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Autore: dess    25/08/2015    0 recensioni
Pam ha imboccato una strada inaspettata; i due anni successivi alla morte di sua madre l'hanno cambiata poco a poco, più di quanto lei stessa, e gli altri attorno a lei, immaginassero. Quando se ne rende conto si ritrova smarrita, incerta, tiene in mano il pennello della propria vita e non sa ancora come usarlo. Presa in contropiede dall'allontanarsi delle vecchie certezze, nonché dei vecchi amici, finisce per trovare altre persone, persone che prima, forse, non avrebbe mai avuto l'occasione di conoscere.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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INSOFFERENZA


«Pam? Oggi non lavori?» La voce di suo padre filtrò fino alla sua coscienza addormentata, rianimandola.

«Mmmh, no...» biascicò schiudendo le palpebre. Mise a fuoco Albert in piedi sulla soglia, in abiti da lavoro e con la borsa del suo portatile a tracolla. «Dove vai? E che ore sono?»

«Le otto. Devo stare qualche ora in ufficio, ma dovrei riuscire a finire per pranzo. Se ti va puoi raggiungermi lì e andiamo a mangiare da qualche parte.»

«D'aaah... ccordo» sbadigliò lei. «Buon lavoro...» E si girò nel letto, sentendo appena suo padre uscire.

Al suo risveglio, svariate ore più tardi, il sabato si presentò umido e grigio, recando con sé un gran vento freddo; era come se l'inverno fosse passato a sondare il terreno prima di trasferirsi ufficialmente in città. Dopo essersi concessa un buon quarto d'ora di relax, Pam uscì dal letto, fece tappa in bagno e poi scese in cucina.

Mentre il suo cervello iniziava a carburare e progettava di passare il resto della mattinata davanti alla TV, si ricordò improvvisamente della sera prima, della Coca-Cola, dei vestiti e di Troy. Con un gemito, abbandonò i suoi cereali sul tavolo e corse a controllare la lavanderia; i suoi abiti, tuttora bagnati ma almeno puliti, aspettavano di essere stesi, mentre la maglietta e la giacca a vento erano ancora nell'asciugatrice. Pam trasse un sospiro di sollievo ‒ suo padre non controllava mai il bucato ‒ e si ricordò anche che Troy se n'era andato con indosso il giubbotto e nient'altro. E per fortuna la telefonata l'aveva costretto ad andarsene, risparmiandole così una conversazione senza dubbio mortificante.

Se Sandra – o Corinne, o Dawn – fosse stata raggiungibile l'avrebbe ragguagliata subito su Troy e sui suoi baci. Ma Dawn era andata a studiare in Europa, Corinne era quasi irrintracciabile perché studiava e lavorava contemporaneamente, e Sandra non aveva risposto alla sua email, nonostante fosse trascorsa quasi una settimana. Ecco, questo infastidiva Pam non poco, dato che sapeva per certo quanto regolarmente l'amica usasse computer e cellulare. Tuttavia preferiva darle il beneficio del dubbio, poiché rifiutava di pensare che la stesse ignorando di proposito. Così abbandonò l'idea della TV e decise di chiamarla.

«Pronto?» Sandra rispose al decimo squillo, quando ormai stava per riattaccare.

«Ehi! Sono Pam. Ti ho svegliata?» A New York era un'ora più tardi rispetto all'Iowa.

«Solo un pochino...» La sentì sbadigliare all'altro capo della linea. «No, no, Marta, era il mio» disse poi a qualcun altro fuori campo. Pam non doveva aver svegliato soltanto lei. «La mia coinquilina e... uhm... apparentemente il suo ragazzo. Credo. Ieri sera ha bevuto così tanto che non distingue nemmeno la sua suoneria dalla mia» ridacchiò Sandra.

«Oh. Beh, come stai? Dato che non mi hai scritto ho pensato di chiamarti. E anche che fossi stata rapita da qualcuno.»

«L'email! Oh, scusami, tesoro, mi sono scordata di risponderti! Sai, con tutte le cose che ho da fare qui, le lezioni, gli eventi... Mi è proprio passato di mente.»

«Non importa» disse Pam, anche se una donnina in un angolo della sua mente strinse i denti.

«Comunque New York è fantastica, e il college è semplicemente stupendo. Ho incontrato un sacco di gente grandiosa e i ragazzi...» Mentre parlava, Pam si chiese quanti altri superlativi di “bello” sarebbe riuscita a nominare. «E tu?» le chiese quando ebbe finito. «Come va la vita?»

«Ecco, ho appena trovato un lavoro in una pasticceria. Non è niente male e almeno non sto in casa ad annoiarmi. Ho anche conosciuto un ragazzo...»

