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Autore: SagaFrirry    10/09/2015    1 recensioni
Seguito de "La città degli Dei", scritto nell'ormai lontano 2009. Il tempo è trascorso, i bambini sono cresciuti e molte cose sono cambiate. Una lettera misteriosa viene consegnata alle divinità. Momoia, Madre Divina, convoca a sé gli Dei. Per quale scopo? Un nuovo nemico, un nuovo Mondo e l'intreccio continua..
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'La città degli Dei'
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II

 

PADRI E FIGLI

 

“Devi stare più attento! O finirai sempre con il farti sconfiggere!”.

Due ragazzi si scontravano, avvolti dal buio della notte, sfidando il forte vento ed il freddo. Cominciava anche a piovere, ma i due non deponevano le armi.

“Devi impegnarti di più, fratellino, se vuoi davvero avere qualche possibilità contro i tuoi nemici!” urlava uno dei giovani, per farsi sentire nella tempesta.

“Quali nemici?” gli rispose l’altro “Siamo in un’ Era pacifica!”.

“La cosa potrebbe cambiare. È meglio se sei pronto e preparato!”.

Il fratello maggiore aveva gli occhi dorati, lucentissimi anche nell’oscurità più fitta, ed i capelli verde-acqua. Si muoveva agilmente con le sue ali d’angelo, di colore blu scuro. Tentava di addestrare il fratello minore che ormai, dopo diverse ore, mostrava segni evidenti di stanchezza. “Non puoi fermarti, fratellino! Avanti!” lo incitò l’addestratore “Avanti! Sei un Dio! Non puoi arrenderti, né stancarti! Attaccami!”.

“Ma vaffanculo, Kavahel! Sono stufo!” si lamentò la recluta.

“E va bene. Allora ci fermiamo. Ma poi non venire a piagnucolare da me quando nostra sorella ti batte!”.

Il più giovane, punto nell’orgoglio, appoggiò la spada in terra: “Lei è la Dea del Kaos! È ovvio che è più forte di me!”.

“Ovvio ‘sto cazzo! Muoviti, invece di star lì a perdere tempo!”.

Il rumore delle loro spade che si scontravano si udì varie volte, e molto distintamente, per tutta la città. La pioggia era sempre più forte e fastidiosa, gelida. Il più giovane, pure lui con brillanti occhi d’oro, riprese l’addestramento, anche se non nutriva molte speranze di battere sua sorella gemella.

Furono interrotti dall’apparire di una figura lungo la strada. Era incappucciata e teneva la testa bassa. Erezehimsay, l’Angelo Messaggero di Kavahel, arrestò l’altalena su cui si dondolava ed andò incontro allo straniero, riconoscendolo come un suo collega. Con un largo sorriso, spostò i capelli arancio con riflessi fuxia dal viso e corse verso l’incappucciato.

I suoi occhi ramati splendevano ed incrociarono quelli verdi del nuovo arrivato.

“Ciao!” salutò con entusiasmo.

L’altro angelo si limitò a porgergli una lettera.

“Dai pure a me i tuoi messaggi. Riferirò a tutte le divinità di questa casa. Chi ti manda?” domandò Erezehimsay.

“Sei ora il messaggero del nuovo Equilibrio?” si sentì chiedere, come risposta.

“Sì. Sono il messaggero di Kavahel, figlio di Kasday e Vereheveil, Nuovo Dio dell’Equilibrio, ma anche del Nuovo Dio del Destino e la Nuova Dea del Kaos. Tutte divinità qui risiedenti”.

“Questo messaggio è rivolto a tutti loro. Ed al Signor Vereheveil, la sua consorte e tutti i loro figli”. Nel frattempo i due giovani avevano smesso di combattere e si erano avvicinati ai due angeli.

“Io sono il Nuovo Dio del Destino, posso prendere la lettera?” domandò il fratello minore.

Il messaggero annuì e poi parlò, rivolto al collega: “Dev’essere faticoso seguire tre Dèi giovani…mi sembrano piuttosto esagitati…”.

“Non è faticoso come sembra. Piuttosto, compare, qual è il tuo nome? La tua voce…mi è così familiare! E anche i tuoi occhi verdi mi dicono qualcosa…”.

“Non ho tempo per star qui a chiacchierare. È quasi l’alba, ed io ho una certa fretta di tornare dal mio padrone. Leggete la lettera, è urgente. È da parte delle divinità Alte”.

Erezehimsay trasalì: “Nosmagiés? Sei tu?”.

