciderlo. Divenne sordo di un orecchio, sentiva dentro di sé un frastuono insopportabile. Era impazzito. Era più pazzo di Fabiola. Che cosa aveva in mente? Non era più forte. Era ancora un ostacolo e non un aiuto. Che cosa voleva dimostrare? Di poter fare ancora il suo compito efficientemente, nonostante lo sua inutilità? Perché era uscito di senno in quel modo? Cosa stava cercando di fare?!
Si sdraiò sulla schiena, ma il dolore si ampliò ancora di più. Le lacrime uscirono con più velocità. Non pensò nemmeno a quel che era successo sul ponte, non voleva pensare ad un altro suo fallimento. Voleva soltanto che, qualsiasi cosa avesse alla spalla sinistra, potesse, per tutti gli Dei, smettere. Per tutto il tempo aveva sbarrato le palpebre. Era buio: palpebre aperte o meno, non aveva importanza. In lontananza sentì un tuono. Per un attimo il cielo si colorò di giallo. Si concentrò su quei suoni nel cielo, tentando di distrarsi. La spalla faceva ancora male, ma sembrò passare piano piano. Continuò a fare dei respiri profondi. Il dolore stava passando velocemente. Santi Dei, vi ringrazio!, pensò, continuando a piangere. Dal dolore sordo, divenne però pungente, ma era comunque molto più sopportabile del bruciore di prima.
Qualcosa cadde a pochi centimetri sopra la sua testa. Spalancò gli occhi per la sorpresa. Le lacrime gli impedivano di vedere chiaramente, ma a prima vista vi era qualcuno che lo osservava, ansimante. Chiunque fosse, respirava con affanno. Dai lunghi capelli uscivano grosse gocce d’acqua che gli inondavano il viso. Il respiro affannato di Fabiola si mischiava col suo. Entrambi tremavano dal freddo.
“...Eccoti…!” non ricordava di aver mai sentito la sua voce così inclinata. Si accorse che i suoi capelli stavano gocciolando su di lui e tentava boccheggiante di lavargli il viso. Aveva molte cose da dirle, ma nessuna sembrava essere molto importante in quel momento.
Stai bene?” era la cosa più stupida che gli fosse venuta in mente, ma comunque la più adatta. Il boccheggiare di Fabiola divenne meno potente. Ad un certo punto la bambina afferrò in una morsa la sua testa, come per impedirgli di muoversi. Le sua labbra morsero esasperati la piccola cicatrice che aveva alla guancia. Poi passarono a baciarlo in un punto di confine fra le sue labbra e la guancia. Troppo vicino alle labbra. La sua testa si alzò di scatto e sbattè il corpo di fianco al suo. Non ebbe il tempo di pensare a ciò che era accaduto che udì dei singhiozzi vicino a lui. Ricordò che Fabiola non piangeva mai. Per lei era simile ad una vergogna. Il suo sguardo si posò sul suo ciondolo, lasciato dalla bambina. Era ancora lì, al suo collo.
Tentò di rimettersi in piedi e ci riuscì. Dall’alto in basso guardò in volto la bambina, o quel che riusciva a vedere. Si vergognava delle sue lacrime: si copriva il volto con il braccio, ma riusciva a vedere chiaramente il pianto.
“Tu vuoi uccidermi! Non ho mai avuto così tanta paura…! Sandman!” urlò quando iniziò ad abbracciarla e a baciarle la fronte e le guance a sua volta. Tu vuoi uccidermi! Io non ho mai avuto così tanta paura, Fabiola!, voleva gridarle, ma non ebbe né il coraggio né la forza per farlo. Esplose in lacrime anche lui. Non aveva mai pianto così tanto in vita sua, nemmeno durante le sue missioni nello spazio cosmico, nemmeno durante i Secoli Bui, nemmeno quando, durante l’ultima guerra, fu trasformato in sabbia nera. Non aveva mai pianto così tanto per una persona. Non aveva mai avuto un legame come quello che stava cucendo con Fabiola. Ma era normale: lui non è mai stato un tipo per le amicizie strette. Né Sanderson lo era stato né Sandman lo è.
Per quanto tempo rimasero abbracciati e a piangere, non lo seppe mai. Qualcuno gli fermò. Quel qualcuno lo fece cadere sulla schiena e lo stesso qualcuno si accanì su Fabiola, soffocandola con un fazzoletto. La stringeva così forte che temeva che le avrebbe spezzato il collo. Fabiola, dopo varie ribellioni, non si mosse più. Quel qualcuno si lanciò poi su di lui, premendogli lo stesso fazzoletto sul naso. Aveva un’odore pungente, il suo naso bruciava e la testa girava. Perse i sensi e ci fu il buio.
 
 
 
 
 
 
Sentiva i nervi gridare ancor prima di svegliarsi totalmente.
“Si, esatto… Ci sono due spiriti qui… Si… Subito!... Esatto, ho bisogno che li prendiate e portate al Centro… Alla periferia della capitale… Si, e venite subito!... Si, va bene, usate la macchina, ma venite subito!... Ecco, finalmente!...” la donna con la giubba rossa chiuse la chiamata. Con gli occhi vagò attorno. Non capiva bene dove fosse: poteva essere una villa, ma non ne era del tutto sicuro. Senza alcun dubbio erano in una sorta di studio con librerie, sedie e una scrivania ordinata. Si sentiva molto confuso.
“Un telefono, dei cellulari e una macchina? In quest’isola non ho mai visto qualcosa di più moderno” non si era reso conto che Fabiola fosse di fianco a lui. Era legata. Non erano corde, ma manette di acciaio. Aveva dei lacci di cuoio che le serravano le braccia dietro la schiena, anche per le gambe. Sembrava facesse fatica a respirare per colpa di tutte quelle precauzioni e Sandman per ciò deglutì. Anche lui non era da meno, ma solo le sue mani erano bloccate e non aveva tutti i lacci che aveva la bambina. La donna si voltò verso Fabiola.
“Certo, non tutti se lo possono permettere: soltanto chi lo merita può avere tutte queste comodità. Beh, Santarcangelo, non sai quanto sia tentata nel volerti infliggere ciò che ti meriti” Fabiola sembrava stanca quasi quanto lui stesso. Per un breve attimo si chiese se loro due si conoscessero.
