Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: coniglio_tossico    03/09/2015    1 recensioni
Sapeva di essere un grazioso uccellino rinchiuso in più ordini di gabbie; la sua personale gabbia dorata, il Giardino delle Rose, che le dava un ruolo e da vivere; la società malata che la circondava, con le sue storture sociali e politiche; Le Mura, al di fuori delle quali esseri giganteschi e pressoché sconosciuti disponevano dell’esistenza della razza umana.
Genere: Avventura, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Berthold, Huber, Irvin, Smith, Nuovo, personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Juliette guardò l’uomo addormentato con tenerezza. Nutriva per lui un profondo affetto.
In pochi si ricordavano di aver visto il comandante Smith dormire, in pochi lo avevano visto anche solo riposarsi. Se lo faceva, sicuramente dedicava tempo limitato alla quiete e ne fruiva con discrezione.
Quella di un capitano era una vita di delicati equilibri e continue scelte. Trame politiche ed economiche gravavano sulle sue spalle e a causa di queste si era fatto nemici potenti.
L’esercito non era costruito solo su dinamiche militari. Non era solo addestramento, soldati o eroi, azione, vittoria, o morte. L’esercito andava nutrito, vestito, equipaggiato, messo in grado di funzionare. Sopra ogni altra cosa l’arma aveva bisogno di figure carismatiche, che la difendessero contro individui che avrebbero preferito spendere altrimenti il denaro dei contribuenti e soprattutto il proprio. Era necessario che l’opinione pubblica fosse sensibilizzata riguardo la reale necessità  di mantenere attiva e ben equipaggiata l’Armata Ricognitiva e l’esercito tutto.
 Risultava fin troppo facile, per le corporazioni di mercanti, convincere la gente che i fondi necessari ai rifornimenti dell’esercito fossero eccessivi e far  ricadere la colpa della crisi economica su un corpo militare che non portava risultati immediati.
L’Armata Ricognitiva era il capro espiatorio perfetto. I mercanti potevano continuare a fare  i propri porci comodi, aumentando a dismisura il prezzo delle merci, sostenendo poi di non avere altra scelta a causa dell’eccessiva pressione fiscale. Ogni vittoria politica di questa gente si traduceva in escursioni con DMT difettosi o scarse scorte di cibo e medicinali. Come se il nemico non fosse già abbastanza inaffrontabile, ragazzi di diciassette anni o meno si ritrovavano a contrastarlo con equipaggiamento riparato milioni di volte e mai sostituito e nello stomaco cibo appena sufficiente per stare in piedi.
Disporre di calzature che non si rompessero alla prima escursione o non si inzuppassero alla prima pozzanghera, poteva fare la differenza tra ammalarsi o meno. Questi non erano tempi favorevoli per ammalarsi o ferirsi, quantomeno non in maniera stupida e inutile.
Si moriva già abbastanza la fuori, e si moriva male. Se mai si possa pensare a un modo buono per morire, essere divorato da un essere gigantesco, disarmonico e stolido che ti guarda con espressione idiota e ilare sul volto è quasi inaccettabile.
Ma i ricchi borghesi residenti all’interno del Muro Sina o dei quartieri privilegiati di Trost erano lontani da tutto questo e non se ne curavano.
D’alto canto la gente più semplice e indigente non riusciva a fare un ragionamento che esulasse il proprio stato di miseria, talmente abbrutiti da diventare a propria volta egoisti e ottusi per necessità, per spirito di sopravvivenza.   L’ignoranza e la maleducazione che spesso contraddistinguevano il popolo lo rendevano acritico, condizionabile e terribilmente manipolabile.
Erwin Smith era cosciente di combattere i giganti e promuoverne lo studio in nome della salvaguardia di un umanità che forse non meritava  di essere salvata. Eppure lo faceva, perché credeva fosse giusto. Sacrificava la sua vita e quella dei suoi uomini in nome di questo ideale.
Come appariva desueto e ingenuo tutto questo a Juliette. Eppure ne era affascinata e provava un rispetto e un’ammirazione sconfinati per la caparbia volontà di Erwin di credere nel genere umano.
Aveva per lui la stima che avrebbe voluto provare per un padre e le ispirava la tenerezza che avrebbe suscitato un figlio.
Lei non avrebbe più avuto né l’uno né l’altro.
