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Autore: Blackvirgo    27/01/2009    2 recensioni
Dicono che il dovere sia l'inizio e la fine della vita di un Celestiale, che ogni Celestiale nasca per compierlo e che muoia solo dopo averlo portato a termine. E dicono anche che un Celestiale che non assolva il proprio dovere sia destinato a un tremendo castigo.
Una raccolta di side story/one shot autoconclusive incentrate sui personaggi di un mio racconto in fieri da anni.
@ capitolo 1: Pace:Zomurn sorrise alla scena, senza sarcasmo, senza ironia. “Forti sono i legami che uniscono i Celestiali,” mormorò con una nota di tristezza nella voce melodiosa.
seconda classificata al primo round (tatto) del concorso "Cinque Sensi" indetto da kiara_chan sul forum di EFP
@ capitolo 2: Ricordi:Hai ragione, Neera, pensò. il ragazzino che tu hai conosciuto è davvero in grado di stupirmi.
prima classificata al secondo round (vista) del concorso "Cinque Sensi" indetto da kiara_chan sul forum di EFP
@ capitolo 3: Baci:“Quel bacio era la somma di tutto quello che avevano passato durante gli anni assieme, dal momento in cui si erano conosciuti, fino a quel preciso istante.”
prima classificata al terzo round (gusto) del concorso "Cinque Sensi" indetto da kiara_chan sul forum di EFP
@ capitolo 4: Una storia... e molti modi per raccontarla:“A Kimi toccò sorridere, perché sapeva quanto fosse pericoloso raccontare quella storia davanti a Zomurn: sarebbe bastata un’intonazione sbagliata o un accento ambiguo e il temerario menestrello avrebbe rischiato di non poter raccontare più nulla nei suoi giorni a venire.”
prima classificata parimerito al quarto round (udito) del concorso "Cinque Sensi" indetto da kiara_chan sul forum di EFP
@ capitolo 5: La spada: “Respirare era annusare. Annusare era conoscere. Conoscere era capire.
prima classificata al quinto round (olfatto) del concorso "Cinque Sensi" indetto da kiara_chan sul forum di EFP
N.B.: cronologicamente parlando Ricordi viene prima di Pace, ma per esigenze del concorso e per il tentativo di renderle autonome ho pubblicato le storie in questo ordine. Spero che siano comunque piacevoli da leggere!
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Autrice: Blackvirgo
Fandom: originale
Genere: fantasy
Rating: VM14 (arancione)
Senso: vista
Titolo: Ricordi

Zomurn era in attesa di istruzioni. Era solo, nei suoi alloggi, e si sentiva in gabbia. L'Anziano voleva averlo vicino: non si sa mai, aveva detto. Gli erano oscuri i piani e gli accordi che l'Anziano aveva preso con quei Sacerdoti. Non credeva che avrebbero portato qualcosa di buono: non era ancora riuscito a scoprirne i dettagli, ma era sicuro che stessero confabulando su un qualche modo per liberare Dei e Demoni dal loro esilio.
Come se nessuno ci avesse già provato! O meglio: nessuno c'era ancora riuscito.
E c'era anche chi era morto per evitare che si facesse questo folle tentativo.

