Il
rutilante festino accenna forse a una conclusione? Chi lo sa. Non lo so nemmeno io che sono l’autrice.
Quinta
parte della mia fic medioc…vabbé, ormai lo sapete xD
A
fine capitolo ho scritto “qualche” appunto (ehm…a momenti sono piú lunghi della fic, mea
culpa. Sono troppo prolissa.)
• CAPITOLO 4 – Verso la fine dei
giochi?
Era scazzato. Scazzato e annoiato.
Stava entrando nella fase deprimente della sua sbornia, anche se ancora
gongolava per essere riuscito a tramutare la birra di Kojirō
in un ricettacolo di batteri. Il godimento che aveva provato mentre osservava
il pollo tutto intento a trincarsela beato era stato un qualcosa di trascendentale.
Ma adesso sentiva il bisogno impellente di inventarsi qualcos’altro per
pungolare un altro po’ quel burino, che come al solito
aveva avuto il coraggio di presentarsi con
una truzzissima maglietta blu e gialla dalle
maniche arrotolate fino alle spalle e dei jeans da straccione sdruciti alle
ginocchia. Puah. Genzō
si chiese se non si vestisse al buio perché anche il suo senso della moda, se
mai ne avesse uno, lo ripugnava.
E intanto, comunque, gli era venuta un’altra idea delle sue.
In quel
momento, Kojirō stava pensando piú o meno le stesse cose. Congratulandosi
con sé stesso per la bella sputazzata che credeva di
avergli aggiunto alla birra, si soffermó un attimo a
squadrare come cazzo si era vestito quel damerino: da
fighetto inamidato, come sempre. Ingessato nella sua giacca
di velluto grigio antracite a costine, nella camicia nera trendy
di Armani (o di
Cavalli, boh, che gliene fregava a lui degli stilisti)
e nei suoi jeans Richmond tenuti su da una cintura in
pelle very fashion, piú
naturalmente l’immancabile cappello Adidas, che girava
voce indossasse anche nelle docce. Un vero fagiano, insomma. Non
poté fare a meno di pensare che probabilmente con i soldi che aveva speso per
quella cintura griffata di non sapeva chi, lui ci si
sarebbe comprato minimo tre maglie. Si impose di
smetterla di rosicare e si concentró sulla
conversazione con Ken e Izawa,
finché non sentí il testadicazzo
pronunciare le fatidiche parole.
-Allora Matsuyama, sei contento di essere il
nuovo capitano della Nazionale?- Ahia, tasto dolente. A quella
domanda inaspettata e inopportuna di Genzō caló il gelo su un terzo della compagnia, perché il resto
era talmente sbarellato che non si ricordava neanche
di essere al mondo.
Hikaru per la sorpresa
risputó la birra nel boccale da cui stava bevendo e lanció uno sguardo impanicato a Kojirō che, giá schiumante
di rabbia, si era voltato lentamente verso il portiere valutando se cavargli gli occhi in loco o se farlo piú tardi in separata sede. L’attaccante, cercando di
riacquistare un tantino di autocontrollo,
trasse un profondo sospiro gonfiando i pettorali e se la sua maglietta tamarra fosse stata appena un po’ piú
aderente, probabilmente si sarebbe sbrindellata alla Hulk.
-Non credo di aver capito bene…- ringhió scandendo minacciosamente le parole con gli occhi
ridotti a due fessure, mentre appoggiava il mento su una mano e si metteva di
tre quarti verso il portiere per fissargli meglio quella bella giugulare
invitante, che in quel momento avrebbe azzannato tanto, tanto volentieri.
Non ci poteva
credere, allora voleva proprio essere picchiato. Il bastardo aveva
infranto il “patto del silenzio”, ma era troppo chiedergli un po’ di omertà, ogni tanto? La lingua proprio non ce l’aveva incollata, pensó
aggrottando la fronte e mostrando i canini.
A Misugi
(fino ad un attimo prima colto da un attacco di ridarella per aver visto Tsubasa che veniva montato da Tarō, mentre cercava di insucchiottargli
una porzione di collo) si spense il sorriso e tossicchió
imbarazzato, pregando che Hikaru si togliesse
d’impiccio con una risposta diplomatica e intelligente, senza dare corda al
malefico portiere che non si era neanche voltato a guardare Kojirō,
snobbandolo con la consueta disinvoltura.