Le dimensioni dei veri nemici del comandante superavano di gran lunga quelle dei giganti. Giocava a scacchi ogni giorno contro l’avidità umana, l’egoismo sfrenato, l’ignoranza, la chiusura mentale, l’incoscienza. Contro gente che non sembrava interessata al futuro, ma solo alla riuscita dei propri affari durante il breve tempo della propria vita, convinti di poterla trascorrere al sicuro, protetti dal proprio potere economico e politico, o anche solo nell’illusione che quelle dannate mura avrebbero retto per sempre.
Erwin Smith doveva dormire sempre con un occhio aperto. Con Juliette no.
Per qualche motivo che non era chiaro neanche a se stesso le pareti della stanza della giovane donna erano più inviolabili di un tempio. Qualcosa lo persuadeva che lei non lo avrebbe tradito.
Una follia.
La sua Juliette poteva tranquillamente essere stata pagata per eliminarlo.
Per quanto lui ne sapeva l’affetto di una puttana valeva il prezzo che la potevi pagare.
Ma la fiducia è una cosa strana. La si da, e in realtà niente e nessuno ci garantirà mai che sia ben riposta.
Non darla mai è come non vivere. Come stare a guardare.
Anche un uomo accorto come Erwin Smith aveva bisogno di vivere.
E aveva bisogno di alleati.
Così col tempo parlare con la donna gli era venuto naturale e aveva trovato in Juliette una compagna di conversazione sorprendentemente brillante e acuta nel cogliere la sostanza degli argomenti e il senso dei comportamenti umani.
Dopo poco tempo Erwin discuteva con lei anche le strategie. Non che lei fosse  in grado di condizionarlo, quello di cui parlavano all’interno di quella stanza rimaneva lì, sospeso come in una dimensione atemporale. Era un gioco dialettico. Talvolta lei arrivava perfino a metterlo in difficoltà con le domande semplici di una ragazza non particolarmente istruita, ma dotata di spiccato senso pratico. Erwin era arrivato al punto di non poter fare a meno di proporre certe idee a Juliette, curioso del suo parere. Questo la poneva in una scomoda posizione. Poteva diventare pericolosa, e questo la metteva  in pericolo.
Lei avrebbe potuto venderlo, lui avrebbe potuto farla sparire, per ragion di stato.
Si erano, di fatto, messi l’uno nelle mani dell’altro.
 In fondo nessuno concede più fiducia di una prostituta. Quando un uomo è nel suo letto, per quanto le condizioni possano esserle favorevoli, per quanto l’ambiente intorno a lei possa essere protetto, si trova nelle mani del cliente. E’ nuda, fisicamente più debole e si trova ad affrontare gli uomini nella loro condizione più ferina e primordiale, senza contare folli o maniaci nascosti dietro l’aspetto di rispettabili borghesi.
La fiducia che Juliette riponeva in Erwin era diversa. Lei non era costretta a dargliela gioco forza. Lei si fidava davvero del comandante.
Nella luce tenue delle candele che si andavano smorzando Juliette, sdraiata accanto ad Erwin, gli passava la punta delle dita sulla pelle. Sentiva il suo odore. Sapone, sudore e cuoio, residuo ormai quasi permanente delle cinghie dell’equipaggiamento DMT, misto a quello del gas che rimaneva persistente sugli indumenti anche lavati.
Percorreva le clavicole, scendeva lungo la linea dei pettorali, segnati da lividi e cicatrici. Scendeva ancora sull’addome dell’uomo, permanentemente contratto.
 Era un momento piacevole. Avrebbe voluto farlo durare più a lungo, ma nonostante la politica elastica che la Casa aveva nei confronti del capitano Smith, la ragazza era tenuta a rispettare una tabella oraria.
Le dita di Juliette indugiarono ancora sul volto di Erwin e gli carezzarono gli occhi, le labbra. Lentamente il respiro dell’uomo cambiò ritmo, perse profondità e regolarità.  Contrasse la bocca sulle mani di lei, accennando a morderle.
“ Mi dispiace, ma devo svegliarti”
La voce della ragazza, dolce, lievemente roca sembrò rompere un silenzio durato per un tempo infinito.
Erwin passò dal sonno alla veglia in pochi attimi e fu subito vigile, tirandosi a sedere contro la spalliera del letto. Attitudine militare.
