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Autore: queenjane    11/08/2015    2 recensioni
Il punto di vista, intimo e privato, senza avventure, di Catherine Fuentes, una sorella di Oscar, già protagonista della long "The dragon and the rose", da leggere come storia a sé oppure spin off. Dedicata a, in ordine alfabetico, Amantea, per i suoi preziosi pareri, Tixit, per le svariate consulenze su varie idee, e Veronica Franco, che, con squisita gentilezza, suggerisce miti e quanto altro.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Oscar François de Jarjayes, Sorelle Jarjeyes, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Era il mese di agosto 1760, nel successivo settembre sarebbe stato il mio quarto anniversario di matrimonio, pochi anni, una vita, forse.
In alcuni segni vedevo il tempo trascorso, le bambine di Luoise erano cresciute, il Generale aveva il suo Erede,
Invece, alcune cose erano rimaste uguali, come la presenza di Marie, la governante di una vita,o il precettore dei miei tempi.
Di nozioni ne aveva a iosa, accompagnate da un temperamento aspro e sanguigno, con scarsa la pazienza.
  • Non ci siamo, Monsieur, da capo.
Ogni mancanza, vera o presunta, procurava una bacchettata sul palmo delle mani.
 
  • È una testa dura, la lingua troppo pronta, a dare retta chiede sempre il perché ed il per come di tutto- mi raccontò poi, mentre lo salutavo e l’erede andava a allenarsi, non so con quali risultati avrebbe stretto l’elsa.
Mio suocero era uno spadaccino di indubbia bravura e mio marito aveva imparato molto bene.
Anche il Generale era davvero bravo e, a metà mattina, mi godetti lo spettacolo di un loro allenamento, un piccolo intermezzo.
Movimenti fluidi, attacchi eparate, le varie posizioni, come una specie di danza.
Trattenni il respiro quando vidi che toccava a Oscar, provare con Xavier, lui sapeva come comportarsi, alcune volte, Felipe, il suo ragazzino si era misurato con lui.
Pochi minuti, la fronte stretta per la concentrazione e avrei scommesso metà della mia dote che il dolore al palmo era atroce, pure non fece una piega, sapendo che lamentarsi non serviva a nulla.
  • È bello, Tintagel, sul serio.
  • Lo so, ti piace?
Un piccolo cenno della testa, puntavi alle scuderie come un pezzo di ferro attirato da una calamita.
  • Gli ho portato una carota, posso?
  • Vai.
In genere era ombroso, si vede che le piaceva, oppure ….
  • Fammi vedere i palmi, per favore.
  • Io..
  • Voglio vedere, non ti picchio.
Obbedendo di malavoglia, li protendesti verso l’alto, erano una carta geografica di vecchi e nuovi segni, li vedevo,ma stavi a distanza di sicurezza, non volevi proprio farti toccare.
E io non avevo tempo o voglia di bizantine manovre, mi imposi di ricordare, saremmo stati alcune settimane e poi saremmo riandati in Spagna, io e i bambini.. lasciamo stare. Distanza per soffrire meno, una sciocca misura di cui ero conscia, pure …
Ero di ferro e pietra, niente doveva toccarmi, nulla sconvolgermi e sapevo di raccontarmi delle balle superlative.
Di sicuro, ti avevo “incuriosito”, di qui a stringere un legame di affetto ce ne correva.
Avevo un bel considerarmi dura, pure,quel pomeriggio venni a cercarti.
Era stato abbattuto Zephyre, il vecchio cavallo di Luois de Jarjayes, che poi avevo tenuto io ed era diventato, sempre più vecchio e stanco. Ti piaceva, perché era calmo e docile, peccato che fosse troppo malato per godere ancora di qualche tramonto.
Una giornataccia, dalle bacchettate a quella perdita.
Nessuna certa formula, un paio di tentativi e ci azzeccai, gli abbaini erano un fantastico nascondiglio.
  • Che volete?- con la tua solita malagrazia, se volevi andartene avevi tutto l’agio, i passi li avevi sentiti.
  • Da te, nulla, volevo delle cose in questi bauli, guarda, se hai voglia.
  • E sarebbe?
Petulante, eh, un rimprovero costante era che eri sempre sulla scia degli adulti, visto che bambini con cui giocare non ne avevi, le sorelle erano “femmine e figuriamoci se io….”, salvo prendere rimproveri e punizioni ogni tre per due, se un giorno non combinavi qualcosa, avresti rimediato il successivo o quello dopo, o poco dopo, con gli interessi,  senza fallo. Con il tempo avresti imparato a controllarti di più, una maschera di autocontrollo, salvo esplodere in trovate inopinate..

