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Autore: Adeia Di Elferas    02/09/2015    5 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Potevano essere passate poche ore o molti giorni, Caterina non lo sapeva e non lo voleva sapere. Non riusciva a uscire dal torpore che l'aveva catturata e di certo gli intrugli amari che le dava la donna in grigio a intervalli regolari non l'avrebbero fatta uscire prima da quello stato.
 Tuttavia la bambina apprezzava quella strana bevanda, che le permetteva di tenere la propria mente lontana e di non pensare a nulla.
 Di tanto in tanto stringeva ancora al petto la bambola che aveva addosso il profumo di Bona e si chiedeva in modo vago come mai nessuna delle sue due madri fosse corsa da lei, se non a salvarla, almeno a consolarla.
 Nessuno aveva a cuore una figlia illegittima, pensò, nessuno...

 “Che cosa?” chiese Bona, senza fiato, portandosi entrambe le mani alla bocca, lasciando cadere il piccolo plico di fogli che suo marito le aveva appena messo in mano.
 Galeazzo Maria non parlava, stringendo il morso e fissando teso la moglie, che sembrava talmente sconvolta da quella notizia da non riuscire a stare in piedi.
 La donna si sedette sul letto e gli occhi le si velarono di lacrime: “Ma...” cominciò a dire, bloccandosi subito.
 Lei aveva avuto il presentimento, il terribile presentimento che qualcosa sarebbe successo, durante la sua assenza, e aveva deciso di ignorarlo. Ora avrebbe dovuto convivere con quella colpa per sempre.
 “Non avevamo scelta.” provò a spiegarsi il Duca: “Adesso figurerà che Caterina porta in dote Imola a Riario e così il papa ci permetterà di toglierci d'impiccio col minor danno possibile...”
 Bona alzò lentamente gli occhi su di lui, cercandovi forse un qualche pentimento o una spiegazione più profonda. Siccome negli occhi del marito trovò solo confusione e dubbio, si risolse a rialzarzi.
 Galeazzo Maria, per quanto feroce e arrogante, era un uomo molto fragile. Bona lo aveva capito il giorno stesso in cui si erano conosciuti.
 Quel giovane Duca aveva avuto due genitori amatissimi dal popolo e molto capaci. Ne aveva ereditato il carattere facile agli entusiasmi e alle dimostrazioni di forza, ma non la loro stabilità emotiva e freddezza nel prendere le decisioni.
 Anche in quel frangente, Bona se ne rendeva conto, Galeazzo Maria aveva riflettuto poco, lasciandosi guidare dalle agitazioni dell'animo... Se Bianca Maria Visconti fosse stata ancora viva, quel matrimonio non ci sarebbe stato. O almeno non sarebbe stato celebrato a quel modo.
 “Va bene.” fece Bona, raccogliendo il plico da terra e poggiandolo sul letto: “Non possiamo più tornare indietro.” constatò, prendendo il marito per le mani.
 Galeazzo Maria aveva lo sguardo strano, come se avesse appena visto un angelo. Il perdono, o meglio, quello che lui interpretò come un perdono, di sua moglie, lo aveva sollevato in parte dalla sua colpa.
 “Dovrai dirlo a Lucrezia. Non lasciare che lo scopra dai pettegolezzi di corte.” disse piano Bona, abbassando gli occhi: “Almeno questo lo devi fare.”
 Galeazzo Maria deglutì, annuendo piano, con poca convinzione.
 Bona gli accarezzò con dolcezza la guancia: “Sei molto patito. Avresti dovuto parlarne anche con me, prima.”
 E con queste ultime parole, la donna lo lasciò e andò alla porta: “Posso vederla?” chiese, incerta.
 “Adesso è con un'infermiera che lavora alla Ca' Granda. Tacerà e ci farà un buon servizio.” disse il Duca: “Ma per ora ha detto che è meglio che nessuno incontri Caterina.”
 Bona chinò il capo, remissiva e si congedò in silenzio, mentre le lacrime che prima era riuscita a reprimere, tornavano a farle compagnia in quel momento di sconforto.

