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Autore: Skred    25/08/2015    0 recensioni
«È triste. Davvero triste. Quel giorno fosti proprio tu a dirmi di non dimenticarti. Di cercarti... e invece. Però... non importa, non mi arrenderò così facilmente. A costo di dover farti innamorare di nuovo di me...»
Non capivo se mi stesse prendendo o meno in giro, eppure mentre diceva quelle parole, sembrava così seria e sincera. Strinse con forza la tracolla della borsa e, nonostante tenesse il viso chino, notai che si stava mordendo un labbro.
Subito dopo scattò, dandomi le spalle e iniziò a muovere dei passi. Non appena si allontanò abbastanza, si voltò nuovamente verso di me, alzò il braccio e mi puntò il dito contro.
«... perché io ti amo!»
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario, Sovrannaturale
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«Sono a casa.»
Chiudendo piano la porta alle mie spalle, finalmente ero rientrato. Sin dal mattino presto, fino a quell'ora tarda, ero rimasto fuori a studiare con dei ragazzi che frequentavano i miei stessi corsi. Ero distrutto.
«Oh, tesoro. Hai fatto così tardi anche oggi.»
Mia madre venne subito ad accogliermi. Quando sapeva che rientravo così tardi per via dello studio, si dimostrava sempre così gentile. Infatti era ormai una settimana che facevo quella vitaccia, ma gli esami si stavano avvicinando minacciosamente, e io dovevo darmi da fare.
«Già... sono davvero stanco. Ho sola voglia di entrare in simbiosi col mio letto. »

Le dissi, iniziando a muovere alcuni passi verso le scale. Non vedevo l'ora di sprofondare sul mio morbido materasso, e perché no, andare in letargo.
«Hm, prima che tu possa portare a termine questi grandi obiettivi, hai notizie di Gin?»

Sobbalzai, fermandomi bruscamente al primo gradino della scalinata.
«Gin? Perché me lo chiedi?»

Voltai un po' il capo verso di lei.
«Ecco... non viene a lezione da quasi una settimana, quindi sono un po' preoccupata. So che non è interesse mio la vita privata dei miei studenti, ma non è da lei assentarsi per così tanto tempo.»
«In effetti... è vero. Sentivo come un senso di libertà in questi giorni.»

Nessuno che mi rincorreva, che provava a molestarmi... era stato davvero breve, ma intenso.
«Ho anche provato a chiamarla... ma non mi ha risposto. Magari se provi tu, avrai più possibilità. Allora? Lo fai questo favore alla mamma?»

Mi grattai il capo. Avevo davvero sonno, ma non potevo dirle di no. Sopratutto perché...
«N-non guardarmi con quegli occ-... d'accordo.»
Puntualmente, cercava di colpire i miei sentimenti di figlio. E ci riusciva sempre!
«Però... prendo la moto di Sora!»

Tuttavia, avevo anch'io le mie condizioni. Avevo velocemente memorizzato il numero di Gin sulla rubrica, e recuperato un casco, mi ero subito messo in sella alla moto. Avevo accennato già tempo addietro l'esistenza di questo fantomatico fratello maggiore, e bé, visto che il più delle volte ero la sua domestica personale, prendevo la mia paga sottraendogli la moto quando mi andava.
“Come ho fatto a dimenticarmi completamente di Gin? Ero così preso dalle lezioni che non ho nemmeno fatto caso alla sua assenza. Mi ucciderà, me lo sento.”
Pensai, cercando in tutti i modi una possibile soluzione affinché non mi provocasse una morte istantanea soltanto con lo sguardo. Dopo quello che le avevo detto l'ultima volta, ero stato davvero cattivo dimenticandomi così di lei.

In poco tempo ero già arrivato davanti casa sua, lasciai la moto dentro il giardino e, tolto il casco, mi posizionai a pochi centimetri dalla porta, iniziando a bussare dando leggeri colpi col pugno.
«Giiin!»
Non ottenni nessuna risposta.
«Hm... provo a chiamarla.»
Presi in mano il cellulare, cliccai il suo numero e feci partire la chiamata. Nonostante il telefono segnasse libero, lei non rispondeva.
«Bé... forse non risponde vedendo un numero sconosciuto. Magari se le scrivo un messaggio firmandolo...»
Decisi quindi di inviarle un'email. Ma nonostante passarono più di dieci minuti, lei non rispose.

