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Autore: Roof_s    07/09/2015    2 recensioni
“Quindi voi due vi conoscete abbastanza bene!”
Sia io sia Catherine la guardammo, nuovamente a corto di scuse.
“No, non ci conoscevamo davvero” fece Catherine. “Harry ha... solo...”
“Ho suonato a casa sua” dissi.
Catherine mi lanciò un'occhiatina scocciata.
“Sì, ma solo per...”
“Aspetta un secondo” intervenne mia sorella. "Lei è la ragazza che ha organizzato la festa dove avete suonato tu e gli altri?”
Questa volta Catherine non si sforzò nemmeno di nascondere la propria espressione allibita.
“Ehm... Già, è lei” ammisi.
“Già, sono io” ridacchiò Catherine, imbarazzata.
Gemma rise. “Ora mi ricordo! Ma mi avevi detto che tra di voi non scorreva buon sangue, Harry!”
Con la scusa di voler mostrare una finta affinità tra noi due, Catherine mi rifilò un colpo al braccio che le riuscì straordinariamente violento.
“Ma non è affatto vero!” esclamò, fingendosi divertita.
“Oh, forse avevo capito male quando mi avevi detto che ero un insignific...”
Mi sentii pestare il piede con forza sotto il tavolo e le parole mi morirono in bocca. Catherine scoppiò a ridere e riprese a parlare: “Sono molto grata a Harry per aver accettato di suonare a casa mia con i suoi amici”.
“Sì, molto grata...” borbottai.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La stessa ragazza


Kate

 
 
Rimasi impalata dov'ero, troppo sconvolta dall'interruzione per potermi muovere. Che cosa diavolo ci faceva quel tipo proprio lì? E perché aveva tutta l'aria di avermi riconosciuta?
“Che... che cosa stai facendo?!” sbottò lui, incredulo.
Rimasi ferma per un secondo, dopodiché urlai, impaurita: “Ci conosciamo?”
Vidi il ragazzo scuotere prima il capo e poi ripensarci su e dire: “Tu non mi conosci, ma io so chi sei. Frequentiamo la stessa scuola”.
Annuii, raggelata dalla consapevolezza di ciò che stava succedendo: ero stata colta in flagrante proprio da un mio compagno di scuola. Ero in guai seri, ora.
“Vattene” tagliai corto.
“Che cosa vuoi fare?” chiese lui, spaventato.
Lo guardai di nuovo. “Ti ho detto di andare via!”
“Non vorrai mica... buttarti?” domandò con voce tremante.
Fui colta da un singhiozzo e mi voltai velocemente, dandogli le spalle. Le lacrime cominciarono a solcare le mie guance e io staccai una mano dal corrimano per asciugarle.
“Vattene via! Non mi interessa il tuo giudizio, io non ti conosco” sbottai.
“Ascoltami, Catherine...” provò ancora.
“No, lasciami in pace!” urlai, interrompendolo. “Cosa vuoi saperne tu?”
“Che cos'è che dovrei sapere?” domandò lui, sempre più vicino. “Che cos'è successo?”
Mi voltai nella sua direzione e cercai di trattenere le lacrime. Dal suo sguardo, però, fui certa che si fosse accorto del pianto.
“Sono stanca di tutto. Non puoi capire!” urlai.
Non mi piaceva l'idea di dare spiegazioni a uno sfigato qualunque che sicuramente mi seguiva con lo sguardo quando camminavo per i corridoi della scuola.
“Va' via e lasciami fare quello per cui sono venuta qui” continuai in tono sommesso.
Il ragazzo si avvicinò ancora e io sobbalzai, allarmata. Lo vidi finalmente in volto: occhi chiari, capelli molto ricci e vestiti anonimi. Non avevo mai notato quel ragazzo a scuola, sicuramente doveva essere poco conosciuto.
“Catherine, sai che cos'è peggio del... suicidio?” mi chiese, la voce che reggeva a stento il peso della conversazione.
Lo guardai, tremante come una foglia al vento. “Che cosa vuoi da me?”
Lui inspirò e riprese a parlare.
“Peggio del suicidio è il vuoto che lasci nelle persone che ti amano”.
