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Autore: Targaryen    23/08/2015    6 recensioni
Le vicende narrate in questo racconto si svolgono prevalentemente a Eryn Galen e coprono il periodo che va dall’inizio della Terza Era sino alla fondazione di Dol Guldur da parte di Sauron. Nonostante l’ombra che cala sul Reame Boscoso, questa non è una storia di guerra.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Amroth, Elrond, Galadriel, Nuovo personaggio, Thranduil
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sussurri di foglie e di vento'
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Premessa:
Questo racconto è ambientato prevalentemente a Eryn Galen e copre il periodo che va dall’inizio della Terza Era sino alla fondazione di Dol Guldur da parte di Sauron. Agli avvenimenti noti e riportati nel legendarium se ne affiancano dei nuovi, inseriti ai fini narrativi e per i quali si è cercato di mantenere la coerenza di fondo con ciò che si conosce. Le note alla fine di ciascun capitolo riportano dettagli ed eventuali ipotesi personali, in canon e non. Per meglio seguire lo svolgersi degli eventi, che necessariamente si snodano lungo un arco temporale tutt’altro che breve, accanto al titolo di ogni capitolo appare la collocazione cronologica dello stesso.


 
 
Ho amato



… ed ero l’alba che bacia la terra.
 
 



1. La via del ritorno (2 T.E.)


 
Le vaste pianure del Rhovanion rigurgitano vita. Le distese di erba offrono al sole di primavera tutte le gradazioni di verde che la terra conosce e macchie di colore le accendono laddove le fioriture si susseguono effimere, trasformando il paesaggio nel tempo di una notte. In più di un’occasione si sono addormentati con un panorama impresso nella memoria per risvegliarsi circondati da uno diverso, tra sinfonie di profumi e sotto un cielo di un azzurro talmente intenso da fare quasi male. Forse è il ricordo della coltre nera e pesante che per anni ha tormentato i loro spiriti a rendere il blu così vivido, ma ora Thranduil riesce a respirare senza sentire i polmoni dolergli e a volte, quando chiude gli occhi, non vede i morti intorno a sé, e questo gli basta.
La sera precedente le avanguardie hanno scorto in lontananza le propaggini meridionali di Boscoverde e adesso tutti possono contemplare il profilo scuro delle alte chiome tratteggiare l’orizzonte. Il silenzio stanco che li ha accompagnati sin lì è venuto meno e voci rincuorate hanno cominciato a diffondersi nell’aria. Spesso è necessario vedere la porta di casa per rendersi conto di avere fatto ritorno e non c’è nessuno tra loro le cui speranze non siano andate deluse almeno una volta, cosa che spinge a non dare nulla per scontato.
Molti desidererebbero procedere in linea retta, tagliando le ultime praterie e tuffandosi tra gli alberi, e poi sempre avanti, oltre Amon Lanc e sino agli Emyn Duir, ma per un esercito non è agevole attraversare una fitta foresta fuori dai sentieri battuti, per quanto benevola essa sia, e ci sono amici da scortare affinché giungano anch’essi a destinazione sani e salvi.
Thranduil osserva Amroth, che cavalca spedito poco più avanti. Sembra che veda già gli alberi del Lórinand oltre l’Anduin, anche se ancora non si vede neppure il fiume, e che essi lo chiamino con più forza di quanto Boscoverde chiami lui. Egli riconosce la voce del bosco, ma non avverte alcuna urgenza in essa, solo una melodia gentile che lo accarezza insieme al vento e che lo saluta.
“Mio signore, re Amroth intende accamparsi con noi questa notte?”
La domanda di Erynion lo distoglie da quelle riflessioni ed egli si volge. Sottile, capelli scuri e occhi grigi, il suo comandante potrebbe agevolmente passare per un Noldo, e il contrasto tra loro non potrebbe essere più marcato. Eppure è un figlio dei boschi, nato in una delle tante comunità Nandor che accettarono Oropher come loro re, ed è antico quasi quanto lui.  