“Come Neera,” si disse.
Pensava a lei in ogni momento in cui la sua mente non era impegnata altrove.
Alla prima volta che l'aveva vista, quando si erano studiati a lungo, in silenzio, senza lasciar trasparire nulla. Non l'aveva trovata particolarmente bella in quell'occasione, ma aveva subito compreso di avere di fronte a sé un suo pari. E ne aveva avuto dimostrazione poche ore dopo, quando si erano incontrati nell'arena con le armi sguainate, sfruttando un'usanza antica, un tacito accordo che permetteva di evitare un matrimonio combinato sfidando a duello e uccidendo il promesso sposo o la promessa sposa.
Fra loro non era neppure servito prendere un appuntamento, chiamare dei padrini: era bastato guardarsi negli occhi. E incontrarsi, un'ora dopo il tramonto.
Neera aveva occhi bellissimi. Li rivedeva davanti a sé quando chiudeva i suoi, si rivedeva in loro ogni volta che la sua mente si abbandonava a quello sguardo chiaro, cristallino. Era una sensazione strana, come tuffarsi improvvisamente in acque gelide:  l'aria spremuta fuori dai polmoni e crampi che contraevano anche il cuore.
Non era mai stata una persona morbida Neera e neppure il suo corpo lo era stato: gli anni di allenamento per diventare una guerriera non avevano lasciato nulla di tenero in lei. Neppure il seno. Ma i suoi occhi, che potevano riversargli ghiaccio nell'anima, sapevano essere dolci. Sapevano essere teneri. Sapevano dissolvere quella patina di indifferenza e arroganza che lo alienava dal resto del mondo.
E quando non ci riusciva con lo sguardo, lo faceva con le parole, urlando, soffiando e graffiando. Come una gatta arrabbiata. E, nella sua mente, quello era il ritratto della femminilità: gli occhi che bruciavano, le guance rosse e le labbra strette.
Quando l'aveva avuta davanti, non lo aveva pensato. Aveva trovato irritante quelle sue sfuriate, quel suo prendersela a morte per qualunque cosa, come se ogni vicenda rappresentasse un modo di mettersi in discussione, di decidere se lei fosse una persona degna oppure no.
Ora avrebbe dato qualunque cosa per vederla di nuovo in quella posa da battaglie domestiche. O in attesa di una battaglia vera. O ancora mentre si allenava, mentre dormiva, mentre cucinava...
Gli era difficile richiamare alla mente un'immagine chiara di Neera.  Solo gli occhi erano sempre visibili, sempre presenti. Il resto era un turbinio di colori, senza luci e senza ombre. Solo tinte sgargianti, esuberante e prepotenti, proprio come era stata lei in vita. E forse era questo che era diventata dopo la morte: un essere senza forma, un'anima che non aveva più bisogno di chiudersi in un corpo, di chiudersi in mille inutili doveri.
Quel turbinio di colori lo faceva stare bene: si perdeva in esso e – al contempo – si ritrovava. Solo se stesso, senza inutili farmalità, senza inutili doveri.
Qualcuno bussò alla porta: senza neppure entrare gli comunicò il desiderio dell'Anziano di parlargli, Una questione urgente.
Il guerriero in nero si alzò, recuperò le sue armi e si incamminò, lasciandosi dietro quei ricordi pericolosi e portando con sé solo quei colori che nessuno avrebbe potuto vedere.

Stava scendendo le scale, lentamente, serio in volto, impassibile. Chi lo incontrava gli cedeva il passo o lo evitava direttamente. Ormai tutti sapevano che non era uno che facesse vittime a caso, per il puro gusto di sporcare di sangue la sua spada, ma la sua fama e il suo atteggiamento noncurante sembravano nascondere una minaccia. Come una belva assopita che non aspetta altro di essere risvegliata

