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Autore: Adeia Di Elferas    04/09/2015    4 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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 Dopo la notte del su matrimonio, i giorni per Caterina si rincorsero lenti e interminabili e più Galeazzo Maria sperava di scorgere in lei qualche segno di ritorno alla normalità, più lei si ostinava a comportarsi come una perfetta dama di corte in miniatura.
 Alla piccola costava e non poco sentire il cozzare delle spade nel cortile d'addestramento e non poter unirsi ai militari per un po' di esercizio. Era una penitenza sapere che i fratelli e gli zii studiavano nel salone, mentre lei se ne stava col ricamo vicino alla finestra. Era una vera morte vedere i cacciatori uscire per una battuta e starsene a palazzo a sorbirsi le chiacchiere delle altre donne della corte.
 L'unica attività che non aveva abbandonato era l'alchimia, l'unica sua passione non 'inammissibile per una giovane dama'.
 Malgrado tutto, proseguiva nella sua recita con caparbietà perchè ogni volta che suo padre la vedeva obbediente, silenziosa e aggraziata, si poteva scorgere sul suo volto una ruga profonda dovuta al dolore e al rimorso ed era questo che Caterina voleva per lui, affinché anch'egli vivesse almeno in parte ciò che lei aveva dovuto subire per suo preciso ordine.
 Così come osservava suo padre, senza scomporsi di fronte alle sue – a volte palesi – dimostrazioni di sconforto e pentimento, così studiava come fossero parte di un esperimento tutti gli altri membri della famiglia.
 Anche le sue madri, per quanto loro fossero con lei sempre più dolci e accondiscendenti, non erano più per lei il simbolo assoluto di affetto e sicurezza.
 Le amava ancora molto, e le avrebbe sempre amate, e cercava anche di giustificarle, ma ormai tra loro era sceso un velo impenetrabile e non sarebbero più state vicine come un tempo.
 La sua famiglia, che prima era per lei un qualcosa di sacro, ora non era altro che un'accozzaglia di persone con cui sentiva di avere sempre meno a che spartire.
 Quel fatto le aveva aperto gli occhi anche su un altro aspetto della sua condizione. Se la sua famiglia, infatti, se il suo adorato padre, se tutti loro erano riusciti a venderla come l'ultima delle schiave pur di evitare qualche colpo di colubrina, allora nessuno al mondo si sarebbe mai preso il disturbo di amarla e difenderla davvero.
 Da loro, per una figlia di nove anni, di fronte a una simile ignobile richiesta, si sarebbe aspettata una reazione diversa. Credeva che avrebbero messo a ferro e fuoco fin Roma, pur di difenderla.
 E invece loro si erano nascosti dietro l'ineluttabilità della cosa, come se davvero non ci fosse nulla da fare per evitarlo.
 Aveva avuto di certo più coraggio Gabriella Gonzaga, da loro tanto dileggiata, che aveva alzato la voce e aveva dato fondo a ogni sua risorsa, a rischio, forse, delle vita stessa, pur di risparmiare la propria figlia.
 Per Caterina, invece, nessuno aveva alzato la voce. Nessuno aveva fatto minacce. Nessuno aveva mosso un dito.
 Solo ora, a cose fatte, tormentato dai cambiamenti che vedeva nella figlia, il Duca di Milano trovava il coraggio di sussurarle nell'orecchio, ogni volta che la incontrava: “Lo uccideremo. Ti giuro che te lo leverò di torno. Lo uccideremo, lo uccideremo...”
 E ogni volta, Caterina non poteva fare altro che pensare: 'troppo tardi, padre'.
 Tuttavia, nonostante la recita che stava ingannando tutti – tanto che per la sua famiglia, Caterina era come impazzita e stentava a rimprendersi per il grande trauma subito – la bambina non aveva rinnegato ciò che era.
 Pezzi d'artiglieria, tattica, strategia, fortificazioni, armi moderne e armi classiche. Caterina non dimenticava nulla.
 Ogni sera, quando restava sola nella grande stanza che era stata destinata a lei dopo il matrimonio, a mo' di ennesima scusa per il trattamento che le era stato riservato, ripassava in silenzio tutto ciò che sapeva.
 Non voleva lasciarsi scappare dalla mente nulla e bloccare ogni nozione lì, fino a che le sarebbe servita.
 Quando di notte era certa di essere completamente sola, quando i suoi rancori arrivavano a svegliarla, si alzava dal letto e mimava tutte le mosse che conosceva: guardia bassa, guardia alta, affondo centrale...
 Aveva anche preso l'abitudine di portare sempre un pugnale nascosto sotto le vesti – ora sempre vesti da donna – nel modo in cui i soldati le avevano insegnato anni prima.
 Aveva il presentimento che quel suo vezzo, per chiamarlo così, le sarebbe prima o poi tornato molto utile, così come gli studi che aveva condotto fino a quel momento.
 Le sue preghiere erano sporadiche e in tutte, in tutte, ricordava Girolamo Riario, pregando Dio di porre fine ai giorni dell'uomo che era suo marito, prima che potesse essere lei stessa a strapparlo alla vita con un colpo di pugnale.
 
   
 
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