Mi sentii colpire da un senso improvviso di colpevolezza. Ma in fondo a chi sarei mancata? Forse quello stupido ragazzetto poteva pensare che io fossi felice soltanto perché ero bella, ma non si avvicinava nemmeno lontanamente alla verità.
“Nessuno mi ama davvero. Tu non sai nulla di me, va' via!”
“Io so che sei una delle ragazze più popolari della scuola. Tutte, là dentro, vorrebbero avere anche solo la metà di quello che hai tu, e...”
“Vattene via!” strillai, stordita dal dolore. “Non mi conosci, non conosci la verità! Nessuno mi invidierebbe tanto, se si sapesse che razza di vita schifosa sono costretta a vivere!”
“E allora parlamene!” esclamò il ragazzo, inorridendo alla vista della mia determinazione.
Lo sentii poggiare una mano sulla mia e percepii il calore della sua pelle. Pensava che mi sarei buttata di sotto? Forse sì, e la cosa lo spaventava oltremodo. Magari era uno dei tanti innamorati di me. Oppure era semplicemente sconvolto dall'idea di poter assistere a un suicidio. In fondo eravamo compagni di scuola, anche se io non avevo la più pallida idea di come si chiamasse.
“Lasciami perdere, è quello che fanno tutti” tagliai corto, il morale sotto i piedi. “Forse per te sembra impossibile poter scegliere questa strada, ma io sono stanca”.
“E così ti arrendi, giusto?” rispose prontamente lui.
Lo ignorai e sospirai profondamente. Guardai in basso: l'acqua non scorreva impetuosa, ma se io fossi caduta non mi sarei salvata, perché non sapevo nuotare.
“Catherine, tu non immagini nemmeno cosa voglia dire essere me” fece il ragazzo.
“Va' via finché sei in tempo. Questa è una questione privata” lo avvertii.
“Non lo è più”, fu la sua secca risposta.
Deglutii e staccai una mano dal corrimano.
“Ascoltami bene, non sei l'unica ad avere difficoltà” proseguì lui con coraggio. “Io mi sveglio ogni giorno con la paura nera di mettere piede a scuola, perché sono ignorato da tutti e ho pochissimi amici. La gente mi considera uno sfigato, e probabilmente questo è ciò che pensi anche tu di me”.
Fece una pausa. Mi voltai appena e incontrai il suo sguardo fermo puntato sul mio volto.
“E mia madre sta cercando in tutti i modi di obbligarmi a seguire le orme di mia sorella, sminuendo le mie vere capacità”.
Rimasi in silenzio, in attesa che lui proseguisse.
“La ragazza che mi piace non sa nulla di me, perché sono troppo stupido e insignificante per una come lei. Come la mettiamo adesso?” concluse il ragazzo. “Credevi seriamente di essere l'unica a soffrire? Forse tu sembri qualcuno che non sei, ma non puoi pensare di essere sola. Parla dei tuoi problemi, sfoga la rabbia, ma non gettarti da questo stupido ponte. Le persone che ti lasciano perdere non valgono la tua fine”.
Mi strofinai gli occhi di nuovo appannati dalle lacrime. Tirai su col naso e guardai il ragazzo al mio fianco.
“Vivo con mio padre, perché mia madre si è risposata e ha altre priorità adesso” snocciolai automaticamente. “Lui mi ignora, finanzia i miei studi e i miei corsi di danza, ma non mi permetterà di iscrivermi all'accademia teatrale una volta finito il liceo”.
Il ragazzo rimase zitto. Le sue labbra sottili formavano una linea diritta e gli occhi erano fissi dentro i miei.
“Le amiche che ho non sono interessate a me, non sanno quasi nulla di chi sono. Gli piaccio perché sono ricca e con me al loro fianco sembreranno più importanti” aggiunsi, amareggiata. “E i ragazzi che mi seguono ovunque lo fanno perché sono bella. Per loro sono una preda, e io mi sono abituata a recitare questa parte alla perfezione, mi calza a pennello”.
Il ragazzo annuì, serio.
“Ultimamente litigo con chiunque, a casa mi sento terribilmente sola. Questo posto mi mette una gran tristezza addosso. Vorrei andarmene, ma ho paura che fuori da questo piccolo mondo io non sarei nessuno” terminai.