Un lampo ed un tuono potentissimi squarciarono l’oscurità del cielo. L’incappucciato guardò allarmato verso il palazzo del suo Signore, così distante all’orizzonte, e decise di congedarsi da lì al più presto per poter tornare a casa. Diede le spalle ai tre e si allontanò con passo svelto, non potendo volare a causa della pioggia. Kavahel strappò la busta dalle mani del fratello e la osservò. “Erezehimsay!” ordinò “Rientra in casa e sveglia nostro padre. Ha detto che è urgente”.

L’angelo si affrettò, coprendo la carta come poteva per non farla bagnare. Kavahel, stufo della pioggia, guardò il fratello minore, che insultava un albero sfidandolo con la spada. Il maggiore scosse il capo con una smorfia e decise di rientrare a sua volta. Aprì la porta, lasciando passare il suo messaggero, e si voltò verso il centro del cortile da dove il fratellino non si muoveva.

“Dai, vieni al coperto. Basta per oggi”.

Tolse gli stivali, pieni d’acqua e notò un’ ombra nera sull’albero che il minore stava insultando con voga. Immediatamente portò la mano all’elsa della sua spada, ma si tranquillizzò dopo pochi attimi. “Che imbecille…” sogghignò Kavahel e lo ignorò, mentre l’ombra piombava sul giovane Destino.

“Ti ho sconfitto di nuovo!” una voce femminile ed una risata riecheggiarono per la valle.

“Torno subito…” sussurrò il Nuovo Dio dell’Equilibrio.

Ridacchiando, tornò all’aperto, andando incontro ai due.

“Non è possibile, fratellino! Ti sei fatto battere di nuovo da lei!”.

La figura nera e dai contorni indefiniti sorrise al fratello maggiore, facendo brillare i suoi enormi occhi dorati nell’oscurità. Erano l’unica cosa che aveva in comune con  il fratellone Kavahel.

 “Dove sei stata, sorellina?” domandò il Dio dai capelli verde-acqua alla giovane Dea del Kaos.

Lei non rispose ma parlò d’altro “Girano voci di una guerra imminente, inferta dagli Dèi Alti”. “Fandonie! Lo sapremmo! Io, perlomeno, lo saprei…” commentò il Dio del Destino, scettico. “Forse in quella lettera…” azzardò Kavahel.

Rifletté un attimo e poi ricominciò: “Però è strano…che io ricordi, gli Dèi Alti non hanno mai convocato le divinità che considerano minori. Nemmeno quando il Kaos ed il Destino erano entrambi creatori molto potenti. Di sicuro voi due non siete alla loro altezza… eppure siete convocati…”.

“Smettila di fare il figo, Kavahel! Neanche tu sei potente come l’antico Dio dell’Equilibrio! E di sicuro non sei un creatore!” gracchiò la Dea del Kaos.

“Io ho un ruolo diverso. Io resterò, anche quando ci sarà la fine dei Mondi e degli Universi, e diverrò creatore quando tutti voi sarete dissolti ed io farò ricominciare ogni cosa da capo…”.

“Se gli Alti non ci faranno ammazzare tutti!” esclamò il Destino, con malcelato pessimismo.

Il fratello maggiore si inginocchiò accanto al Destino, che non si era ancora rialzato dopo il colpo della sorella. Appoggiò la spada alla spalla e sorrise. La lama fredda era a contatto con la pelle nuda, i suoi capelli spettinati sgocciolavano, le ali blu erano pesanti e grondanti d’acqua ed il cornino rosso al centro della fronte del Dio pulsava di luce. Quell’arma era molto grossa e pesante, ed i due più giovani si stupirono di come riuscisse lui, così mingherlino e magro, ad impugnare quella spada e maneggiarla con tanta agilità e grazia, come se fosse senza peso. I due fratelli si osservavano. Quello steso a terra era molto più grosso, di corporatura, rispetto al maggiore, anche perché il Nuovo Equilibrio poteva mutare il suo aspetto fra quello di un maschio e quello di una femmina a suo piacimento e, solitamente, manteneva un corpo intermedio.

I pensieri di Kavahel si persero alla luce dell’ennesimo lampo. La sua mente ritornò ad antiche memorie della sua infanzia. Pensò a quando era nato, a quando era piccolo, i suoi primi anni…e poi…i gemelli e tutto ciò che ne era conseguito. Sospirò. La voce della sorella lo riportò alla realtà. “Andiamo adesso, maschiacci! Ho tutti i vestiti bagnati, fa freddo ed ho fame!”.