“Non ricordo di avervi mai fatto del male…” rispose, seccata. La donna si avvicinò ancor di più. Sandman rabbrividì. Era arrabbiata. Si chiese quanti frammenti di conversazione fra le due si era perso.
“Hai vuoti di memoria, Fabiola? Mi hai recando la più grande umiliazione della mia vita. Come minimo, per le convenzioni sociali di questo Regno, dovrei recarti qualche mutilazione o uccidere qualcuno a te di molto caro. Potrei cominciare da lui, per esempio. Eravate quasi carini voi due abbracciati sotto la pioggia” disse, notando la sua presenza e fulminandolo con lo sguardo. Ebbe un brivido di terrore quando la donna iniziò a squadrarlo da capo a piedi “Oltre che essere un coso, te la fai anche con i nani. Non mi aspettavo di meglio da te, Santarcangelo” lo disturbò il modo in cui sottolineava in continuazione il suo nome o cognome, con leggere ma disturbanti pause da una parola all’altra. Fabiola era adirata. Aveva imparato molto velocemente li stati d’animo della bambina. Non li si notava dai volti quasi completamente impassibili. Notò la sua grande rabbia per via di un lieve scatto alla narice sinistra. Era molto arrabbiata, ma non lo dimostrava.
“Per prima cosa: ciò che riguarda quel che pensi di noi due non mi importa quasi per niente, oltre che è tutto falso. Secondo: sarà anche un coso, ma è un coso con dei sentimenti. E per ultimo: per lo meno ha un’età superiore alla mia, Forlì. Sinceramente mi sono stufata di questa incarcerazione, Forlì. Quindi, mi faccia un piacere: mi liberi e restituisca la mia borsa e la spada, così vi potrò sfidare, uccidere e fuggire via di qui” disse, tutto d’un fiato, apatica come solo Fabiola potrebbe fare. La donna ebbe uno scatto all’occhio sinistro. Sandman volle con tutto il cuore che la bambina avesse potuto stare zitta. Potrebbe farle del male, pensò.
“Zitta, puttanella!” Sandman sobbalzò per il tono di voce “Sin dall’inizio, queste per me erano faccende private! E tu le hai rese pubbliche di fronte a tutta Napoli! Sei un demone del cazzo, Fabiola!” nonostante la voce alta e rapace, Fabiola, con degli occhi dolci come il miele, inclinò la testa di lato e sorrise, talmente tanto amabilmente da sembrare un riso maligno.
“Certo, perché a voi piacciono, li angeli” disse, con voce altrettanto mielata. Un calcio secco la prese allo stomaco. Inorridì quando la donna cominciò a pestarla, ignorandolo completamente. Il Fantasma continuò a calciarla, di fronte ai suoi occhi. Vide sul tappeto del sangue. Fabiola stava sputando delle macchioline rosse. Continuava a colpirla, imperterrita, mentre i suoi stivali si macchiavano di rosso. Sentiva i vestiti della bambina strapparsi. Si risvegliò appena vide che la donna stava maneggiando un coltello. Sandy cercò di strisciare vicino a Fabiola per tentare di difenderla. La donna, in preda all’ira e distratta da lui, gli diede un pugno sul capo e cadde all’indietro. Non seppe per quanto tempo perse i sensi, ma, riaperti gli occhi, la donna si era allontanata dalla bambina e aveva cominciato a scatenare la sua ira sul telefono. Fabiola era sanguinante, soprattutto in bocca. L’aveva conciata malissimo e lui non aveva fatto niente per impedirlo. Gattonò vicino a lei.
Un occhio era socchiuso. La gamba inclinata male. Il naso gocciolante di rosso. Bava e liquido purpureo alla bocca. Schiena abbandonata all’indietro. Vari tagli di coltello sull’abito e sul viso di cui uno particolarmente profondo lungo la fronte. Macchie di sangue grandi quanto un pollice spiccavano sul pavimento chiaro.
Perdonami” supplicò. Era tutta colpa sua. Aveva fatto lui quella stupidaggine. Era lui il pazzo. Fabiola, sorprendentemente, cominciò a ridere. Faceva fatica: più che una risata sembrava un’attacco di tosse. Anche i denti erano affogati nel rosso. Riusciva addirittura a vedere la canotta bianca sotto l’abito strappato.
“Sandy, francamente, è meglio che si accanisca su di me che su di te” disse, cercando di imitare i suoi soliti sorrisi. A Sandman venne la malsana idea di strapparsi i capelli per la disperazione.
“E poi, è vero: le ho praticamente rovinato la vita a Napoli” notò il suo sguardo interrogativo. Fabiola lanciò un’occhiata alla donna che sbraitava al telefono, prima di continuare “Lei è… no, era la mia professoressa di inglese” rimase più che stupito “Non riuscirei a raccontarti la storia nei particolari: è troppo complicata. Ti basti sapere che io avevo appena iniziato il liceo, ma visto che alle medie ho avuto l’opportunità di imparare ogni materia per un anno in più, mi sono trovata a tredici anni nel quinto ginnasio del liceo classico. Però notavo delle cose strane nella mia prof: dei voti troppo alti per alcuni ragazzi, sempre maschi, degli sguardi d’intesa tra lei e gli studenti e tanto altro ancora. Si mormorava in giro che ci fossero delle raccomandazioni, quindi la faccenda l’avevano tutti archiviata. Però un giorno, non ti dico le dinamiche, ho trovato la professoressa mentre stava avendo una relazione a tutto tondo con alcuni dei suoi alievi preferiti e che in teoria avrebbero dovuto avere cinque in inglese. Io che ero lì, avevo scattato foto e fatto video. Non dissi nulla per molti mesi: i ragazzi volevano voti alti e avrebbero fatto di tutto per averli e la prof non voleva una vita noiosa. Non valeva la pena intervenire. Però la cosa ha cominciato a non andarmi giù quando questa prostituta aveva cominciato ad ammiccare un po’ troppo spesso a mio cugino…” avrebbe anche continuato con la sua storia, ma la donna dietro di loro prese uno scrigno di legno e lo lanciò alla tempia di Fabiola. Un tonfo secco si udì alla testa della bambina che cadde all’indietro macchiando di piccole gocce scure il muro dietro di loro. Sandman strisciò e si parò di fronte alla bambina, per proteggerla. L’Omino dei Sogni strabuzzò gli occhi vedendo un rivolo di sangue fluire dalla tempia di Fabiola.
