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Autore: Kamper    01/02/2009    1 recensioni
Cosa faresti se dovessi vivere l'eternità nei panni di ciò che più odi? E cosa faresti se questa condanna ti venisse inflitta dalla persona che più ami?
Genere: Drammatico, Horror, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Carlisle Cullen, Edward Cullen, Isabella Swan, Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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SYMPATHY FOR THE DEVIL

 

Rolling Stones, dall’album Beggar’s Banquet [1968]

 

Please allow me to introduce myself
I’m a man of wealth and taste

[...]

Pleased to meet you
Hope you guess my name, oh yeah
Ah, what’s puzzling you
Is the nature of my game, oh yeah

 

Permettete di presentarmi

Sono un uomo ricco e di gran classe

Piacere di conoscervi

[...]

Spero abbiate indovinato il mio nome, oh si

Ma quello che vi lascerà perplessi

È la natura del mio gioco, oh si

 

 

 

Ne ho...  ucciso...  un altro... ma non mi sento... ancora soddisfatto... questo umano... l’odore è così invitante... non mi nutro da settimane... ma non posso... ho giurato... tortura...tortura... brucio...un altro... devo ucciderne un altro...devo andare via... questo umano... se resta sotto la pioggia si ammalerà...all’asciutto... sotto quel portico... devo scappare... di sicuro l’urlo avrà svegliato qualcuno...andiamocene...

ma... cos’è questo odore? Quella ragazza... mi ha visto... un’attimo... VAMPIRA! Un’altra! Ma... quegli occhi... non è...ugh... sete... tanta sete... stà scappando... inseguire...inseguire... INSEGUIRE!

 

Forks (Washington),10 settembre, 3:32 AM

Isabella Cullen

Stavo scappando come se avessi avuto il diavolo alle calcagna, e può anche darsi che fosse vero... Non ho mai visto un vampiro spaventoso come quello. Neanche James era tanto terrificante. Ma una cosa in comune ce l’avevano. Entrambi mi volevano uccidere.

Andavo talmente veloce che oramai, persino per la mia superiore vista, gli alberi e le fronde si erano ridotte ad indistinte macchie di verde.

Comunque pensavo di averlo seminato, dopotutto avevo sparso la mia traccia in un raggio di ottanta chilometri attorno alle montagne della penisola olimpica, fin quasi a toccare il confine canadese. Per un po’ non sarebbe riuscito a risalire alla mia destinazione finale. In più avevo volutamente sforato attraverso il territorio della riserva indiana di La Push, tribù con cui la mia famiglia anni fa fece un patto di mutua collaborazione, consistente nel “quieto vivere”.

La mia famiglia non avrebbe ucciso umani, e loro gli avrebbero permesso di abitare nella cittadina di Forks.

Appena avessero sentito un vampiro estraneo nel loro perimetro sarebbero subito accorsi. Quando si tratta di intrusi, sono davvero dei Lupi...

Comunque la situazione era seria, dovevo subito informare la famiglia.

Rilasciai la mia barriera mentale, un dono che possedevo fin da quando ero umana, che mi rendeva immune a molti poteri dei vampiri, e pensai a tutta forza, come se urlassi. Edward, che era dotato del potere di leggere nel pensiero, mi avrebbe sicuramente sentita anche a grande distanza, dato il legame che ci unisce.

«ED! Grosso guaio. Chiama tutta la famiglia a raccolta nella residenza Cullen e attendimi lì. Stò arrivando. Avvisate anche Jacob e Renesmeé di stare lontani. Non devono avvicinarsi alla casa!»

Mia figlia era una mezzo vampira. Io ed Edward la concepimmo quando ancora ero umana. Eravamo entrambi ignari dei guai e dei pericoli che poi avremmo passato in futuro. Ma in fondo, guardandola, direi che ne è valsa la pena di rischiare la vita per lei.

Per me la salute di mia figlia e del mio migliore amico venivano prima della mia stessa vita, non avrei mai sopportato una eternità di rimpianti se gli fosse successo qualcosa.

Nonostante il suo cuore battesse a tutti gli effetti, Renesmeé condivideva la nostra dieta a base di sangue animale, e possedeva anche dei sensi e dei riflessi paragonabili a quelli vampireschi.

