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Autore: Betta7    07/08/2015    4 recensioni
La ragazza S. e il ragazzo A.
Il Destino è un mistero che ci avvolge completamente nelle sue mani e, tra due anime affini, niente può fermare il corso dell'Amore.
" Non riuscivo a pensare lucidamente e, anche se era piuttosto stupido e alquanto imbarazzante, non riuscivo neanche ad immaginare quanto sarebbe stata bella.
Stringevo tra le mani il pacchetto con la rosa all'interno e, riflesso su di esso, vidi Sana scendere dalle scale.
Mi sembrò che il mio cuore si fosse fermato e che, improvvisamente dopo qualche secondo, avesse ripreso a battere. "

" Appoggiai di nuovo la testa sulla sua spalla e mi lasciai portare da lui, e mi resi conto in quel preciso istante dell'enorme fiducia che riponevo in quel ragazzo.
Eravamo amici-nemici, da sempre, eppure non avrei affidato la mia vita in mano a nessun altro. "

Dopo University Life, un'altra storia su un rapporto ai limiti dell'impossibile, un passo separa l'Amicizia e l'Amore.
Ma il Destino sa sempre cosa fa.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Aya Sugita/Alissa, Natsumi Hayama/Nelly, Sana Kurata/Rossana Smith, Tsuyoshi Sasaki/Terence | Coppie: Sana/Akito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 3.
PORTAFORTUNA.

Pov Akito.

In casa di Sana c'era una gran confusione, persone che entravano ed uscivano per ammirare il suo salotto. I tavoli erano pieni di cose da mangiare e avevo sentito persino qualcuno farle i complimenti per la sua cucina.
Anche quella, opera mia.
Gironzolavo nervosamente in mezzo a tutta quella gente, la mano sinistra nella tasca che stringeva forte la chiave che Sana mi aveva dato, e l'altra con il terzo bicchiere di vino. Stavo cominciando a sentirmi su di giri, ma non rischiavo sicuramente di sentirmi male perchè conoscevo bene i miei limiti ed ero ancora ben lontano dal superarli.
Vidi che la cucina era vuota e mi ci fiondai, in cerca di un po' di tranquillità, ma sapevo benissimo che non sarei mai stato così fortunato da rimanere solo per almeno cinque minuti, perchè Tsuyoshi si comportava come se stesse impazzendo per dirmi qualcosa.
Quando lo vidi entrare in cucina dietro di me sbuffai e versai altro vino nel mio bicchiere, forse avrei potuto attutire la pesante conversazione con il migliore amico di un uomo, l'alcol.
«Allora... carina la casa, no?».
«Molto. Se solo Sana avesse mosso un dito per renderla tale.»
Tsuyoshi rise e io, uscendo la mano dalla tasca, per sbaglio feci cadere la chiave. Mi maledissi mentalmente per la mia distrazione, mentre Tsu si abbassava a raccoglierla da terra.
«E questa cosa sarebbe?»
«La chiave di casa di Sana. E non cominciare con la solita predica, non sono dell'umore adatto!»
Tsuyoshi abbassò lo sguardo e fissò per un paio di secondi la chiave che aveva tra le mani, incerto su cosa dirmi e soprattutto come dirmelo.
«Io ho smesso di fare le prediche, Akito, ma questa chiave non è sicuramente fine a se stessa, sappilo.»
Odiavo quelle frasi criptiche, e lui lo sapeva benissimo. Lo faceva per incuriosirmi, per farmi sviluppare una serie di domande a cui non avrei mai trovato risposta, quindi mi induceva a trovarle nelle sue parole.
Se non fosse stato mio amico, probabilmente avrei dovuto pagarlo per tutte quelle sedute di psicoanalisi a domicilio che mi riservava. Lo incitai ad andare avanti.
«E' un segnale, Akito. Ti sta aprendo la porta non solo di casa sua.»
E quello cosa significava? Il mio primo pensiero, lo ammetto, non fu certo casto, ma immediatamente scacciai quell'immagine, non potevo lasciarmi distrarre dai miei pensieri... particolari su Sana.
«Alcune volte mi domando perché dopo tutti questi anni ancora perdo tempo ad ascoltare le tue frasi senza senso sul mio rapporto con Sana. Sempre questi giri di parole! Per una volta non potresti parlare in maniera diretta, senza che io sia costretto ad interpretare i tuoi deliri? Se hai qualcosa da dire, fallo senza girarci troppo intorno.»
Tsuyoshi prese a guardare per terra, destabilizzato dalle mie parole, ma in realtà l'unica cosa che volevo era che mi spiegasse e soprattutto che mi aiutasse, perchè da solo non potevo farcela, non con una situazione come quella tra le mani.
«E’ una vita che cerco di dirti come stanno le cose in maniera più o meno esplicita, ma tu non vuoi capire e soprattutto non riesci mai a parlare di Sana senza andare di matto.
Comunque la verità è sempre e solo una: lei è innamorata di te, ma sai che è tarda e non riesce a capire nemmeno se stessa. Quindi il mio consiglio è solo uno, prendi coraggio e fai la prima mossa, altrimenti ti ritroverai tra qualche anno senza Sana, semplicemente perché qualcuno che si fa meno pippe mentali di te e la porterà via.»
Abbassai lo sguardo anch'io, rigirandomi tra le mani la chiave dell'appartamento.
«Ci penserò su, magari questa chiave sarà il mio portafortuna.»