“Non ti ho dato il permesso di spifferare i miei affari privati anche agli spiriti, Santarcangelo
“Non credevo che per una vecchia fosse lecito tentare di approfittarsi di un ragazzo di sedici anni senza avere il consenso dello stesso, Forlì” quest’ultima affermazione sembrò toccare nel profondo la donna. Sandman pregava con gli occhi la bambina di tacere. La ucciderà, se continuerà a parlare!, pensava meccanicamente.
“Scusa, è una mia colpa se tuo cugino è un bel ragazzo?” questa dichiarazione sembrò far uscire di senno Fabiola. I suoi occhi mandavano scintille di ira.
“Se narcotizzate, legate e provate a violentare il ragazzo, sì, che è una colpa!” tra mani della donna c’era il telefono e Sandy ebbe la gran paura che quell’arnese di ottone sarebbe stato gettato anch’esso sulla fronte di Fabiola.
“Hai reso pubbliche quei video e quelle foto per tutta Napoli! Mi hanno sporto denuncia minimo dieci famiglie! È stato un miracolo che il Ministero mi abbia concesso questo ultimo viaggio per l’America! Fortuna che in Italia la giustizia, giustamente, è corrotta. Mettendo per ipotesi l’idea che noi non fossimo stati portati su quest’isola, non mi avrebbero comunque rinchiuso in prigione” per un attimo Fabiola abbassò il capo. Si udirono dei singhiozzi. Non ebbero il tempo di comprendere se fosse in lacrime che la bambina gettò la testa all’indietro e, con una risata allegra e strafottente, continuò a parlare.
“Ma prof! Voi non avete capito niente! Io vi voglio umiliare, la prigione è poco importante. Voglio che nessuno vi guardi più in faccia per la vergogna, voglio che diventiate lo zimbello di tutta Napoli, voglio che nessuno vi desideri più, Forlì. Lo sa tutta Italia che nessuno va in prigione. Seriamente, professoressa, mi liberi e mi dia la borsa: non sa quanta voglia ho di spararle in fronte” la donna sembrò desiderare di evaporare nell’azoto. Coi denti in fuori si avvicinò alla figura decisamente poco minacciosa di Fabiola. Sandman stava già iniziando a parare il colpo al suo posto che il telefono squillò con insistenza. La donna ignorò completamente i due e si diresse con passo pesante verso l’arnese infernale, lasciando sotto le suole delle macchie rosse, sangue di Fabiola. Sandman era terrorizzato, per la bambina.
Perché continui a parlarle?! Ti farai solo del male!” Fabiola, per la prima volta durante tutto quel tempo, lo guardò seriamente. Il sangue le fluiva ancora, senza smettere di imperlarle di rubini la bocca e la fronte.
“Sandman, devo dirtelo per il tuo bene: non so cosa ci accadrà e non credo che ce la faremo. Credo che questa volta sia finita per davvero. Abbiamo fatto Game Over, Sandman...” ritornò lo sguardo apatico. Per un attimo il mondo attorno a Sandman divenne muto. Cominciò a scuotere la testa, terrorizzato. Poi, però guardò Fabiola e vide qualcosa che, sinceramente, non aveva mai visto in lei.
Tu hai paura” Fabiola vide il messaggio. Non mutò espressione.
“Non per me, Sandy, ma per te” il suo cuore, nascosto sotto tutta quella sabbia fece un rimbalzo per lo sconforto. A Fabiola importava ben poco di sé stessa, per questo non aveva mai avuto paura di morire. Era una consapevolezza che lo rendeva vuoto, anziché pieno di terrore. Per molto tempo entrambi rimasero in silenzio. Ad un certo punto Fabiola lo guardò, per davvero, e non con occhi spenti.
“Sandy, potresti, per favore, avvicinarti ancora di più?” si rese conto per davvero solo in quel momento di essere sulle sue ginocchia e per li standart di Sandman, quella era anche un’avvicinanza troppo ristretta. Ma fece come chiese e si avvicinò fino a rimanere seduto in grembo alla piccola.
“Chiudi li occhi” ad un certo punto avvertì una certa tensione per quella vicinanza. Sentì un brivido di nervosismo all’interno della sua sabbia.
“Per favore, Sandy…” ricordò che non riusciva mai a capire cosa desiderasse la bambina. Non riusciva mai a comprenderla pienamente. Sentiva sempre di essere ad un passo dalla soluzione, ma qualcosa all’interno di lui glielo impediva sempre. Ubbidì anche a quest’ordine. Aveva paura e non capiva il perché. Dal buio delle sue palpebre, sentiva chiaramente il singhiozzante respiro di Fabiola e il suo profumo di arance tra i suoi capelli, molto vicino. Troppo vicino. Per un attimo la consapevolezza di quel che voleva fare lo travolse e gli fece aprire di scatto gli occhi.
Un boato percosse tutta l’abitazione, distruggendo la grande vetrata di fronte la scrivania e facendo vacillare il pavimento. Tutti e tre si voltarono verso il fragore che proveniva fuori. La donna, scioccata, corse verso il vetro spaccato e vide quel che i suoi due ostaggi non potevano nemmeno immaginare. La macchina con cui i suoi due inferiori dovevano trasportare e portare via i due prigionieri si era schiantata e distrutta completamente contro il muro della sua abitazione. Con la coda dell’occhio vide delle braccia e delle gambe scomposte fuoriuscire dal veicolo. Era in preda alla confusione.
Dal folto del bosco, come se nulla fosse, apparve un giovane. Quello, camminando con lentezza e ignorando totalmente la macchina sfasciata, si avvicinò sempre più alla finestra dove risiedeva la più che sconvolta Forlì. Quello sorrise. Si accorse solo in quel momento che aveva smesso di piovere.
“Buonasera, signora” disse, educatamente e con un inchino. La donna rimase ancor più che sbalordita per il fatto che indossasse occhiali da sole nonostante stesse piovendo e fosse ormai buio.