La tensione
si tagliava con il coltello e nessuno fiatava. Le risate sguaiate, le grida
isteriche e le chiacchiere etiliche dei decerebrati seduti
dall’altra parte del tavolo sembravano giungere alle loro orecchie in sordina
come echi lontani e ovattati. E sí
che di casino ne facevano.
Matsuyama,
il carismatico uomo del Nord forgiato da allenamenti a temperature talmente
proibitive che manco in una cella frigorifera, in quel frangente non appariva
poi cosí carismatico e non sapeva che cavolo rispondere.
Poteva dire
sí (che poi era la veritá,
in fondo). Ma non era scemo e non aveva nessun
interesse a fomentare la collera dell’attaccante, poiché sussisteva l’alta probabilitá che, rispondendo cosí,
il suo istinto omicida per il momento focalizzato solo su Genzō
si spostasse anche su di lui. Sapeva che il suo orgoglio quel pomeriggio era
stato sbraciolato per bene, e giá
lo immaginava mentre gli annodava il collo abbaiando “allora dillo che non
aspettavi altro, pezzente”.
Oppure
poteva dire no, che era come ammettere che non gliene poteva fregare di meno di
essere il capitano, facendolo incazzare anche di piú e sferrandogli una stilettata forse ancora peggiore.
Hikaru
deglutì, soppesando velocemente quale fra le due alternative
sarebbe stata la meno deleteria per la sua salute.
Nessuna.
Perché
quando Kojirō aveva le palle girate, qualunque
risposta era quella sbagliata.
Ma il
buon Matsuyama doveva essere nato sotto una stella
fortunata, perché il miracolo avvenne e la cosa si risolse senza feriti. Stava
per aprire bocca, fregandosi probabilmente con le sue stesse mani, quando si sentí vibrare una tasca e, con gli occhi sbrilluccicanti dalla gioia, vi infiló subito una mano per recuperare il cellulare.
“Che culo” pensarono contemporaneamente
tutti quelli che stavano assistendo alla scenetta.
-Amore sei tu?!? Ma ciao!!! Che ore sono lí da te, marmottina?....ah, le
otto di mattina? Sí, qui è mezzanotte e mezza. Ma lo sai che mi manchi tantissimissimo?
- Fece Hikaru con gli occhi a cuoricino, in tono
melodrammatico e con voce quasi stridente, provocando conati di vomito agli
astanti specialmente dopo il “marmottina”. Si stavano
tutti chiedendo perché diamine quando parlava con Yoshiko
il 70% delle parole che uscivano dalla sua bocca dovesse
terminare con “-ina”. E poi non è che volessero origliare la sua conversazione, anzi, per non
rischiare il diabete mellito ne avrebbero fatto volentieri a meno, ma dire che
il ragazzo strillava peggio di un mercante in fiera era poco. –Come? C’è casino
perché sono in un pub con i ragazzi. Oggi? Ecco bé…abbiamo
perso l’amichevole, peró…- Hikaru
alzó ulteriormente il proprio tono di voce, mentre Misugi trattenne il fiato,
sperando che non dicesse quello che credeva stesse per dire. Era consapevole
del fatto che l’amico cambiasse quasi personalitá
azzerando cervello e dignitá quando c’era di mezzo la
sua adorata fidanzata. –…c’è una bellissima notizia birillina,
non ci crederai ma sai che sono diventato capitano? Síííí
sono tanto felice anche io!-
Les joeux sont
fait. Tutto quel tempo sprecato a scervellarsi per niente, pensó Misugi sospirando.
A Kojirō quasi caddero le braccia e
represse un moto di puro schifo, sbollendo all’istante. Tutte quelle smancerie gli
facevano cariare i denti e gli smorzavano ogni proposito bellicoso.
Lui, il
guerrafondaio della Nazionale, era decisamente
allergico a quelle cose.