Da quando aveva incontrato di nuovo Valzigor l'inquietudine che lo aveva accompagnato in tutti quegli anni sembrava essersi caricata di una furia che faceva fatica a controllare. Eppure doveva. Non poteva buttar via tutto per un qualcuno che... che aveva buttato via tutto senza alcuna remora. Anche la sua vita: si era fatto catturare. E lo avrebbero ammazzato. Dopo averlo torturato lentamente, crudelmente, nell'anima e nel corpo. Questo gli aveva detto l'Anziano: che era stato preso e affidato a Varaim. Il Maestro di Torture. E il suo nemico di sempre. Per lungo tempo solo Varaim l'aveva considerato un nemico: Zomurn si era sempre limitato a ignorarlo. Finchè non avvenne quell'episodio, quando Valzigor era poco più di un bambino e ancora suo allievo. Ed era stato sfidato a un duello impari e sleale. L'aveva trovato malconcio e ferito, incapace di parlare e di ricordare cosa fosse successo. Ufficialmente non era mai stato scoperto chi aveva ridotto così il ragazzino, ma sapeva chi era stato. C'era solo una persona in grado di portare qualcuno vicino alla morte senza ucciderlo e senza farsi scoprire. E abbastanza impudente da attaccare l'allora figlio minore di un Generale.
Aveva portato il ragazzino a casa sua e Neera lo aveva aiutato a curarlo. Ricordava il pallore di Valzigor e i suoi occhi che parevano smisuratamente grandi su quel viso magro e tirato. E ricordava la rabbia di Neera che imprecava contro coloro che erano in grado di fare una cosa del genere. E la sua delicatezza nel curare un bambino che non era suo. “Così questo sarebbe l'allievo che non è all'altezza del maestro,” aveva commentato, china su di lui. “Secondo me, un giorno, ti stupirà.” Era stata profetica. E non c'era da stupirsi: i suoi poteri captavano il tempo, gli avvenimenti, la verità sul passato e gli stralci sul futuro. Poteva evocare immagini chiare come la luce della luna quando focalizzava il suo potere su una domanda, ma anche l'istinto seguiva la stessa strada e più di una sua affermazione si era avverata nel tempo. Anche dopo la fine del suo stesso tempo.

Valzigor era stato catturato. Sollevato dal fatto che Selior e Raik fossero riusciti a scappare e che Kimi e Shahan fossero al sicuro, non aveva opposto una grande resistenza. Se non lo avevano ucciso subito era solo perché non avevano voluto farlo. L'avevano condotto a quella che pareva l'entrata posteriore di un tempio e poi giù, per le scale, fino a una sala circolare illuminata da numerose torce. Il fumo che aleggiava nella stanza pareva avvolgerla in un'atmosfera illusoria, una nebbia sporca e irrespirabile che pareva celare solo minacce.
Una voce nell’ombra, una voce gutturale, ordinò: “Portatelo qui. Spogliato.”
Valzigor rabbrividì quando riuscì a vedere chi aveva parlato, ma nello stesso tempo tirò un sospiro di sollievo: conosceva la fama di Varaim come maestro di brutalità quando si trattava di interrogare o torturare i prigionieri, ma avrebbe temuto molto di più avere davanti Zomurn. Aveva  già dato per scontato che non sarebbe uscito vivo da quella situazione, ma almeno il suo carnefice non sarebbe stato il fratello che era stato il suo maestro. Colui al quale era legato da un legame incancellabile, fatto di ammirazione, di affetto, di odio. Presente anche quando avrebbe voluto reciderlo.

Mentre i suoi carcerieri eseguivano gli ordini e lo appendevano per i polsi a una catena che scendeva dal soffitto, Varaim gli girava attorno mentre la sua frusta tagliava l’aria con pittoresche coreografie. I suoi occhi erano avidi – famelici – come un pittore che davanti alla tela bianca si raffiguri il quadro che sarebbe diventato, frutto del suo lavoro.
“è da parecchio tempo che non ci vediamo, Valzigor,” disse, sorridendo maligno, mentre le guardie li lasciavano soli. “Ma ora possiamo recuperare il tempo perduto.”
Valzigor non rispose.

La frusta sibilò nell’aria per poi colpire con uno schiocco la sua schiena.

“Hai imparato bene il silenzio, durante l’addestramento,” disse Varaim. “Ed evidentemente certe lezioni rimangono impresse anche dopo anni di diserzione.”

La frusta colpì per la seconda volta.

I Celestiali hanno memoria lunga, pensò Valzigor. E, di solito, preferiscono non dimenticare.
“Come ti trovavi fra gli umani? Li sentivi simili a te?” Lo beffeggiò Varaim avvicinandosi e mozzandogli il respiro con un pugno nello stomaco. “Credi forse che non riuscirò a sapere tutto quando avrò finito con te?”

Quarta frustata.