“E dopo avermi raccontato tutto questo, pensi ancora che la tua vita non meriti una seconda chance?” mi chiese lui a bruciapelo.
Singhiozzai e sbuffai. “Non so più nulla”.
Lui, a quel punto, fece leva sulle braccia e si issò sul corrimano del ponte, proprio di fianco a me, con la schiena rivolta al vuoto sotto i miei piedi.
“Quando ero piccolo Holmes Chapel mi sembrava un posto sconfinato, non avevo un'idea chiara delle sue misure. Pensavo che qui sarei stato sempre felice, perché avevo i miei genitori, la mia scuola e i miei amici. Poi sono cresciuto e ho realizzato che Holmes Chapel è solo uno dei tanti paeselli sperduti in cui non concluderò mai un accidente. Ma il mondo mi si è spalancato davanti nella sua vastità. Non sei obbligata a restare qua se hai i tuoi sogni, Catherine”.
Puntai gli occhi sulla superficie scura dell'acqua sotto i miei piedi.
“Se ora mi buttassi, eviterei molti problemi a me e agli altri” confessai.
Il ragazzo al mio fianco sospirò profondamente. “Se ora ti butti giù, mi costringerai a fare lo stesso”.
Mi girai a spiare il suo profilo. Lui non si voltò nella mia direzione, fissava un punto davanti ai suoi occhi con aria scossa; eppure ero sicura che non stesse mentendo.
“Che cosa diavolo vuoi da me? Perché stai facendo tutto questo? Io sono una di quelle persone odiose che ti disprezza e ti fa sentire uno sfigato, lasciami stare!” sbottai, confusa da tutto ciò che stava succedendo.
“Io...”, il ragazzo staccò gli occhi dal nulla alle mie spalle e mi guardò, “... tu non... Insomma, che cazzo ti passa per la testa, Catherine?! Tu sei pronta ad ucciderti per... che cosa?”
Lo vidi scattare in piedi, il volto trasfigurato dal terrore.
“Tu vuoi farla pagare a quelle persone che non ti considerano abbastanza importante, ma questo non è il modo migliore di risolvere i problemi, non lo capisci?”
Scossi il capo. “Io...”
“Tu non sai un bel niente!” sbottò lui, interrompendomi. “Ti stai comportando come se ogni piccola tragedia quotidiana fosse una grande sconfitta. Non è così! Non lasciare che siano queste stronzate a buttarti giù!”
Lo guardai, i piedi ancora saldamente attaccati al bordo esterno del ponte. Il ragazzo sconosciuto respirò con forza, a metà tra lo spaventato e l'incollerito. Potevo scorgere i muscoli del viso tesi per il nervosismo.
E se avesse avuto ragione? E se in fondo avessi agito davvero come una bambina impulsiva?
Pensai per un istante ai corsi di recitazione organizzati dal gruppo teatrale della scuola: da quanti anni desideravo prendervi parte! E le accademie di Londra e Manchester, il mio sogno nel cassetto...
Inspirai l'aria fresca nei polmoni e riaprii gli occhi. Il ragazzo era ancora in piedi dietro di me, gli occhi spalancati come se avesse paura di chiuderli e non ritrovarmi più seduta sul bordo del ponte.
“Prendi la mia mano, Catherine” sussurrò, allungando il braccio destro.
Mi alzai dal corrimano e afferrai docilmente la mano di quello sconosciuto. Alzai una gamba e la poggiai al di là della balaustra. Quando però provai a fare la stessa cosa con l'altra gamba, il piede mi scivolò di qualche centimetro.
Lanciai un grido che spezzò il silenzio della sera. Il ragazzo scattò in avanti e si protese per reggermi. Mi aiutò a issarmi oltre il bordo del corrimano e in pochi istanti fui sana e salva al centro del ponte.
Guardai il mio salvatore dritto nei suoi grandi occhi chiari.
“Chi sei?” soffiai a mezza voce.
Lui tirò un sospiro di sollievo e disse: “Harry. Harry Styles”.
Annuii e gli strinsi la mano, ancora scossa dai minuti trascorsi insieme a quel perfetto sconosciuto. Aveva conosciuto una parte così intima di me che quasi mi vergognavo a guardarlo in faccia.
“Vuoi un passaggio a casa?” mi domandò, cordiale.
