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Autore: General_Winter    02/09/2015    1 recensioni
Germania, in confronto con altre Nazioni europee, è molto più giovane. Deve perciò studiare la storia che è avvenuta prima della sua nascita come Impero Tedesco nel 1871. In una di queste cacce alle informazioni si ritroverà costretto ad ascoltare, dal suo magnifico fratello, un racconto, che, però, riaprirà profonde ferite nel cuore del prussiano.
[OC! Ducati germanici]
Genere: Malinconico, Slice of life, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Germania/Ludwig, Nuovo personaggio, Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
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CAPITOLO V


15 Gennaio 1871  Schloss der Mittelweg, Sassonia
 


Era quasi riuscito a dormire alla fine. Si era spogliato e coricato nel letto; non era riuscito a dormire tutta la notte, ma almeno tre ore le aveva passate con gli occhi chiusi, anche se era una stanchezza dettata dalla troppa tensione non scaricata.
Erano le cinque del mattino quando si alzò, complice l’insonnia di cui soffriva da lungo tempo e la volontà di voler passare più tempo possibile con i fratelli.
Anche se dubitava che ci fosse qualcuno sveglio a quell’ora.
Si rivestì, incamminandosi poi per i vuoti e desolati corridoi del castello. L’eco dei suoi passi rimbombava in ogni sala, ancora completamente buie. Un sorriso amaro gli si increspò sulle labbra ricordando che anni addietro ripercorreva quelle stesse grandi stanze in compagnia di Sassonia, che si azzardava addirittura a pronunciare qualche parola, sottovoce, temendo che qualcun altro potesse sentirla.
E lui le chiedeva ogni volta di ripetere, ma non perché non capisse, ma perché amava sentire la sottile e flautata voce della sorella. Andrea allora quasi si infuriava, ma comunque ripeteva, forse per quell’orgoglio che voleva dimostrare a tutti di non dipendere in continuazione dal proprio mutismo.


Dei passi ovattati dalle pareti del castello attirarono la sua attenzione.
Si fermò di fronte alla porta scura della stanza da cui provenivano i passi leggeri.
Bussò, sperando che l’occupante, certamente infastidito, lo facesse entrare; si stupì quando la voce di Michael, che lo invitò dentro, risuonò incredibilmente calma.
Il ducato, in pantaloni e camicia, camminava avanti e indietro, brandendo tra le mani una sciabola.
Tutti i mobili della stanza erano sfregiati, i vasi distrutti e i cuscini sventrati; eppure l’espressione sul volto di Wurttemburg era di pura tranquillità.

La sua bocca si allargò in un smisurato sorriso, quasi insano e raccapricciante.
«Oh, Preußen! Meno male che sei arrivato! Non trovo Andrea, ma tu vai benissimo! » e, detto questo, gli lanciò una sciabola della stessa dimensione, che il Prussiano afferrò al volo per l’impugnatura.
Non riuscì nemmeno a elaborare mentalmente l’idea di un duello che fu costretto a parare un affondo ben mirato di Michael.
I suoi riflessi di guerriero e l’abitudine alle battaglie gli permisero di evitare anche gli altri due colpi scagliati.
Con velocità, precisione ed esperienza riuscì in poco tempo a disarmare il fratello, basito dalla facilità con cui l’altro lo aveva battuto.

Guardò la propria arma per terra con occhi increduli prima di spostare l’attenzione sul volto serio e attento di Prussia.
Una risatina leggera e isterica gli uscì dalle labbra, mentre distoglieva ancora lo sguardo. Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, mentre si buttava sul letto sfatto e si copriva il viso con l’avambraccio, senza smettere di ridere.
Gilbert lo guardò preoccupato, mentre il ducato prendeva la parola: « E così il ducato di Wurttemburg se ne andrà da questo mondo come perdente… ».

Quelle parole fecero gelare il sangue e seccare la gola dell’albino.
Il ragazzo disteso sul letto fece scorrere i propri occhi viola sull’intera figura del maggiore, fermandosi quando la sua espressione afflitta.
Un sorriso falso e tirato si estese sul suo volto stanco: « Oh, tranquillo … non è così male! ».
Una bugia visibile anche col buio. Michael era un’antica potenza, in quel momento lontana e distante, forse ormai persa per sempre.
E ora stava per scomparire, per fare posto a una nuova nazione che non comprendeva ancora nulla della guerra. Uno scambio svantaggioso, ma che era obbligato a fare.