«Non è che stai pensando di rimetterti con Andy?» la interruppe Sandra. Suo fratello maggiore era stato il primo ragazzo di Pam, al secondo anno di liceo. Erano stati insieme sei mesi, poi lui, prossimo al diploma, aveva ammesso di vederla più come “l'amica della sua sorellina” e di voler fare altre esperienze.

«Ehm, perché dovrei rimettermi con Andy? Ci siamo lasciati da un secolo.»

«Oh, beh, pensavo che magari per riempire il vuoto della mia assenza vi sareste riavvicinati. Sarebbe così carino vedervi insieme! Così potresti venire con lui a trovarmi.»

«Posso farlo lo stesso. Intendo venire a trovarti, non tornare con Andy. Comunque, questo ragazzo, Troy...» Pam le raccontò della bibita rovesciata, del passaggio e delle conseguenze.

«Hai accettato un passaggio da uno sconosciuto ubriaco? In moto?! Ma sei matta, potevi fare un incidente o addirittura risvegliarti rasata a zero, o peggio...»

«Non era ubriaco, e la vita in una metropoli ti sta dando alla testa. Oh, e smetti di guardare “Veronica Mars”.» A quanto pareva, per Sandra ubriacarsi e spassarsela alle feste universitarie era il massimo, invece accettare un passaggio da uno sconosciuto non ubriaco che voleva solo scusarsi per la storia della Coca-Cola no. «Comunque, mentre i suoi vestiti si asciugavano...»

«E l'hai anche invitato ad entrare» insisté Sandra in tono di riprovazione. «Senza sapere chi fosse...»

«Sapevo benissimo chi era, ti ho detto il suo nome! Ma mi ascolti?»

«Scusa, tesoro, mi preoccupo per te! Sei così lontana...»

«Guarda che sei tu quella lontana. Io sono sempre qui.» Pam si rese conto di aver assunto un atteggiamento scontroso, tuttavia non ci poteva fare nulla. Il modo di fare di Sandra, già incline ad un certo egocentrismo, si era accentuato in maniera insopportabile anche per lei che la conosceva da una vita. Ora si pentiva di averla chiamata: non le importava più niente di raccontarle alcunché. «Senti, devo proprio andare. È stato bello sentirti.»

«Ehi, Pam, aspetta, non sarà per...» Ma Pam aveva già interrotto la chiamata.

Irritata con se stessa e con l'amica, recuperò i cereali dalla cucina, gettò il telefono sul divano e vi si gettò a sua volta, tornando al piano iniziale di stordirsi con la TV.

Alle dodici si preparò per sfidare il vento, prendere l'autobus e raggiungere suo padre a pranzo. L'ufficio di Albert si trovava a sudovest di Cravenville, in una zona sostanzialmente occupata da uffici, ristoranti e qualche albergo. Lui lavorava come consulente tecnico-scientifico per una ditta piuttosto grossa, la Maple&Crumbs, che si occupava di bonifiche, ripristino ambientale, tutela paesaggistica e cose simili.

Pam accolse con gran piacere l'ondata di caldo che la abbracciò al suo ingresso nella palazzina. L'edificio ospitava sia la Maple&Crumbs che alcune piccole associazioni, perciò il pianterreno era costituito da un ampio ingresso suddiviso in sezioni, ognuna delle quali conteneva una diversa reception. Si diresse verso quella più grande.

«Buongiorno, Janette. Sai se mio padre è libero?»

«Ciao, Paméla!» Janette Ayas, l'iperorganizzata segretaria canadese, calcò lievemente l'accento sulla A del suo nome mentre smetteva di parlare al microfono dell'auricolare. «Dovrebbe essere... Ah, guarda, eccolo lì!» Albert aveva appena varcato la soglia e stava attraversando l'atrio, frugando nelle tasche del cappotto. Accanto a lui camminava una donna bionda, probabilmente una collega; stavano chiacchierando insieme. La scorse solo quando Pam lo chiamò.

«Oh, ciao! Ehm, ti aspettavo più tardi» disse lasciando perdere ciò che cercava. Si congedò rapidamente dalla donna e si accostò alla figlia. «Meglio, perché sto morendo di fame!»

«Non avevo nulla da fare, quindi sono uscita presto. Dov'eri?» Raggiunsero l'ascensore per salire all'ufficio di Albert, al terzo piano, per lasciare alcuni documenti.