Valzigor iniziò a attuare quel piano folle che aveva iniziato a comporre nella sua mente dal momento in cui lo avevano catturato. Conosceva bene le regole del clan: l'aveva abbandonato, ma si sentiva ancora vincolato da quella legge che metteva il bene del clan al di sopra di tutto e di tutti. Era da molto tempo che viveva con gli umani, ne aveva addrittura sposata una. E quando era tornato al clan – e ancora si chiedeva perché avesse risposto a quella specie di appello – aveva portato via un bambino da una guerra. Era nato per essere suo fratello minore, ma l'aveva cresciuto come se fosse stato suo figlio. Il clan non avrebbe dovuto saperlo. Solo Zomurn lo sapeva, ma aveva giurato di non rivelarlo. E finora non lo aveva fatto.
Non poteva essere lui a cedere, a rivelare il suo segreto... avrebbero creduto Kimi figlio suo e di Shahan – un bastardo mezzosangue – e lo avrebbero portato a Syamal solo per farne uno schiavo. Sempre se Syamal era sopravvissuta a quella maledetta guerra.
Sempre che qualcuno non rivelasse che Kimi era un celestiale. E a quel punto lo avrebbero fatto diventare uno di loro. Non poteva accettarlo.
Era giunto il momento di cancellare i suoi ricordi per garantire un futuro a Shahan e Kimi. Un futuro pacifico per lo meno. La felicità l'avrebbero costruita senza di lui.

La frusta di Varaim scandiva il tempo come la sabbia della meridiana, come un pendolo, ritmico, preciso. Una frustata, due e tre. Una domanda e nessuna risposta. E di nuovo: una frustata, due e tre. E il gioco continuava.

Per Valzigor era giunto il momento di fare quel piccolo esercizio che veniva insegnato a ogni Celestiale il primo giorno di addestramento. Concentrare il suo potere – ogni suo potere – nella sua mente. Col rischio di distruggerla. Si insegnava ai bambini perché imparassero il dolore e capissero il pericolo che si celava nel potere.
E ora doveva usarlo, per farsi male, per morire conscio di aver fatto il suo dovere per proteggere coloro che amava.  Per distruggere pensieri così preziosi che nessuno avrebbe mai dovuto toccarli.

“Non hai neppure il coraggio di difenderti?” urlò Varaim, assestandogli un pugno nelle costole e ridendo mentre sentiva affondare la mano in maniera innaturale.
Valzigor strinse i denti, gemendo, incapace di respirare per un attimo che sembrò infinito e poi ricominciando, piano, mentre un dolore lancinante si accompagnava ad ogni inspirazione.
Ma non si diede per vinto: iniziò a usare ogni sua energia per arrivare a quello stato di concentrazione in cui neppure il dolore lo avrebbe disturbato, per poi cominciare a prendere ogni immagine, ogni sentimento, ogni desiderio o paura e chiuderla in uno spazio della sua mente. Lacrime di dolore gli rigavano il volto mentre mormorava un silenzioso addio alla parte più importante della sua vita: il primo incontro con Shahan, nella foresta, quando lui aveva percepito la presenza di un animale e si era ritrovato davanti una donna. I suoi occhi verdi e ciechi che erano stati uno specchio per la sua anima. La sua dolcezza, il suo senso pratico, la sua risata... lei con Kimi in braccio, Kimi che dormiva sereno, Kimi che mangiava di gusto. Kimi che piangeva in mezzo a una guerra ignorato dalla sua stessa madre.
No, si corresse Valzigor, non importa se siamo fratelli. Quella donna era mia madre, la madre di Kimi è Shahan.

Varaim continuava nei suoi attacchi con foga sempre maggiore, ignaro che Valzigor stesse facendo a se stesso molto più male di quanto lui gliene avrebbe mai potuto fare. Continuava a fare domande: perché aveva disertato, perché aveva traditoil clan… ma Valzigor non rispondeva.  Ogni silenzio era seguito da tentativi sempre più mirati di entrare nella sua mente, di leggere ogni suo pensiero, e poi dal sibilo della frusta che tagliava l’aria e  da urla – di dolore di Valzigor e di frenesia di Varaim.
Poi per un minuto nulla.
“Facevi il fabbro,” lo beffeggiò Varaim, “quindi sarai abituato al metallo infuocato!” E rise, mentre ricominciò la solita solfa: attacco mentale, tortura fisica e grida. Solo che la frusta era stata sostituita da un lungo coltello incandescente.

