CAPITOLO 3
{Seconda regola di mamma Molly: non essere scortesi}
Marzo
1990
Il
signor Gazza, senza un apparente motivo, mise in castigo i gemelli Weasley,
dopo che trovò nuovamente la sua gatta sotto sedativi. Fred e George tentarono
in tutti i modi di fargli notare che era ingiusto dare la colpa a loro se
qualsiasi cosa fuori dal comune accadeva ad Hogwarts, ma il custode non prestò
loro attenzione e mise in mano ad entrambi una scopa, invitandoli a pulire i
gabinetti dell’intero castello.
I
gemelli Weasley non protestarono più perché in fondo era vero che era stata
colpa loro, anche se il signor Gazza non aveva nessuna prova al riguardo.
L’idea
era stata di George, che voleva tornare nell’ufficio del custode per scoprire
se, nascosto in qualche cassetto, ci fosse scritto l’incantesimo che avrebbe
permesso loro di svelare i segreti della pergamena. Avevano approfittato del
pomeriggio libero settimanale del custode, non pensando alla gatta che,
immancabilmente, si trovava nella sua cuccetta nell’ufficio del signor Gazza.
Avevano dovuto drogarla per poter svolgere le ricerche indisturbati ed erano
rimasti tremendamente delusi quando non avevano trovato nulla di nulla che
potesse essere loro utile, tranne alcuni articoli di Zonco sequestrati dal
custode, che avevano sgraffignato senza pensarci due volte.
Avevano
cercato di far ragionare il signor Gazza, quando era venuto a chiamarli per
metterli in castigo, nel modo più cortese possibile, consapevoli che – come
diceva la loro mamma – essere scortesi col prossimo non avrebbe portato nulla
di buono, ma non aveva funzionato come avevano sperato.
«Ci
dividiamo i piani?», chiese George, guardando il fratello con un’espressione
piena di sconforto, mentre maneggiava la scopa in modo buffo e poco
professionale.
Il
gemello annuì, sconsolato a sua volta dal terribile compito che li attendeva.
«Io
quelli dispari!», disse George, alzando una mano, con un sorriso furbesco
stampato in volto: «Buona fortuna col “fantasma del gabinetto”!», esclamò,
ridacchiando contento, mentre si allontanava per adempire ai suoi doveri.
Fred
fece una piccola smorfia inizialmente, poi però pensò che non vedeva Mirtilla
Malcontenta da parecchio tempo e voleva ancora trovare il modo di farla
sorridere e diventare suo amico, così decise di andare subito verso il bagno
delle ragazze del secondo piano, per chiacchierare con lei e cercare di
sollevarle il morale.
Nel
tragitto verso il bagno incrociò suo fratello Percy, che gli lanciò uno sguardo
di disapprovazione: «Cosa ci fai con quella scopa, Fred?», gli chiese,
fermandosi davanti a lui.
«Gazza
ha messo in punizione me e George», spiegò, sollevando le spalle, per far
capire al fratello che era tutto nella norma.
Percy
sospirò e con espressione annoiata e delusa fece gesto a Fred di andare ovunque
dovesse andare e continuò lungo il corridoio, diretto probabilmente verso la
Sala Grande, dove presto si sarebbe tenuto il pranzo.
Fred
considerò molto triste la vita di suo fratello maggiore; sempre annoiato, triste,
depresso e dedito al dovere; e si chiese se si fosse mai davvero divertito
almeno una volta. Quel pensiero lo portò a pensare nuovamente a Mirtilla e al
suo desiderio di farla ridere; doveva solo capire come fare...
Una
volta raggiunto il bagno delle ragazze del secondo piano vi si chiuse dentro e,
ignorando il compito assegnatogli da Gazza, si guardò intorno, aguzzando la
vista e l’udito, nel tentativo di individuare la figura perlacea del “fantasma
del gabinetto.”
Fu
sorpreso di trovare Mirtilla Malcontenta fluttuare vicino ad una delle bifore
della stanza, con in mano un mazzolino di fiori ormai secchi e ingrigiti dal
tempo.
Senza
rendersene conto Fred sorrise: «Sono i fiori che ti ho regalato, quelli?», chiese,
avvicinandosi a lei.
La
ragazza sussultò, guardando il nuovo
arrivato con gli occhi sbarrati dalla sorpresa. Tentò di nascondere dietro di
sé i fiori, per non far capire al rosso quanto avesse gradito quel piccolo
dono, ma fu tutto vano; attraverso il corpo perlaceo della ragazza infatti quel
semplice mazzolino di fiori era ugualmente ben visibile, come se avesse
continuato a tenerlo contro il petto.
«Ancora
tu?», chiese Mirtilla, fingendosi infastidita dall’improvvisa visita, mentre in
realtà avrebbe voluto sorridergli.
Mirtilla
malcontenta era un fantasma prima di tutto, il suo compito era tormentare i
vivi, non fraternizzare con loro, come facevano Nick-Quasi-Senza-Testa o il
Frate Grasso; aveva un’etica ed una certa fama, non poteva fare finta di niente
ed abbassare tutte le sue difese per il primo ragazzino che sembrava essere più
gentile rispetto agli altri. Semplicemente non era nella sua natura.
«Come
stai?», chiese Fred, mettendo in mostra i suoi denti leggermente storti,
decidendo di lasciar perdere il discorso “mazzolino di fiori”, avendo notato
come la ragazza sembrasse imbarazzata quando lui li aveva nominati poco
prima.
«Come
pensi che possa stare?!», esclamò lei, corrucciando la fronte ed arricciando le
labbra: «Sono triste!», spiegò, abbassando lo sguardo: «E sola», aggiunse,
fluttuando verso i lavandini, dove appoggiò i fiori che continuava a nascondere
dietro alla schiena.
