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Autore: Adeia Di Elferas    05/09/2015    5 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ “Non dobbiamo lasciarci cogliere impreparati.” ammoniva Simonetta, con la sua solita cartelletta di pelle stretta al petto: “Sisto IV è sempre più potente, e ora che vostra figlia e suo nipote sono ufficialemente sposati...”
 “Non ricordarmelo...” fece Galeazzo Maria, quasi senza forza.
 Il caldo torrido di Milano non lo voleva lasciar riposare un momento. Il castello di Porta Giovia che d'inverno sapeva essere tanto freddo e angusto, in estate diveniva una fornace umida e invivibile. Se l'inferno davvero esisteva, non doveva essere molto diverso da quella stanza alle due del pomeriggio di un giorno di luglio...
 “Quindi dobbiamo subito deciderci ad appoggiare senza riserve i Della Rovere e i Riario a discapito dei Medici.” concluse Cicco Simonetta, asciugandosi una goccia di sudore che stava scivolando verso il labbro.
 Il Duca era stufo marcio delle questioni di stato e avrebbe solo voluto prendere il cavallo e partire, magari andare a caccia con sua figlia...
 Ah, ma che andava a pensare. Da gennaio, da quello sciagurato diciassette gennaio, Caterina aveva chiuso con la caccia e tutto il resto.
 E se aveva preso quella risoluzione e si era ritirata a fare una vita più femminile, la causa era proprio la salvaguardia del ducato, dunque Galeazzo Maria non aveva scelta. Anche lui doveva sacrificarsi per il ducato.
 Massaggiandosi la fronte, per tenere a bada i dolori che di tanto in tanto gli prendevano le articolazioni come morse, disse: “I Medici sono da sempre nostri alleati. Ci conviene davvero metterci contro una simile famiglia per dar retta a dei pescivendoli ripuliti?”
 Simonetta usò un tono carico di significato, nel dire: “L'era dei Medici potrebbe finire a breve.”
 “Per Dio, Simonetta... Non parlare per sciarade, non ne ho né voglia né tempo.” si spazientì il Duca.
 “Pare che il papa si stia muovendo, o almeno così dicono le nostre spie, per convincere la famiglia Pazzi a fare un colpo di mano a Firenze. Loro guadagnerebbero soldi e fama e il papa potere. Insomma, andrebbe bene per entrambi.”
 “E cosa dovrebbero fare, questi Pazzi?” s'informò Galeazzo Maria.
 “Eliminare la discendenza dei Medici, Giuliano e Lorenzo.”
 Qualcosa, nella voce del cancelliere, turbò Galeazzo Maria, che sussurrò: “Una congiura contro i signori di Firenze...”
 A renderlo inquieto non era tanto l'idea che a Firenze potesse accadere qualcosa del genere, ma sapere che, se accadeva a Firenze, nulla avrebbe vietato una cosa simile a Milano...
 Nelle orecchie ancora gli risuonavano le urla di Cola Montano, l'insegnante che aveva fatto fustigare in pubblica piazza qualche mese prima...
 Quell'uomo aveva osato mettere in testa ai suoi studenti strane idee... Aveva raccontato loro di Cesare e di come Bruto, il suo figliastro, avesse ordito una congiura alle sue spalle. Per la libertà... Bah! Per il caos e l'anarchia!
 Galeazzo Maria, che spesso girava per la città in borghese, per non farsi riconoscere, l'aveva sentito di persona esaltare la figura di Bruto e condannare quella di Cesare. E quindi l'aveva fatto frustare.
 Se a Firenze i Pazzi fossero riusciti a uccidere i due giovani Medici e a sollevare il popolo... Cosa avrebbe impedito ai milanesi, magari guidati da smidollati chiacchieroni come Cola Montano, di fare altrettanto?
 “Questa storia non mi piace. Voglio altre conferme. Non mi basta il bisgbigliare di qualche spia. Non ci esporremo in alcun modo, almeno non finché non avremo certezze.” decise il Duca, risoluto.
 Simonetta chinò il capo in segno di assenso e proseguì il suo resoconto con altre informazioni e affari di stato.