*

La gente cominciò lentamente ad andarsene, per ultimi Tsuyoshi e Aya insieme a Fuka e al suo ragazzo che mi aveva dato l'impressione di essere un mezzo psicopatico. Entrambi erano stati accettati da un'università poco lontana da Tokyo, e quindi non ci avrebbero fatto compagnia per i prossimi quattro anni. Poco male, almeno non avrei avuto Fuka a dare consigli a Sana per qualsiasi cosa, perchè non mi fidavo del suo giudizio, considerato anche l'elemento con cui stava attualmente.  
Anche se dovevo ammettere che il ragazzo di Fuka era la persona più normale del mondo se rapportato a quella sottospecie di troglodita che stava con mia sorella e che, da quando erano arrivati, non aveva fatto altro che bere e trovare ogni scusa possibile ed immaginabile per andare via, a fare… Dio solo sa cosa. Quel ragazzo non mi piaceva, si vedeva ad un miglio di distanza che voleva solo portarsela a letto. Avevo cercato di parlare con Nat, ma dopo l’ultima volta in cui avevamo seriamente litigato e non c’eravamo parlati per una settimana, avevo deciso di non intromettermi più.
Quando Sana chiuse la porta e si girò, mi vide ancora lì e sobbalzò. «Come mai non sei andato via anche tu?» domandò mentre raccoglieva bottiglie varie.
«Ti aiuto a mettere a posto, genia. C'è un casino qua dentro.»
In realtà non volevo andarmene per niente, erano gli ultimi momenti che avrei potuto passare con lei per almeno una settimana, perchè dovevo prepararmi per prendere l'abilitazione per diventare maestro e, con Sana nei paraggi, non avrei potuto di certo concentrarmi.
Sembrava che al buffet fossero passate delle cavallette, non era rimasto niente, neanche un piccolo pezzo della famosa torta crema  e cioccolato della signora Shimura. Io e Sana non eravamo riusciti a toccare cibo, ma la cosa che mi dispiaceva di più era non aver potuto brindare da solo con lei. Mentre ero ancora indaffarato a toglier bottiglie vuote di vino pregiato, sentii Sana che mi chiamava dalla cucina, quando entrai la trovai seduta sulla penisola con in mano un piatto con un’enorme fetta della nostra torta preferita e vicino due calici con dello champagne.
La guardai e mi avvicinai, sedendomi accanto a lei, e mi passò una forchetta.
Quando ormai la torta stava per finire, per evitare che mangiassi l’ultimo pezzetto, Sana si avventò sulla mia mano e morse le mie dita per rubarmelo e, sentendo la sua bocca sfiorarmi, dovetti fare affidamento su tutto il mio autocontrollo per non sdraiarla su quella penisola e dare vita a tutte le mie fantasie.
Mi allontanai da lei con la scusa di dover togliere le ultime cose dal tavolo. Lei mi seguì, si tolse le sue scarpe tacco dodici e si buttò sul divano.
Mi voltai a guardarla.
Il petto si alzava e abbassava piano, i capelli le ricadevano scompostamente sul viso e aveva le guance rossissime. Aveva ancora qualche traccia del trucco, un ombretto scuro che rendeva i suoi occhi ancora più magnetici e un rossetto rosso che, però, si era un po' consumato durante la serata.
Era bellissima.
Dopo essermi asciugato le mani la presi e sperai che non si svegliasse, la portai a letto e le rimboccai le coperte.
Ero indeciso se stendermi vicino a lei, temendo che la mattina dopo avrebbe dato di matto trovandomi nel suo letto, ma alla fine non riuscii comunque a separarmi da lei e, dopo essermi tolto la camicia, mi addormentai accanto a lei.