“No, re Amroth desidera guadare il fiume e raggiungere il Lórinand quanto prima”, risponde, “Questa sera i nostri amici ci saluteranno e noi piegheremo ad est. Ci fermeremo a riposare all’altezza di Amon Lanc e domani proseguiremo verso nord.”
“Entreremo attraverso l’antica via?”, chiede Erynion.
Non appena è stato in grado di reggersi in piedi dopo il ferimento davanti al Morannon, Thranduil ha chiamato a raccolta coloro che occupavano posizioni di comando nell’esercito falcidiato di Oropher e li ha invitati a scegliere chi avrebbe dovuto comandarli e ricevere i suoi ordini. Sul momento essi lo hanno guardato interdetti, ma poi hanno capito: il nuovo re non li conosceva e non poteva giudicare chi di loro fosse il più adatto a sostituire chi era perito. Il giorno successivo Erynion si è inginocchiato dinanzi a lui ed è divenuto il comandante dei silvani di Boscoverde, e ancora adesso Thranduil ringrazia silenziosamente coloro che fecero quell’assegnazione in vece sua. Ha perduto il conto delle volte in cui egli ha salvato la vita a qualcuno di loro durante la lunga guerra che si sono lasciati alle spalle.
Durante i primi anni Erynion parlava molto, e raccontava della vita che conduceva sotto le fronde seduto insieme ai compagni accanto al fuoco, ma con il trascorrere del tempo e con l’allungarsi della lista dei caduti ha cominciato a parlare sempre meno, e ora siede accanto al fuoco ma la sua voce tace. E’ stanco, ma crede ancora che gli alberi possano restituirgli l’interesse per quella terra ed esita a rivolgersi ad ovest. Thranduil sa che non sarà così. Nel regno d’ombra qualcosa si è spento in Erynion e di nuovo egli dovrà dire addio a chi considera amico.
“Sì”, conferma, “Segue da vicino la linea dei monti ed è la strada più veloce.”
Dinanzi a loro un rapace spazza con gli artigli il mare d’erba regalando un brivido alla sua quiete, e riguadagna il cielo trascinando la preda con sé. Erynion resta in silenzio per un lungo istante.
“Dovremmo pur sempre attraversare un tratto di foresta privo di sentieri”, osserva infine, “Forse sarebbe preferibile dividerci in guarnigioni e procedere separatamente.”
“No”, risponde Thranduil, “Conosco il tratto di foresta che si estende tra l’antica via e gli Emyn Duir. A metà percorso la strada si avvicina ai monti, e quasi li lambisce in un’area dove la vegetazione è meno densa. Invia esploratori. Che osservino, che parlino con chi abita quei luoghi e che traccino il cammino più agevole. Noi li seguiremo.”
Erynion annuisce ma china il capo più del dovuto, quasi volesse scusarsi per qualcosa, e Thranduil sorride tra sé sospettandone la ragione. I suoi silvani temono ancora di offenderlo, quando invece non fanno altro che constatare l’ovvio.
“Sarà fatto, mio signore, e ti prego di perdonarmi”, lo sente dire, “Non era mia intenzione mettere in dubbio la tua conoscenza del regno che ti appartiene.”
“Nessuna scusa è richiesta poiché non mi è stata rivolta alcuna offesa”, lo rassicura, “Quando visitai Boscoverde, qualche secolo dopo la fondazione del Reame Boscoso, preferii la compagnia degli alberi a quella dei suoi abitanti. Conosco la foresta, Erynion, ma non posso dire di conoscere il mio popolo, ed è questo ciò che mi preoccupa.”
Erynion lo guarda sorpreso.
“Non ve ne è motivo, mio signore”, asserisce, “Ci hai guidati degnamente nel nostro periodo più buio e saprai farlo anche ora che vi è pace.”
“Mi auguro che tu abbia ragione”, sorride di nuovo Thranduil, “Nel frattempo cerchiamo di concludere questo viaggio. Siamo tutti stanchi.”
Con un cenno di assenso Erynion sprona il cavallo e si allontana in direzione delle avanguardie, lasciando il re di Boscoverde in compagnia dei suoi pensieri. E, ultimamente, i pensieri di Thranduil non sono una buona compagnia. E’ stanco della guerra, talmente stanco che le mani quasi si rifiutano di avvicinarsi all’elsa della spada, ma conosce la guerra e conosce la spada, mentre non si è mai seduto in trono e non ha mai governato un regno.
 