Kavahel ed il giovane Destino si rialzarono e seguirono la veste ed i capelli neri della sorella fino a casa. Lei si perdeva nel buio, avendo anche la pelle nera, ed era difficile da individuare nella notte. Sull’uscio, il maggiore, l’unico con le ali, si fermò e le scosse per liberarle dall’acqua, così queste si gonfiarono non poco. Nel frattempo il Destino strizzava il mantello che portava e toglieva le scarpe. Lasciarono tutti e tre le calzature sull’uscio e misero gli abiti bagnati accanto al fuoco, cambiandosi con vesti asciutte. Fuori albeggiava e le nuvole andavano diradandosi.

“Cos’è questa lettera?” chiese la giovane Dea del Kaos che era una divinità piccola e piuttosto curiosa.

“L’hanno portata prima. Aspettiamo che nostro padre si svegli e poi ne parliamo”.

La ragazza si avviò, convinta, lungo il corridoio. Si mise sotto la tromba delle scale e urlò.

“Papà! Papà, svegliati!! Alzati!! Sono le Sei passate!!”.

Le sue grida fecero tremare le pareti. Si sentì un mugugno sommesso dal piano superiore.

“Non era necessario, Skrich!” la rimproverò Kavahel.

Skrich era il nome con cui chiamavano la Dea del Kaos per la sua corporatura mingherlina e piccina.

“Non serviva urlare così. Adesso verranno giù anche tutti i fratellastri…”.

“Chi urla?” domandò una voce femminile, dal piano superiore.

Scese le scale. Era Fleavia, la figlia adottiva e messaggera di Vereheveil.

“Scusaci, sorellona, ma ci è stata consegnata una lettera da parte degli Alti e ci han detto che è urgente” si giustificò il Destino, assaporando una tazza di caffè bollente.

Fleavia si voltò ed urlò a sua volta, verso le camere: “Vereheveil! Papi! Svegliati!”.

Lei era bionda, con candide ali da angelo ma due piccole corna scure sulla fronte.

“Siete stati fuori con la pioggia tutto il tempo, voi tre? Siete proprio degli idioti!” li rimproverò la messaggera.

Erezehimsay, porgendo il caffè all’Equilibrio, ridacchiò: “Sto cercando di insegnare al Nuovo Destino a combattere…ma credo sia un caso disperato!”.

“Ha preso da Vereheveil. Papà non prenderebbe in mano una spada manco per sbaglio!”.

Si misero a ridere tutti quanti, mentre un timido raggio di Sole entrava nella stanza illuminandone gli oggetti, per lo più libri.

Una voce piagnucolò dal piano superiore: “Ragazzi! Ma è prestissimo! Che succede?”.

“ È arrivata una lettera, papà. È dagli Alti ed è urgente. Potreste scendere tutti? È indirizzata a tutta la famiglia”.

Rumori di passi e voci varie, poi Vereheveil, il Dio delle Lingue e delle Letterature, apparve con  i capelli verde-acqua completamente spettinati e gli occhi dorati molto assonnati, segnati da lievi occhiaie. Fra le mani stringeva un grosso volume rilegato e scese le scale, trascinando la lunga veste arancione. Dietro di lui scese sua moglie, la Dea delle Parole, che teneva per mano i loro due figli, un maschio ed una femmina. Presero tutti posto attorno ad un tavolo che riprendeva la forma di un libro aperto. Vereheveil, sistemandosi un piccolo paio di occhiali sul naso, iniziò a leggere la lettera con attenzione. La lesse ad alta voce per rendere partecipi tutti i presenti. Le sue ali d’angelo, nere, fremettero quando lesse le parole “Dio triplice”. Kasday!

“Cosa può significare?” domandò la Dea delle Parole “Insomma…perché mai gli Alti ci dovrebbero tenere tanto a chiamare gente come noi? A che scopo?”.

“Guerra…” sospirò la Dea del Kaos, pur non nascondendo una certa soddisfazione.

Cominciava ad annoiarsi in quest’Era di pace e di ordine.

“Tua nonna, Dea della Guerra, ci avrebbe sicuramente informato di un’ eventualità come questa”, affermò Vereheveil, pensieroso.

“Non è detto che la nonna lo sappia…se è una faccenda organizzata dalle divinità Alte, esiste la possibilità che, in effetti, non ne sia a conoscenza”.

I due bambini, scesi per mano alla madre, non badarono ai discorsi degli adulti ed iniziarono a dedicarsi ad attività più stimolanti. Il maschietto scrisse dei numeri su un foglio e fece dei calcoli complessi, compiaciuto del risultato. Sarebbe di certo divenuto il futuro Dio dei Numeri.