Juliette si alzò, con un sospiro rassegnato, raccolse la vestaglia, la indossò, quindi si sedette su uno sgabello con le spalle alla specchiera, accavallando le gambe.
Lui la stava fissando, serio in volto.
Juliette ruppe nuovamente il silenzio
“Quando le tue sopracciglia si curvano in quel modo, vuol dire che qualcosa riempie talmente quella testa, che sembra volerle spingere fuori.”
Si avvicinò al letto, la distanza la infastidiva, e si accosciò, il viso all’altezza del collo di Erwin.  Gli scostò un ciuffo di capelli dal viso, chiedendosi se mai qualcun altro lo avesse visto in disordine. Forse nemmeno sua madre.
“ Cosa succede Erwin?  Parla o dovrò pensare che hai intenzione di lasciare una nota negativa sulle mie prestazioni alla signora Cornelia“
Sorrise, cercando di alleggerire la tensione che aveva pervaso la stanza. Si rese subito conto che il tono leggero era fuori luogo e il sorriso si spense.
Finalmente Erwin parlò.
“ Juliette…
Faresti una cosa per me? … Non per me, per l’esercito… E’ una cosa importante, una cosa … pericolosa”
Erwin era tornato rigido e autoritario. Era ancora nudo, semi sdraiato sul letto di un bordello, eppure la sua figura emanava la dignità e la compostezza di sempre, come fosse stato in alta uniforme.
La fissava con quegli occhi celesti, disarmanti nella loro integrità, di una profondità terrificante. Trasparenti eppure così lontani dall’essere limpidi.
“Ovvio che sarà pericoloso, non sei un droghiere….”
La battuta pareva ironica, ma Juliette lo disse con tono affermativo, serio. Una considerazione lapalissiana, niente di comico.
“Aspetta…”
Juliette si accostò alla porta e ascoltò in silenzio. Nessun rumore da fuori. Aprì uno spiraglio nella porta e controllò. Nessuno. Le ragazze erano nelle stanze, la Signora di sotto con gli ospiti. Si sentiva il brusio rassicurante di persone che ridevano al piano si sotto. Nessun suono di passi. Chiuse la porta.
“ Di che si tratta?”
“Documenti”
 
 
La carrozza si mosse nella notte, allontanandosi dai suoni vivaci che giungevano dalle finestre della Casa, ancora allegramente illuminata.
Erwin Smith, avvolto nel suo mantello scuro, rimuginava sugli ultimi eventi, muoveva mentalmente pedine su una scacchiera, augurandosi disperatamente che le sue mosse fossero quelle giuste.
Giunto all’alba al quartier generale gli venne incontro la sentinella che lo identificò e si pietrificò in un saluto militare
“ Comandante Smith! Bentornato comandante!“
Erwin rispose al saluto e la sentinella si rilassò, ma rimase sull’attenti.
“Riposo soldato. Ci sono stati problemi con le nuove reclute? ”
“No signore, il tenente Darlett li ha presi in consegna e li ha scortati nei loro alloggi ”
“Bene.”
Salutò e si congedò.
Aveva bisogno di un bagno e di affrettarsi.
Un’ora più tardi avrebbe dovuto affrontare una riunione durante la quale avrebbe discusso con i vertici del comando la sua decisione poco convenzionale.
Sarebbe stata una lunga giornata.
Si diresse verso i propri alloggi augurandosi che l’addome non gli sarebbe stato nemico, vittima della somatizzazione di una lunga teoria di ansie e continua tensione, ben gestiti e mascherati, ma evidentemente vendicativi.
***
 
Juliette si svegliò, ma al posto delle solite considerazioni casuali che affollavano la sua mente al risveglio, trovò la consapevolezza di aver deciso da che parte stare. Era bastato un “si” per tagliarle addosso un nuovo abito, stringere la mano di Erwin per fare una scelta.
Forse era la prima scelta non dettata da istinto di sopravvivenza.
Si sedette davanti allo specchio. Improvvisamente non guardava nel microscopio. Si trovava sotto la lente insieme al resto del mondo.
Quanto consapevole fosse, in realtà non lo sapeva. Era certa che i rischi sarebbero stati elevati e la contropartita era favorire l’ideale di Erwin.
Ora che suo fratello era nell’esercito non voleva soltanto che fosse nutrito, scaldato e ben equipaggiato e soprattutto vivo, ma cominciava a pretendere per lui delle prospettive.  Erwin Smith, attraverso scelte terribili e decisioni discutibili forse sognava, ma investiva sul futuro.