***

“Sembra che tu stia cercando qualcosa, re Amroth”, esordisce Thranduil.
Amroth siede a cavalcioni di un vecchio tronco caduto, lo sguardo catturato dalla sagoma degli alberi che crescono sull’altra sponda e la mente lontana. Al suo avvicinarsi sussulta come se non lo avesse sentito arrivare nonostante egli non abbia fatto nulla per celare la propria presenza, e gli rivolge un mezzo sorriso.
“Chi non cerca qualcosa, re Thranduil?”, domanda.
Le acque del grande fiume scorrono placide tingendosi di rosso nella luce del tramonto, e le imbarcazioni inviate dal Lórinand fanno la spola da una sponda all’altra. Pochi hanno fatto ritorno da Mordor e i sopravvissuti impiegheranno meno tempo del previsto per poter toccare di nuovo la propria terra dopo oltre sette anni di lontananza. 
“Non tutti lo cercano tra gli alberi, e non tutti lo fanno con tanta assiduità”, sorride il re di Boscoverde, raggiungendolo e fermandosi accanto a lui.
Resta in piedi, le mani raccolte dietro la schiena e la lunga veste d’argento drappeggiata sull’erba.
Amroth china il capo, la sua voce l’eco di memorie lontane.
“Cerco la speranza”, sussurra, e non aggiunge altro.
Thranduil rimane in silenzio, catturato dal lento andare e venire di quelle imbarcazioni che hanno rubato il candore alla luna ma che sono anch’esse un eco, un pallido eco di glorie passate.
“Sul Gorgoroth non hai mai parlato di lei”, dice senza voltarsi, ma poi quasi si pente per aver richiamato alla mente il ricordo della terra nera.
Il solo citarla lo scaraventa ancora là, tra le esalazioni che bruciano le carni e la polvere che soffoca e che non cessa mai di piovere sul suolo riarso.
“Il Gorgoroth non era luogo in cui pronunciare il suo nome”, sentenzia Amroth prima di alzarsi.
“E tu, re Thranduil?”, chiede, “C’è qualcuno di cui non ci hai parlato?”
Thranduil scuote impercettibilmente il capo. La spontaneità di Amroth lo fa apparire giovane a volte, innamorato della vita come chi non ne ha ancora saggiato il dolce insieme all’amaro, eppure questa impressione non potrebbe essere più sbagliata. Egli lo ha visto inghiottire l’amaro a lunghi sorsi, riuscendo tuttavia a non fare del passato la propria prigione. Anche lui vorrebbe riuscire in questo, ma ha l’impressione di aver smarrito la chiave anni addietro.
“No, re Amroth”, risponde.
Amroth sorride e si accontenta di quelle poche parole. Sull’altra sponda l’ultimo gruppo sta guadagnando terra e una barca è già in viaggio per traghettare chi ancora si attarda. Il re del Lórinand volge le spalle alle acque e china la fronte, appoggiando il palmo della mano sul petto.
“E’ tempo di salutarci, re Thranduil”, dice, “E’ stato un onore combattere al tuo fianco e mi auguro di incontrarti presto in più liete circostanze. Ti ringrazio per averci consentito di viaggiare sicuri.”
Thranduil imita il suo gesto.
“L’onore è stato mio e mi piacerebbe che non fosse questa l’ultima volta in cui abbiamo modo di parlare in amicizia.  Navaer, re Amroth.”
“Navaer, re Thranduil.”
Durante il lungo assedio sono nati affetti tra coloro che hanno rischiato la vita fianco a fianco, e i silvani di Boscoverde hanno già salutato i fratelli del Lórinand. Ora quel lungo tratto dell’Anduin è un fiorire di gruppi che guardano l’altra riva raccolti sul limitare delle acque e di mani che si alzano per un ultimo addio, perché nessuno è certo di poter ritrovare un giorno chi sta ora lasciando.
Un secondo cenno del capo ed Amroth si gira e raggiunge a passi veloci il punto ove l’imbarcazione ha appena toccato terra. Thranduil lo vede saltarci sopra e portarsi a prua, mentre i rematori la spingono attraverso la corrente disturbando appena il sonno del fiume. Lo vede attendere immobile, lo sguardo rivolto di nuovo alla fitta boscaglia, quasi riuscisse a scorgere qualcosa di invisibile a tutti tranne che a lui, e lo vede scendere in un unico balzo ancor prima che lo scafo si assesti manovrato da mani sapienti. Lo vede correre verso un punto preciso senza voltarsi neppure una volta, e poi vede lei, una goccia d’oro tra il verde che si mescola al blu nell’abbraccio del re.
Thranduil resta per un istante a guardare, quindi solleva appena la mano e li saluta, senza attendersi che essi si accorgano di lui. Sorride tra sé e si allontana, facendo cenno ad Erynion di dare il segnale, e rimonta a cavallo. In silenzio l’esercito di Boscoverde lascia la sponda e riprende il cammino verso gli Emyn Duir.   
 