Pov Sana.

Mi svegliai di soprassalto durante la notte, e non rimasi meravigliata di trovare Akito che dormiva accanto a me, doveva essere esausto anche lui dopo tutto quel lavoro.
Notai solo in un secondo momento che non portava la camicia, prima di allora l'avevo visto solo al mare a petto nudo, quindi rimasi per un secondo a fissarlo. Era probabilmente ciò che la gente comune chiama perfezione.
Mi girai di spalle, per non guardarlo più, ma ottenni la reazione contraria: tutto il mio corpo voleva che mi avvicinassi a lui. Cercai di combattere quell'impulso ma non c'era niente da fare, era più forte di me, quindi mi girai e mi accoccolai sul suo petto, inspirando il suo profumo di colonia da uomo e... profumo di Akito.
La mattina dopo, quando mi svegliai, Akito dormiva ancora profondamente ed io mi soffermai a guardarlo alla flebile luce del giorno e mi ritrovai a pensare che mi sarebbe piaciuto poter usare Akito come cuscino. Decisi di scacciare quel pensiero e tentai di alzarmi il più piano possibile per non disturbare il suo sonno, ma il mio piano fallì miseramente, perché notai due occhi color ambra che mi stavano fissando. Restammo dei minuti a guardarci, poi Akito decise di rompere qual gioco di sguardi dicendomi che doveva andare a casa perché aveva bisogno di una doccia.
Un sorriso compiaciuto nacque sulle mie labbra, gli intimai di chiudere gli occhi e lo portai all’interno della cabina armadio. Quando gli diedi il permesso di guardare lui restò esterefatto, notando che avevo acquistato delle tute per quando sarebbe rimasto da me. Gli dissi che mentre io facevo la doccia poteva andare a comprare i cornetti. Quando rientrò io ero già in cucina a preparare il  cappuccino, abitudine presa durante un mio viaggio di lavoro in Italia, e una spremuta.
Mi sentivo un po' in uno di quei vecchi film americani, dove la ragazza indossa la camicia del fidanzato e gli prepara la colazione con pancakes e sciroppo.
Akito fece capolino in cucina circa dieci minuti dopo, con la tuta grigia che gli avevo comprato  e di cui, stranamente, avevo azzeccato misura e colore.
«Buon giorno, Hayama. Cappuccino?»
«Chi sei tu, e cosa ne hai fatto della mia amica?» rispose mangiando un pezzo di uovo che gli avevo messo davanti.
«Te l'avevo detto che non sono così male come cuoca».



*

Ormai era passata una settimana, Akito non si era più fatto sentire in vista dell'incontro importante a cui doveva sottoporsi. Ero così fiera di lui, così contenta che finalmente, dopo tanto tempo, fosse riuscito a portare termine un percorso che gli era costato fatica e moltissima dedizione.
Presi il telefono, mentre ero alle prese con casa mia che lentamente decideva di cadere a pezzi in assenza di Akito, e lo chiamai.
«T'avevo detto di non chiamarmi, Kurata.». Rispose così, e già la conversazione si rivelava più difficile del previsto.
«Come vanno gli allenamenti? Ti senti pronto?»
«Andrebbero meglio se non mi avessi disturbato in realtà, ma sono contento di sentirti. Come te la passi senza di me?»
Era proprio quello il punto a cui volevo arrivare.
«A proposito di questo.... non è che potrei venire a vederti domani? E' un incontro troppo importante e voglio esserci! Ti prego!».
Sfoderai tutte le mie doti da bambina capricciosa e, dopo non pochi tentennamenti, acconsentì a farmi andare in palestra ad assistere.
«Solo una cosa: indossa i jeans, non permetterti a venire con una gonna. Lì dentro è pieno di maschi che sarebbero pronti ad alzarla nel giro di dieci secondi.».
Dopo le paranoie per la mia sicurezza chiuse la chiamata, dicendomi che doveva allenarsi, e ci salutammo dandoci l'appuntamento per il giorno dopo.