“Cosa c’è?!” urlò con uno strepitio nella voce. Nella macchina vicino al giovane uomo cominciò ad uscire fumo, finchè ci fu un’esplosione che illuminò tutta la villa. La donna si accasciò a terra per lo spavento, ma l’altro, incredibilmente vicino alle fiamme, sembrava non averne timore, come se non si fosse nemmeno accorto della loro presenza.
“Mi perdoni per l’orario,” disse cortesemente, ignorando il tremore della donna “ma sto cercando una bambina e uno spirito color oro” la donna, dimenticando di mascherare il suo nervosismo, strabuzzò gli occhi. Lentamente si volse verso i due prigionieri legati sul pavimento. Intanto il giovane proseguì, provocando la più che giustificata paura nella donna.
“La bambina è bionda, pelle lattea e occhi chiari. Sembra un angioletto, ma in realtà è un vero terremoto” continuò a parlare, sempre sorridendo. Ad un certo punto smise di parlare e, come se notasse soltanto in quel momento una bizzarria nella sua interlocutrice, cominciò ad osservare i movimenti terrorizzati della signora. Il suo sorriso si allargò. La donna non riusciva a capire come riuscisse a rendere un sorriso da innocente a maligno.
“Capisco…” disse fra sé e sé. Iniziò a correre velocemente verso di lei, fino a raggiungerla aggrappato alla finestra. La signora, sconvolta nel profondo, corse vicino ai due prigionieri, accurandosi di prendere la pistola dal tavolo. Ma siamo al secondo piano! Saremo a minimo sei metri da terra!, pensò. Il giovane, sempre con un’inchino, entrò nello studio.
“Perdonate la sgarbatezza, signora, ma dovete restituirmi la bambina e lo spirito” la Forlì impugnava la pistola come un bambino che cercava di impugnare una spada. Aveva il terrore che le scorreva nelle vene. Cercò di darsi sicurezza, nonostante l’arma nelle sue mani tremava insieme al suo corpo.
“Ah, sei solo un gentiluomo che si traveste da moderno. Pensavo di peggio, immaginando le compagnie che frequenta Fabiola”
“Ma se a malapena lo conosco…” ovviamente la bambina voleva mettere tra le righe la sua voce. Ma ora a Sandman non importava: si sentiva al sicuro ora che il Signore di Halloween aveva deciso di aiutarli. Ovviamente lo conosceva. Dopotutto, chi non conosce Jackie? Il giovane uomo sembrò essersi offeso.
“Ma io credevo che fossimo amici…” Jackie fece qualche passo in avanti, mentre la professoressa arretrava sempre più. La bambina lo guardò aspra commentando con un ‘tsk’. Jackie divenne triste, falsamente.
“Perché ogni volta che ti incontro sei sempre incredibilmente arrabbiata oppure orribilmente triste?”
“Non so dirti. Sarà l’uomo con cui dialogo…” sinceramente, se non fosse stato legato ed imprigionato in una villa che non conosceva, Sandman si sarebbe messo a ridere. La professoressa sembrò risvegliarsi da un’incubo.
“Aspetta! Tu vuoi questo diavoletto, no? Allora facciamo un accordo! Ecco… perché…?” Jackie non ebbe neppure il tempo di trattenere il respiro, e nemmeno di rilasciarlo, che la donna premette un pulsante totalmente invisibile sul muro. Ad un certo punto cadde qualcosa dall’alto soffitto, una rete probabilmente, che avvolse il giovane uomo. A contatto con il corpo, la rete brillò di giallo, facendo avere spasmi violenti a Jackie, fino a farlo cadere all’indietro.
“Jack…!” smorzò l’urlo Fabiola, più che perplessa da ciò che era accaduto in, massimo, tre secondi. La professoressa non si sentì totalmente al sicuro, ma poi, vedendo il corpo esanime, involontariamente, scoppiò in una risata nervosa.
“Per… per fortuna avevo catturato quello spirito dei lampi… il telefono e la rete funzionano grazie a… a quel piccoletto che avevo ammazzato” diceva più a sé stessa che ai due prigionieri. La donna prese ad accanirsi vicino alla bambina.
“Sai, Santarcangelo, ho cambiato idea: potrei vendere qualche tuo organo. Non avrò magia, ma due sacchi di monete d’oro le avrò di sicuro” la strattonò malamente per i capelli e non molti, Sandman escluso, sapevano che la piccola detestasse essere toccata ai capelli “Potrei fare un prezzo speciale per li occhi e i capelli…”
“Credevo che per uno Spirito Maggiore una rete elettrica fosse una sciocchezza” disse con tutta calma, la bambina, facendo tremare la signora di paura e perplessità.
“Già… è vero” rispose il corpo esanime che, lentamente si stava rimettendo in piedi. Alla professoressa sfuggì un urlo e si rimise in piedi il più velocemente possibile. Man a mano che Jackie ritornava in piedi, gran parte delle ossa scricchiolarono e ritornarono al proprio posto originale. Sandman non ne era particolarmente sorpreso, così come Fabiola. Jackie, completamente alzato, cominciò a far scricchiolare l’osso del collo, indolenzito. Indispettito dagli occhiali, li buttò via, facendo scoprire un cielo completamente scuro con delle rare stelle rosse a contornarlo. Tutto ciò non fece altro che provocare altra angoscia alla professoressa.
“Ahi, che male… Non mi sono fatto niente ma… Umm, quanto sangue, Fabi, ti hanno ridotta piuttosto male” Fabiola lo ignorò.
“Come hai saputo che eravamo qui?” chiese, più irritata che altro.
“Durante la tua super missione, ero vicino al tuo tetto, ma non ti eri accorta di me” alla bambina sembrava che la cosa interessasse ben poco.
Puoi aiutarci?” Jackie sorrise, ignorando la donna che, nel frattempo, stava cercando di urlargli contro di non avvicinarsi troppo. Ovviamente lo spirito di Halloween non la badò e continuò a camminare finemente fino a raggiungere i due prigionieri.