«Gin? Sei in casa? Apri!»
Mi spostai da davanti la porta, posizionandomi sotto il balcone del secondo piano.

Forse non era davvero in casa?
Ad un tratto il telefono che tenevo in mano vibrò, segnalando l'arrivo di un messaggio. Quindi aveva risposto! Speranzoso aprì l'email, tuttavia...
“Vai via...?”
La mia espressione mutò totalmente, assumendo un broncio infastidito.
«Che razza di risposta!»
Urlai contro la finestra.
«Giiin, aprimi! Fa freddo, e io di qui non mi muovo!»

Era in casa, e non voleva aprirmi! Ed era anche piuttosto tardi, e io avevo sonno! Tornai davanti alla porta, riprendendo a bussare, questa volta rumorosamente. Dopo il quinto pugno, la porta si mosse.
«Ah. Ha aperto.»
Già, ero così preso dal sfogare la mia frustrazione sulla porta, da non rendermi conto che fosse aperta già da un po'.

«Ehi... dove sei?»
Mi addentrai lentamente dentro la stanza, chiudendo la porta alle mie spalle. Era tutto buio, sembrava il degno scenario di un film horror. Fortunatamente, ricordavo bene la disposizione dei mobili nella stanza, quindi, nonostante la scarsa visibilità, non mi fu difficile orientarmi. E dopo qualche minuto, avevo finalmente trovato la piccola fuggitiva.
«Che ti prende?»
Si trovava nel salotto, rannicchiata a terra, con le spalle contro il muro.
«Perché sei venuto? Pensavo stessi bene senza di me.»
Rimanendo sempre in posizione fetale, fu l'unica cosa che riuscì a dirmi.

«Che diavolo stai dicendo... mia madre ha detto che è da quasi una settimana che non ti vede. È vero?»
Mi posizionai davanti a lei, continuando ad osservarla dall'alto.

«Prima te ne lamenti e poi fa tu lo stalker?»
C'era davvero qualcosa che non andava. Non era la Gin di sempre.
«Smettila di rispondermi così male... e guardami in faccia mentre ti... parlo.»
Mi dava davvero fastidio questo suo improvviso cambio di comportamento. Okay, forse era anche colpa mia che la rimproveravo di essere fin troppo espansiva nei miei confronti, ma questa totale apatia era davvero pesante. Mi inginocchiai, volevo che mi parlasse in faccia, non rannicchiata in quello stato. Dovetti forzarla e finalmente aveva alzato il viso... ma forse avrei preferito non lo avesse fatto.

«O..r..a sei... felice?»
Avevo gli occhi rossi e umidi. Le guance erano rigate da lacrime, come se non bastasse, aveva un colorito più pallido del solito, che faceva risaltare le occhiaie violacee. Mi sembrava di avere davanti un cadavere, avevo quasi i brividi.
«Gin... cos'è successo?»
Deglutì, cercando di trovare le parole giuste per affrontare la situazione.

«Nulla, nulla! Vai via... ti prego!»
Visto che le tenevo fermi entrambi i polsi, affinché non ritornasse alla sua posizione precedente, lei iniziò ad agitarsi.
«Non vado proprio da nessuna parte.»
Ma non poteva di certo averla vinta contro di me.

«C-che fai!»
Con forza, la strattonai, facendola ricadere su di me. Questa volta, mi misi io con le spalle al muro, mentre lei aveva le sue contro il mio petto. L'avvolsi con entrambe le braccia, affinché non potesse scappare via.
«Avevi detto che non piangevi mai.»
Le feci notare.
«E tu avevi detto che se mi avessi vista piangere, mi avresti insultata.»
Controbatté subito.
«Anche questo è vero, siamo proprio dei bugiardi.»
Mi lasciai scappare un amaro sorriso.