«Dovevo incontrare un cliente qui vicino.» Sembrava nervoso, probabilmente per via di qualche nuovo lavoro. Albert era sempre in agitazione quando gli affidavano un caso potenzialmente interessante. Era un biologo specializzato in ecologia e la ditta lo spediva spesso a fare sopralluoghi, oltre alle ricerche in laboratorio.

Andarono a pranzo in un ristorantino cinese non lontano da lì. Pam pensò di ordinare qualcosa in più e poi portarlo a casa, così avrebbero avuto la cena pronta.

«Oggi mi hanno comunicato che dovrò fare un viaggetto nel Wisconsin, a breve, per visitare una zona paludosa vicino al vecchio sito di una fabbrica di materiali chimici» le comunicò Albert dopo che ebbero ordinato. «Calvin mi accompagnerà.» Calvin era l'esperto del settore, presso la M&C. «In realtà sarò più che altro io ad accompagnare lui, visto che non è proprio di mia competenza, ma siamo a corto di personale. Dovrei partire intorno a mercoledì.»

«Non è un po' senza preavviso?» commentò Pam. «Di solito te lo dicono settimane prima.»

«Sì, ma si tratta di un'emergenza. Lo Stato del Wisconsin ci ha assunti per bonificare la zona interessata e quello sarà il mio campo, ma prima servono delle analisi accurate, perché c'è di mezzo una causa contro la fabbrica. È una cosa grossa, perciò Charlie vuole mandarci due persone.» Il Charlie in questione era Charles Crumbs, nipote del cofondatore Jefferson Crumbs e responsabile della filiale in cui Albert lavorava.

«E sai già quanto starai via?» chiese Pam.

«Circa una settimana. Mi spiace lasciarti a casa da sola, ma sarà difficile rifiutare.»

«Non preoccuparti, sono solo pochi giorni. E poi la pasticceria mi terrà occupata, quindi non resterò chiusa in casa tutto il tempo.» Ogni tanto capitava che suo padre si recasse in altri Stati per lavoro, per il tempo necessario a prelevare campioni, scattare fotografie, fornire pareri tecnici o qualunque altra cosa dovesse fare. Qualche volta Pam l'aveva accompagnato in viaggio, se la meta era qualche posto interessante e lei era in vacanza da scuola. Ma non è che l'idea di una palude nel Wisconsin la entusiasmasse poi tanto, e comunque doveva lavorare, ora.

Terminato il pranzo Albert passò in ufficio a recuperare della roba, dopodiché tornarono a casa in macchina. Mentre percorrevano la loro via, Pam scorse l'auto di Cheryl parcheggiata lungo il marciapiede.

«Papà, torno tra un minuto» disse. Fece tappa in casa solo per prelevare dall'asciugatrice la maglietta e la giacca di Troy.

Anche Cheryl era cresciuta a Northgreen, come Pam e i Parris; lei e il fratello di Sandra erano coetanei, due anni più vecchi di loro. Sandra e Cheryl però non avevano mai legato molto, soprattutto da adolescenti. Cheryl, poi, non era mai andata d'accordo coi propri genitori per via della sua “indole ribelle”, che contrastava troppo con l'educazione borghese che volevano impartirle: appena finita la scuola aveva trovato lavoro allo Sparks ed era andata a vivere per conto proprio. Di tanto in tanto, comunque, faceva una capatina a casa, più che altro per vedere la sua sorellina di otto anni. Pam aveva sempre pensato che i signori Dixon avessero deciso di avere un'altra figlia quando si erano accorti di aver fallito con la prima; Chelsea era carina, impeccabile e beneducata, tutto ciò che Cheryl era stata da bambina, prima di imboccare la famosa cattiva strada. Non che la Cheryl adulta non fosse carina o beneducata, solo non nel modo in cui volevano loro.

La porta di casa Dixon si aprì proprio mentre Pam imboccava il vialetto d'accesso.

«No, mamma, davvero, non disturbarti» disse una voce pesantemente sarcastica.

«Non fare scenate mentre esci in strada, o tutto il vicinato si affaccerà a curiosare» sibilò un'altra poco lontano.

«Sai che diavolo me ne frega» sbuffò Cheryl. Si arrestò sulla soglia, sorpresa, nel vedere Pam.

«Ehi, ciao. Ho visto la tua macchina» spiegò lei. Sheila Dixon, alta, bruna e imponente, comparve alle spalle di Cheryl e fece un'espressione contrariata.

«Visto?» commentò seccamente all'indirizzo della figlia. «Ciao, Pamela, come stai?» Zia Linette era una delle poche persone che la chiamavano regolarmente Pamela; un'altra era Sheila.

«Bene, grazie...» Non fece in tempo a dirlo che Cheryl la afferrò per un braccio.