Scossi il capo. “Io... è meglio che... vada”.
Harry sbatté le palpebre un paio di volte, un'espressione perplessa stampata sul suo volto magro. Sembrava quasi temere che potessi ripensarci e commettere davvero il suicidio progettato prima del suo arrivo.
Dio, che vergogna!, pensai mestamente.
E se Harry avesse spiattellato ai quattro venti l'accaduto? Tutta la scuola avrebbe parlato di me per mesi, e io sarei passata dall'essere il personaggio più in vista della Holmes Chapel Comprehensive School al diventare lo zimbello della città.
“Se hai bisogno...” ritentò Harry.
“Sto bene!” scattai, innervosita. “Va' via!”
Il ragazzo non mosse un muscolo, ma io non rimasi in attesa di ulteriori proposte. Lo oltrepassai a passo svelto e mi avviai verso la mia bicicletta, abbandonata in una piazzetta che costeggiava la strada. Salii sul sellino rigido e mi allontanai in fretta da quel posto maledetto. Solo quando fui abbastanza lontana dal ponte e dal mio salvatore scoppiai in un lungo pianto liberatorio.



Il mattino seguente mi risvegliai in un bagno di sudore. Aprii un occhio e avvertii il dolore martellante alle tempie. I ricordi della sera precedente si affollarono nella mia testa, gettandomi di nuovo nello sconforto.
La decisione improvvisa, il ponte, i minuti di incertezza, l'arrivo di quello strano tipo ― Harry Styles ― e i suoi tentativi di salvataggio, le mie imbarazzanti confessioni, il modo brusco con cui mi ero congedata dopo essermi arresa...
Mi coprii il volto stanco con entrambe le mani e per un paio di minuti evitai di compiere qualunque movimento. Volevo solamente affondare il più profondamente possibile nel materasso e scomparire per sempre.
Che cosa diavolo mi era saltato in mente? Avevo mandato all'aria la prudenza e mi ero fatta vedere da un mio compagno di scuola! Quel maledetto impiccione mi aveva osservata tentare il suicidio e piagnucolare senza ritegno. Potevo immaginare la gioia selvaggia di quel tale Harry Styles all'idea di avere la ghiotta opportunità di rovinarmi: avrebbe acquisito una certa popolarità e io sarei passata per la psicopatica di turno.
“Sono un'idiota” mormorai attraverso le mani ancora chiuse sul mio viso.
Dovevo pensare a come risolvere quel pasticcio. Sicuramente Harry Styles andava zittito, intimorito. Dovevo evitare che si montasse la testa.
Mi alzai dal letto scalciando via le coperte e spalancai la finestra: l'aria pulita della nuova mattinata invase la stanza e la luce mi colpì agli occhi.
Mantieni la calma e ne uscirai sana e salva.



Normalmente attraversare il cortile della scuola era uno spasso. Le occhiate di ammiratori e curiosi non mancavano mai e io mi sentivo una vera regina in mezzo a tanta venerazione gratuita.
Quel giorno, però, il mio arrivo fu accolto da timori e profonde paure. Varcai la soglia dell'edificio scolastico con le gambe che tremavano. Mi guardai attorno freneticamente ma non vidi nemmeno l'ombra di Harry Styles, che era passato dal non esistere all'essere la mia più grande tortura.
Salii la rampa di scale che conduceva al secondo piano ed entrai nella mia aula. Cinque ragazze tremendamente simili le une alle altre si alzarono in tutta fretta dai due banchi su cui si erano assiepate e mi salutarono con larghi sorrisi di benvenuto. Le raggiunsi e sbattei la mia borsetta di pelle bianca sulla sedia. Mi sfilai la giacchetta di marca e la poggiai allo schienale. Guardai le mie amiche una per una e infine mi decisi a sorridere. Le vidi farsi subito più serene.
“Ciao, ragazze” salutai quel manipolo di arriviste che erano le mie migliori amiche.
Sarah, Jane, Olivia, Mary e Barbara attaccarono subito con il loro parlottio vivace, aggiornandomi su tutte le piccolezze che potevano essere successe dall'ultima volta in cui ci eravamo viste, il pomeriggio precedente.