La bambina prese quello stesso foglio e scrisse i numeri, lunghissimi, in lettere: lei era la futura Dea della scrittura. Skrich, la Dea del Kaos, giocherellava nervosamente con una matita, facendola passare fra le dita, come in un gioco di prestigio. Vereheveil era perso nei suoi pensieri, che esponeva ad alta voce quando ne sentiva il bisogno, e Fleavia lo ascoltava, tentando di tenere il filo dei suoi ragionamenti. Kavahel discorreva con la matrigna in modo piuttosto acceso.

Solo il Destino restava fermo ed in silenzio. Il giovane Dio osservava la sfera di cristallo che portava quasi sempre con  sé e la osservava tentando di scorgerci, all’interno, il futuro. Ma non riusciva a vedere nulla. Nessuno poteva, infatti, sapere quale sarebbe stato l’esito di una decisione presa dagli Alti. La Dea del Kaos ruppe accidentalmente la matita che teneva fra le mani e questo provocò una smorfia, di dolore e di fastidio, sul volto di tutti gli Dèi presenti ed inerenti alla scrittura.

“Cosa facciamo, se quello che vogliono da noi è davvero una guerra?” domandò docilmente la divinità con la sfera.

“Se è questo che vogliono…da me non lo avranno!” rispose convinto Vereheveil, con tono deciso e autoritario, scuotendo il capo con fermezza.

“E allora cosa pensi di fare, marito mio? Vuoi non presentarti alla riunione e chiamartene fuori? Sai che non è possibile! Gli Alti ti tormenterebbero fino ad ottenere ciò che ordinano..”.

“Oh, moglie mia! Questo lo so bene. Alla riunione, di fatto, voglio essere presente”.

“Certo!” lo interruppe Fleavia “Come potresti mancare? Al palazzo del Dio Triplice…c’è lui!”. “Cosa intendi dire? Che vuoi insinuare?”.

Il Dio delle Letterature e delle Lingue si mostrava leggermente scocciato.

“Nulla…” rispose la figlia, con un sorrisetto maligno.

“Non andrò a quella riunione per rivedere Kasday, anzi! I miei sentimenti in proposito sono diametralmente opposti. Kasday…mi spaventa…”.

“Non abbiamo nulla da spartire con lui!” affermò la Dea del Kaos.

“Voi tre…” rispose il padre, riferendosi al Destino, al Kaos ed a Kavahel “…non dovreste permettervi di parlare così! Metà del vostro patrimonio genetico vi è stato donato da Kasday. Insieme, io e lui, vi abbiamo creato!”.

“Sì, va bene. Ma poi ci ha abbandonato!” commentò, acido, Kavahel.

“Giusto. Ci ha lasciati soli. Perché dovremmo farci dei problemi e pensare ad una persona simile?” continuò Skrich.

“Voi non sapete nulla. Nulla di ciò che è successo” sospirò Vereheveil.

“Sì. Giusto. Non sappiamo nulla. E chissà se mai ne verremo a conoscenza…”.

“Ogni cosa a suo tempo. E questo non è il momento di parlarne!” tagliò corto la Dea delle Parole.

Nella casa scese di nuovo il silenzio.

“Voglio trovare la Dea della Pace” esclamò Vereheveil, dopo un attimo di riflessione “Ultimamente non la si vede molto e quindi…forse, se ci parlo, riesco a convincerla ad interrompere per un attimo la sua vacanza e, magari, ad evitare un eventuale guerra. Ma, soprattutto, vorrei parlare agli Alti e vedere che cosa vogliono…è così strano che cerchino contatti e collaborazioni con noi…inferiori!”.

Il Dio delle Letterature si alzò. Era nato nel regno degli angeli e quindi continuava a vestirsi come tale. La sua lunga tunica frusciò sul pavimento in legno e, a piccoli passi, si avviò verso la sua stanza personale, il suo ufficio. Scosse le ali nere, che persero qualche piuma.

“State tranquilli, tutti quanti. Sono sicuro che non è niente di grave!” disse, tentando di calmare la famiglia.

Una volta chiusa la porta prese fra le mani un libro del color dell’inchiostro. Lo aprì e, con una sua parola, la superficie della carta iniziò a mutare. I simboli su di essa cambiarono e si sollevarono a mezz’aria. Ne toccò uno e la superficie della pagina divenne riflettente, come uno specchio.