***

I silvani procedono verso nord mantenendosi sul margine del bosco, e più la meta si avvicina più il loro vociare si fa sicuro. Thranduil non sente più bisbigli esitanti provenire dalla schiera, ma dialoghi quasi allegri frammisti a timide risate. Egli non riesce a provare allegria né tantomeno a ridere, ma quel ritorno alla vita che altri stanno sperimentando consola in parte anche lui e lo porta a sorridere un poco di più.
Erynion, invece, non sorride, né Thranduil si aspetta che lo faccia. 
Avanzano spediti, con gli alberi amici alla loro destra e sul lato opposto l’Anduin che, uscito a tratti dal suo letto, risplende come vetro tra il frinire di grilli e cicale. Di giorno Anar infiamma l’oro delle armature e scalda lo spirito, mentre di notte Isil si fa spazio nel firmamento e racconta storie con la voce di chi si è raccolto intorno ai fuochi. Talvolta qualcuno canta e in un paio di occasioni a Thranduil è parso di udire le note di un’arpa, e si è ricordato che anch’egli ne possiede una, dono di suo padre in tempi felici, e che il Doriath esisteva ancora quando la teneva tra le mani. E, senza alcuna ragione, si è domandato se qualcuno l’abbia portata al palazzo insieme a tutto il resto.
Quella giornata è iniziata con un leggero manto di nubi bianche coricate sull’orizzonte, ma poi il sole le ha soffiate via, tornando ad accompagnare i loro passi sino all’ingresso dell’antica via attraverso la foresta.
La vecchia strada si apre ora davanti a loro ed è come Thranduil la ricorda: un ampio sfregio nel bosco, utile ma fastidiosa a vedersi, come fastidioso è il pensiero di dover usare ancora una volta qualcosa costruito dai nani. Alle sue spalle il ponte sull’Anduin, che ne rappresenta il proseguimento e sul quale sono transitati gli eserciti sette anni prima, non fa altro che accrescere il fastidio. Non tutti i nani sono uguali, continua a ripetersi, ma non cerca di nascondere a sé stesso ciò che prova nei confronti della stirpe di coloro che hanno ridotto Elu Thingol ad un cadavere riverso in una pozza di sangue: avversione, un’avversione che non riesce a spegnere e che cova sotto la cenere, rischiando sempre di sfociare nell’odio più profondo. Qualcosa che un re non può permettersi di nutrire in maniera indiscriminata perché offusca la capacità di giudizio, e a cui egli cerca di non dare mai occasione di manifestarsi. Ma il sacco del Doriath rappresenta una sbarra della sua prigione, una di quelle più difficili da rimuovere.
Relega di nuovo quelle memorie al passato a cui appartengono e rivolge un leggero cenno di saluto ai silvani che attendono disposti in fila ai due lati dell’entrata, il capo chino e gli stendardi verdi e argento liberi di assecondare il vento. Sono i primi rappresentanti della sua gente che egli incontra a non aver combattuto insieme a lui, il primo segno tangibile del futuro che lo aspetta.
“Proseguiamo, mio signore?”, domanda Erynion.
Thranduil stringe le labbra e annuisce.
“Sì.”
Lentamente, come i granelli di sabbia attraverso il collo di una clessidra, gli eldar penetrano nel varco e scompaiono alla vista inghiottiti dalla foresta.