 Una specie, per non estinguersi, ha bisogno di territorio all’interno del quale riprodursi ed evolversi. Quel territorio andava riconquistato ed Erwin lottava per questa causa.
Lei, per folle che fosse, lo avrebbe aiutato. Stavolta anche fuori da una camera.
Juliette si lavò, si vestì e scese, come di consueto.
Soliti abiti semplici, graziosi indosso a lei. Solita aria serena. Fabiola non c’era, meglio così, avrebbe evitato chiacchiere.
Fece colazione, salutò un paio di compagne e uscì.
Aveva bisogno d’aria fresca e di pensare.
Poco più tardi un uomo distinto, di mezz’età, dall’aria mondana, fece il suo ingresso al Giardino delle Rose.
La signora Cornelia lo accolse nel salottino d’ingresso, come sempre elegante e cortese.
“Gradisce una tazza di tè signor Valenoff?”
L’uomo si era qualificato alla cameriera, entrando.   La solerte Genevieve si era fatta carico dell’ampia clamide broccata e di cappello e bastone, allontanandosi in una nuvola di amido.
“Volentieri madame Cornelia”
 L’elegante damerino si cimentò in un cortese baciamano.
La signora Cornelia sorrise deliziata e invitò l’uomo ad accomodarsi in un salottino appartato.
“ Mi dica, cosa la porta al Giardino delle Rose?”
“Madame, la vita mi ha riservato la fortuna di disporre di una cospicua eredità, grazie alla quale, insieme  a un certo fiuto per gli affari, posso permettermi una vita agiata. Cionondimeno la mia posizione impone spesso di dedicarmi alla vita mondana, forse più di quanto gradirei.”
Disse questo con aria calma, lievemente annoiata e continuò.
“Per fare in modo che le pubbliche relazioni non si traducano in un’interminabile sequenza di noiosi approcci sociali, amo accompagnarmi a belle signore, dotate di un certo spirito, non prive di eleganza, ma professioniste. Non amo le compromissioni sentimentali. Verrò dunque al punto: un amico, di cui non farò il nome per discrezione, mi ha segnalato questa Casa e in particolar modo una ragazza, Juliette dovrebbe essere il suo nome. Sono qui per avvalermi della sua compagnia non per un’ora, ma per una serata intera. La ragazza dovrebbe accompagnarmi a un ballo ufficiale che si terrà nella tenuta di Lord Balto, che lei sicuramente conoscerà. La mia carrozza la ricondurrà qui al mattino seguente.
Lascio a lei decidere il prezzo, sono certo che troveremo un accordo”
La signora ascoltò sorseggiando il tè al gelsomino, un’espressione serena e indecifrabile sul volto.
“Signor Valenoff, non è normale politica della casa quella di estendere i servigi al di fuori delle mura del Giardino delle Rose ”
Alzò gli occhi fissando intensamente l’uomo, niente arroganza né sfida, solo una precisazione di campo.
“Confido che lei sarà in grado di fornire credenziali adeguate. Stiamo parlando di una delle mie ragazze, per le quali all’interno di queste mura sono in grado di garantire il massimo della sicurezza che mi consente il decoro. Parlando in termini pratici, qui dentro io stessa posso controllare a ogni cambio orario il benessere delle mie dipendenti.
Devo inoltre informarla che qualora io e lei dovessimo venire a un accordo soddisfacente per entrambi, l’ultima parola spetterebbe comunque alla ragazza, dal momento che si tratta di una prestazione  al di fuori del consueto.”
Il Signor Valenoff sorrise affabilmente posando la sua tazza sul grazioso piattino di porcellana e sostenne lo sguardo della signora, non perdendo un filo di pressione.
“ Vedo che le indicazioni sul suo conto e sui suoi principi si dimostrano veritiere. Una donna di polso e buonsenso. Ne sono felice e sono ancora più convinto che troveremo un punto d’incontro.”
Si aprì in un sorriso ampio e schietto, come un bambino cui è stato chiesto di cimentarsi in un’arte che sa di padroneggiare e che non vedeva l’ora di poter mettere in mostra.