Gilbert si sedette sul letto, accanto a lui, osservando ogni particolare di quel volto mentre il fratello teneva gli occhi chiusi e pensava a chissà quale segreto che sarebbe rimasto celato per sempre nella sua testa.
Le dita del Prussiano vagarono nell’aria fino a raggiungere la pelle del volto di Michael.
Questi sobbalzò sul posto quando sentì i polpastrelli tracciare il segno della cicatrice, dall’orecchio fino quasi alle labbra. Una delle tante che sfregiavano il suo corpo, ma quella la considerava una delle più importanti.
« Sassonia quando entra in guerra non perdona … non capisco perché ti ostini a non portarla con te: guarda che vinceresti di sicuro! ».
Ci scherzò sopra, ma era chiaro che quell’onta, quella deturpazione del suo volto se la fosse legata al dito e che non avesse perdonato del tutto Andrea.
Ma non aveva senso continuare a portare un rancore così grande quando da tempo erano una famiglia. Le famiglie erano sempre un disastro e le famiglie immortali un disastro eterno.
E l’unica consolazione che restava a Michael era di voler provare a battere almeno una volta la sorella in un duelle di scherma, ma, da quanto ne sapeva Prussia, non ci era ancora riuscito.
L’abilità guerriera di Sassonia continuava a sorpendere il mondo intero.

« Io non rimpiango nulla delle mie azioni, Gilbert; nulla della mia vita … nonostante i problemi, ho amato sin dall’inizio questa famiglia. Solo che … pensavo che avrei potuto amarla ancora per molto tempo, invece vengo a sapere che non è più così. Io non rimpiango nulla, ma non posso negare di essere spavantato.
Io so come la vedono Andrea e Christian, ma io non sono così saggio. Io, insieme a te, sono il fratello cazzone di questa famiglia. Io non ho mai pensato che dopo secoli di immortalità sarebbe sopraggiunnta la morte. Non lo avevo mai considerato… ».
Nonostante gli fosse scappato un sorriso per quel piccolo e volgare intercalare del fratello riguardo i loro caratteri, la serietà tornò a impossessarsi del suo volto non appena il discorso andò avanti.
Si guardò le mani, non sapendo come rispondere, intrecciando tra loro le dita.

Gli era capitato di osservare immobile il dissolversi nel vento di un essere immortale: Sacro Romano Impero gli era parso così fragile allora, mentre guardava impotente sotto gli occhi tristi di Sassonia e Baviera, che avevano visto anche la morte di Svevia e Franconia, con l’Impero.
Ma non riusciva a spiegare a Wurttemburg qualcosa di simile. Christian e Andrea erano lì da più tempo, non come lui, ideale immigrato dalla Terra Santa, giunto in Europa per spandere sangue nemico e spargere le proprie opinioni facendole passare per verità assoluta.
La morte lo aveva toccato con roghi e cadute dei grandi generali che lo avevano guidato.
E Gilbert si rifiutava ancora di credere alla natura umana che portava gli uomini a venire seppelliti sotto lastre di pietra, immobili, a diventare tutt’uno con la terra, abbandonando i propri cari ancora sopra la superficie del suolo a piangerli, pieni di dolore.
E negava di credere che la stessa cosa sarebbe successa anche alle nazioni immortali che avevano camminato e combattuto per secoli al suo fianco o contro di lui.

« Perdonami, Michael. Ti direi tutte le parole di conforto di questo mondo, ma credo che non potrò mai provare quello che state provando vuoi in questo momento. So solo che presto tornerò a essere solo come una volta ».
Forse non avrebbe dovuto abituarsi alla sensazione di essere circondato dal calore e dall’affetto di una famiglia.
Scosse la testa deciso, scacciando quel pensiero: non avrebbe mai dovuto nemmeno pensarlo. Non avrebbe mai dovuto rimpiangere il tempo trascorso insieme, abiurando la loro compagnia.

Loro avevano già perdonato i suoi errori, decisioni che aveva preso pensando di agire nel loro bene, ma che li avevano fatti soffrire ancora di più. Si erano sentiti offesi per essere stati messi in disparte riguardo qualcosa che li vedeva come protagonisti e anche perché era sembrato che Gilbert, nonostante li conoscesse da tempo, non si fidasse di loro e della loro capacità di giudizio.
Non se lo sarebbe mai più perdonato.