Boscoverde detto Il Grande è antico, così antico da aver cullato il riposo degli elfi durante il Grande Viaggio, ed è divenuto nel corso delle ere la casa di molti tra coloro che non sono partiti o che vi hanno cercato pace, dopo aver visto le proprie terre aprirsi ed accogliere il mare. Prima dell’arrivo di Oropher non esisteva un unico popolo, ma solo insediamenti sparsi, tante usanze come ci si aspetta quando genti diverse si incontrano, e nessuno da chiamare signore. Con Oropher la vita dei silvani non è cambiata e ha continuato a scorrere intrecciata a quella del bosco e dei suoi abitanti, ma accanto ai vecchi insediamenti ne sono sorti di nuovi e le usanze si sono fuse, divenendo il retaggio culturale di quello che ha deciso di chiamarsi popolo e di incoronare Oropher suo re. Nella Seconda Era il Reame Boscoso è prosperato, aiutato in questo dalla scarsa propensione del sovrano ad immischiarsi in faccende altrui, ma poi c’è stata Dagorlad che ne ha decimato gli abitanti, svuotando le case e spegnendo le risa, e ora il popolo di Thranduil è composto in gran parte da sopravvissuti segnati dal dolore. Come lui stesso, del resto.
Nonostante questo, l’armata di ritorno da Mordor è ancora sufficientemente numerosa da dissuadere chiunque dall’attaccarli e serpeggia attraverso il bosco in una linea sottile di cui non è possibile vedere la fine.
Thranduil cavalca in testa, circondato dalla guardia personale che mai lo lascia, quasi il suo capitano fosse convinto di essere ancora in terra nemica e di doverlo proteggere anche lì nel loro regno. Egli sorride tra sé e lascia fare poiché ha molto per cui farsi perdonare, incluso l’essere andato vicino alla morte.
Gli alberi che abbracciano il cielo sono imponenti, ma non tutti sono vecchi. Ve ne sono di antichi e ve ne sono di giovani, nuove promesse che cercano di farsi strada verso la luce e che si accalcano laddove altri sono caduti aprendo squarci nella volta. L’aria è immobile, umida, ma non è opprimente e profuma di vita, una vita primitiva che si tramanda di generazione in generazione, mutando lungo i secoli per restare sempre uguale. A Thranduil è sempre parso di sentire Arda respirare durante le notti trascorse a Boscoverde, e anche ora qualcosa pulsa sotto ai suoi piedi e intorno a lui, qualcosa di cui gli altri sembrano non accorgersi e che allevia il suo tormento.
Mentre procedono gli abitanti che li accolgono diventano di volta in volta più numerosi. Non cercano di dissimulare la loro presenza, ma attendono lungo la via fin dove giunge lo sguardo e al loro sopraggiungere si fanno avanti. Alcuni abbracciano parenti o conoscenti, altri piangono per chi avrebbero voluto ritrovare, ma tutti donano cibo e bevande e sempre si inchinano dinanzi al re. Pochi tornano da dove sono venuti: i più si incamminano al loro fianco, mescolandosi ai soldati ed offrendosi di aiutarli con i carri e con i cavalli, più avvezzi alle praterie che alla foresta.
Quella sconfinata distesa di alberi non ha segreti per loro e l’esercito continua a muoversi anche sotto le stelle, nonostante le chiome ne blocchino in gran parte la luce. Nessuno sente il bisogno di riposare a lungo ora che la soglia di casa è a portata di mano, e dopo diversi giorni di marcia lasciano l’antica via e piegano verso nord.
A poco a poco le alte conifere sostituiscono le latifoglie e annunciano che il loro viaggio è giunto al capolinea. Le radure si fanno sempre più numerose e il terreno inizia lentamente a salire, finché compaiono le prime abitazioni che disegnano insediamenti organizzati in posizione di solito sopraelevata. Non vi sono cinte di mura a protezione, ma la vegetazione non è mai troppo fitta intorno ad essi e ovunque spuntano torri d’osservazione, che si ergono fin quasi a raggiungere le cime degli abeti più alti e che sono collegate da una ragnatela di camminamenti sopraelevati.