“Mi permetta di presentarle la mia proposta: Io garantisco pagamento anticipato, la segnalazione presso la Guardia Cittadina che mi faccio carico della custodia della ragazza dal momento in cui uscirà da qui fino a che non sarà riaccompagnata.  Verranno resi noti alla Guardia  il percorso e la destinazione. A lei, signora, lascerò tutti i dati sulla mia identità che riterrà necessari.”
Continuò.
“Per quanto riguarda la ragazza, sarei felice, se potesse farmi fare la sua conoscenza, in modo che anche lei possa decidere più liberamente se accettare o meno l’offerta”
La signora Cornelia prese un lungo sorso di tè, il gesto eseguito con esasperata lentezza, quindi annuì, con una controllata flessione del collo.
“ Possiamo valutare l’offerta, signor Valenoff”
Concordo sul fatto che sia opportuno che stasera lei conosca la mia Juliette. A seguito di quest’incontro e delle considerazioni che io e la ragazza avremo modo di fare in privato, le proporrò il nostro prezzo, oppure, non me ne abbia, le porgerò un rifiuto. Se accetterà, la cosa si svolgerà alle condizioni che lei mi ha illustrato.”
Gli occhi allegri di Valenoff continuarono a fissarla con entusiasta insistenza.
“ Bene dunque, a che ora posso passare per incontrare la signorina?”
“La aspetteremo per le otto. Vi incontrerete in questo stesso salottino, e potrete conversare il tempo che Juliette riterrà necessario, dopodiché, intanto, lei pagherà il prezzo per la sua compagnia”
Amabile e severa al contempo, la signora Cornelia si alzò, lasciando capire che il tempo a disposizione dell’affascinante viveur era scaduto.
Valenoff si alzò di conseguenza, il sorriso sicuro di se sempre stampato sul volto.
“Alle otto, madame, e poi vedremo se Juliette mi vorrà, anche se mi auguro che sia lievemente meno risoluta e autoritaria di lei”
Terminò la frase con una sonora risata.
“Non dubito che saprete trovare argomenti convincenti e che la ragazza vi incanterà, sir. Genevieve la accompagnerà all’ingresso”
Detto questo la tenutaria agitò un campanellino al suono del quale la solerte Genevieve si presentò.
“ Si signora?”
“Accompagna il signor Valenoff alla porta, mia cara, signor Valenoff, le porgo i miei rispetti, la aspetto per questa sera alle otto.”
“ Le auguro un buon pomeriggio, signora, la rivedrò con piacere dopo il tramonto.”
 Ricamò il solito delicato baciamano e chinandosi accennò un occhiolino irriverente.
La signora Cornelia colse, ma rimase impassibile, almeno apparentemente.
Juliette rincasò circa un’ora più tardi.
La tenutaria la mise a parte della conversazione avuta con l’eccentrico uomo d’affari e Juliette dissimulò magistralmente la sua conoscenza dei fatti.
Erwin l’aveva istruita a dovere. Sapeva che Valenoff era un’elaborata montatura che nascondeva un amico fidato del comandante, del quale lei ignorava e doveva ignorare, il nome. Un uomo benestante non particolarmente conosciuto nell’ambiente mondano, sufficientemente schivo da passare inosservato per anni nel dedalo delle dinamiche sociali dell’alta borghesia. Era una copertura fragile, nel giro di quattro, al massimo cinque giorni qualcuno l’avrebbe comunque riconosciuto. Questo era il tempo concesso all’operazione.
La ragazza si mostrò sorpresa e incuriosita e assicurò alla signora che avrebbe accuratamente valutato la proposta del ricco borghese durante l’incontro, quella sera.
Alle otto in punto Valenoff si presentò al Giardino delle rose.
Il suo aspetto era curato e ricercato come in precedenza.
Consegnò l’immancabile clamide broccata in nero e argento e il cappello piumato alle zelanti attenzioni della giovane Genevieve, affascinata dagli sfrontati sorrisi dell’uomo tanto da arrossire e scivolare via col solo lieve fruscio delle sue vesti e non una parola.
La signora Cornelia gli venne incontro.
“Buona sera signor Valenoff, prego, si accomodi nel salottino. Si versi pure da bere, Juliette la raggiungerà tra breve.”
L’uomo alto si accomodò sul divanetto barocco e prese uno dei calici dal tavolino, versando del vino. Una rarità riservata davvero a pochi e a occasioni particolari.
I vitigni attivi rimasti dalla perdita dei territori esterni al Muro Rose si contavano sulle dita di una, forse due, mani.