“Basta!” urlò la donna in preda alla paura. Non si accorsero in tempo che avesse una pistola e che l’avesse puntata a Fabiola. Se doveva morire per colpa di uno spirito, allora prima avrebbe ucciso quella piccola puttanella. Così, sparò. Sandman spalancò gli occhi per il boato. La professoressa riaprì gli occhi pieni di soddisfazione. Ma tutta la felicità venne a mancare quando vide la testa della bambina voltarsi verso di lei con un cipiglio irritato. Ma com’è…?! Le avevo sparato!, pensò in preda al panico.
“Mi perdoni di nuovo, signora” a malapena si accorse che il giovane uomo, ancor più che sorridente, le fosse ad un palmo dal naso “Credo che questo sia vostro” disse, mostrando garbatamente fra l’indice e il pollice un proiettile. Senza che la professoressa potesse rendersi conto di quel che era accaduto, Jackie le prese la mano e nel palmo le diede il proiettile per poi richiuderlo “Lasciate che ve lo restituisca” come un eco lontano udì queste parole, troppo scossa, troppo incredula. Aveva paura. Senza rendersene conto, lo spirito, continuando con gentilezza e con sorrisi, le aveva allontanato la pistola. La donna guardò il proiettile bollente nel suo palmo tremante. Intanto Jackie aveva preso in braccio i due ostaggi.
“E comunque, quella era la mia pistola” aggiunse Fabiola, mentre lo spirito di Halloween li fece sedere sulla scrivania. Volle un’ultima chance, la trovò.
“Aspetta, parliamone!” disse, rivolgendosi al giovane che intanto stava valutando le cinghie di cuoio e le manette d’acciaio “Sii la mia guardia del corpo! Non dovrai nasconderti più, potrai avere tutto l’alcool e le donne che vuoi, dirò che in realtà tu sei un ragazzo che…” s’interrompe quando udì uno strappo secco provenire dalle cinghie della ragazzina. Si paralizzò quando vide che il giovane stava, con calma assordante, letteralmente, spaccando in due il cuoio e l’acciaio. Fatto ciò passò all’omino.
“Mi dispiace, signora. Ma tutte quelle cose non mi servono e, se volessi, le otterrei da solo, senza bisogno di contratti” disse, liberando anche l’omino. Finito il lavoro, Fabiola raccattò tutti gli oggetti che la signora aveva chiuso in un cassetto della scrivania. Però si sguardò bene, prima di indossarli.
“Tsk… Mi ha letteralmente distrutto il vestito”
“Tranquilla, ce ne sono ben altri” rispose, paziente e pacato Jackie, mentre la bambina si spogliava dell’abito nero rimanendo in canottiera bianca e in pantaloni di pelle.
“Peccato che fosse il mio preferito… Sembravo Shao Jun…” disse, sospirando.
“Ah, quell’assassina cinese. Si, sembravi proprio lei, ma non si può avere tutto, Fabi. Mi dispiace. Ti mancava, però, solo quell’amuleto con il simbolo” Fabiola si voltò verso lo spirito, più esitante che mai.
“Tu conosci Assassin’s Creed!?” Jackie, in tutta risposta, alzò le spalle. La prof divenne più arrabbiata che tremolante.
Santarcangelo, non crederai davvero che ti lasci andare in questo modo?!” disse, rimettendosi in piedi e cercando di riprendere la pistola. Non contò il fatto che Fabiola fosse decisamente più veloce di lei. La bambina puntava alla tempia la donna. Sandman vide chiaramente il dito di Fabiola indeciso se premere il grilletto o no. La donna guardava incredula la sua ex alieva. Ad un certo punto, Fabiola abbassò l’arma.
“Jackie, porta Sandy fuori” dopo qualche secondo, lo spirito acconsentì e, ignorando li sguardi increduli di Sandman, lo portò fuori dalla villa. Sandman, in braccio al giovane uomo, rimase in attesa, fino a quando non udirono entrambi uno sparo riecheggiare per tutta la villa. Sandman, che fino a quel momento aveva trattenuto il fiato, rimase tristemente sorpreso di rivedere sbucare dalla porta Fabiola. Vide delle lingue di fuoco intensificarsi dietro la ragazzina. Probabilmente Fabiola aveva fatto prendere fuoco la villa. Per quest’osservazione, venne avvolto dalla tristezza. Barcollando, la bambina si diresse verso i due. Jackie e Sandy rimasero in attesa di qualche reazione che non venne mai.
“Andiamo a casa?” chiese gentilmente Jackie, porgendo una mano alla ragazzina. Lei, esitante, si fece prendere in braccio e, a grande velocità, il Signore di Halloween cominciò a correre per il bosco.
Per tutto il tragitto nessuno aprì bocca, anche se avevano tutti molte domande da fare, specialmente Sandman che, nonostante avesse fatto una stupidaggine per impedire a Fabiola di uccidere, alla fine, aveva ugualmente fallito.
Ma era felice: Fabiola, anche se con tagli e sangue, stava bene. Quella era la cosa più importante. I suoi pensieri vennero a mancare appena udì le parole del giovane.
“Ah, una cosa, Fabi: credi che North mi possa ospitare per… qualcosa di simile ad un mese?” Fabiola, in quel momento, non sapeva se ridere o piangere. Nel dubbio, sospirò.
 
 
 
 
 
 
La mia testa sta andando su e giù. È come viaggiare alla velocità della luce sul monte Everest e poi catapultarsi nei fondali marini. Fondali marini… Si, a me piace l’acqua… Allora perché sento come se non mi piacesse più così tanto? Bah, non lo so. Ma una cosa è certa: il sali e scendi dentro la mia testa si è fermato da qualche secondo e ora credo di capirci qualcosa in più in quel che sta succedendo. Prima di tutto sento qualcosa di strano, come un breve sussurrare. Apro di più le orecchie al mondo esterno. Credo di riconoscere un ‘Zakky zac’ o qualcosa del genere.
“Finito, Niki?” riconosco, ma a stenti.
“Si, si, Liio-chan” Liio-chan? Liio… Leo… Leo! Spalanco gli occhi. Ho la visuale appannata, ma riconosco due figure accucciate ai miei fianchi. Da quando ho aperto gli occhi sto avvertendo tanti veloci movimenti attorno a me. Cerco di sedermi, ci riesco. La testa non gira più e mi sento molto più lucido. Chiudo e riapro gli occhi molte volte finchè non ci capisco qualcosa di quel che vedo. Sono in una stanza, su un letto, un vero letto. Non ci capisco molto.