«Ora
ci sono io qua con te!», disse Fred, provando a tirarle su il morale. Si chiese
di cosa avrebbe potuto parlarle per farla sentire meno sola e triste e pensò
che magari lei avrebbe potuto aiutarlo col mistero della pergamena.
Senza
pensarci due volte lasciò cadere la scopa a terra e tirò fuori dalla tasca del
mantello il famoso pezzo di carta che negli ultimi mesi era diventato
l’ossessione sua e di suo fratello.
«Io
e George abbiamo trovato questa, ti va di aiutarmi a capire a cosa serve?», le
chiese, mostrandole il foglio bianco piegato più volte su se stesso.
Mirtilla
si voltò appena e lanciò un’occhiata indifferente all’oggetto che il ragazzino
stava sventolando con sguardo trionfale: «È solo una stupida pergamena», disse
lei, godendo solo per pochi istanti dell’espressione ferita del rosso, prima di
sentire qualcosa di diverso... forse sentire
non era il verbo giusto, lei in fondo era un fantasma che non aveva più molta
dimestichezza con i sentimenti umani, ma dentro di sé, da qualche parte, percepì che si era comportata male, che
era stata scortese con un ragazzo che aveva sempre cercato di farla sorridere e
farla sentire bene.
Se
Mirtilla Malcontenta fosse ancora stata abituata ai sentimenti umani avrebbe
classificato quella percezione come senso
di colpa e pentimento, ma erano anni ormai che non faceva altro che provare –
in ricordo della sua vita passata – delusione, solitudine, tristezza e un forte
desiderio di vendetta, per questo motivo ignorò quella percezione e continuò ad infierire: «E tu sei solo uno stupido
ragazzino che vuole vedere qualcosa di bello in tutto ciò che incontra!»
Mirtilla
prese in mano il mazzolino di fiori e lo lanciò contro il ragazzo, colpendolo
al petto: «Non voglio la tua pietà, non voglio questi orribili fiori, non
voglio un amico come te! Non me ne faccio nulla di un amico! Voglio solo
piangere e far sentire gli altri come mi sono sentita io quando mi è stata
strappata via la vita! Tu, tutti i tuoi amici, i tuoi compagni, i tuoi parenti
non siete niente! Sorridi pure quanto
vuoi, illuditi che la vita sia bella ed appagante, ma non venire qui a
prendermi in giro!», il tono di voce del fantasma si era fatto sempre più
stridulo e fastidioso a mano a mano che andava avanti col discorso, facendo
male alle orecchie del giovane Weasley che, malgrado la sua naturale
predisposizione al riso e all’allegria, si ritrovava con involontarie lacrime
agli occhi e il forte desiderio di piangere.
Lui
non voleva prenderla in giro, lui voleva essere davvero suo amico e gli
dispiaceva infinitamente che lei non volesse, forse per orgoglio, forse perché
era ormai abituata alla sua solitudine ed era spaventata dall’idea di cambiare
quella che per anni e anni era stata la sua quotidianità. Fred guardò i fiori
appassiti che aveva raccolto tre settimane prima per la ragazza e si chiese
dove avesse sbagliato e perché gli dispiacesse così tanto aver fallito nel suo
tentativo di renderla felice.
Un
sorriso cattivo e malvagio comparve sul volto di Mirtilla Malcontenta che,
ignorava la morsa del senso di colpa che le attanagliava lo stomaco e
continuava ad infierire: «Prendi quella scopa, quell’inutile pergamena, questi
orribili fiori e vattene via! Io non ho bisogno di avere amici per stare bene!»,
urlò con la vocetta graffiante, fluttuando intorno al ragazzo.
Fred
alzò di scatto il volto: «Questa è una bugia e lo sai benissimo!», urlò,
sentendo le prime lacrime rigargli il viso, mentre faceva come il fantasma gli
aveva detto e raccoglieva da terra la scopa e i fiori che, fragili,
continuavano a perdere petali e foglioline.
«Tu
sei cattiva», disse il giovane Weasley, guardando dritto in faccia Mirtilla: «Ora
capisco perché non hai amici che ti vogliono bene!»
Dopo
quelle parole il ragazzo se ne andò, trattenendo solo per pochi passi il pianto
che gli scuoteva il petto con forza. Si lasciò poi cadere a terra contro la
parete del corridoio dove, raccolte le ginocchia vicino al petto, permise alle
lacrime di arrossargli e consumargli occhi e gote.
Si
disse che non avrebbe più provato ad essere gentile con Mirtilla Malcontenta,
perché era stata scortese, quando lui aveva provato ad essere gentile ed anche
perché lo aveva fatto piangere, cosa che cercava sempre di evitare perché lo
faceva sentire debole.
A
pochi passi di distanza intanto una disperata Mirtilla cercava invano di
raccogliere i pochi resti di quei fiori che negli ultimi giorni l’avevano
confortata e fatta sentire in un certo modo amata. Si pentiva di quello che
aveva detto e si sentiva tremendamente in colpa, anche se non sapeva tradurre a
parole ciò che le imperversava nel petto, sapeva nel profondo di aver
sbagliato. Avrebbe voluto urlare a quel ragazzino che aveva mentito, che la
vita valeva la pena di essere vissuta e che aveva un significato, che quei
fiori non erano orribili, ma bellissimi e che sì, aveva bisogno di un amico. Ma
dalle sue labbra non uscì nemmeno una parola, erano tutte stipate tra le corde
vocali e l’orgoglio le impediva di farle uscire.