«Non vuoi davvero dirmi cosa ti è successo?»
Per almeno cinque minuti, nessuno dei due proferì parola.
«Ho pensato che... avrei voluto allontanarmi da te. In realtà, credevo che ci sarei riuscita senza problemi, visto che era questo il tuo desiderio.»
Continuava a dipingermi come se fossi il peggiore dei mostri. Ma forse... ero davvero stato così fin ora?
«Ti sei chiusa in casa solo per non vedermi?»
«No... sono stata male.»
«Aaah, basta questi giri di parole, dimmi cosa succede una volta per tutte!»

«E a te che importa?! Non volevi tornare alla tua vita tranquilla? È questo il tuo momento! Non ascoltarmi e va' via.»
Era ormai la decima volta che mi consigliava di andare via.
«Gin... voglio davvero saperlo. Sono serio. Non ho intenzione di andare via da qui, né di cacciarti dalla mia vita da un momento all'altro. Cos'è? Prima ti intrufoli di forza, e poi credi di potertene andare così facilmente? Non funziona così.»
Fui il più sincero possibile. Forse era questo l'unico modo per far sì che in qualche mondo, mi si aprisse. Lei sospirò, facendo cadere indietro la testa e socchiudendo gli occhi.

«Ricordi... quando ti dissi che mi madre morì a causa di una malattia? Bé... il suo era un male ereditario.»
«Non è possibile...»

La situazione era più grave di quanto immaginassi.
«Per questo... ho paura. Non posso rischiare... non voglio morire. Ora che ti ho trovato. Ora che posso starti vicino... non voglio andarmene. Nessuno mi darà una terza occasione. Non posso... non voglio.»

Continuava a parlare tenendo gli occhi ermeticamente chiusi, forse non riusciva a guardarmi in faccia senza scoppiare a piangere?
«Così... volevo che se anche fossi morta... tu non ne avresti sofferto. Per questo non volevo più starti accanto. Ma allo stesso tempo, soffrivo perché se davvero non ho più tempo, vorrei passare quel poco che mi resta... solo con te.»

Mi sentivo davvero un mostro. Ogni volta, lei pensava sempre e solo al mio bene. Mentre io? Cosa avevo fatto in cambio? Dimenticarmi della sua esistenza per tutti qui giorni, non pensando a quanto stesse soffrendo.
«Andrà tutto bene, te lo prometto.»
La strinsi ancor più forte a me, appoggiando la guancia contro la sua testa. Non volevo che niente la potesse toccare, se mi fosse stato possibile avrei evitato persino che l'aria potesse sfiorarle la pelle.
«Daichi... sai perché ho la certezza di quale sia il fine della nostra reincarnazione? Io non ricordo altri che te. Del mio passato... ho soltanto memorie in cui esisti anche tu. Dopo la tua morte, essi finiscono. Non ricordo niente di mia madre, di mio padre e dei miei fratelli. Per questo sono così legata alla storia e so tutto di essa, proprio perché non conoscevo nulla di me stessa, a parte il fatto di averti conosciuto e amato.»

Non riuscivo davvero a “sopportarla” quando parlava così. Dovevo essere io l'uomo. Quello forte, coraggioso. E invece, avevo solo voglia di mettermi a piangere e chiederle scusa.
«Aaaah, smettila di dire tutte queste cose!»
Esclamai, dandole un piccolo colpo sulla testa.
«S—scusami... ma volevo... che sapessi tutto.»
Mi sembrò quasi di sentirla ridere, divertita dalla mia reazione.

«Gin.»
Ci fu di nuovo qualche minuto di silenzio.
«Hm.»