 Lucrezia lo fissava con rabbia. I suoi lineamenti così belli, erano contratti a formare un'orrenda maschera d'ira e incredulità.
 Galeazzo Maria l'aveva fatta chiamare appena era arrivata a palazzo, seguendo i consigli di Bona. Le aveva detto tutto in fretta, con brutalità, tanto per non far durare troppo quel momento.
 Si aspettava una reazione del genere da lei, ed era pronto a sopportarla, perchè sapeva che si meritava quel trattamento, se lo meritava in pieno.
 “Hai venduto nostra figlia.” fece Lucrezia, con la voce fredda e chiara, come un giudice che accusa senza possibilità d'appello il più efferato degli assassini.
 Galeazzo Maria aprì la bocca, forse per ribattere in qualche modo, ma non ne ebbe il tempo.
 Lucrezia gli diede un forte schiaffo con il dorso della mano.
 “Nostra figlia, Galeazzo. Nostra figlia.” accusa, accusa, accusa. Nessuna speranza di redenzione, in quelle parole sputate come veleno.
 Si guardarono molto a lungo, nessuno dei due in grado di perdonare l'altro. Galeazzo Maria incolpava tacitamente Lucrezia di avergli negato il perdono legittimo, vista la situazione di Imola e tutto il resto, mentre lei lo incolpava di aver tradito la loro figlia preferita, nonché lei stessa e la sua fiducia.
 Sudando freddo, l'uomo le prese la mano che poco prima l'aveva colpito e tentò: “In questa storia i mostri sono i Riario e i Della Rovere, non io.”
 Lucrezia fece scivolare via la mano dalla stretta forte, ma un po' incerta, dell'uomo che aveva amato così tanto, malgrado tutto: “Sei sicuro?” gli chiese, le labbra che si arricciavano in un'espressione di disprezzo che Galeazzo Maria non avrebbe mai dimenticato fino al giorno della sua morte.
 
 Galeazzo Maria non aveva voluto avere notizie dello stato di salute di Caterina, che sembrava essere rimasta più provata del previsto dall'incontro col marito.
 Per quanto si aspettasse che la figlia sarebbe stata scossa e indisposta per qualche tempo, il Duca non credeva che ci avrebbe messo così tanto a riprendersi, per lo meno, fisicamente.
 Questa cosa lo scosse più di quanto osò dire e in lui si fece strada la paura di aver commesso un crimine dalla quale colpa non sarebbe mai riuscito a scappare.
 Quel sentimento così viscerale e oscuro ormai lo dominava sempre di più e non l'avrebbe mai abbandonato del tutto.
 In particolare, una di quelle notti, la sua anima nera lo rapì e lo costrinse a un atto di estrema crudeltà, nei confronti di una giovane innocente. Si trattatava di una ragazzina arrivata da poco a corte, e fu morta pima che Galeazzo Maria si avvedesse che ella era una Visconti, sua parente alla lunga, nonché sorella di Carlo Visconti, arrivato come paggio a corte assieme a lei poco tempo prima.
 La fece sparire, acciecato dall'orrore per il suo stesso gesto, e sperò che nessuno mai avrebbe detto a quel paggio che fine aveva fatto la sua giovanissima sorella.
 Non doveva farsi un nemico per caso, glielo diceva sempre sua madre, quando era solo un bambino macchinoso e attaccabrighe.
 Forse ci sarebbe riuscito, o forse no, in quella notte di fantasmi gli importava poco. Si sentiva predestinato a una fine orribile e sentiva di meritarsela.
 Mentre i resti di quella giovane Visconti bruciavano davanti ai suoi occhi, Galeazzo Maria si disse che aveva pagato il prezzo del sangue per la salvezza della sua famiglia, cedendo la propria figlia ai Riario, ma che sarebbe venuto un giorno in cui, di certo, il buon Dio gli avrebbe chiesto il prezzo del sangue anche per tutti i suoi peccati...
 

   
 
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