“Mioddio, se divento cosí smieloso giuro che mi taglio le palle da solo” si disse Genzō, scuotendo il capo disgustato. A quanto pareva
la sua perfida domanda sobillatrice di violenza
sarebbe caduta nel vuoto, che peccato.
In quel
momento arrivarono altre birre, richieste da non-si-sa-chi-non-si-sa-quando
e la cameriera, che ormai li odiava tutti senza distinzioni, sbatté
sgarbatamente le loro ordinazioni sul tavolo trattenendosi per non tirargliele
in testa. Ishizaki si fece piccolo piccolo sperando che lei non lo notasse, cosa che, per sua
fortuna, avvenne.
Adesso sí che si sentiva una saracinesca al
posto delle palpebre, pensó Genzō
e, sbuffando, si stropicció gli occhi per riprendersi. Tutto secondo copione, dopo lo scazzo ecco ora anche l’abbiocco.
Ma, si disse impavido, mai e poi mai sarebbe crollato prima di Tsubasa, che era ancora bello arzillo
e seguitava a cantare angoscianti canzoni enka
assieme alla zecca; quest’ultima non era ancora riuscita
ad attaccarsi al suo collo soltanto grazie al provvidenziale salvataggio di un
misericordioso Takasugi che, interrotto il suo virile
duello a braccio di ferro con Jitō, gliel’aveva levato
dal groppone sollevandolo di peso. Non si capacitava, in effetti, di come mai i
molesti numeri dieci e undici non fossero stati ancora soppressi da quei due
energumeni di difensori che, di sicuro, non erano famosi per la pazienza
certosina.
Guardandosi
meglio intorno notó che un
gemello era collassato, ma non avrebbe saputo dire quale. A distanza di anni ancora nessuno di loro era in grado di distinguerli,
grazie anche al vizio che avevano di vestirsi e pettinarsi allo stesso modo.
-Ehi, Zanna
Bianca…come sta la tua metá?- Domandó
mezzo spalmato sul tavolo ormai con le palpebre a mezz’asta, rivolto verso
quello sveglio.
-E
non mi chiamare cosí, cagacazzo-
inveí il gemello ancora vivo, che era poi Kazuo il Fine –lo sai che non lo sopporto.-
-Appunto.- Replicó caustico l’altro, sbadigliando –Ti ho fatto una
domanda, quindi vedi di rispondere.- E che non rompesse,
non era mica colpa sua se non avevano mai voluto portare l’apparecchio ortodontico. Probabilmente si trascinavano dietro quel
nomignolo dall’asilo, li chiamavano cosí giá ai tempi della Hanawa; nessuno sapeva chi fosse il cabarettista che
l’aveva inventato, altrimenti sarebbe andato di persona a congratularsi con
lui.
-Boh,
è semisvenuto- disse Kazuo mentre sollevava dal
tavolo la testa del fratello tirandola per i capelli, aggiungendo in un sibilo
–che impedito…-
Genzō annuí e si strinse nelle spalle, pensando
sollevato che per quella sera non ci sarebbero state catapulte infernali ad
incombere sulle loro schiene. All’ultimo festino, ricordó,
stava quasi per mangiarselo quel gemello bastardo che si era fiondato sulla sua scapola.
Guardó
alla sua sinistra e vide il Triangolo Toho Kojirō-Ken-Takeshi immerso in
una fitta conversazione. Anzi, avevano quasi fatto
capannello, pareva volessero tagliare fuori il Resto del Mondo. “Ma che emigrassero” pensó
infastidito il portiere che, non trovando nulla di meglio da fare, si riattaccó al boccale e bevve qualche altro sorso, stilando
un rapido resoconto mentale di quel grottesco festino.