«Tu... hai contratto la malattia?»
Osai chiedere.
«Forse... per questo prendo continue medicine. Da quando sono nata, non ho fatto altro che combattere contro questa ipotetica malattia... però... ora... posso saperlo. Ho fatto degli esami e... una settimana fa, sono arrivati i risultati.»
«L—li hai letti...?»
Deglutì. Sudavo freddo, la situazione si faceva sempre più tesa. Ce l'avrei fatta?
«No, non ne ho avuto il coraggio. Cosa avrei fatto se lì ci fosse scritto che sono malata? Così mi sono rinchiusa in me stessa... fino ad oggi.»
Spostò lo sguardo verso una grossa busta gialla che stava poggiata su un mobile poco distante da lì.
«Allora... facciamo così. Li leggiamo insieme.»
Liberai per qualche secondo la ragazza dalla mia presa. Mi rimisi in piedi, afferrai la busta e tornai da lei.
«N—no Daichi, aspetta...»
«Niente ma, di cosa hai paura se ci sono qui io?»
«Proprio il non averti più vicino a me.»
«Per quanto tu mi stia antipatica... il nostro fato sembra così minuziosamente intrecciato che non credo di potermi liberare così facilmente di te.»

Cedetti a lei l'oggetto, e per infonderle un po' di coraggio, poggiai le mie mani sulle sue.
«Ecco qua, afferra. Quando ti senti pronta, apri la busta e leggiamo insieme.»
Lei teneva stretta fra le piccole mani la grande busta gialla. La vedevo ogni tanto oscillare, visto che il suo corpo non faceva altro che tremare per l'ansia. Allo stesso modo, quei secondi che ci separavano dal risultato, non facevano altro che farmi impazzire. Chiusi le palpebre, per poi riaprirle poco dopo. Di nuovo si chiusero, questa volta il tempo fu più lungo. Quando le riaprii, tutto intorno a me era meno nitido, come se avessi perso improvvisamente non so quanti gradi. La testa mi si fece pesante, tanto che avevo l'impressione che il collo non potesse sostenerla. La gettai in avanti, facendola sprofondare fra i capelli della ragazza. Nonostante stesse cercando di parlarmi, non sentivo nulla. Mi ero addormentato in un momento così cruciale, che crudele.

«L—la busta.»

Scattai in avanti, spalancando gli occhi.
La stanza non era più avvolta dalle tenebre, bensì era illuminata de una luce naturale... era dunque già mattina. Mi ritrovavo sul divano del salotto, con addosso una coperta. Mi ero sicuramente addormentato, e avevo passato il resto della notte sdraiato lì.
«Gin.. Gin! Dove sei?! La busta? I risultati! Gin!»
Poco dopo mi ricordai tutto ciò che era successo la sera prima, e mi agitai parecchio. Mi lancia letteralmente giù dal divano, per poi tirarmi velocemente in piedi. Sembravo fuori controllo, agivo senza una qualsiasi logica. Ma dovevo saperlo. Dovevo sapere dov'era Gin, e sopratutto come stava.
«Ehi, ehi! Buongiorno anche a te!»
E fu proprio allora che lei apparì nella mia visuale. Si trovava in cucina, poco distante dal tavolo posto nel centro della stanza. Mi si illuminarono gli occhi. Non sembrava la Gin di ieri sera... perché stava sorridendo. Quel sorriso così bello che riusciva a cambiarti l'esito di un'intera giornata. Scossi velocemente il capo, non era quello il momento di farsi prendere dai sentimentalismi, e corsi da lei.
«Gin! Scusami, mi sono addormentato! N-non volevo, ma ero davvero stanco, e la tua testa così comoda! No, cioè... come ci sono finito sul divano?»

Feci più volte degli inchini, implorando il suo perdono.
«Ti ha spostato ieri sera mio padre. Non ho così tanta forza, e tu non sei nemmeno così leggerino!»
Chissà cosa avrà pensato quell'uomo quando rientrando s'è ritrovata sua figlia a casa da sola con un ragazzo addormentato. La mia povera reputazione di ragazzo per bene sarebbe stata inabissata dalla mia negligenza?
«E i risultati?»
Ora era la cosa più importante. Inizia a sudare freddo. In effetti, non glielo avrei nemmeno voluto chiedere. Forse ero persino meno pronto di lei nel sapere il responso.
«Perché ti sei ammutolita?! Non dirmi che sono positivi...? Dai, parla!»
Aveva chinato il viso, e non osava proferire parola.
Di colpo le poggiai entrambe le mani sulle spalle.