Valzigor faceva fatica a mantenere la lucidità, ogni energia era stata spesa per dividere la sua mente. Urlò di dolore, quando la lama incise le sue carni, ustionandole, tagliandole. E urlò di dolore quando – sfinito – quella scena di lui e Kimi e Shahan che giocavano nel prato di fronte alla loro capanna andò a finire insieme alle altre.
Ora doveva trovare solo il modo di distruggerle. In un colpo solo. Avrebbe fatto meno male. Ma non riusciva a decidersi: logorato dalla tortura fisica e mentale non poteva immaginare di morire senza di loro. Era peggio di un suicidio e, nonostante fosse un sacrificio indispensabile, gli riempiva il cuore di orrore.

Proprio quell'orrore che Varaim percepiva,  soddisfatto di esserne la causa, frenetico nel perpetrare nel suo atto di sfrenato sadismo.
“Non hai più difese, eh? La debolezza, ragazzo, è il primo nemico da sconfiggere,” lo beffeggiò, sondando la sua mente con la stessa delicatezza con cui la sua frusta e il suo coltello incandescente avevano accarezzato il suo corpo e causando al prigioniero l'ennesimo lungo spasimo di dolore

Fu allora che Zomurn entrò nella stanza delle torture.“Non hai ancora finito con lui?” chiese con una voce che tradiva disprezzo e orrore mentre Varaim gli lanciava uno sguardo tanto famelico da fare invidia a un predatore.

Valzigor mosse appena il capo, in uno degli ultimi bagliori di lucidità, a stento riconoscendo la voce.
Sul viso di Varaim invece si dipinse un largo sorriso. “Visto che bella preda abbiamo conquistato oggi? Un traditore che credevamo morto. È stato furbo a non farsi vedere per anni, ma il destino si compie per tutti. È scritto.”
“Non potevi ucciderlo in maniera più pulita?” chiese Zomurn, valutando con disgusto il corpo di Valzigor coperto di lividi, ferite sanguinanti e bruciature.
“Conosci le regole: i prigionieri di un certo valore vanno prima interrogati,” rispose l’altro, compiaciuto del risultato ottenuto.
“Ci sono modi più puliti per interrogare qualcuno,” commentò Zomurn, prendendo rudemente con una mano la faccia di Valzigor. È vivo, pensò. E la conferma gli venne proprio da Valzigor che aprì gli occhi per un attimo, con lo sguardo annebbiato e inconsapevole.
Come quella volta , da bambino, pensò il guerriero in nero.
“Ognuno ha i suoi metodi,” rispose Varaim, appoggiandosi distrattamente al muro.
Zomurn lasciò Valzigor, voltandosi per fronteggiare il suo interlocutore.
“Ma stavolta non c’è neanche stato gusto,” continuò l’altro imperterrito di fronte allo sguardo glaciale di Zomurn. “Non ha nemmeno tentato di difendersi… Che incapace!”
“E tu? Perché sei qui?” continuò Varaim, sospettoso. “Vuoi dare anche tu un’occhiata prima che lo finisca? O sei venuto per il colpo di grazia?”
“Cosa hai scoperto finora?” chiese Zomurn con voce fredda e tagliente.
“Non era riuscito a portare a termine la missione per cui aveva lasciato Syamal e sì è lasciato convincere da un vecchio a rimanere in un villaggio sperduto. Da allora ha sempre lavorato come fabbro poi... il resto lo sai.”
“Fatti da parte,” gli ordinò Zomurn. Si concentrò un momento e, gentilmente, sondò i confusi pensieri che fluttuavano nella mente del fratello incosciente, pensieri che ruotavano attorno a un fulcro che appariva più compatto eppure più oscuro… e terribilmente fragile.