Altra particolarità era il suo metabolismo accelerato. Nonostante avesse sostanzialmente poco meno di un anno di età, fisicamente ne dimostrava almeno sei, e la sua intelligenza e coscienza di se erano ormai quelle di una adolescente. Era molto ricettiva.

Ripetei il richiamo a intervalli di pochi secondi, fino a che fui sicura al cento per cento che mi avesse sentito, poi mi diressi verso casa.

Mentre proseguivo, concentratissima sul tragitto da seguire, un’altra persona mi si affiancò all’improvviso. Alto, bello come un dio greco, i capelli ramati scintillanti persino nel buio della notte coperta dalle nuvole.

E ogni volta che vedevo mio marito Edward avevo sempre paura di svegliarmi e aver sognato tutto.

Era impossibile credere che quei bellissimi occhi color ocra, che in quel momento mi scrutavano preoccupati, fossero miei e solo miei, legati indissolubilmente alle fedi nuziali che portavamo al dito.

«Cosa ti è successo, amore?» disse, visibilmente scosso. A quanto pare il tono in cui avevo pensato quelle parole lo avevano turbato.

Nonostante la vampa di ammirazione ogni volta che posavo gli occhi su di lui, non potevo fare a meno di pensare che non mi aveva ascoltato.

«Ti avevo detto di aspettarmi alla villa, non di raggiungermi!» dissi io con irritazione, ma prima che potessi aggiungere qualcosa, Edward mi precedette.

«Alice, Jasper ed Emmett sono già alla villa. Rosalie ed Esme sono andate a prendere Carlisle, aveva il turno di notte all’ospedale. Mentre arrivavo qui ho incontrato Seth. Ha avvertito Jacob.»

«Bene.» ebbi appena il tempo di rispondere.

«Adesso dimmi, cosa è successo? Che guaio hai combinato per richiedere la presenza di tutti noi, e addirittura di tenere lontana Nessie da te. Lo sai che a lei non piace staccarsi da te, anche quando è insieme a Jacob.»

Sbuffai di risentimento quando sentì quel nomignolo. Jacob aveva dato a mia figlia il nome del mostro di Lock Ness, perché il nome completo gli suonava troppo complicato, ma, per quanto mi riguardava, mia figlia nonostante fosse una mezzo vampira e mi avesse quasi uccisa mentre la partorivo, non è mai stata un mostro.

«Ormai siamo arrivati, te lo spiego davanti a tutti.»

Alla massima velocità consentita dalle nostre forze sovraumane, arrivammo in meno di trenta secondi davanti alla residenza dei Cullen, una meravigliosa villa in stile moderno sulla riva del fiume.

L’intera facciata sud, quella che dava sul fiume stesso, era coperta di finestre per poter godere al massimo dei meravigliosi tramonti  che la valle dei monti olimpici sapeva offrire, ovviamente quelle poche volte che il cielo non era coperto.

Mia cognata Alice era già lì sotto il portico ad aspettarci, intenta a rimaneggiare un mazzo di genziane sul davanzale di una finestra. La sorella di Edward aveva gusti molto particolari in fatto di passare il tempo. Sembrava avere una passione speciale per tutte le cose che cambiavano nel tempo, come ad esempio i fiori. E gli esseri umani. Aveva vissuto tutti i suoi primi quindici anni chiusa nel buio di una cella di isolamento in un sanatorio, senza quasi mai vedere la luce del sole. Ed era stata trasformata in vampira per misericordia, solo perché gli venisse risparmiata una orrenda morte per mano dello stesso essere che anni dopo attentò alla mia vita. James.

Ma comunque io tutt’ora non riesco a comprendere appieno Alice. I suoi strani modi, coadiuvati dalla inusuale dote di vedere nei possibili futuri che possono portare le nostre scelte, ne hanno sempre fatto una incognita totale persino per Edward, che pure può ben dire di conoscerla meglio di tutti noi.

Appena si rese conto della nostra presenza balzò giù dalla scaletta con la grazia di una ballerina e in punta di piedi corse ad abbracciarmi.

«Buon compleanno Bella!» cinguettò.

Nonostante il momento drammatico, non era davvero possibile non farsi travolgere dal suo buonumore.