Sollevai il coperchio del primo baule, ecco i vari strati di stoffa e carta velina, la precisione regna sempre in casa di un generale, ogni cosa al suo posto ed un posto per ogni cosa.
Vari oggetti, una trottola, laccata, blu, con le stelle, un coltellino con il manico rosso, un soldatino, dei fasci di lettere.
E raccontavo dei miei giochi, da bambina venivo lì, organizzando private cacce al tesoro, attribuendo forme e storie alle nuvole che passavano sopra il lucernario, la soffitta un castello, l’interno di una nave, mentre l’orangerie era una foresta.
– Parlate tantissimo- con un sorrisino.
- E fuori … anche meglio, un sasso può essere una spada, le foglie un esercito, i boccioli dei fiori delle dame.. Comunque, sono cose che valuti tu- Pausa-
Questo è il mio posto speciale, insieme ad altri due o tre, guarda quelle nuvole.. Scendiamo, tra poco è ora di cena-
il Generale non era in casa, quando scappasti fuori ad affermare di essere stanco,prendimi in braccio.
Come no.
Avevo parlato fino ad avere la gola secca, avevi ragione, almeno ti avevo distratto, speravo, almeno un po’. Con uno scatto (certo, era la stanchezza), osservasti che potevamo scendere  E ti avevo preso in braccio, inutile smuovere altre persone.
-Siete strana, però siete simpatica- osservasti.
-Cioè? Spiegati un po’-
- Dicono che vi piacciono i libri, fate di testa vostra, ma a me siete simpatica-
Avevi origliato qualche discorso, dedussi, e mi vietai di approfondire, mi veniva da ridere.
-Scendi, sei davanti alla tua stanza..
- Grazie-
Senza guardarmi in faccia, la trottola tra le mani, ti vergognavi della tua uscita di poco prima?.
- Ma non ho l’obbligo di volerti bene.-
Giusto, non potevi smentirti e avevi ragione.
- Però hai l’obbligo di comportanti in maniera educata, questo sì, va bene-Io le avrei prese a dritto per quella sparata.
Poi e poi …
Ti incuriosivo, poco ma sicuro, spesso ho avuto la sensazione di un paio di occhi azzurri appuntati sulla schiena, una mera sensazione, che girandomi spesso non c’era nessuno.
Ti piaceva da morire salire su Tintagel, adesso mi permettevi di toccarti il minimo necessario per salire e scendere, un palmo sul ginocchio per sicurezza.
E ti faceva piecere quando osservavo te e Xavier in movimento, con le spade, una piccola rotazione della testa per avere conferma che ero lì.
Non dicevi nulla, sia chiaro, tranne che avevi cominciato ad aspettarti qualcosa.
Non è stata una decisione volontaria, ho agito per istinto e..
… ho iniziato a raccontarti le storie, una sera, che avevi fatto un volo per terra dall’altalena, la corda sfilacciata dalle altre pesti delle nostre sorelle, il pomeriggio ti eri presa una punizione per una marachella che avevano fatto loro, tua la colpa per principio.
Per distrarti, tranne che non hai l’obbligo di volermi bene, a volte non comprendessi il concetto, lo dicevi spesso, come una formula alchemica, per ricordare.
 