Pov Akito.

Sana, ovviamente, non aveva seguito le mie direttive e si era presentata con un vestito, non troppo corto, ma mai una volta che facesse ciò che le dicevo.
Dovevo essere concentrato al cento per cento, invece ogni volta che schivavo un colpo, vedevo quelle benedette gambe nude sugli spalti e mi veniva il vuoto allo stomaco.
Avevo battuto tutti gli avversari che mi erano stati assegnati quel giorno e, stranamente, la presenza di Sana in un certo qual modo mi confortava.
Prima dell'inizio dell'esame era venuta nello spogliatoio, non curandosi nemmeno delle decine di uomini nudi che avrebbe potuto trovarci, mi aveva abbracciato e mi aveva detto «Stai tranquillo, sei bravissimo, e non uccidere nessuno solo perchè ci prova con me, so badare a me stessa.»
Facile a dirsi, difficile a farsi.
Il successivo candidato era Takeijo Shinatsu, quel deficiente che aveva fatto apprezzamenti su Sana e che era stato gentilmente cacciato via da casa mia.
Dopo l'inchino di tradizione, ci mettemmo in posizione e l'incontro iniziò.
«Vedo che anche oggi sei accompagnato dalla bella rossa, cos'è.. siete fidanzati?»
Cercavo di non ascoltarlo, ma le sue parole mi deconcentravano e capii immediatamente che era proprio quello il suo intento.
Avrebbe fallito.
Diedi un colpo ben assestato, ma non bastò a buttarlo a terra.
«E' davvero una ragazza... appetibile.». Disse quella parola come se avesse voluto davvero mangiare Sana e solo il pensiero mi disgustava profondamente.
«Penso che qualsiasi ragazzo la consideri una preda.»
Calmati, Akito...
«Io, di sicuro, si. Mi piacerebbe scoprire cosa c'è sotto quella gonna.»
Respira, Akito...
«Sono sicuro che si divertirebbe molto con me.»
Devi resistere, Akito...
«Ma almeno te la sei scopata?»
Era troppo.
Diedi un colpo più forte di quanto avessi potuto fare, l'arbitro comunque non si accorse della potenza del calcio e non mi penalizzò in alcun modo, ma il ragazzo di fronte a me cadde di colpo a terra e l'incontro fu decretato terminato.
Mi abbassai, abbastanza vicino da potergli parlare all'orecchio, e appoggiai una mano per terra per tenermi in equilibrio.
«Non me la scopo, e tu non provare neanche a pensare di avvicinarti a lei... non te lo consiglio se non vuoi ritrovarti paralizzato dalla testa ai piedi.»
Dettò ciò mi alzai, strinsi la mano all'arbitro e ai ragazzi della palestra e mi diressi verso il mio maestro, che mi avrebbe dato il mio atteso certificato di abilitazione.
Finalmente ce l'avevo fatta, e tutto grazie a Sana. Mi pentii di non averla fatta assistere ad altri combattimenti, ma forse era stato meglio non rischiare.
Tuttavia, quando corse ad abbracciarmi per congratularsi con me, il rimpianto fu ancora più forte.
«Sei il mio portafortuna, Kurata.» dissi mentre la stringevo ancora di più a me.
E lo era davvero, perchè la forza di vincere quegli incontri me l'aveva data lei e non avrei saputo come ringraziarla.
«Sei tu che sei stato grandioso, io ho solo pregato un po' i Kami per te!».
La feci girare per tutta la palestra, mentre tutti probabilmente pensavano fossimo una coppia.
Dovevo ammettere che, anche se tutto si era limitato ad un breve momento, quella sensazione non mi dispiaceva affatto.







Puntuale come al solito, ecco a voi il terzo capitolo.
Piccola comunicazione di servizio: il 12 agosto partirò per le vacanze, ma i capitoli saranno postati dalla mia Beta, Dalmata, quindi non preoccupatevi.
Tornerò il 29, per poi ricominciare a scrivere perchè con la stesura sono ferma al capitolo 9. Spero che continuerete ugualmente a seguirmi, vi lascio in buonissime mani!
Ps: controllerò ugualmente le recensioni e, se mi sarà possibile, risponderò a tutti...
Un bacio e buone vacanze a me e a chiunque parta in questi giorni!
Akura.
   
 
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