“Gianni!” mi volto, non avevo riconosciuto la voce fino a quando non l’ho visto. Sono troppo confuso per sorprendermi di vedere Leo che mi salta addosso e mi abbraccia. Si, è lui. Vedo Niki che salta anche lei sul letto e mi abbraccia quasi più forte del suo amico. Fra un po’ scoppio a piangere, tanto sono felice. Li abbraccio anch’io più felice di loro.
“Mmm…” sento un gemito. Ci fermiamo e guardiano affianco a me. C’è un letto, con sopra, addormentato, Yoshi. Ora che ci penso, cosa sta succedendo? Leo mi anticipa.
“Ti dovevano giustiziare, Gianni. Ma Fabi è riuscita a salvarti, come non lo so, ma ci è riuscita! Poi ti hanno portato qui con Yoshi e adesso siamo tutti insieme!” dice, eccitato più che mai. Non ci ho capito un granchè, ma ho capito che ora siamo al sicuro.
Aspè, ma chi sta qua?”
“Liio-chan, Yoshi-san, Fabi-san, Ceci, Al, Mini, Mino, Farut, Gianni-san, Niki-san. Tutti tutti!” urla estasiata Niki, importandosi ben poco che vicino a lei c’è un lupacchiotto che sta dormendo, probabilmente, con incubi ed altro. Leo le fa segno di stare zitta ed indica Yoshi. Niki capisce e fissa ancora di più Yoshi, perplessa.
“Gianni-san…” dice perplessa, indicando Yoshi, poi fa delle orecchie con le dita sopra la sua testa e poi indica la coda del mio amico. Capisco quel che sta cercando di chiedermi. Anche lei nota che c’è qualcosa che non va in Yoshi.
“È una storia molto lunga, ragazzi, e non credo che Niki ci capirebbe un granchè, ma, sì, Yoshi-san sta bene” Niki sembra aver capito ciò che sto dicendo e sembra essersi sollevata.
Sento un boato da dietro la porta che poi viene aperta da Niki, curiosa. Dietro c’era Al, Alejandro Sanz, che ci stava sbirciando, ma che poi, incredibilmente è inciampato. Sono a bocca spalancata, sorpreso di vederlo. Sinceramente, avevo dato per scontato che lui non lo avrei visto mai più. Mi riprendo quando lo spagnolo si rialza.
Hola, Gianni gay!” tutto finito. Momento magico andato a quel paese da quell’ultima parola. Non so bene il perché, ma i due gemelli, sin da quando ci siamo conosciuti, hanno messo per inteso che io sarei gay. Ripeto, il perché non lo so. Ma ora poco m’importa, perché sono felice di essere ancora vivo e non con una corda al collo. Al si avvicina fino a balzare sul letto. Senza badare di non spaccarmi le gambe sotto le coperte. Ma per oggi non voglio sbattere la testa contro la sua.
“Al, sei vivo!” sembra essersi offeso. I suoi capelli sono cresciuti come erbacce, tanto che li ha pure legati con un piccolo codino. Mi accorgo che fa caldo non appena vedo che il busto di Al è completamente scoperto, se non fosse per quella stupida giacca di pelle di cui ha una sorta di relazione amorosa. In effetti, non ha torto di levarsi la maglia: sento un caldo incredibile qui.
Es cierto què estoy vivo! Casomai quello che avrebbe dovuto crepare per primo eri tu!” questa la digerisco per metà. Io e Al (in verità, anche sua sorella) non siamo mai andati proprio tanto d’accordo. Tanto da non prenderci a cazzotti, sì, ma non tanto da dargli la mia vita in mano o cose del genere. Ma per oggi voglio ignorarlo. Sinceramente sono troppo felice di sentirmi, finalmente, al sicuro.
“Stai bene? Mini come sta?” scende dal letto, per la felicità delle mie gambe.
Ella esta bien, soprattutto da quando ha conosciuto Calm!” Calm…? E questo chi è? Leo mi precede subito.
“Gianni, non ci crederai mai, ma qui ci sono i Cinque Grandi! Ci sono i Guardiani dell’Infanzia, tutti qui!” Dentolina me ne ha parlato. Sono tutti qui? Oh, Maronn’, spero di non vederli proprio subito subito, perché non sono conciato tanto bene per vedere delle persone. Piuttosto, ma Ceci e la mia Gioia dove sono?
“Ci credo, Leo. Ma Ceci e Gi-Dentolina dove sono?” mi sono fermato appena in tempo. Non so se a Gioia piaccia che la chiami in questo modo di fronte a tutti o se se ne vergogna. Meglio che glielo chieda più tardi, non vorrei fare uno sbaglio o imbarazzarla.
“Sono appena uscite, se ce la fai, le trovi subito” dice Al che, nel frattempo, ha preso il mio posto sul letto facendomi cadere giù. Per fortuna nessuno ride. Per fortuna tutti, me incluso, sono abituati ad Al. Per fortuna, di Al, io non ho voglia di arrabbiarmi. Quindi, mi rialzo e, con Leo e Niki dietro, esco fuori da questa stanza che, in tutta franchezza, stava diventando una prigione calda, perfetta invece per Al che si è messo addirittura a dormire.
“Ah, Gianni, ti piaccioni i tuoi nuovi capelli?” dice Leo, tenendo per mano Niki. Mi prende una fifa bestiale. Mi tocco la testa e la sento meno cespugliosa. Ho un po’ di paura.
“Leo, che hai fatto…?” in tutta risposta, mio cugino mi porta vicino ad uno specchio e lì ci rimango.
“Ah, pensavo chissà che…” Niki sembra offesa e mi da un leggero pugno allo stomaco. Me li hanno soltanto tagliuzzati un po’, molto corti, ma meglio del nido di calabroni che avevo prima. Di sicuro sono più guardabile adesso. Stanno accadendo troppe cose e non riesco a registrarle per bene tutte.
“L’ha fatto Niki, solo per te!” Niki fa degli inchini, immaginando un pubblico.