«Ciao, mamma, e grazie per l'ospitalità! Io me ne vado, eh? E non dimenticare di dire a Chelsea del mio invito, questa volta.» Diede le spalle alla madre e si incamminò verso la macchina, sicché Pam non poté fare altro che seguirla. «Dio, che stronza!» sbottò una volta a bordo. «Le ho detto due volte, due, di far stare Chels da me un sabato pomeriggio, ma per qualche strano motivo continua a dimenticarsi di chiederglielo! I fratelli maggiori dovrebbero avere dei diritti o qualcosa del genere.»

«Credo che ne abbiano...»

«Beh, spiegalo a lei!» Fecero retromarcia fuori dal vialetto e si fermarono di nuovo davanti a casa di Pam. «Comunque, mi stavi cercando?»

«Sì, volevo approfittarne per lasciarti questi.» Pam mostrò i vestiti che aveva in mano, lieta del cambio di argomento. Era risaputo da chiunque conoscesse da vicino i Dixon quanto i genitori non vedessero di buon occhio che la figlia minore passasse molto tempo con la maggiore; “cattiva influenza”, questa era la spiegazione non ufficiale. In ogni caso, per Cheryl era un argomento alquanto delicato. «Dovresti, ehm, tenerli al locale finché il proprietario non se li riprende.»

«Di chi sono?» Cheryl esaminò sospettosamente la maglia, registrandone il taglio maschile.

«Di Troy Foster.» Pam si preparò mentalmente alla paternale in arrivo.

«Cooosa?!» strillò infatti la ragazza. «Che diavolo ci fai tu con la maglia di Troy Foster? Che cosa hai fatto?» Quel tono d'accusa le parve davvero esagerato.

«Niente di che! Mi ha accompagnata a casa dopo avermi versato addosso una Coca-Cola.»

«È la scusa più originale che abbia mai sentito! Avanti, sputa il rospo.»

«Ma è così che è andata! Si è bagnato anche lui» e qui ignorò l'occhiata allusiva, «quindi gli ho asciugato i vestiti.»

«Tesoro, so abbastanza di Troy Foster per dedurre che non può essere tutto qui.»

«Mi ha baciata... Ma poi se n'è dovuto andare e ha lasciato qui i suoi vestiti.»

«Lo sapevo! Ehi, fammi capire, stai andando in giro a pomiciare con gli sconosciuti?»

«Oh, per la miseria, non è una cosa così straordinaria!» si difese Pam, indignata. «È stato solo un bacio, ed è durato poco. Relativamente poco.» Tralasciò una seconda occhiata allusiva, succhiandosi l'interno della guancia mentre pensava. «Senti, tu lo conosci bene, Troy?»

«Non proprio di persona, ma viene spesso allo Sparks. Lo vedo lì da quando ci lavoro. Credo che non sia cresciuto qui, perché non ho mai visto nella nostra scuola né lui né quelli con cui sta di solito.»

«Allora come fai a sapere tanto bene che tipo è?» obiettò Pam.

«Tesoro, una barista ha orecchie dappertutto! Quello è tipo da provarci senza ritegno con qualunque cosa abbia le tette, fidati.» Pam pensò di non menzionare che le avesse offerto un giro in moto senza nemmeno averla vista bene in faccia, al loro primo incontro; non giocava esattamente a suo favore. Era un po' delusa, onestamente, che un ragazzo carino l'avesse abbordata solo perché era una qualsiasi. «Ehi, senti un po', ragazza, non farti castelli per aria su di lui solo perché non è male: lo so come sei fatta» sentenziò Cheryl con aria severa. «E non dire che non ci stavi pensando!» Bloccò sul nascere le sue proteste, posandole una mano sulla spalla. «Tesoro» ripeté più gentilmente, «lascialo perdere. Non è proprio il tuo tipo, sai» dichiarò alzando gli occhi al cielo, come se fosse ovvio.

A quel punto Pam tacque, sentendosi indispettita. Il suo tipo? D'accordo, il suo ex era un ragazzo perbene, a suo modo ordinario e privo di motocicletta, ma questo decretava senza ombra di dubbio che non potesse frequentare tipi diversi? Ma certo, aveva una targa “Qui Brava Ragazza, Bravo Ragazzo cercasi” già pronta da appendere al collo.

«Senti, dagli i vestiti quando lo vedi, okay?» tagliò corto. «Adesso vado, mio padre è a casa.»

«Okay. Passa a trovarmi, quando ti va!» Cheryl aspettò che scendesse, ripartì e Pam la guardò andarsene, le braccia conserte in un moto di stizza.

  
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