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Autore: StellaDelMattino    28/08/2015    4 recensioni
Quando Liv e suo padre si trasferiscono a Caligo, una città tranquilla afflitta da un perenne maltempo, sono convinti che per loro sarà un nuovo inizio.
Trasferirsi è un modo soprattutto per dimenticare, tenendo lontano dal cuore l'evento che per sempre li ha segnati.
Intanto, uno strano animale inizia ad attaccare le persone di notte, ma nessuno lo riesce a vedere: sembra quasi seguito da una nebbia fitta che lo rende invisibile.
In questo ambiente oscuro, Liv si imbatterà nel misterioso e affascinante giovane proprietario di un castello che solo all'apparenza è abbandonato.
In una serie di oscure coincidenze, la ragazza si ritroverà a mettere in dubbio non solo le persone che la circondano, ma anche se stessa.
Genere: Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L'Ordine dei Maledetti
Capitolo 1

 

Il vento soffiava violentemente, scuotendo gli alti alberi al limitare del paese. Le persiane sbattevano, ogni cittadino si rintanava in casa, andando ad animare il fuoco nel camino. Da questo, il fumo usciva formando una striscia nel cielo già grigio e cupo.
Nelle strade di Caligo non un'anima si aggirava, l'unica cosa viva sembrava il cielo, che brontolava, annunciando una notte di tuoni. Il mormorio del gelido vento sembrava suggerire qualcosa, come se consigliasse di scappare, di mettersi in salvo.
Quel tempaccio certo non si addiceva alle graziose case, ai giardini ben curati, all'ordine generale. Si addiceva, però, al castello apparentemente abbandonato che torreggiava sulla città. Stava lì come se fosse un padre severo che perennemente sorvegliava i suoi figli, guardandoli dall'alto della sua età. Così il castello era ben visibile da ogni punto della città, antico e decadente contrastava rispetto alle moderne e nuove case. Solo boschi, tanto belli se colpiti dal sole quanto terrificanti nell'ombra della notte, circondavano Caligo in ogni parte.
Gravava su ogni abitante questo perpetuo maltempo, continuo presagire di eventi infausti. Eppure chiunque ci abitasse sapeva che, a Caligo, non succedeva mai nulla di speciale. Di sicuro non si lamentavano della tranquillità della piccola città, che consentiva stabilità e sicurezza ai cittadini. Nonostante i continui lamenti del cielo e i cali di temperatura improvvisi, ognuno seguiva la propria routine.
In quella scura e ventosa serata, qualcosa spezzò l'abitudine: solitaria girava fra le vie una macchina piccola e rossa, provata, tanto quanto le due persone che erano dentro di essa, dal lungo viaggio che aveva dovuto affrontare.
Vagò per un po', attirando l'attenzione di ogni cittadino, fin quando non riuscì a trovare la sua destinazione: una casa di dimensioni modeste, ben curata ma anonima.
Ci volle qualche momento prima che le portiere della macchina fossero aperte, segno della riluttanza di coloro che stavano nel veicolo ad immergersi in quel freddo glaciale.
Con una smorfia di fastidio sul volto e le mani che strofinavano le braccia per scaldarsi, la giovane Olivia Thompson scese dal maggiolino rosso. Corse velocemente verso il bagagliaio, dal quale prese la sua valigia, decisa ad andare al caldo il più in fretta possibile.
Il padre, Gregor Thompson, avrebbe felicemente sorriso e sarebbe rimasto ad osservare l'abitazione dall'esterno per qualche momento, ma il brivido che lo colse per l'improvviso sbalzo di temperatura lo convinse a seguire l'esempio della figlia, così anche lui si affrettò a scaricare la macchina.