«Oggi smetti a tutti gli effetti di essere una neonata, quindi bisogna festeggiare.» disse, indicandomi una sequenza di addobbi appesi a tutte le finestre.

Tolsi la mia barriera mentale e pensai, guardando Edward.

Ma non mi avevi detto che li avevi avvisati?

Edward rispose con una scrollata di spalle, visibilmente divertito, poi sillabò Li ho avvisati, ma ad Alice non è sembrato abbastanza grave per dimenticarsi di questa ricorrenza...

A quanto pare giudicava il mio “guaio” non di troppo conto, dato che Alice non aveva visto nulla di pericoloso nel futuro.

E questo, col senno di poi, fu la nostra rovina.

Nonostante tutte le mie proteste, non riuscivo a porre un freno al suo entusiasmo. «Alice, non abbiamo tempo per queste cose! Abbiamo un problema più grave a cui pens...»

Mi fermai di scatto tutti e tre lo avevamo sentito. Il rumore di un fruscio. Proveniva dal bosco alle nostre spalle.

Edward e Alice, entrambi coi loro metodi, si voltarono all’unisono verso la foresta ad est della casa, e poi fecero un enorme balzo all’indietro di parecchi metri, trascinandomi con loro.

Una frazione di secondo dopo, con la velocità di un proiettile un essere piombò nello spazio di fronte alla casa, nel punto in cui fino a qualche istante prima c’ero io.

Si rialzò in piedi. Era lui, senza alcun dubbio. Il cappuccio tirato sulla testa non nascondeva i suoi occhi rosso scarlatto, che nelle deboli luci della veranda scintillavano ancora più forti di prima. Non c’era bisogno del potere di Edward per comprendere le sue intenzioni.

Quello mi voleva morta.

E non sapevo neanche perché!

Possibile che da vampira la mia capacità di attirare sventure sia aumentata a livelli da catastrofe biblica?

«Si... decisamente si...» rispose Edward.

Avevo dimenticato di riattivare la mia barriera mentale.

«Non mi dire... è questo il grosso guaio?» continuò.

«Si. Pensavo di averlo seminato, non capisco come abbia fatto a ritrovarmi tanto presto.»

«E perché sembra avercela a morte con te?»

«E a me lo chiedi?»

«Non fa altro che ripetere “uccidere”... e nei suoi pensieri ci sei solo tu.» rispose, nel tono una punta di irritazione.

Alice mi si fece più vicina. «Non preoccuparti. Lui è da solo, e noi siamo in cinque, contando anche Emmett e Jasper che fra tre secondi e quattordici decimi da quando finirò di parlare varcheranno la soglia di casa. Non permetteremo a nessuno di farti del male.» Mi lusingava che avesse contato anche me nel conto, ma anche se cercava di tranquillizzarmi, non aveva molto successo. Neanche Jasper, che poteva controllare le emozioni di chi gli stava attorno, sarebbe riuscito a sciogliere la mia tensione.

Di fronte a quel vampiro, e a quello sguardo carico d’odio, io mi sentivo impotente proprio come se fossi stata ancora umana. Quegli occhi mi rammentavano James.

Dal canto suo il nemico, si capiva benissimo, ci stava studiando. Pareva sorpreso dalla presenza di Edward e Alice, ma non spaventato. A quanto pare l’inferiorità numerica non lo preoccupava.

Incominciò a ringhiare. Un ringhio di sfida rauco e profondo. Ira allo stato puro.

In quel momento sia Emmett che Jasper varcarono la soglia di casa, ponendosi alle spalle dell’intruso.

Il ringhio terminò, sostituito da una voce, profonda e bella come quella di un angelo.

«Piacere di conoscervi, esseri impuri. Siete in parecchi, trovate questi luoghi molto utili per cacciare escursionisti...» disse, continuando a guardare me.

Il suo corpo era preda di spasmi nervosi. Tremava e si muoveva a scatti.

Non ci diede il tempo di ribattere alla sua affermazione, però, perché si mosse ad una velocità sicuramente paragonabile a quella di Edward. In un istante fu dinanzi a noi. Con un colpo di palmo spedì Jasper al di là del fiume, ottanta metri più avanti. Sentì lo schianto di almeno un paio di alberi.