“Ma comunque non dovevate mettere le forbici fra i miei capelli!” rispondo io, abbastanza arrabbiato. I due mi ignorano e mi tirano via. Ci penserò più tardi a loro. L’importante è che i capelli siano salvi. E poi, se avessero fatto un macello, li avrei rasati quasi a zero, in estremis. Forse.
È da un po’ che camminiamo. È da un po’ che Leo e Niki mi stanno facendo vedere tutto il teatro da cima a fondo, in cerca dei ragazzi e dei Guardiani. Prima avevamo incontrato, anzi, scontrato un tizio dagli occhi strani, cupi come quelli di un demone. Non ci ho parlato un granchè, si era subito catapultato sui bambini chiedendoli se avessero oscurato con delle lenzuola degli specchi. Forse avevo sentito male, ma quando Leo gli aveva detto che era tutto ok, allora si era calmato come se cinque secondi prima era in pericolo di vita.
Apro un’altra porta. Questo posto è peggio di un labirinto, non so come facciano a vivere qui degli spiriti e i ragazzi.
“Sandman può dire ciò che vuole, ma mi sento umiliato!”
“Padre, non è così grave…”
“Ma come ha fatto a nascondercelo fino ad oggi?! North, poi devi dirle qualcosa, sei tu il capo qui!” appena entro mi ritrovo in una sorta di studio con un’omone tutto in rosso, due folletti, ciò che sembra al cento per cento un coniglio gigante, in grado di parlare e una fatina completamente celeste. Non ci notano.
“Calmoniglio, non ha mica detto noi che lei è alleata di Pitch Black”
“Ma è comunque una grande umiliazione, io non la voglio più guardare in faccia!” detto questo il folletto, quello con la barba, esce fuori, spintonandoci per raggiungere la porta, seguito dal folletto più giovane con una strana campanella gigante attaccata alla coda. Sembra che stiano litigando. Forse è meglio andare via. Il gigante e il coniglio mi notano. Il vecchio sembra imbarazzato.
“Oh, tu deve essere Gianni! Dentolina parlato te di noi” cerca di sorridere, ma non ci riesce. Una vocina mi ronza per la testa e mi urla: ‘Hey, Gianni, non ti ricordano qualcuno?’. Altrochè se mi ricordano qualcuno.
“Chiedo scusa, ce ne andiamo” vorrei evaporare e scappare via. Non ci dicono di restare e io chiudo la porta.
“Ma poi, perché ci ha mentito? Non capisco!”
“Lei detto che non voleva che qualcuno impedisse a lei di trovare ragazzi e rischiare vita, visto che lei bambina e noi avremo fermato lei” sento comunque le loro voci dietro la porta.
“Ma vada lo stesso a morire! Non ci posso ancora credere che abbia mentito a tutti noi!”
“Veramente, Calmoniglio, io sapevo che fosse umana…” un attimo di silenzio.
“C-cosa!? Da… da quanto tem-…?!”
“Da settimana dopo che noi conosciuto lei…” un altro attimo di silenzio.
“North, abbiamo chiuso noi due…” prima che possa aprire la porta, io strattono i bambini e ce ne scappiamo per i corridoi.
Corriamo e camminiamo per un po’. Ho il fiatone, non mi sono ancora ripreso per bene dalla dormita e da tutto quello che è successo. Mi fermo in tempo. Per poco non inciampavo addosso a qualcuno. Sento un fruscio di ali più che familiare.
“Gianni!”
“Ceci, Gioia!” e le abbraccio e loro abbracciano me e siamo tutti felici. Me ne frego degli strani vestiti di Ceci e me ne frego delle piume che mi pizzicano il naso. Sono felice e basta.
“…Gioia?” chiede una voce. Smettiamo di abbracciarci e guardiamo tutti Jack Frost che si avvicina lentamente, come se si stesse trascinando dietro un morto. Dentolina non sembra arrabbiata o innervosita da come l’ho chiamata.
“Beh, Dentolina è un nome poco adatto per una fatina  frizzante come me!” qui sono io che arrossisco. E da quando in qua mi ruba le battute?!
“Ti sta bene se ti chiamo così?” chiedo, piano. Lei sembra ancor più felice.
“Gianni, come mi chiami è una faccenda fra te e me e se agli altri non piace, che si abituino!” dice, con fierezza. Beh, sono contento: non dovrò sempre trattenermi nel chiamarla Gioia. Giuro che mi gira la testa per tutte le cose che stanno accadendo. Ceci si fa avanti.
“Gianni, dovresti cercare Fabi: è da due ore che non riusciamo a farla stare ferma. Sandman è in cucina che cerca di farla stare calma” dice quest’ultima cosa mettendosi le mani d’avanti alla bocca e ridacchiando. Non so chi sia questo Sandy, ma quando Fabi pensa a me è sempre nervosa, quindi se questo tizio la sta tenendo buona, allora sta passando tempi bui, poi lo ringrazierò.
“Fabi sta bene?” Gioia sospira.
“Non l’ho vista bene, ma ha molte bende” oh, no “Non ho ben capito cosa le sia successo, ma sta benissimo. Oh, Gianni, non sai quanto sono felice di aver rivisto i Guardiani!” dice, svolazzando per aria. Jack si mette in mezzo, ad occhi bassi.
“Si, ma Sandy è malato…” Gioia non sembra ascoltarlo.
“Oh, si riprenderà subito! Piuttosto, Jack, andiamo da Calmoniglio?” per la prima volta vedo un pizzico di felicità nel ragazzo pieno di brina. Tira su un sorriso sincero. Tiene forte il bastone a sé.
“Certo! Il Canguro non mi ha ancora visto!” e così se ne vanno, Leo e Niki inclusi, perché loro non hanno mai visto la Fata dei Dentini e, soprattutto, non l’hanno mai vista in questa versione. Mi sta scorrendo tutto di fronte a me come un fiume in piena. Fra poco esplodo dalla felicità. Continuo a perdermi per i corridoi, finchè trovo un’altra porta. Appena entro mi ritrovo in quello che sembra il palcoscenico con il sipario e quant’altro. Credo che avendo come punto di riferimento questo posto potrei trovare la cucina e così Fabi.
“…ma dove le hai messe?!”
“Cosa?” chiudo la porta dietro di me e avanzo vicino al palco.
“Le bombe che ho fatto!”
“E lo chiedi a me?!”
