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Autore: Adeia Di Elferas    03/09/2015    6 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Girolamo Riario se n'era andato da palazzo, con grande sollievo di tutta la corte, soprattutto di Galeazzo Maria, che non riusciva più a sopportarne il sentore che pareva riempire ogni stanza, più penetrante dell'odore dello stallatico e più insistente del tanfo del pollaio.
 Caterina si stava riprendendo ogni giorno di più, a quanto aveva sentito dire, anche se non aveva avuto ancora il coraggio di incontrarla.
 L'infermiera della Ca' Granda ne parlava sempre in modo distaccato e professionale, ma al Duca non era sfuggito il velo di apprensione con cui riferiva ogni aggiornamento sulla salute della piccola.
 Avrebbe di certo dovuto pagarla un po' più della somma pattuita, affinché non le sfuggisse nemmeno una parola con qualcuno.
 Simonetta aveva provato a proporre di toglierla di mezzo, per assicurarsi il suo totale e certissimo silenzio, ma Galeazzo Maria voleva, almeno, non avere anche quella donna, che con sua figlia era così solerte, sulla coscienza.

 Caterina cominciava davvero a stare meglio e passava sempre più tempo lontana dal letto, aiutata da quella donna vestita di grigio che ancora non accennava a sciogliersi in sua presenza.
 L'unica esternazione che quella donna si era permessa, era stato un piccolo verso di sollievo quando il cancelliere Cicco Simonetta era entrato nella stanza di Caterina per annunciarle che il suo 'augusto sposo, sua eccellenza il reverentissimo e santissimo Girolamo Riario' era appena partito per far ritorno dal suo 'augustissimo, eccellentissimo eccetera, eccetera' zio papa.
 Fu in quell'istante preciso che Caterina vide qualcosa di più in quella che aveva considerato una silenziosa complice del suo assassinio spirituale.
 Quasi senza accorgersene, i giorni passarono e venne una mattina in cui, mentre la donna l'aiutava a vestirsi, capì che c'era qualcosa di diverso.
 Dopo averle messo il vestito – semplice, ma molto femminile – scelto dal cencelliere in persona, la donna in grigio le rivolse per la prima volta la parola, senza darle ordini o farle annunci. Disse semplicemente: “Oggi è l'ultimo giorno che passo al vostro servizio.”
 Caterina si sentì stringere il petto. Sapere che non l'avrebbe più avuta al suo fianco, lei, l'unica che aveva visto, che aveva avuto davanti a sé le prove della sua sofferenza, se ne sarebbe andata e lei sarebbe stata sola...
 “Come vi chiamate?” chiese la bambina, parlando per la prima volta dal giorno del suo matrimonio.
 “Petra, mia signora.” sussurrò la donna in grigio, evitando di guardarla.
 “Qual è la tua occupazione, di solito?” domandò la bambina, la voce arrochita dal lungo silenzio.
 “Lavoro come infermiera alla Ca' Granda, mia signora.”
 “Tornerai lì?”
 “Immagino di sì, mia signora.”
 Caterina le poggiò una mano sul braccio e le disse, con trasporto: “Grazie per essermi stata accanto, non me lo dimenticherò mai.”
 La donna in grigio alzò gli occhi tondi e la fissò un momento, prima di dire: “Nemmeno io dimenticherò mai voi, mia signora.” e prese a piangere, singhiozzando come una matta.
 Caterina attese che la donna si riprendesse e poi decise di congedarla prima che potesse farlo Simonetta o chi per lui.
 Da quel giorno, giurò la bambina, avrebbe preso da sola tutte le decisioni che poteva, a partire da quella: “Ora andate pure, Petra.” disse, con la fermezza e la decisione di cui era stata capace, in vita, sua nonna Bianca Maria: “Dite pure a Simonetta che sono stata io a lasciarvi andare in anticipo. Non temiate per me, so difendermi. E quando sarete dal cancelliere, vi prego, chiedetegli di permettermi di incontrare mio padre.”

 “Ecco quanto pattuito.” fece Cicco Simonetta, mettendo sul tavolino un piccolo mucchio di monete: “E qui c'è una regalia speciale da parte del Duca, che è stato entusiasta del vostro servigio e che si augura di avere da voi la massima lealtà.”
 Petra prese le monete, sentendosi come Giuda, quando aveva ritirato la ricompensa per aver dato in pasto il suo maestro ai romani.
 “Possiamo contare sulla vostra lealtà, vero?” chiese, per sicurezza, il cancelliere, giungendo le mani sul petto come un chierico in preghiera.
 Petra annuì seccamente e aggiunse: “Non una parola uscirà dalle mie labbra, in merito alla questione di madonna Caterina. Un'ultima cosa, madonna Caterina mi ha chiesto di pregarvi di farla incontrare col Duca suo padre...”
 “Molto bene. Sarà fatto al più presto, statene certa. Siete stata un'alleata molto preziosa per gli Sforza e per tutta Milano!” si congratulò Simonetta, con una risatina nervosa.
 La donna gli dedicò un'occhiata carica di diffidenza e disprezzo, ma l'uomo, da buon diplomatico, finse di non notarla e la salutò una volta di più con tutta la buonagrazia di cui era capace.

 Caterina e Galeazzo Maria stavano entrambi in silenzio. La bambina guardava il padre come se lo vedesse per la prima volta. Ora che i suoi occhi non erano più acciecati dall'incondizionato amore che prima nutriva nei suoi confronti, nelle pupille del Duca vide solo paura, incertezza e il tormento di un uomo sempre in bilico, un uomo debole e insicuro, un uomo che eccedeva in egual misura in vizi e virtù, in dolcezza e in crudeltà, in coraggio e viltà. Non vedeva più solo il padre, ma anche l'uomo, un uomo che andava temuto e biasimato nello stesso tempo.
 Aveva voluto incontrarlo proprio per vedere se la sua immagine le sarebbe parsa differente. Ora che non era più sconvolta dal dolore e dalla delusione, poteva guardarlo con freddezza e vedere quel che c'era da vedere.
 Non aveva ancora espresso il desiderio di vedere le sue madri, perchè loro no, non voleva odiarle, per cui aspettava che la rabbia sbollisse ancora un po', prima di incontrarle.
 Suo padre le disse delle cose, ma lei non le ascoltò. L'unica cosa che riempiva la sua mente era il desiderio di fargliela pagare.
 Se odiava Cicco Simonetta, sentiva, se non di odiare proprio, almeno di non adorare né amare più suo padre.
 Aveva tutta la vita per farlo soffrire. Sarebbe stata con lui remissiva, educata, pacata e avrebbe abbandonato tutti quei passatempi da maschio che condivideva con lui. Sarebbe diventata una figlia perfetta e proprio per quello lo avrebbe fatto soffrire, chiundendolo in una gabbia di rimorso e pentimento.
 Aveva solo nove anni, ma sapeva di essere in grado di mantenere un simile impegno. Sarebbe stato difficile e anche lei ne avrebbe sofferto, ma ci sarebbe riuscita. Sarebbe stato crudele, ma lo trovava necessario.
 Era la figlia di suo padre, in fondo. Nipote di sua nonna e di suo nonno. Non era nella sua natura perdonare un torto subito.

   
 
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