 “E quando dovrebbe venire qui?” chiese Lucrezia, con un velo di apprensione.
 La serva fece spallucce: “Mi so no... Forse in autunno... L'ha dit al Duca, madona Lucrezia...”
 Lucrezia la lasciò uscire e si fece aria con un angolo della manica. Faceva veramente troppo caldo, quel giorno.
 Avrebbe fatto volentieri un giro fuori, assieme a Bona e ai bambini, ma Caterina era rimasta nel palazzo e lei non se la sentiva di lasciarla sola. Non sarebbe, ovviamente, stata proprio 'sola'... C'erano molte persone a corte, ma Lucrezia, dopo quel torto subito dal Duca, non aveva più voluto assentarsi, se la figlia restava a palazzo.
 In quel momento la bambina stava leggendo un libro in latino, seduta accanto alla finestra.
 Era ogni giorno più bella, malgrado le occhiaie che le scavavano il viso, dovute alle notti insonni che la tormentavano.
 In lei Lucrezia si rivedeva molto. Si assomigliavano in modo impressionante, specialmente ora che la bambina si vestiva in modo più aggraziato e curava maggiormente il suo aspetto.
 Lucrezia non aveva avuto un matrimonio molto felice, ma in confronto a quello della figlia, era una meraviglia.
 Suo marito, Gian Piero non l'aveva mai amata, ma fino a quel momento non l'aveva nemmeno mai fatta soffrire. La loro era stata un'unione decisa a tavolino e quando lei aveva conosciuto Galeazzo Maria, aveva capito che non ci sarebbe stato altro uomo sulla terra a cui avrebbe dato il suo amore.
 “Chi dovrebbe venire qui, cara madre?” chiese Caterina, smettendo un momento di leggere.
 Usava quel modo pacato di esprimersi, adesso, quella voce vellutata e priva di ogni irruenza... Ogni parola era per Lucrezia una pugnalata al cuore, un'implicita accusa di complicità per quello che era successo quell'inverno.
 “Il cardinale Pietro Riario.” rispose la donna, con la voce che le si incastrava in gola, improvvisamente preoccupata della reazione che avrebbe potuto avere la figlia.
 Ma Caterina non reagì in alcun modo, almeno esteriormente. Anche se nella sua anima tremò e si lasciò prendere da un breve momento di panico, il suo viso rimase luminoso e disteso, il sorriso pacato e l'espressione rilassata.
 “Capisco.” disse solo, tornando subito a leggere. A fingere di leggere, perchè non aveva più la testa per seguire il filo delle frasi latine che aveva davanti.
 Il fratello di suo marito avrebbe fatto loro visita. Lei, che non voleva sentir più parlare dei Riario, almeno fino a quando non avesse compiuto quattordici anni, si sarebbe trovata di fronte uno di loro quell'autunno.
 Controllando sempre ciò che il mondo esterno poteva vedere, il mondo interno di Caterina implose una volta di più e la bambina si chiese se mai quell'incubo avrebbe avuto fine. Malgrado nella mente le rimbombasse la promessa che suo padre le faceva ormai quasi quotidianamente (“Lo ucciderò, Caterina, te lo leverò dai piedi, lo uccideremo.”), non poté far altro che arrendersi a un pesante e irrefrenabile pessimismo.
 Forse, cercò di farsi forza, un giorno sarebbe stata più motivata a parteggiare per la famiglia di suo marito. Forse, in futuro, i Riario sarebbe stati davvero la sua casata e nel momento delle scelte, avrebbe dovuto stare dalla loro parte e non più dalla parte degli Sforza.
 Oh, che mondo difficile era quella, dove per la figlia di un padre crudele e la sposa di un crudele marito, era così tormentoso decidere quale crudeltà scegliere...

   
 
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