Bilancio
della serata alle ore 00.43
-Finti
sobri: 3 (Jitō, Takasugi,
lui)
-Veri
sobri: 2 (i soliti noti, Misugi e Schneider)
-Moderatamente
allegri: 6 (Izawa, Sōda,
Kazuo, Wakashimazu, Takeshi e Kojirō)
-Fuori come
dei balconi: 4 (la Golden Combi, Ishizaki, Kaltz)
-Coma
etilico profondo: 1 (Matsuyama, che dopo aver parlato
con la sua bella si era depresso perché erano lontani e si era attaccato al
boccale per dimenticare)
-Deceduti:
1 (Masao)
-Figure di merda totali: 3 (di cui ben due sue, pensó
mentre la pelle gli si accapponava, e una soltanto di Ishizaki)
A distrarlo
dai suoi calcoli intervenne per l’appunto quel bischero giulivo di Ryō, che in quel momento lo scavalcó
e si mise fra lui e Kaltz, attaccando a gesticolare col numero otto dell’Amburgo per farsi capire. Drizzó le orecchie per sentire, in tutta quella gazzarra,
che cavolo volesse da lui, osservandolo mentre agitava le mani per spiegarsi e
usava le dita per contare; quando, in mezzo a tutta quella mimica esagerata, captó le parole in giapponese –tu…dire…me…contare, uno due, tre, quattro- intese che voleva farsi dire come si
contava in tedesco. Si era proprio appassionato all’ostico idioma,
evidentemente.
-A te non chiederó mai piú niente- sibiló poi lanciandogli un’occhiataccia di sbieco, con il
tipico occhio a mezz’asta del beone (che, per inciso, aveva anche lui). Genzō fece spallucce, esclamando con aria sinceramente
indifferente -sai che dispiacere…- Uno scassaballe in
meno, si disse, e poi chiedere ad un madrelingua era
meglio.
Inaspettatamente, Kaltz capí
quasi subito cosa voleva e si mise a dargli corda, letteralmente berciando i
numeri e ridendogli in faccia senza tanti complimenti per la sua infima
pronuncia, anche se il poverino ce la stava mettendo tutta. Solo che Stecchino era talmente strafatto
che, arrivato all’otto, saltó direttamente al dieci (di
cui si era ricordato probabilmente perché era il numero di Schneider)
e da lí in poi fu tutto un susseguirsi di cifre a
casaccio, le prime che gli venivano in mente.
Forse fu da
quello che l’austero Kaiser capí che fosse giunto il momento di levare le tende. Lanció un’occhiata a Genzō,
che si era accoccolato con la testa sul tavolo e le mani sulle orecchie per non
sentire le urla dei due imbecilli che si stavano sgolando, e intuí che anche lui, come l’altro pirla,
doveva essere ormai arrivato alla frutta. Sbirció
l’orario e, vedendo che era quasi l’una, lo fece presente al portiere.
-Credo che
domani io e Kaltz diserteremo-
fece quello per tutta risposta. Schneider lo guardó con aria di sufficienza
e replicó, irreprensibile –non ci provare. Io vi
avevo avvertito di non ubriacarvi, perciò adesso sono cazzi
vostri. Se domani entro le sei e cinque non vi fate
vedere, verró personalmente a buttarvi giú dal letto.-
Genzō sbuffó e, scansando Ishizaki
che non la finiva piú di sbraitare numeri a vanvera, tiró un coppino a Kaltz per attirare la sua attenzione.
-Teliamo?
Tu sei cotto come una pera e quel rompiballe del tuo capitano mi sta stressando per mandarci a nanna presto.-
-Ma come?- Trasalí lui, con una faccia allucinante –E’ appena l’una!-
Poi proseguí, rivolto a Schneider
-Perché non te ne vai tu, se ti stai rompendo?-
-Non mi
tentare…- fece quello in tono intimidatorio con gli occhi
stretti in due fessure glaciali –ti sei dimenticato degli allenamenti, faina?
Vi voglio entrambi in campo, e freschi come due rose.-
-Oddio,
adesso non esageriamo…- Genzō sorrise sardonico
a quelle parole -…mi sa che non sarai tanto fresco neanche tu, pallone
gonfiato. Vedrai le occhiaie, domattina.-
Ecco gli appuntini
che vi dicevo. Armatevi di pazienza, sará una
cosa lunga e contorta…
1- Non ho spuntato subito la voce “parodia” (come mi ha giustamente
fatto notare Eos75) principalmente perché nella mia immensa bakaggine tale termine mi era sfuggito quando ho
selezionato il genere (e sí che era appena sotto “commedia”, che stordita) ma è stato il primo
a cui ho pensato mentre scrivevo, giurin
giurello. Cosí come
garantisco che il sospetto di stare andando OOC
un pochettino mi era venuto. Se non l’ho ancora
aggiunto è solo perché non so se continueró la storia
su questa falsariga o se i prossimi capitoli (se mai
ci saranno) seguiranno una linea differente, piú
“seria”.