Ti riempivano di sincera meraviglia le origini dei Fuentes e la rocca che avevano costruito.
  • Abiti in un castello?
  • Sì, si chiama Ahumada, è sui Pirenei, la prima costruzione è del 738,qualche anno  dopo la battaglia di Poitiers, un punto strategico per le vie dei commerci e dei pellegrinaggi.
  • Un migliaio di anni fa,  e rotti, il titolo di marchesi fu  dato da Carlo Magno. Un Fuentes è entrato a Granada, al seguito dei  Re cattolici,nel 1492,  un altro è salpato con Pizzarro per conquistare l’impero azteco. Carlo V, il grande imperatore Asburgo, soggiornava sempre, recandosi in Spagna presso la rocca, amando cacciare in quelle foreste. Un Fuentes fu confessore di Filippo II, un altro viceré del Perù, altri due, padre e figlio, governatori di Milano …. accumulando titoli e fortuna..- Già, avevo preso un ottimo partito, come suole dirsi, all’epoca del nostro fidanzamento Xavier contava quattro anni più di me, era  un giovane uomo avido di gloria e avventure, come i miei cugini, altri gentiluomini di Versailles, boh…che aveva di differente? Non saprei, mi piacevano le sue origini. Soprattutto mi piaceva lui.
  • Lo spagnolo come lo hai imparato?- Un curioso miscuglio, alternavi il tu con il voi, l’araldica familiare ti divertiva di più ad apprenderla  da me.
Quel pomeriggio giocavi con una pallina di lana, il tempo era davvero bello ed eravamo in giardino.
La mia idea era di leggere qualcosa, eri spuntata, imprevista, annunciando che il precettore non stava bene e avevi del tempo libero (le tue giornate erano davvero fitte, tra scherma, equitazione, lezioni varie) e avevi delle curiosità.
  • Da mia nonna materna, Isabel, era di origini spagnole, giunta in Francia da ragazzina, imparentata con l’ambasciatore Castel de Rios, che .. Niente, mi ha insegnato la lingua.-
  • Racconta, dai,- Appoggiando la schiena contro la panchina, il fresco della fontana mitigava l’afa, era caldo anche per essere agosto, il cielo di puro smalto azzurro, una sfumatura che ho trovato solo in Francia.
Eri in fase di chiacchiericcio acuto e poi ero IO a parlare tanto, vero.
  • Va bene- chiusi il libro- Il mio bisnonno materno era imparentato con Castel de Rios, ambasciatore spagnolo a Parigi, che portò al re Sole, Luigi XIV, la notizia che il re di Spagna, aveva nominato suo erede Filippo d’Angiò,nipote, appunto, di Luigi. Fu allora che venne detta la frase famosa che non esistevano più i Pirenei, era l’anno 1700.
  • E l’anno dopo scoppiò la guerra di successione -  Inarcai un sopracciglio, è una constatazione storica o stai ironizzando?
  • Io farò il soldato-  Idee chiare, annotai tra me.
  • Bene, intanto fai l’equilibrista sul bordo della fontana.
  • Sì .. continua.- le braccia aperte e protese, due passi incerti e ..
  • Bada a..
  • .. non infilare in acqua, Oscar..-  Appena in tempo.
Silenzio e..
La prima volta in assoluto che ti ho sentito ridere di cuore, beccandomi un paio di schizzi.
  • Dai esci.- Mi tolsi la fusciacca che portavo sotto il seno, seta verde mare con piccoli ricami, un telo improvvisato.
  • Si sciupa.
  • Asciugati, un momento, dai e poi vai a casa.
Uscisti e poi via di corsa, sventolandola come un drappo, un nuovo modello di aquilone.
Mi piacerebbe anche a me,involarmi per aria, riflettendo sulla prossima incombenza.
.. Una delle mie cugine, del ramo Saint Evit, il casato di mia madre Gabrielle ha avuto una bambina una settimana fa.
Una sensazione dolce amara, siamo andati in visita, trattenendoci a cena, l’epiteto scelto era Cristina.
Mi sono complimentata, enunciando che era un bel nome, in effetti loè.. Tranne che la mia prima e unica figlia, morta dopo appena una settimana, aveva questo nome.
Pioveva, gocce sottili e fitte, osservate dalla finestra, le mani sotto le ascelle.
Pensando a Danae chiusa dentro la sua torre di bronzo, imprigionata da suo padre affinché non avesse figli e Zeus che diventò golden rain, scorrendo da ogni pertugio, ingravidandola, donando poi al mondo Perseo, che uccise la Medusa, che tutti tramutava in pietra.
Metaforicamente parlando, io mi ero auto chiusa in una torre e bambini.. lasciamo stare. Ero di pietra, forse?
Per distrarmi, quando un orologio battè le undici di sera, decisi di andare in cucina a prendermi qualcosa, sicura di non trovare nessuno, il mio signor marito in biblioteca con mio padre, conoscendoli sarebbero andati avanti per un po’ a parlare e..
  • Ciao. - Il tuo silenzio.
  • Vuoi qualcosa?- In risposta, un cenno di diniego e le spalle girate.
Un caso, di incrociarci nel corridoio, poi un sospetto.
 
  • La vuoi ora, una storia?
  • Non hai niente di meglio da fare?-
Il tonfo di una porta sbattuta.
  • Ascoltami bene e ascoltami adesso, questo non è modo di comportarsi e..
  • Ho sonno.- Buttando  le coperte e le lenzuola fino in cima alla testa.
  • Perché non sei venuta?
  • Ero a cena da mia cugina e .. mi spiace, scusami.
  • Tanto non ha importanza.- Invece per te ne aveva.
Mi sedetti sulla sponda, intanto la pioggia aumentava di intensità, cupi i rombi dei tuoni e dei fulmini.
  • Posso stare un po’ qui con te?
  • Fai tu, sei entrata senza permesso, che vuoi che sia- E tu mi hai sbattuto la porta in faccia, siamo pari, credo, pure glissai.
Poi scorsi un lembo verde mare, un pezzettino che spuntava dalle coperte tirate, un piccolo doppiere era rimasto presso il camino e illuminava, soffuso, la stanza.
  • Che ci fai con la mia fusciacca?
  • Ci dormo, no, cosa credi? Ha un buon profumo. - Il tempo di renderti conto di quanto detto e la seta mi è volata contro.
  •  Basta Oscar, per favore.. tranquillizzati- il temporale, la stanchezza, che avevi– Mettiti giù, cerca di dormire.
  • Non ho paura dei tuoni, dei lampi o del buio, sai. – Forse ti innervosiscono e basta, annotai dentro di me, osservando la postura rigida delle spalle.
  • Immagino..
  • Visto che .. racconta..
Alcuni hanno paragonato le gocce di pioggia a lacrime non piante, mi venne quel paragone in mente, ché mi veniva da piangere quando mi prendesti una mano, uno dei tuoi soliti cambi di umore.
  • Dai racconta. Continua con le avventure del dragone, su.. -
Quando finalmente dormivi, profondamente, osai fare quello che non mi avresti concesso da sveglia, di abbracciarti per un momento, almeno una volta.
   
 
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