La sorpresa era troppa per Emmett, che non riuscì a schivare il seguente calcio diretto a lui. Ai miei sensi il tempo parve rallentare, quando il suo volto sbalordito sfrecciò a poca distanza dal mio, arruffandomi i capelli.

Il volo di Emmett si concluse con precisione millimetrica nella rimessa della casa. Il fracasso di vetri infranti e l’imprecazione successiva di Edward mi fecero capire che si era schiantato proprio sulla sua macchina.

All’unisono Alice, Edward ed io ci lanciammo all’attacco, accecati dall’ira. Mettemmo in pratica uno schema già studiato tempo fa. Ci separammo, io e mia sorella lo prendemmo alle spalle, mentre Edward lo fronteggiò direttamente.

Vidi la sua espressione sorpresa quando il suo pugno lo colpì direttamente sul viso, scagliandolo lontano. Prima che toccasse il suolo, Alice con l’agilità di un gatto gli saltò sopra e lo scaglio contro di me, pronta a bloccarlo in una presa, come fosse stato un pallone da rugby. Nonostante si stesse esaurendo il periodo, ero ancora la più forte della famiglia, forte quanto Emmett. Appena lo avessi stretto, non sarebbe di sicuro stato in grado di fuggire.

Si avvicinava sempre più, quando sollevò la testa, guardandomi dritta negli occhi. Improvvisamente estrasse da dietro la schiena quello che a prima vista pareva la custodia di una canna da pesca, nera come la sua felpa.

Poco prima del contatto la piantò nel terreno con un suono sordo, e sfruttò il cambio di baricentro per cambiare posizione, colpendomi  al ventre con un  pugno.

Non mi ricordo di aver mai provato veramente dolore, da quando mi ero trasformata. Se si esclude ovviamente la trasformazione stessa.

Ma in quell’attimo in cui venni colpita, mi parve che una palla di cannone mi avesse centrata in pieno. Sentivo irresistibile la forza che mi spingeva lontano dal nemico, in volo, senza peso come una piuma.

Il mio viaggio fu interrotto bruscamente da Jasper, che mi intercettò, posandomi a terra.

«Grazie» dissi.

«Non ce n’è bisogno Bella» disse sorridendomi, poi tornò con un balzo dall’altra parte del fiume per dar man forte ai fratelli.

Mi resi conto che, anche se volevo rendermi utile, non avevo assolutamente esperienza nel combattimento. Nei mesi precedenti mi ero addestrata in maniera basilare, ma alla fine tutto ciò che possedevo era solo il mio istinto acquisito, che contro quell’essere di sicuro non sarebbe servito a molto.

Dopo la sbandata iniziale, aveva incominciato a non farsi cogliere più di sorpresa. Schivava tutti i colpi di Edward, come lui riusciva a prevedere i suoi grazie alla lettura del pensiero. Jasper stesso, che in fatto di esperienza di combattimento tra vampiri ne sapeva più di noi tutti messi assieme, non pareva capacitarsi delle tattiche adottate dal nemico. I suoi colpi non seguivano uno schema preciso, e nell’attaccare non seguiva alcuna logica, oltre a quella di colpire.

Era ovvio comunque che il suo obiettivo principale era quello di separarci per poterci attaccare singolarmente.

All'improvviso un urlo animalesco rimbombò dalla casa.

Emmett era ufficialmente incazzato nero.

Uscì fuori dalla rimessa reggendo per il paraurti la macchina di Edward con il parabrezza completamente distrutto e i sedili interni divelti.

Senza distrarsi dal combattimento, udì Edward gridare «NO! Non farlo! Emmett! NON-CI-PENSARE-NEMMENO!»

Alice comparve al mio fianco, sussurrando «Troppo tardi, ha fatto la sua scelta.»

Raccolse la macchina come fosse fatta di cartapesta, e tenendola sollevata con due mani sopra il capo, e poi la scagliò come un missile su di lui.

Edward fece appena in tempo a spostarsi, prima che la vettura lo colpisse in pieno. Poi, come nei migliori film, esplose con un fracasso assordante.

L’espressione addolorata di Edward era il riflesso della mia, mentre vedavamo la macchina bruciare.

