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Autore: Adeia Di Elferas    10/09/2015    3 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~Il cardinal Pietro Riario morì a Roma, il terzo giorno di gennaio dell'anno del signore 1474, all'età di vent'otto anni, circa tre mesi dopo la sua visita alla corte di Milano.
 Si parlò di indigestione, di avvelenamento, di tragica fatalità e perfino di congiura. In realtà Pietro morì senza che nessuno si chiedesse davvero come.
 Gli fecero un funerale degno del suo rango e tutti si dimenticarono in fretta di lui, primi fra loro il papa, che elevò a cardinale un suo altro nipote, quasi contento di essersi tolto dai piedi quel giovane avventato e ancora così popolano.
 A Milano la notizia venne accolta con un misto di incredulità, sollievo e paura. Incredulità per la giovane età del cardinale. Sollievo perchè ogni Riario, ormai, per gli Sforza era una spina nel fianco. E paura, perchè nessuno sapeva bene cosa avrebbe comportato per loro quella morte.
 La fortuna dei Riario era ancora incerta, legata a filo doppio a quella del papa Sisto IV e di tutti i Riario-Della Rovere coinvolti con gli affari vaticani.
 “Simonetta, io lo sapevo!” stava gridando Galeazzo Maria, stringendo in mano il messaggio della morte del cardinale: “Se solo avessimo aspettato!”
 Cicco Simonetta, come sempre, ascoltava muto e un po' chino, aspettando che la rabbia del suo padrone smontasse da sola.
 “Se avessimo aspettato, questo Pietro Riario sarebbe morto e non avrebbe fatto tutte quelle pressioni al papa! Non avrebbe avuto modo di dire a suo zio di forzarci, di accelerare le nozze!” Galeazzo Maria stava sbraitando a voce tanto alta che perfino i suoi figli e le sue donne lo sentivano attraverso le spesse pareti del palazzo di Porta Giovia. I bambini più piccoli piangevano sommessamente, spaventati dalle ire del padre. L'unica fra loro che sembrava non avvedersene era Caterina, che ascoltava con un'espressione di pietra in viso, gli occhi puntati sulle pagine del libro che stava leggendo.
 E così andò avanti a lungo, l'uno che gridava come un matto e l'altro che ascoltava cosparso il capo di cenere e molte orecchie che ascoltavano di nascosto ogni parola.
 Solo quando il Duca non ebbe più fiato, Simonetta osò dire qualcosa: “Il Duca mio signore è ingiusto. Non capite che con la morte del giovane cardinale, ora vostra figlia non solo mantiene Imola, ma eredita moltissimo danaro e altri beni? Morendo, il cardinale ha permesso a noi di avvantaggiarci ancora di più della fresca fortuna dei Riario, migliorando le prospettive che erano assai più misere, fino a poco tempo fa. Girolamo Riario è il fratello del cardinale, il suo unico erede legittimo. E con tutte le cariche che arriverà a rivestire, sarà non solo l'uomo più ricco, ma anche il più potente d'Italia.”
 Galeazzo Maria cercò di calmarsi e vedere il lato positivo della questione.
 “Di certo il papa si affretterà a dichiarare il nipote signore di Imola e i giochi saranno fatti!” concluse Simonetta, con un sorriso sghembo.
 Il Duca gli fece segno di andarsene: “Ho capito. Ne parleremo più avanti. Per il momento non possiamo fare altro che aspettare.
 Il cancellieri fece un rapido inchino e si dileguò. Nel palazzo tornò il silenzio.

 “Mia signora, qualcosa vi angustia?” chiese un soldato, vedendo Caterina appoggiata alla parete di pietra.
 La bambina alzò lo sguardo e i suoi occhi incontrarono quelli decisi e grandi dell'uomo in armatura.
 Aveva da sempre un legame solido coi soldati del palazzo di Porta Giovia, perchè fin da piccolissima giocava tra loro e si faceva insegnare i loro trucchi.
 Negli ultimi mesi, poiché aveva disertato le esercitazioni con la spada e a cavallo per far dispiacere a suo padre, aveva avuto meno occasioni di parlare con loro.
 “Non preoccupatevi.” disse Caterina, staccandosi dalla parete fredda.
 Cominciava a nevischiare e ogni parola che usciva dalle sue labbra lasciava una scia di vapore che le ricordava la nebbia che aveva accolto qualche mese prima l'arrivo del cardinal Riario.
 “Se qualcuno vi dà fastidio, mia signora, io sono qui per voi.” promise il militare, con un tono burbero che divertì sinceramente la bambina.
 “Grazie. Siete l'unico che sarebbe disposto a battersi per me.” notò Caterina, pensando che forse un uomo come quello l'avrebbe davvero protetta da suo marito.
 “Non l'unico, mia signora.” la corresse lui: “La truppa sarà sempre dalla vostra parte. I soldati passati da questa fortezza vi adoreranno sempre. E sono certo che anche i soldati che comanderete in futuro vi ameranno quanto noi.”
 “Non comanderò nessun soldato, in futuro...” si abbatté la bambina, mentre qualche fiocchetto di neve le restava sui capelli biondi pettinati in modo complicato.
 L'uomo d'arme fece un sorrisone un po' sdentato: “Seh, seh...” disse, con la faccia di chi la sapeva lunga: “Ora dite così, ma io so che sarete un grande generale.”
 Caterina percepì nelle parole di quell'uomo una sorta di goffo incoraggiamento. Così decise di non contraddirlo più, per non mortificare il suo tentativo.
 “Avete ragione. Un giorno conquisterò città e governerò su molti regni.” disse.
 “Così si fa!” esultò l'uomo: “Ora scusatemi, mia signora. Devo portare questo dal maestro d'armi.” fece, alzando lo scudo mezzo distrutto che portava con sé.
 Caterina lo salutò con la mano e l'uomo fece un breve cenno del capo, proseguendo nel suo cammino.
 Solo dopo qualche passo, il soldato si voltò e chiese: “Ricordate sempre quello che io e gli altri vi abbiamo insegnato? Portate sempre con voi l'amico più fedele?”
 Caterina annuì e si diede un colpetto significativo alla gamba, al che il guerriero risalutò e stavolta se ne andò davvero dal maestro d'armi.
 Con quel battersi piano la gamba, Caterina intendeva dire che sì, aveva imparato il trucco che quei soldati le avevano insegnato. Un pugnale sempre nascosto sotto le vesti, attaccato al corpo, facile da estrarre, ma impossibile da vedere.
 Così, nel momento del bisogno, in meno di un secondo sarebbe stata in grado di puntarlo alla gola del nemico. In quel modo, anche senza bisogno dell'aiuto di qualcun altro, ci si poteva liberare da soli.
 Non l'aveva mai messa in pratica perchè nel palazzo di suo padre si sentiva al sicuro. Però non l'aveva mai dimenticata, quella regola. Era semplice, ma poteva salvare la vita. Non costava fatica e dava sicurezza.
 Da quando si era ripresa, dopo il matrimonio, aveva cominciato a onorare quella regola quotidianamente.

   
 
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