Iniziai a pensare “Ti prego Gin, parla. Di qualcosa. O quello a morire qui sarò io!”
«N-e-g-a-t-i-v-o.»
Silenzio.
Aveva rialzato il volto, mostrandomi una smorfia.
Io invece non sapevo che espressione assumere. Erano fin troppe le emozioni che mi stavano percorrendo il corpo.
«E me lo dici così?!»
Esclami, entusiasta. L'afferrai senza preavviso da sotto le braccia, facendola volteare una o due volte.

«Aaah, c-almati, aiuto! Mettimi giù, mettimi giù!»
«M-mi sono fatto prendere dalla situazione.»

Sorrisi, facendola tornare con i piedi per terra.
«Ti ho preparato la colazione, io vado un attimo a cambiarmi, ok?»
Spostai lo sguardo verso il tavolo, notando che su di esso vi erano più e più pietanze.
«D'accordo...»
In effetti lei, a differenza mia, si era anche messa in pigiama. Ma degli indumenti del genere potevano essere davvero classificati come tali? Indossava una semplice canotta e degli short davvero, ma davvero corti. Forse, ieri sera, per via del buio, non li avevo completamente notati. Mentre rimasi lì fermo impalato ancora un po', il mio stomaco sembrò ribellarsi, così corsi subito a mettere qualcosa sotto i denti. Come sempre, tutto ciò che mi preparava Gin era estremamente delizioso. Mi ci volle davvero poco tempo per pulire completamente i piatti, e ora mi stavo annoiando. Lei non era ancora tornata, nonostante fossero passati circa dieci minuti. Eppure sapevo bene quanto le donne potessero essere lente, visto che ogni volta che si faceva qualche uscita in famiglia, mia madre era sempre in ritardo. Feci vagare lo sguardo, dovevo necessariamente trovare qualcosa che mi intrattenesse. Fu allora che notai la borsa che di solito conteneva le due katane. Era lì, poggiata contro un muro della cucina. Non avevo avuto chissà quante occasioni per osservarle da vicino, tranne il primo giorno che incontrai Gin. Erano passati quasi dieci giorni, eppure a me sembrava fosse soltanto ieri. Mi alzai in piedi, presi la borsa, e portandomela dietro, mi rimisi a sedere. Aprendola, decisi di tirar fuori soltanto la mia katana.

«È davvero bella.»
Commentai, analizzandola minuziosamente. La fodera esterna era completamente nera, come anche il manico. Tuttavia, risaltando fra quell'oscurità, apparivano dei decori orizzontali color oro. Non mi ero mai interessato a delle armi così tradizionali, anche quando provavo un nuovo gioco online, finito per utilizzare sempre quei grossi spadoni.
Facendole fare un piccolo scatto, estrassi lentamente la lama.
Non altrettanto lentamente, il mio aspetto mutò.
«AAAAAAAAAAAAAAAAH!!»
Non feci in tempo a rendermi conto di quello che stava succedendo che sentii un urlo. Era Gin, e proveniva dal piano superiore.
«C-che le è successo...»
Scattai subito, tenendo ancora fra le mani il fodero e la katana. Salii come un fulmine le scale, trovando subito dopo la sua posizione.
«Gin!»
La porta della stanza era chiusa, così, facendo girare il pomello, lentamente la aprii. Infilai prima metà viso, per dare uno sguardo veloce all'interno.
«Va... tutto... b...ene?»
Provai a dire, aprendo di più.
«Sei idiota!!»

In tutta risposta, ottenni solo insulti. Gin era lì, sembrava stare bene. Ma ovviamente, come era avvenuto il cambiamento per me, anche lei aveva assunto l'aspetto della Gin del passato. Mi ero completamente dimenticato dell'effetto collaterale che portava sfoderare le katane.
«Ah? Eri... sotto la doccia?»
Esattamente. La Gin che mi trovai davanti era un'infuriatissima ragazza completamente inzuppata dalla testa ai piedi. Probabilmente, quando avevo avuto quella fantastica idea di esplorare l'arma, lei si trovava sotto la doccia. Era completamente rossa in viso, e si era avvolta con entrambe le braccia affinché non potessi guardarla. Era tutto così divertente, sarei scoppiato a ridere da un momento all'altro.