Lo
ammetto, non è sempre una caratterizzazione fedele la
mia (LOL, immagino che si fosse capito, che puntualizzazione inutile), anzi,
con i personaggi di contorno che non conosco bene improvviso proprio.
2- Sempre in merito all’OOC, c’è una cosa che mi preme
chiedere alle veterane di fanfic e che una neofita
come me fatica a comprendere. Magari è una domanda
stupida ma non cazziatemi vi prego: il genere
parodia/demenziale implica SEMPRE l’OOC? Mi spiego, per fare una
parodia o presunta tale, è abbastanza ovvio che vadano enfatizzati e
ridicolizzati certi aspetti del carattere dei personaggi. In
effetti se mi soffermo a pensarci mi sembra impossibile fare delle
caricature decenti senza doverli prendere bonariamente per il culo snaturando comunque la loro indole, e cosí facendo si va fuori dalla normale caratterizzazione. Ergo, TUTTE le parodie sono OOC? E
quali sarebbero i limiti che non bisognerebbe oltrepassare? Illuminatemi, pleeeease xD
3- Il punto è che (come ho giá detto)
scrivo quello che mi viene in mente al momento, difficilmente pianifico
qualcosa. Quello che butto giú è pesantemente
influenzato dal mio umore del giorno, e ció non vuole
essere una mera giustificazione. Potrebbe darsi che un bel dí
mi venga voglia di fare la persona seria e che
caratterizzi in tal modo i personaggi, sfornando un capitolo un po’ meno
bislacco del solito, anche se di indole sono piuttosto cazzara;
oppure, e sarebbe la scelta piú saggia me ne rendo
conto, potrei pensare direttamente anche ad un’altra fic
piú “impegnata”, e dividermi tra le due scrivendole
alternativamente a seconda del mio stato d’animo. Mmmh
sí, compromesso
interessante, chissá.
Mah.
Questa cosa è partita come un gioco, e tale rimarrá
almeno per ora, anche se non precludo nessuna possibilitá
per il futuro^^
Comunque, per me è stato (ed è) un vero piacere
scrivere di questi giocondi buffoni. Non potete neanche immaginare quanto mi diverta la stesura di queste storie cazzute!
(^o^)
E ora, come di consueto rinnovo i ringraziamenti per i commenti
e i consigli.
Eos, grazie per avermi rinfrescato la memoria, mi
sfuggiva proprio che “po’” si scrivesse con
l’apostrofo e non con l’accento, ma a ben pensarci è ovvio essendo la contrazione di “poco”…che sveltona che sono xD
Per
ció che riguarda Gamo…ops^^;
Mi incasino a volte con gli allenatori, comunque controlleró meglio e correggeró
l’imprecisione, thank you^^
Ultima cosa a proposito del fatto che Genzō
nella mia fic cazzuta non
ami particolarmente Tsuby a differenza del manga. Per ora lascerei la chiarificazione di questo punto in sospeso (dipende se aggiungeró o no l’OOC, in base alle risposte che riceveró) ma mi sento di dire che non apprezzo tutta quell’adorazione che viene
ostentata nella storia originale, quindi l’avrei comunque caratterizzato cosí. Non lo odia incondizionatamente, ma neanche è il suo
migliore amico, almeno nella mia testa bacata…ma pensandola in questo modo vado
comunque OOC, vero? Oddio è un cane che si morde la
coda, aiutatemi^^;
Silen, è vero, ho rischiato il
coma diabetico a forza di M&m’s, quei dannati sono la mia
croce e la mia delizia. Spero di disintossicarmi un giorno. Quanto capisco L di Death Note…SUGAR
POWA!
Quanto
blablabla. Saró
stata chiara? Si sará capito ció
che voglio dire? Ai posteri l’ardua sentenza^^;