Comunicò con altre divinità e decisero d’incontrarsi alla ricerca della Dea della Pace.

Fatto questo, ripose il volume e si sedette accanto alla scrivania. La sedia scricchiolò. Era di legno antico, forse era più vecchia del Dio stesso, e pregiato: un bel regalo di matrimonio.

Si ritrovò a pensare ad una sera lontana ed alle motivazioni che lo avevano spinto a convolare a nozze con la Dea della Parole. Si versò da bere, una spiacevole abitudine che aveva acquisito da un paio di secoli, e, con il bicchiere in mano, continuò a riflettere in silenzio.

 Il palazzo del Dio Triplice. Che sia Kasday? Il mio Kasday? I nostri figli sono cresciuti…amore mio. Perché continuo a chiamarlo così? Non ha più nulla a che vedere con la persona che amavo…non è più com’era. Mi spaventa. Mi turba. E l’idea che possa rivedere i miei figli…non  so se posso permetterlo. Non  so se posso lasciare che accada. E come potrebbe reagire alla notizia del mio matrimonio? Sicuramente male!  Non riesco ad immaginare ciò che potrebbe farmi…dicono che sia impazzito.

 Si sentì bussare alla porta.

“Avanti!” esclamò il Dio, sobbalzando per la sorpresa.

Era un giovane dai capelli corvini, dritti, a caschetto, con i due ciuffi anteriori più lunghi rispetto al resto della pettinatura. Aveva dei tratti molto particolari. Gli occhi li aveva allungati e truccati, egiziani o forse orientali, e le labbra erano carnose, rosso rubino. Il suo sguardo era malizioso e sensuale.

“Posso fare qualcosa per te?” domandò il padrone di casa.

L’ospite annuì. Aveva le ali, d’angelo, di un colore misto fra il blu e il verde. Fece un inchino al Dio delle Letterature, congiungendo le mani, dopo averle liberate dall’ampissima manica della veste di lino bianco. Era vestito in modo piuttosto semplice, nulla di elaborato. Le cose più vistose che indossava erano gli orecchini, dorati e ricchi di pietre preziose. Rappresentavano un sole che sorge con un ideogramma, o un geroglifico, a fianco.

“Avrei bisogno di un libro”.

La sua voce era ammaliante e strana.

Vereheveil osservò gli occhi scuri dell’angelo e sorrise: “Sei nel posto giusto! Ma io non posso seguirti adesso. Ho lezione con i miei allievi. I bambini arriveranno a momenti…”.

“Va bene, maestro Vereheveil, ne sono consapevole. Saprò aspettare”. 

“Benissimo. Se volete potete venire con me…i bambini non mordono! Non me, perlomeno..”.

Il giovane seguì il Dio lungo i corridoi fino a giungere in una piccola stanzetta molto luminosa e colorata, piena di banchi e sedie, dove stavano seduti tanti piccoli angeli e Dèi in modo ordinato.

“Gibrihel?!” domandò il Dio delle Letterature, vedendo l’Arcangelo in cattedra.

Gibrihel alzò lo sguardo dal libro che teneva fra le mani e sorrise: “Ciao, collega!”.

“Dov’è Rahahel?”.

Rahahel era l’Arcangelo che, normalmente, svolgeva la lezione precedente a quella del Dio delle Letterature e delle Lingue.

“Non l’ho visto oggi. È assente ma ho fatto io lezione per lui, tranquillo”.

“Ti ringrazio. Ora puoi andare, ci penso io”.

“Vuoi che passi a dare un’ occhiata alla classe degli intermedi?”.

“Magari. Mi toglieresti un pensiero”.

“Li ho fatti leggere…” comunicò l’Arcangelo a Vereheveil, che annuì.

Il Dio delle letterature sedette ed invitò gli alunni a prendere carta e penna, dopo aver salutato il Maestro Gibrihel e aver presentato il suo ospite alla classe.

“Lui è straniero. È qui per vedere come si studia dalle nostre parti. So che è molto più grande di voi, ma per oggi farà parte della classe”.

Gibrihel si alzò e si stiracchiò le ali dorate. Sciolse i capelli biondi e ricci e si avviò verso l’uscita. Guardò con i suoi enormi occhi azzurri tutti i bambini, assorti e silenziosi.

“Grazie, Maestro Vereheveil. Il mio nome è Sarmorghell” disse il giovane dai capelli neri, ed andò a sedersi.

Vereheveil iniziò la lezione. Si dimenticò della lettera e si dedicò all’addestramento di Angeli e Dèi.

   
 
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