Thranduil ricorda le piattaforme sospese tra le chiome costruite da alcuni gruppi di silvani intorno ad Amon Lanc, dove gli alberi possedevano rami robusti in grado di sostenerle e non si piegavano sotto il peso delle costruzioni, come invece farebbero quelli che ora vede. Luoghi diversi impongono usanze diverse, ed egli non si sorprende della capacità di adattamento della propria gente, e ancora una volta prova un senso di profondo rispetto nei suoi confronti. Non ha fatto nulla per guadagnarsi il titolo, ma è fiero di esserne il re.
Le abitazioni sono semplici, ricavate nel legno e nella pietra. Le più grandi si sviluppano intorno ad un grande albero posto al loro centro, al cui tronco si appoggiano alti tetti a spiovente che raccontano di un clima meno clemente di quello al quale egli è abituato. Gli Emyn Duir non hanno mai avuto l’ardire di definirsi montagne, poiché altro non sono che una lunga catena di colline che taglia il bosco in due e che solo ad est raggiunge altezze degne di nota, ma sono esposti ai venti freddi che scendono da nord e le piogge cadono abbondanti, trasformandosi spesso in neve durante l’inverno. Qua e là si scorgono piccole terrazze costruite intorno ai tronchi appena al di sopra del livello dei tetti, leggere e poste a quote talmente basse da non poter svolgere alcuna funzione difensiva. Quasi tutte ospitano elfi che guardano nella sua direzione e a molte di esse sono stati appesi drappi su cui qualcuno ha ricamato intrichi di rami color argento. Vi sono ovunque intrecci di fiori e di foglie di cui solo ora Thranduil si rende conto e che hanno il potere di scuoterlo nel profondo, come ogni gesto spontaneo di affetto che non ci si aspetta di ricevere.
Si ferma, circondato dalla guardia e dalla folla, e fa cenno ad Erynion di avvicinarsi.
“La guerra è finita, almeno per ora”, dice, “Che chiunque lo desideri torni alla propria casa.”
“Sì, mio signore.”
Il comandante si allontana e in meno di un attimo la foresta vibra al suono dei corni con cui i capitani sciolgono le guarnigioni. Thranduil incita il cavallo e riprende ad avanzare. Al suo avvicinarsi i silvani si fanno da parte e piegano il capo, ma sui loro volti è facile ravvisare curiosità prima che si eclissino alla vista. Forse qualcuno sì è già imbattuto in lui in passato, ma per la maggior parte di essi quella è la prima volta in cui incontrano il nuovo re e Thranduil non può non domandarsi quali siano i loro pensieri mentre lo osservano dirigersi verso il palazzo voluto dal padre. Avrà tempo in abbondanza per scoprirlo, e per imparare a conoscere il proprio popolo.



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Nota:
Con il termine "Rhovanion" ci si riferisce alle terre poste a nord di Dagorlad, altrimenti note come Terre Selvagge, e qui rappresentate alla stregua di lande brulle e desolate soggette a cicli vegetativi brevi ed effimeri, tipici di ambienti semidesertici. Per maggiori informazioni in merito si rimanda a "The Atlas of Middle-Earth" di Karen Wynn Fonstad, le cui mappe ci regalano informazioni preziose sulle regioni climatiche della Terra di Mezzo ed evidenziano le zone (circoscritte) prive di vegetazione.

Erynion  (“Figlio della foresta” nella lingua degli elfi dei boschi) è un personaggio di mia invenzione.
 
Navaer (sindarin) = Addio




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