«S-scusami... la poso subit-»
«No, no, no! Fermati! Ero n...nuda prima! Se chiudi il fodero...»

Era un dettaglio a cui non avevo pensato.
«Ah... è così?»
Sogghignai.
«E-ehi... non pensarci nemmeno!»

Lei divenne ancora più rossa.
«Ho il potere nelle mie mani.»
Proferì, assumendo l'aria del cattivo pronto a commettere chissà quale sgarro all'eroe.

«No, quello ce l'ho io.»
Ma appunto, come i peggiori dei cattivi, venivo sempre preso sconfitto. Gin iniziò a sussurrare qualcosa in non so quale strana lingua, proprio come aveva fatto la prima volta che avevamo combattuto insieme. Aspetta... non dirmi che...

«Questa la prendo io... se non ti dispiace.»
«C-così... non è... giusto.»
Mi aveva appena lanciato un incantesimo contro, e questo, a sua volta, mi aveva scaraventato contro la parete del corridoio, al di fuori della porta. Lei mi raggiunse poco dopo, mi sottrasse la katana e rientrò in bagno, chiudendo la porta alle sue spalle. Successivamente, capì che aveva rimesso la katana nel fodero, visto che avevo ripreso il mio normale aspetto, solo che rimanevo ancora malridotto e dolorante.

«Scusami...»

Non appena fui in grado di rimettermi in piedi, tornai al piano inferiore. Per non causa altri problemi, e sopratutto per evitare che mi picchiasse di nuovo, decisi di mettermi seduto sul divano, immobile. Dieci minuti dopo, Gin mi raggiunse. Indossava dei pantaloncini di jeans e una maglia abbastanza lunga che le arrivava oltre i fianchi. Ai piedi invece aveva dei sandali con qualche centimetro di tacco. Di solito indossava vestitini o gonne, mi faceva un po' strano vederla con quei panni. Non che le stessero male, c'è da dire. Anzi, con quegli abiti attirava anche meno l'attenzione, sarebbe stato più semplice evitare gli sguardi indiscreti.
«Mh.»
Rispose semplicemente lei, lasciandosi cadere sulla poltrona posta proprio davanti al divano. Accavallò le gambe e incrociò le braccia. L'avevo davvero fatta infuriare?

«Non vuoi parlarmi?»
«Ti piacerebbe.»

Borbottò lei.
«Stavo scherzando... non l'avrei mai fatto...»
Tossì, schiarendomi la voce. Dovevo riuscire a riacquistare quel poco di fiducia che aveva nei miei confronti.
«S-senti... pomeriggio hai da fare?»
Idea! L'avrei portata in quel posto segreto, sicuramente sarebbe stato in grado di farle passare qualsiasi broncio.
«Ho un po' di commissioni, in effetti.»
«Allora ti accompagno io... poi vorrei farti vedere un posto.»
«Mi stai chiedendo una appuntamento?!»
Sobbalzò lei, col sorriso sulle labbra.
«Ah?! Ma neanche per sogno!»
Sapevo che si sarebbe fatta subito chissà quale strana idea!
«Uhm, peccato. Ci avevo un po' sperato.»
Entrambi lasciammo la nostra comoda posizione, e ci incamminammo fuori dall'abitazione. Chiusa la porta e riposte le chiavi dentro una borsa a tracolla, la ragazza diede uno sguardo veloce all'esterno, notando qualcosa che non quadrava.

«Ma guarda un po', chi è il deficiente che ha posteggiato una moto dentro il mio giardino.»
«Ah... scusami.»
Dissi io, grattandomi il capo. Presi il casco e lo passai alla ragazza, per fortuna mio fratello ne teneva sempre uno di scorsa nel portabagagli dietro.

