Ed ecco
la fine fine di questa storia…che
non è la vera fine di tutto. Diciamo che è la conclusione di “questa” parte di
storia. Non mi capisco nemmeno da sola xD
Ringrazio
tutti coloro che l’hanno seguita fino ad ora, commentando o non commentando.
Ringrazio i miei angeli con cui ho condiviso due dei più bei viaggi della mia
vita proprio nella patria delle Somme Maestà infernali. Ringrazio mia sorella
per aver fatto da modello alla sorella della protagonista e Anita e Kari Valo per averci donato il
protagonista xD Siamo tutte contente che quella sera
non avete deciso di vedere un film LOL
A prestoooo
Epilogo
“Eva”
Eva
sails away
Dreams the world far away
The Good in her will be my sunflower field
Non ce l’avevo fatta.
Entrare in sala parto andavo oltre le mie
possibilità di coraggio. Ero rimasto seduto di fuori, con una sigaretta spenta
in mano, e lo sguardo perso nel vuoto. Per tre ore, lunghissime e surreali
avevo atteso, avevo guardato verso quella porta davanti a me con terrore e
speranza. Una paura inconscia che potesse succedere qualcosa alle due donne
della mia vita, e la speranza di vedere uscire un infermiera che veniva a dirmi
che tutto era andato bene.
E poi.
Poi ero entrato, mi avevano chiamato e facendomi
coraggio avevo varcato la soglia.
Bianca, stesa sul lettino stanca ma sorridente
teneva in braccio un piccolo fagottino incartato in una copertina bianca, e il
suo sguardo sembrava rapito da una forza magnetica. Io stesso improvvisamente
sentii una forza trascinarmi in avanti. Il richiamo del sangue.
Mi avvinai con cautela. Era il primo incontro con
la mia bambina, e avevo paura.
Ma poi la vidi. Paffuta. Morbida. Un po’ grinzosa.
Con gli occhi identici ai miei, il colore sarebbe
stato ancora un mistero per vari giorni, ma la forma era inconfondibile, e un
sorriso si affacciò sulla mia bocca, chissà a quanti mesi di vita Bianca le
avrebbe insegnato che mettere la matita nera era fondamentale alla
sopravvivenza.
Le labbra erano di Bianca, il naso un misto strano.
Una piccola patata con una punta alla francese. Il resto era lei, Eva, già
unica e perfetta.
-E’ bellissima- mormorai stendendomi vicino a
Bianca e baciandola.
-Non avevo dubbi che lo sarebbe stata- rispose- e
sentila, non piange, sicuramente non ha preso da te-
Ridemmo insieme, e poi continuammo incantati a
fissare Eva, che con i suoi occhi, già profondi ci fissava di rimando, chiedendosi
forse perché le erano toccati due tipi così strani come genitori. Sperai che
non l’avremmo delusa.
In quel momento a fianco a loro due, rapito da due
occhi appena nati. Toccai il cielo, e tornai sulla terra.
Ero un padre.
Un mese dopo…
-Ville?!-
Ero intenta a riempire il biberon per Eva, mentre
Anita e Elena litigavano con le istruzioni del passeggino nuovo che la band ci
aveva regalato. Ma avevo uno strano presentimento.
L’avevo lasciato da solo con la piccola, doveva
solo tenerla tranquilla finché non fosse arrivato il cibo, ma conoscendolo
stava sicuramente facendo qualcosa che gli avevo vietato, tipo farle sentire
col volume al massimo i Black Sabbath.
-Ma prima inizia a sentire la vera musica meglio è-
mi aveva risposto la prima volta che l’avevo trovato con lei in braccio sulla
poltrona che le cantava, facendo head banging, Hole in The Sky.
-Piuttosto cantale qualcosa con la chitarra
acustica, almeno non le distruggi l’udito già durante l’infanzia- gli avevo
detto, cercando di suonare perentoria, ma vederlo sprofondato nella poltrona, con la nostra principessina
in braccio, vestita solo di una vecchia maglietta di Johnny Cash,
riadattata da me a tutina. E vederlo che la guardava come se non esistesse
altro essere sulla terra, mi aveva addolcita troppo.
Mi diressi verso il piano superiore, E, come avevo
previsto, stava facendo qualcosa che non doveva fare.
-Pucci, pucci, bu
bu bu, chi è la piccolina
del papà? Sei tuuuu-
Stava parlando alla mia già geniale figlia come se
fosse un cane.
Erano entrambi stesi sul letto e la stava facendo
volare sopra la sua testa.
-Ville? Cosa ti avevo detto?-
Si accorse della mia presenza e uno sguardo di
richiesta di misericordia si dipinse sui suoi occhi.
-Mi dispiace, ma non ce la faccio a parlarle come
se fosse un adulta-
Lo scrutai e sembrava sincero. Poi resistere a
quello sguardo da cucciolo abbandonato era ancora troppo difficile, forse in
quarant’anni sarei diventata immune a lui e ai suoi occhi.
Così mi sdraiai sul letto insieme a loro, Ville
posò Eva tra noi due. Calma e silenziosa ci scrutava senza fare un fiato, alzai
gli occhi verso di lui, e potei leggere nel suo sguardo la stessa straripante e
strana felicità che mi invadeva da un ormai un mese. Tutto si era sciolto, ogni
altro legame, quando per la prima volta avevo messo gli occhi sulla mia
bambina, e migliaia di fili dorati si erano andati a congiungere a lei. Ed ora, entrambi avvolti dal nostro
bozzolo di gioia guardavamo la nostra piccolina, già così intelligente e
silenziosa, che dovevamo sembrarle noi i neonati.
La nostra Eva
Eva che dormiva beata tra le braccia di Ville che
si dilettava a cantarle ogni cosa che gli veniva in mente.
Eva che aveva creato intorno a se una corte di
amici adoranti che la viziavano in maniere terribile.
Eva che già dava sintomi di pazzia profonda,
avendola trovata con le manine come appoggiate su una chitarra elettrica.
Eva. Piccolo essere infernale che si faceva amare
solo con uno sguardo.