“Certo, le hai rubate!”
“Non è vero! Le hai perse, genio!” trovo i due che litigano dietro il tendone rosso.
“Mino e Farut!” l’occhialuto mi vede.
“Gianni, sei ritornato in vita!” dice, abbracciandomi e dandomi qualche pacca sulla spalla. Da un lato sono contento di vedere Mino, ma dall’altro vorrei che Farut sparisse dalla circolazione. Mica l’ho dimenticato quello che ci ha fatto e mica lo perdono, eh. Per fortuna l’armadio capisce e se ne va dietro ad una porta mormorando un ‘Me ne vado da North’. Ci sciogliamo dall’abbraccio.
“Sono proprio felice di vederti, Mino. Ma dov’è Fabi? Come sta?” sembra che si sia fatto da solo gli occhiali, o forse è una mia impressione?
“Non avere un’infarto, ma quando è tornata qui con Sandy aveva un bel po’ di tagli e lividi. Abbiamo dovuto riempirla di bende, ma scoppia di salute più di te. Ha fatto qualcosa di simile alla fine del mondo per aiutarti. Prendi quella porta, poi vai dritto, scendi giù per le scale e sei in cucina da lei. Sandy ha dovuto inchiodarla lì per non farla andare ancora avanti e indietro da te all’infermeria. Ora scusami, ma anch’io ho da fare: il gigante mi ha rubato una ventina di oggetti che, tecnicamente, non avrebbe dovuto toccare” non me lo faccio ripetere due volte. Faccio la strada che mi ha detto di fare Mino. Più che felice sono nervoso, non so il perché. Con li altri era estasiato, invece con Fabi ho addirittura paura di vederla. Non l’ho ancora rivista che già sento delle urla.
“Sai, Fabi, non riesco proprio a capirti: sei sparita per quasi tutto un dìa, un bel tipo ti riporta qui piena di sangre, hanno finito di curarti da nemmeno cinque minuti e tu, al posto di dormire, vieni en la cocina per robar le torte! E il peggio è che tu non ingrassi mai!”
“Veramente sono stata rinchiusa qui per farti un favore” quasi il mio cuore fa un balzo fin sulla luna per aver sentito il suo accento dell’est.
“Cioè?” e non sento quasi niente nel sentire lo spagnolo di Mini.
“Ti impedisco di ingrassare ancor di più”
“Ma io non sono grassa!”
“Mmm… Diversamente magra va bene per te?”
“Smettila de insutarme!”
“In realtà ti sto solo inlustrando la realtà. Quella la mangi?” sono di fronte alla porta e mi sento come se dovessi ripresentarmi a scuola per l’esame di terza media. Lo ripeto: sono più nervoso che felice e non so che cosa potrei fare di fronte a lei. Per un po’ si sente il silenzio dietro la porta, interrotto da una sorta di trillo, non so bene come definirlo. E con un ‘Ok, Sandy, giusto perché sei qui con me…’. Decido di entrare.
La cucina è piccola e piuttosto malandata, ma può sempre considerarsi una cucina, anche se economica, giusto per infilare nel frigorifero quel che vuoi mangiare il giorno dopo. Per primo vedo Carmen che, come ha giustamente detto Fabi, è ingrassata. È un po’ più rotondetta, ma niente di orribile. Se la smettesse di abbuffarsi allora ce la farà a diventare una ragazza magra e prosperosa come prima. È per questo che tutti la prendono per una diciottenne insieme al fratello. Neanche il tempo per Mini di dirmi di smetterla di fissarla che giro lo sguardo verso Fabi.
È cambiata parecchio. Al contrario di Mini, è diventata ancora più magra, anzi, ossuta. Mi fissa interessata e io insieme a lei. Vedo con la coda dell’occhio una sorta di… non so cosa sia in realtà, ma una cosa è certa: è fatto tutto d’oro. Mi sento la testa fluttuare come un palloncino. Fabi è piena di bende, soprattutto una sulla fronte. È seduta su una sedia, a gambe incrociate, come fa sempre. Ad un certo punto fa scendere le gambe dalla sedia e sospira.
“Senti, vuoi continuare a fissarmi come un’ebete, oppure ti decidi ad abbracciarmi?” e mica me lo faccio ripetere. Faccio uno scatto, la prendo per i fianchi e la abbraccio a mezz’aria. Me ne frega se mi urla che le faccio male. Sono scosso per averla vista piena di bende, ma sono comunque felice. Dopo un po’ anche Mini, vedendo di essere ignorata, e lei odia essere ignorata, si butta su di noi e ci abbraccia. Faccio scendere Fabi e con un braccio attira a sé questo strano tizio pieno d’oro, prende in braccio anche lui e lo abbraccia insieme a noi, fregandosene di quanto sia nervoso, anche se dopo un po’ si scioglie anche lui e si aggrappa a mia cugina. Non sono mai stato così felice di rivedere qualcuno.
 
 
 
Tutti loro ignorarono l’ombra scura che, pazientemente e abbastanza corrucciata, stava guardando la scena. Nessuno si accorse dei suoi sospiri nervosi e delle sue occhiate lanciate al cielo.
E dire che tutta questa felicità l’ho creata io… Mai che qualcuno mi ringrazi!’.
 
 
 
 
 
 
Angolo di L0g1
Sono felicissima, ragazzi, di aver finito la mia primissima long! Non sono brava con i saluti né con i ringraziamenti. Ma tenterò…
Ringrazio di tutto cuore coloro che hanno messo nelle preferite questa storia: Bloody Mordred, FeniceAzzurra e Orma_
Nelle ricordate: FeniceAzzurra
E nelle seguite: Arya Rossa, _Dracarys_, Fairyceltica, Orma_, Yuuki64.
Grazie a tutti voi sono riuscita a finire la prima parte di questa pazza avventura nei meandri del Regno di Macula Sanguinea. Non temete: non è finita, ci sarà una seconda storia. Le avventure di questi dieci ragazzi non sono ancora giunte al termine e non sono ancora stanca di raccontarle.
Ancora vi ringrazio di cuore per avermi sostenuta tutti voi, sia che siate recensori, sia che abbiate soltanto letto la storia.
Grazie di tutto cuore <3.
L0g1
 
 
  
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