«Non avevo idea che la sapessi guidare. Anche se in realtà ci sono un sacco di cose che ancora non so di te!»
L'aiutai a salire, dopodiché feci lo stesso anch'io. Misi in moto, mentre lei s'era già apprestata a fissarsi ermeticamente al mio corpo. Non capivo se si stesse semplicemente approfittando della situazione solo per starmi il più vicino possibile, ma quando voltai un poco il viso, potei leggere il terrore nei suoi occhi.
«Invece... ogni cosa nuova che scopro sul tuo conto, non fa altro che sconvolgermi.»

Come potevo farmi sfuggire un'occasione del genere?
«Tieniti forte, si accelera!»
«EH? Cosa?! Stai attento!!»
Più volte durante il tragitto mi aveva urlato di stare attento, di andare pano, di non fare lo spericolato... probabilmente non sarebbe mai più salita su un mezzo di trasporto guidato da me. Passammo gran parte della mattinata in giro, pranzammo pure fuori – tanto ché Gin mi chiese se fosse proprio il fast food il posto in cui volevo portarla -. Non volevo ammetterlo, ma quello sembrava un vero appuntamento. Anche se, per ora, a me interessava semplicemente che Gin sorridesse e fosse felice. Da quando mi aveva incontrato, forse erano stati più i momenti in cui le avevo provocato dispiaceri che quelli in cui le avevo strappato una risata. E dopo ieri, mi ero ripromesso che mai più l'avrei vista piangere, se non appunto dal ridere.
«E anche questa è fatta!»

Tornò tutta soddisfatta, infilandosi il casco in testa. In poco tempo si era già abituata, ormai non era nemmeno più divertente farla spaventare. Mi toglieva subito tutto il divertimento.
«Ma non finiscono mai?!»

Avevamo fatto il giro della città almeno cinque volte.
«Sono stata a casa per una settimana... ho accumulato un po' di cose...»
Rispose lei, dando uno sguardo veloce al cellulare.
«Si è quasi fatta sera, tra poco il sole tramonterà.»
Controllò prima l'orario e poi, alzò il capo verso il cielo.

«Già.»
Risposi semplicemente.
«No, aspetta.»

Come era già così tardi?!
«Ah? Che ti prende?»

Il mio improvviso cambio di umore la lasciò stranita.
«È tardissimo e dovevo portarti in quel posto! Forza, sali e andiamo!»
«Allora non era davvero il fast food!»
«Certo che no, scema!»

Visto che ormai per lei la velocità non era più un problema, riuscii a raggiungere il posto in pochissimo tempo. Tuttavia, per arrivare nel punto preciso, dovevamo percorrere un tratto a piedi.
«Sono stanca, manca ancora molto?»
«Scusami, non potevo arrivare fin qui con la moto. Ma manca poco, te lo giuro!»

A svantaggio della già poca voglia di camminare che aveva la ragazza, il punto si trovava in cima ad una collinetta.
«Ci siamo!»
Nonostante non fosse chissà quanto alta, da lì era possibile vedere tutta la città e, sopratutto, ciò che mi premeva maggiormente mostrarle: il tramonto. Tutti i palazzi si dipingevano dei colori del sole, era davvero uno spettacolo da immortalare. Improvvisamente, sentì qualcosa afferrarmi la manica della giacca. Era la mano di Gin che, tremante, cercava supporto.
«È tutto... ok...?»
Distolsi un attimo lo sguardo dal panorama, e volgendolo alla ragazza, notai stesse piangendo. Non era quello il risultato che volevo ottenere. Cosa avevo combinato questa volta? Mentre la mia testa si riempiva delle più svariate idee che avessero potuto provocare in lei quella reazione, fu la ragazza stessa a rassicurarmi. Fece scivolare la mano via dalla manica, finendo per afferrare la mia con forza. Portò in avanti il viso e sorridendo, mi rispose.

«Sì, va tutto bene!»
Soltanto quando la riaccompagnai a casa, mi spiegò il motivo di quelle lacrime.

   
 
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