Annuii distrattamente senza preoccuparmi di mostrare il poco interesse che nutrivo per quelle storielle. La mia mente era completamente persa.
Avevo praticamente ammesso, per la prima volta nella mia vita, che tutto ciò che mi circondava non valeva nulla: le mie amiche, i miei spasimanti, i soldi e i lussi di cui andavo tanto fiera. Tutto questo era una pura menzogna che la gente si era bevuta senza discutere.
“Conoscete un certo Harry Styles?” interruppi le mie amiche all'improvviso.
Tutte ammutolirono e si scambiarono occhiatine sorprese.
Guardai Olivia, la quale si affrettò a scuotere il capo e a rispondere: “Mai sentito prima. Chi è?”
“Qualcuno ti sta infastidendo, Kate?” domandò con fare aggressivo Jane.
Feci cenno di no con la mano e sbuffai. “Era solo una mia curiosità. Va tutto bene”.
Mi accorsi dell'occhiata eloquente che Barbara lanciò a Jane: quelle due avevano forse in progetto di scoprire chi fosse Harry Styles e minacciarlo di starmi lontano?
“Ragazze, state tranquille” aggiunsi, stanca. “Non è qualcuno di cui dovremo preoccuparci”.
“Se hai bisogno di qualsiasi informazione, sai a chi rivolgerti” mi informò Mary con aria cospiratoria.
Annuii di nuovo e osservai il professore di Storia fare il suo ingresso in classe.
“Grazie del supporto, amiche mie”.



Uscii nel cortile spazzato dal vento e strizzai gli occhi per focalizzare meglio le figure che si muovevano nel campo di rugby dietro la scuola. Il cielo si era adombrato velocemente e il freddo s'infilava attraverso gli abiti ancora troppo sottili.
Camminai a passo veloce fino al vasto campo sportivo, adocchiando esattamente la persona che stavo cercando: un ragazzo alto, dal fisico imponente e il sorriso mozzafiato, intento ad abbattere le difese della squadra avversaria e ad aggiudicarsi gli applausi concitati della folla.
La sera prima mi ero lasciata trasportare troppo dalla foga, dal momento di annebbiamento mentale. Ora, tuttavia, vedevo con più chiarezza la situazione: non potevo permettere a qualche momento di instabilità di abbattermi. Sì, in fondo era la mia bellezza ad attirare la gente, ma che cosa c'era di male in tutto questo? Questa era la verità: io ero bella, e ciò non costituiva alcun peccato.
Quando Michael ebbe segnato l'ennesimo colpo, un boato assordante dal lato destro del campo si levò e un gruppetto di ragazze più piccole di me saltellò freneticamente. Sbuffai, sprezzante, e sorrisi al giocatore che avanzava lentamente verso di me.
“Ciao, splendore” mi salutò, facendo scivolare un braccio sui miei fianchi e stringendomi a sé.
Baciai Michael con aria trionfante: ero io la ragazza con cui voleva uscire; io la ragazza a cui avrebbe obbedito come un cagnolino; ed ero io l'unica che avrebbe avuto il potere di spezzargli il cuore con una sola parola.
“Sei venuta a vedermi?” domandò, orgoglioso.
Annuii e assunsi la mia solita aria innocente: sapevo che nessun ragazzo poteva resistermi quando lo guardavo in quel modo.
“Ho aspettato tutta l'estate per rivederti con questi pantaloncini sportivi che ti rendono così sexy” gli sussurrai a un palmo dal viso.
Michael abbozzò un sorriso di pura estasi e mi stampò un altro lungo bacio sulle labbra. Quando si staccò da me, mi salutò con un sorrisetto malizioso e mi diede appuntamento fuori dalla scuola alle cinque. Lo guardai sparire in lontananza assieme al resto della squadra, probabilmente intento a vantarsi con gli amici di quanto la sua fidanzata fosse affascinante.
Sorrisi con aria tronfia e, proprio in quel momento, scorsi un ragazzo dall'aria spaesata fissarmi da lontano, gli occhi velati di una muta accusa: Harry Styles mi aveva osservata insieme a Michael, forse domandandosi se la ragazza che aveva aiutato la sera prima fosse la stessa di quel freddo pomeriggio autunnale.





 
   
 
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