Con somma soddisfazione sia di Olivia che del padre, in previsione del loro arrivo era già stato acceso il riscaldamento. Balto, il loro cane, entrò in casa titubante: nella vecchia abitazione stava sempre fuori. Avevano però accordato che, dato il clima, avrebbero pensato in seguito a quella questione.
"Dobbiamo aspettare qui" esordì il padre, con un sorriso soddisfatto."Ora chiamo il signor Smith e gli dico che siamo arrivati."
Olivia annuì, facendo qualche passo per sgranchirsi le gambe. Si tolse i guanti, poi liberò i suoi lunghi capelli biondi dalla cuffia. Si piegò leggermente, dando un buffetto sulla testa dell'husky.
Fortunato tu che sei abituato al freddo, pensò, poi si guardò intorno.
La casa era su due piani, ma entrambi avevano un'area piuttosto modesta: girando per le casa, Olivia decise che era graziosa. Le stanza erano proporzionate, l'architettura semplice ma non banale. Già si immaginava come avrebbe posizionato le sue cose una volta fossero arrivate.
Suonò il campanello ed entrò il signor Smith, che aveva venduto loro l'abitazione. Gli ultimi affari burocratici e le ultime dritte e quella sarebbe stata la loro casa definitivamente.
Quando fu finalmente tutto sistemato, Gregor Thompson accompagnò alla porta il signor Smith, salutandolo cortesemente. Poi sospirò e si passò una mano sulla fronte.
"Siamo ufficialmente a casa" disse con un sorriso.
Nonostante il letto fosse comodissimo, Olivia non chiuse occhio. Già lo sapeva  che sarebbe andata così: l'ansia da primo giorno di scuola in una nuova città non è una cosa da nulla.
Quando la sveglia suonò, la ragazza non fece difficoltà ad alzarsi e si preparò di tutto punto: solite all stars, dei leggins e un maglione color panna piuttosto lungo. Andò allo specchio, cercando di decidere se legare o meno i capelli biondo scuro, lisci e sottili come fili. Alla fine li lasciò sciolti, poi si mise un velo di trucco: poco, l'essenziale. 
Scese in cucina, non sorprendendosi di vedere già lì suo padre. Probabilmente neanche lui aveva chiuso occhio.
"Liv!"disse vedendola. Alzò la padella, come a mostrarle che stava cucinando. "Ho fatto i pancake."
La ragazza sorrise, prendendo posto su una delle sedie intorno al tavolo e versandosi un po' di succo alla pesca nel bicchiere. Avevano ancora tutto il tempo di fare la colazione con calma.
"Allora, come ti sembra questo posto?" chiese Gregor con uno sguardo pieno di aspettative.
"Come l'ultima volta che me lo hai chiesto?" rispose di rimando Liv, sbuffando. Erano arrivati da soli quattro giorni e suo padre non perdeva mai l'occasione di chiederlo. La risposta non poteva che essere sempre la stessa: carino, ma non avevano ancora visto abbastanza. Lei preferiva non dare giudizi affrettati, neanche per far piacere al padre.
Lo sguardo dell'uomo si rabbuiò.
Liv capiva benissimo perché lo continuasse a chiedere: era preoccupato. Si sentiva in colpa per averla costretta a trasferirsi, sebbene gliel'avesse detto più volte che a lei andava bene. Lui non era il solo a voler dimenticare.
In ogni caso, la ragazza si sentì in colpa subito: Gregor si preoccupava e lei, in risposta, usava il sarcasmo.
"Senti" iniziò Liv, posando una mano sul quella del padre, ora seduto davanti a lei. "Mi piace, però lo sai come sono: ho bisogno di tempo per abituarmi." Il padre alzò lo sguardo, puntando su di lei quei grandi occhi marroni così simili a quelli della ragazza, poi annuì leggermente. "In più" continuò Liv "sono molto preoccupata per il primo giorno di scuola."
Gregor sorrise. "Andrà benissimo, Liv. Sii solo te stessa."
Un consiglio tradizionale, ma che comunque riuscì in qualche modo a rincuorarla.