“Idiota,” mormorò Zomurn a denti stretti, ritirandosi in tutta fretta. Valzigor avrebbe protetto la donna e il bambino a tutti costi. Anche di distruggersi.

Hai ragione, Neera, pensò, il ragazzino che tu hai conosciuto è davvero in grado di stupirmi.

“Già,” convenne l’altro, fraintendendo completamente il senso di quell’affermazione. “Ma si sapeva che non è mai stato un gran che. E avrebbe anche potuto sfruttare meglio la fuga dal clan invece di limitarsi a fare l’umano,” concluse con risata spregiativa.
Zomurn gli scoccò un’occhiata minacciosa, ma l’altro non ci fece caso e proseguì imperterrito: “Allora? Che ne dici di rendere giustizia a questo traditore?”
Zomurn fremette nel sentire l’ultima frase.
“Quale giustizia, Varaim?”
“La nostra, mio caro Zomurn. Ne conosci un’altra?”
“Parlare di giustizia qui mi pare fuori luogo,” rispose il guerriero in nero, continuando a osservare il corpo martoriato del fratello.
“Chiamala come vuoi: esecuzione va benissimo per quel che mi riguarda.”
“Che oggi non avverrà,” gli sibilò Zomurn.
“Stai per caso cercando di mettere in discussione la legge?”
“No,” rispose Zomurn. “Non mi piacciono le cose a metà: io sto mettendo in discussione la legge.”
Varaim riprese il suo atteggiamento aggressivo, di nuovo impugnando le sue armi in maniera più decisa.  
“Perché siamo stati mandati qui, Varaim? Sai rispondere a questa domanda?” Chiese Zomurn, osservando i movimenti dell’altro, senza perdere la calma: se il suo avversario lo avesse caricato non avrebbe potuto schivarlo, pena lasciare che finisse Valzigor.
Ma Varaim, pur roteando le sue armi come se fosse pronto a combattere, si fermò a rispondere: “Perché siamo i migliori.”
Zomurn lo travolse con un attacco per poi spostarsi e lasciare Valzigor al di fuori dell’imminente combattimento.
“E chi verrà a vendicare la tua morte?” Chiese Zomurn, con un sorriso.

“Avanti, Varaim! Non ti piacerebbe morire qui?” Lo beffeggiò il guerriero in nero. “È pur sempre meglio in battaglia piuttosto che di sete o di fame, non trovi?”
Varaim lo attaccò e l’altro lo schivò.
“Perché mi parli di ordalie? Io non ho mai tradito nessuno,” dichiarò il Maestro di Torture con un ruggito.
“Neppure il tuo comandante?” incalzò Zomurn.
“Non è ai comandanti che noi giuriamo fedeltà!” rispose, parando il colpo di Zomurn con il coltello e cercando di nuovo di colpirlo con la frusta. Ma non fu abbastanza lesto per parare una seconda lama, come apparsa dal nulla.  Varaim lasciò cadere il coltello con un ruggito e di nuovo tentò di colpire Zomurn con la frusta, ma il guerriero in nero parò il colpo con la sua spada e lasciò che lo scudiscio vi si avvolgesse attorno.
Ricordava Varaim più forte. O forse stava sottovalutando la ferocia con cui lui stesso stava combattendo.
Il Maestro di Torture tentò di liberare la sua arma, ma Zomurn la trattenne con una mano guantata: non aspettava altro che di costringere il proprio nemico su un terreno che gli era molto più congeniale della battaglia nuda e cruda. Una guerra fra menti, ecco cosa voleva.
Varaim si preparò agli attacchi di Zomurn, ma questi lo stupì: non lo stava attaccando, gli stava solo mostrando una serie di immagini…Valzigor bambino ferito e malmenato, altre torture che erano state compiute sui nemici o sugli alleati che erano stati ritenuti inetti. E poi una grotta e un rituale: tredici persone contro una guerriera, una battaglia impari per chiunque – anche per il più forte – un sacrificio decretato dal clan contro chi aveva messo in discussione le sue leggi.
E quando la guerriera era caduta Varaim l'aveva legata e poi, uno a uno, erano usciti, lasciandola sola, senza cibo, senza acqua. “Ti torneremo a vedere tra tredici giorni,” aveva detto l'Anziano prima di abbandonarla a morte certa. “Se ti troveremo ancora viva, la ragione sarà dalla tua parte e la legge verrà cambiata.”
Zomurn odiava pensare che l'ultima cosa che Neera avesse sentito fosse stata la risata di Varaim e l'ultima cosa che aveva visto fosse stato quel viso maligno, ripugnante.