Molti ricordi della mia vita umana insieme a lui erano legati a quella Volvo.

Per un lungo, lunghissimo istante, pensai che fosse davvero tutto finito. Le fiamme erano probabilmente l’unica cosa al mondo in grado di eliminare quelli della nostra razza. E il risultato era assicurato se prima il corpo veniva fatto a pezzi.

Mentre io ed Edward ci stringevamo, Emmett dietro di noi esultava come se avesse vinto il superbowl.

«Whooo, l’ho preso quel bastardo!» gridava, poi aggiunse «Scusami per la macchina fratellino, ma se avessi preso la Jeep Rosalie mi avrebbe staccato la testa...»

Allargò le braccia, in un non troppo convinto gesto di scuse, mentre nell’aria avvertivo un ronzio...

Era un rumore molto simile a quello che si sente nei vecchi film di guerra, quando cadevano i colpi di mortaio.

Non feci in tempo ad alzare lo sguardo, era già troppo tardi.

«EMMETT! SOPRA DI TE!» gridai.

Il tempo si dilatò nella mia percezione. Vidi Emmett tentare di allontanarsi, le braccia ancora allargate, quando un fulmine, abbagliante come la luce del sole, colpì il terreno separando Emmett dal suo arto sinistro.

Per un istante il braccio rimase sospeso, mentre il suo corpo si allontanava, poi cadde con delicatezza a terra, di fianco al vampiro.

In mano reggeva una katana giapponese, un’arma umana che per logica non avrebbe dovuto neanche graffiare la nostra pelle granitica. Figurarsi poi quella di Emmett.

Mio fratello proruppe in uno straziante grido di dolore, ma riuscì lo stesso a schivare il fendente successivo, portandosi nelle nostre retrovie.

Alice era sconvolta. «Come diavolo ha fatto a tagliargli un braccio con una semplice spada?»

Edward non rispose. Era spaventato a morte. Si limitò a scuotere la testa.

Ad un tratto un raggio di luna filtrò attraverso la coltre di nubi temporalesche, facendo brillare il volto dell’oscuro assalitore.

La pelle bianca del volto che si intravedeva sotto il cappuccio scintillò come un faro nella notte, riflettendosi luminosa sul filo della lama. I denti scoperti candidi e affilati. Gli occhi rossi piantati su di noi.

«E’ ora di morire, esseri impuri. Memento, sanguis potum, omnet una manet nox!» disse, facendo roteare la spada tra le mani, mettendosi infine in posizione.

«Ricordate, bevitori di sangue, la stessa notte ci attende tutti...» tradusse Alice, che conosceva praticamente ogni lingua presente sulla terra, passata e presente.

«Siamo nei guai...» sussurrai.

Se quella spada era capace di tagliare un braccio ad Emmett, difficilmente noi ce la saremmo potuta cavare, considerando con quanta facilità ci aveva affrontati a mani nude.

Era possibile che dovesse finire tutto così? Uccisi senza neanche sapere perché?

Paralizzata dal terrore, neanche lo vidi arrivare. Mi comparve davanti all’improvviso, come se fosse stato lì da sempre, e io fossi stato troppo cieca per accorgermene.

Udì il suono della sua katana che fendeva l’aria per raggiungermi, sempre più vicina.

Udì l’urlo di Edward, che pronunciava il mio nome, sempre più lontano.

E nonostante sapessi che era impossibile, mi parve di percepire distintamente una lacrima che mi scorreva sulla guancia.

E’ per questo che avevo detto che la vita era ingiusta. Avevo ottenuto tutto ciò che desideravo, e un tempo infinito per goderne, ma dopo neanche un anno la morte a cui ero sfuggita era tornata per chiedere il conto.

Il mio destino forse era sempre stato quello. Il mio karma me lo imponeva.

Io dovevo morire schiacciata dal Van di Tyler Crowley, Edward non avrebbe dovuto salvarmi. Non avrei mai sposato Edward e non avrei mai dato alla luce Renesmeé...

Ma forse tutto questo non sarebbe accaduto.

Ma ormai non era più necessario pensare a certe cose, la mia eternità stava scadendo. Chiusi gli occhi e attesi la fine.

  
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