Valenoff ondeggiò il polso della mano che teneva il bicchiere, il suo sguardo si perse nello specchio rubino e altalenante creato dal prezioso liquido.
La sua espressione aveva perso tutta la leggerezza e l’ironica allegria.
“Signor Valenoff, i miei rispetti.”
Juliette, fece il suo ingresso preceduta da un delicato aroma di sandalo e cipria. Un abito in raso verde acqua con inserti di chiffon grigio perla ne avvolgeva le forme. Niente era realmente scoperto ma tutto si poteva facilmente intuire.
“Madame Juliette, enchantè” …
Delicato baciamano. Negli occhi di Valenoff  stavolta nessun ammiccante sarcasmo. Era colpito dalla bellezza di Juliette, in fin dei conti era un uomo e la sua personalità non si discostava di molto dall’interpretazione di Vassilj Valenoff, ma in quel momento poteva vedere oltre. Ammirava il coraggio della giovane donna. Le versò del vino mentre lei si sedeva e le porse il calice.
“Spero che il mio aspetto valga quantomeno una valutazione della mia proposta! ”
Valenoff, disse questo a voce alta, ridendo vicino alla porta, con il solito atteggiamento scanzonato.
Assicuratosi che tutto fosse tranquillo chiuse l’uscio e si fece vicino a Juliette, sul divano.
Le parole successive le sussurrò.
“ Juliette, lei capirà quanto sia necessario spendere meno parole possibile in questa sede. Immagino lei si renda conto della delicatezza dell’operazione e di quanto dovremo essere rapidi e accorti. Erwin ha piena fiducia in lei come l’ha concessa a me. Mi raccomando di essere convincente. Domani sera la verrò a prendere alle otto e ci recheremo al ballo. Scambieremo i dettagli in carrozza.”
Juliette si limitò ad annuire, gli occhi scuri e profondi fissi in quelli nerissimi dell’uomo e scoppiò in una cristallina risata. “ ha! … Signor Valenoff, lei ha davvero una lingua tagliente! Un vero ragazzaccio! ”
Disse queste parole con allegria forse un po’ forzata e tornò a riaprire la porta, chiusa completamente avrebbe destato sospetti.
I due interpretarono magistralmente una brillante e piacevole conversazione, alternando la finzione al cercare di conoscersi, al meglio di quanto era loro consentito dalla situazione.
Una ventina di minuti, il minimo che a Juliette parve credibile.
“Mi conceda pochi momenti, la signora sarà da lei tra breve, la lascio in compagnia di questo ottimo vino”
Juliette scivolò fuori dalla stanza. Ostentava morbida calma ma una lieve corrente le scorreva sotto la pelle e un occhio molto attento avrebbe notato un pallore per lei inusuale.
“ Si, bambina?”
 La signora sedeva nel suo studio, alla sua scrivania.
Juliette spinse la porta in mogano e la chiuse dietro di se.
“ Ho avuto modo di scambiare due chiacchiere con il signor Valenoff. Mi è sembrato un uomo viziato e molto sicuro di se, ma in fondo una persona senza troppe ombre. E’ abituato a ottenere ciò che vuole, ma non sembra il tipo che amerebbe ottenerlo con la violenza, ama troppo il bel vivere e la tranquillità. Questo almeno è quel che si può intuire da una breve conversazione. Se troverete un accordo soddisfacente, io non ho obiezioni ad accompagnarlo in questa occasione mondana, lo trovo un piacevole diversivo”.
“Bene, mia cara. Puoi andare, preparati pure per la serata, più tardi ti farò sapere l’esito della trattativa.”
Il signor Velenoff aveva argomenti più che convincenti. La cifra che offrì era davvero notevole e spense qualsiasi remora residua che ancora albergasse nella mente della signora Cornelia.
Il giorno seguente Juliette si vide recapitare un bellissimo abito da ballo color crema e broccato di raso amaranto.
Non aveva mai indossato niente di così bello ed elegante. Si chiese se sarebbe stata in grado di gestirlo. Non aveva tempo di farsi insegnare … ma forse…
Bussò e spinse ancora una volta il pesante mogano della porta dello studio di Cornelia.
“Madame…, mi chiedevo se …”
Quel pomeriggio lady Cornelia insegnò a Juliette come sopravvivere a una notte in società.
 
 
 
 
 
   
 
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