Varaim non capiva perché Zomurn gli stesse mostrando quelle immagini, senza attaccarlo, senza muoversi: lui c’era, sapeva bene quello che era successo… perché mai…? Poi capì quello che non andava: Zomurn non era stato presente e lui non avrebbe dovuto sapere…
Improvvisamente gli occhi di Varaim si dilatarono per il terrore e cominciò a tremare, non solo per i sentimenti – evidentemente non i suoi – che quelle scene gli stavano procurando: aveva sempre ritenuto Zomurn un suo pari, ora si rese conto che aveva fatto male i conti.
Tirò di nuovo la frusta per riprenderne il controllo e per attaccare il suo nemico.
Zomurn non lo ostacolò neppure e si fermò a osservare la scena che iniziò a consumarsi sotto i suoi occhi: la frusta, trasformatasi in un serpente, si avvolse attorno al suo stesso padrone e iniziò lentamente a stritolarlo e a dilaniarlo. Zomurn allora si concentrò solo sulla mente dell’altro, la afferrò e la chiuse in una morsa micidiale. Solo una volta allentò la presa per inviare mentalmente un’immagine a Varaim finché questi avesse ancora un bagliore di discernimento per capirla – e per rabbrividire – prima che la vita lo abbandonasse.
L'immagine di uno scheletro disteso sulla nuda pietra e di un guerriero che piange al suo fianco. Un'immagine che era un turbine di colori: il nero dell'odio e il rosso della rabbia.  L' azzurro dell'oblio e il bianco della morte. E due occhi chiari e freddi come l'acqua di sorgente che gli fecero sentire il freddo della morte prima di morire.
Comunque troppo in fretta, pensò Zomurn, accarezzando gli anelli che portava appesi al collo.

Zomurn si voltò e liberò Valzigor dalle catene, il quale si accasciò privo di sensi addosso al fratello. Un’altra immagine aleggiò solo per un attimo nella mente di Zomurn, la stessa che aveva mostrato a Varaim prima che morisse. Ma non aveva tempo di indugiare.
“Valzigor!” Lo chiamò e il fratello aprì di nuovo gli occhi con lo sguardo annebbiato e inconsapevole. Stava male, troppo male. Doveva portarlo via da lì.

Si alzò in piedi, prese il cadavere di Varaim e lo appese alle catene. Sapeva che la sua era solo una mossa simbolica, ma vederlo a quei ceppi che lui amava tanto mettere agli altri portando i segni della sua stessa – che nel frattempo era tornata una semplice arma ma gli era rimasta avvolta addosso –  riempì il cuore di Zomurn  di amaro divertimento.  Ma solo per un attimo: in quel momento aveva cose più importanti a cui pensare.
Raccolse gli indumenti di Valzigor e li usò per coprire il fratello alla meno peggio. Poi si concentrò per dissolvere la materia di cui erano fatti e per ricomporla in un altro luogo, distante solo un attimo.
Tra le braccia teneva Valzigor, ora come allora, ferito e sanguinante. Non ci sarebbe Neera a curarlo questa volta. Non ci sarebbe stata Neera ad arrabbiarsi per tanta crudeltà gratuita, per regole che non avevano un senso solo finchè si viveva dentro il clan e che lo perdevano appena se ne usciva.
Neera non c'era più. Zomurn si era vendicato. Per se stesso, avrebbe detto, ché la vendetta non è per i morti, ma per i vivi.
E, ora come allora, aveva un fratello da salvare. E non aveva più tempo per indugiare sulle immagini di un tempo lontano.



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