« Scusami. Scusami per aver tenuto nascosto tutto. Per non essermi fidato di voi »
« Nah … se la famiglia è rimasta come la ricordo, tutti in questo castello ti abbiamo già perdonato. Non devi lasciarti andare, saremo noi allora a doverci scusare per averti lasciato solo e triste. Sono i nostri ultimi giorni insieme, non passarli col muso lungo. Fa’come hai sempre fatto, trattaci come ci hai sempre trattato. I nostri devono sempre essere pronunciati col tono lieto di sempre e non come parole serie e tristi, dette con troppo rispetto. Noi siamo e saremo sempre noi, anche quando scompariremo non andremo distante da te, non ti lasceremo mai solo ».

E non avrebbe mai ammesso che un groppo alla gola gli stava impedendo di respirare e che le lacrime gli avevano appannato gli occhi per l’ennesima volta in quei giorni.
Si alzò in piedi, dirigendosi verso la porta, sentendo in cuor proprio che non sarebbe riuscito a resistere un secondo di più in quella camera dove l’aria si stava facendo pesante come il piombo.
« Grazie. E scusami… ».
Wurttemburg gli sorrise: « Tranquillo. E vedi di dormire: quelle occhiaie non ti rendono magnifico come ti decanti di essere… ».
Seguì il consiglio, ritirandosi nella propria camera a riprendere le ore di sonno perse in quei giorni.
 

Quei giorni di vita stavano passando un mondo all’incontrario,  come la guerra: dormiva di giorno, tirava tardi la notte e non riusciva a fidarsi delle persone a lui più care, temendole come nemici.
Ma la conversazione con Michael lo aveva portato a rilassarsi, almeno per quel tempo che lo permise di poter dormire, riuscendo a fregare anche l’insonnia che lo attanagliava da lungo tempo.

Non poté dire di essersi svegliato sentendosi meglio, anche perché, i crampi della fame stavano cominciando a farsi sentire nuovamente e divennero infine anche più dolorosi quando si ricordò che l’unica cosa che aveva messo in pancia era della birra.
Perciò, alle quattro del pomeriggio, non incontrando nessuno dei fratelli nei corridoi, si diresse verso le cucine.

Le lucide piastrelle di ceramica rifulgevano di un bagliore rosato e aranciato di un sole che era già in procinto di calare oltre le nuvole.
Anche il rame di ogni pentola appesa si illuminava di raggi solari. I tegami pendevano dalle mensole e affilati coltelli giacevano accanto ai taglieri in legno.
Da lì a poco i domestici avrebbero cominciato a preparare la cena, ma Gilbert era troppo affamato per aspettare ancora che tre ore che lo separavano dalla calda pietanza posata sul tavolo.

Una cesta di mele sotto una credenza faceva al caso suo.
Verdi brillanti, appoggiate una sull’altra in una torre smeraldina che minacciava di rotolare per terra al minimo soffio di vento.
Ne agguantò una, soppesandola tra le dita e strofinandone la buccia col polsino della camicia, prima di addentarla con un soddisfatto morso.
Troppo impegnato a sgranocchiare il frutto per godersi quel sapore succoso, dolce e un po’ aspro, e per rendersi conto che in pochi bocconi l’aveva già terminata e ne aveva presa un’altra.
La paura di potersi un’altra volta ritrovare senza cibo gli impediva di assaporare ogni vivanda in ogni suo aspetto, continuando a trangugiare ogni pietanza.

La guerra era un mondo al contrario, ma gli aveva comunque affinato le abilità strategiche e sensoriali.
E i suoi sensi lo misero subito in guardia, avvisandogli che nelle cucine non era più solo.
Non era un domestico: questi lo avrebbe formalmente salutato appena fosse entrato nella stanza.
Si voltò di scatto. Piedi che correvano sul pavimento, posate cadute per terra e pentole semoventi.
Un sorriso amaro gli si dipinse sul volto mentre faceva guardingo alcuni passi, come a fingere che non avesse visto dove fosse andato.

Sospirò: doveva giocare a rincorrere un dispettoso topolino.


ANGOLO AUTRICE:
Chiedo scusa per il ritardo, ma questa fic sta diventando un parto. Mancano al massimo altri due o tre capitoli. Poi basta long per un po'. Al massimo qualche raccolta.
General_Winter

 
  
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