Il viaggio in macchina fu di silenzio assoluto.
Liv era piena di aspettative, ma allo stesso tempo di dubbi e angosce: desiderava solo che andasse tutto bene. Lo sperava con tutta se stessa.
E Gregor aveva lo stesso identico pensiero.
Quando finalmente arrivarono, Liv chiuse un attimo gli occhi, appoggiando la testa al sedile, e respirò profondamente. Poi fu pronta per affrontare la giornata, con un sorriso sulle labbra.
Scese dal maggiolino, dando una rapida occhiata ai ragazzi che erano davanti all'entrata. La guardavano con curiosità, ma nessuno di loro le parlò. D'altro canto, neanche Olivia lo fece.
Con il suo acuto rumore fastidioso, la campanella suonò, annunciando ufficialmente l'inizio delle lezioni.
Per prima cosa, Liv andò a parlare con il preside, che l'accolse affettuosamente, felice di avere una nuova studentessa. Le diede tutte i consigli e le istruzioni necessarie, poi la lasciò andare a lezione, a subire tutto l'imbarazzo che inevitabilmente sarebbe derivato dalle innumerevoli presentazioni a un'aula piena di studenti con lo sguardo fisso su di lei.
Olivia cercò di pensarci il meno possibile, consapevole che prima o poi sarebbe dovuto succedere, così giunse fino alla sua prima classe.
Un altro respiro profondo, poi bussò.
Entrò, titubante, e subito si sentì addosso tutta l'attenzione dei compagni di classe.
"Buongiorno, sono Olivia Thompson."

"Ciao Liv!" disse con la sua squillante voce Amanda. "Allora com'è andata?"
Non appena era arrivata a casa, Olivia aveva ricevuto la chiamata dell'amica.
Aveva conosciuto Amanda quando erano piccole, grazie a un litigio al parco: entrambe volevano andare sull'altalena, così si erano attaccate con tanto di sberle, finchè le rispettive madri non le avevano separate decretando che nessuna delle due sarebbe salita sull'altalena. In assenza di altre alternative, Amanda e Liv si erano messe a giocare insieme e da allora erano state inseparabili.
Ricordando quell'episodio, a Olivia sembrò che fossero passati secoli. Ed era cambiato così tanto, ma non avrebbe mai rinunciato all'amicizia dell'unica persona che effettivamente le sarebbe mancata dopo il trasferimento.
Quando il padre le aveva detto che se ne sarebbero andati, aveva subito pensato a lei. Aveva capito però che cambiare posto era necessario sia per lei che per il padre e aveva ceduto.
"Bene," rispose Liv "sono tutti molto gentili e i professori mi sembrano seri, ma non voglio dare un giudizio affrettato."
Dall'altra parte del telefono, Amanda sbuffò sonoramente. "Non voglio dare un giudizio affrettato, non voglio dare un giudizio affrettato. Sempre con questa frase" la canzonò.
"Mandy" la richiamò Liv mentre giocherellava con il filo del telefono fisso."Lo sai come sono. E poi, non mi è mai andata bene quando ho dato un giudizio affrettato e tu lo sai benissimo."
"Oh, Liv non ricominciare. Vuoi davvero ricominciare il discorso?" chiese l'altra. No, Liv non voleva. Dopotutto erano andati lì per dimenticare.
"E va bene. Sta di fatto che ho incontrato una ragazza, Cashiel, che mi sembra simpatica, fa biologia con me. Ci ho parlato un po' e mi ha persino invitata a mangiare al suo tavolo in mensa."
"Oh, Liv, sono proprio contenta che vada tutto per il meglio! Da noi è una noia senza di te, non puoi immaginare."
Olivia sorrise, malinconica. Sì, Amanda le mancava proprio tanto.
"Allora," riprese l'amica "hai già progettato qualcosa per il tuo compleanno?"
"In realtà pensavo di passarlo a casa, con mio padre."
Quattro giorni, solo quattro giorni e Liv avrebbe finalmente compiuto diciotto anni. Per lei il compleanno era un giorno importante, segno che sarebbe cresciuta.
Eppure era anche un giorno che le faceva sempre pensare a quella ferita aperta che da quattro anni le faceva sanguinare l'anima, a lei e a suo padre. Perché proprio il giorno dopo al suo compleanno sua madre li aveva abbandonati, senza un motivo, lasciando un vuoto nelle loro vite che non erano più riusciti a colmare.
Pensare che sua madre non l'avrebbe abbandonata per nulla al mondo, giudicare che stesse meglio di quanto in realtà doveva stare, questo era stato lo sbaglio più grande di Liv, sbaglio che mai si sarebbe perdonata.

 

   
 
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