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Autore: Adeia Di Elferas    13/09/2015    3 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Galeazzo Maria si tolse i guanti ferrati e si lasciò cadere sullo sgabello da campo.
 Il padiglione di tela era scosso dal vento freddo che si era alzato la sera prima e che non accennava a calmarsi.
 “Non possiamo affrontare così anche i mesi più freddi.” si stava lamentando il suo attendente: “I Savoia possono dire quello che vogliono. In dicembre e in gennaio il Piemonte è invivibile. E poi i Borgognoni stanno per ritirarsi...”
 Galeazzo Maria lo ascoltava con distacco, un po' stufo di sentire le sue lamentele ogni santo giorno. In cuor suo aveva già deciso di ordinare una tregua, per permettere alle truppe di svernare, ma prima voleva essere sicuro che la zona fosse abbastanza tranquilla.
 I parenti di sua moglie avevano chiesto il suo aiuto e lui era moralmente obbligato a darglielo. Era, in fondo, figlio di suo padre, Francesco Sforza, capitano di ventura. La sua spada era al servizio, che gli piacesse o meno. Se il padre combatteva per soldi, lui lo faceva per onore e lealtà.
 “Passami dell'acqua.” ordinò il Duca, mentre si asciugava il sudore dalla fronte. Malgrado le temperature rigide, la battaglia lo aveva accaldato come fosse estate.
 L'attendente gli porse un calice pieno di acqua fresca e il Duca la bevve tutto d'un fiato. Si passò il dorso della mano sulle labbra e poi disse: “Puliscimi la spada e controlla l'elmo. Mi pare ci sia una bozzatura. Deve essere tutto in ordine per domani. Ci aspettiamo un ritorno di fiamma dei francesi.”
 L'attendente chinò il capo e si affrettò a eseguire gli ordini, senza aggiungere altro.
 Galeazzo Maria cominciò a levarsi da solo l'armatura, un pezzo per volta. Non gli piaceva farsi svestire dal suo scudiero, la trovava una cosa da signorine e non da soldati.
 I suoi pensieri continuavano a correre al palazzo di Porta Giovia. Come se la stavano cavando le sue donne e i suoi bambini?
 La vita militare non gli era mai dispiaciuta, soprattutto perchè sul campo di battaglia poteva sfogare quella rabbia che lo rendeva, in tempo di pace, spesso intrattabile. Però soffriva molto la lontananza dai suoi affetti e quindi sperava sempre di poter chiudere in fretta ogni scontro.
 Erano passati alcuni mesi dalla sua partenza e da tempo aveva dimenticato le comodità della corte. Un padiglione in aperta campagna e pasti frugali, ecco qual era la sua realtà lontano da Milano.
 Quando fu completamente svestito, indossò un paio di brache pulite e un camicione di lino. Siccome non faceva caldo, si buttò sulle spalle anche un giubbotto di lana cruda e poi si coricò sulla sua branda, a riposare i muscoli.
 Si permise di indugiare sui ricordi e sulle speranze per il futuro. Chissà come tornò con la mente alla promessa che aveva fatto a Bona, prima di partire per la guerra. Le aveva detto: “Passeremo assieme il Natale.” e lei lo aveva guardato con gli occhi colmi di riconoscenza e amore.
 Sì, la tregua per l'inverno era necessaria. I soldati erano stanchi e tenerli al freddo sarebbe stata una mossa sbagliata, perchè avrebbe abbattuto l'entusiasmo di tutti.
 E poi aveva voglia di rivedere anche i suoi figli. I più piccoli... Chissà com'erano cambiati in quei mesi!
 E i grandi, chissà quante cose nuove avevano imparato, quante cose dovevano raccontargli...
 E Caterina...
 Galeazzo Maria si mise a sedere sulla branda, mentre un crampo allo stomaco iniziava a tormentarlo.
 L'aveva lasciata con un saluto un po' freddo, lei gli aveva fatto la riverenza, facendolo andare su tutte le furie. Erano ormai passati tre anni dal matrimonio, eppure lei persisteva nella sua recita. Se poi di recita si trattava...
 Il Duca si passò una mano sulla barba ispida che si era lasciato crescere per non doversi radere tutti i giorni, come faceva quando era a casa.
 Per qualche secondo al Duca parve di avere la sua bambina al suo fianco... Ma aveva qualcosa di diverso. Non era più la ragazzina scapestrata che aveva amato, né la ragazzina compita e pacata che era diventata... Era una donna, alta, forte e decisa. Era come se Galeazzo Maria potesse vedere il futuro.
 La osservava stagliarsi sicura, spada in pugno e volto risoluto, immagine più bella e ancora più guerresca di quella che era stata Bianca Maria Visconti.
 Galeazzo Maria si prese la testa tra le mani, mentre le immagini non lo abbandonavano. Sognava a occhi aperti di cavalcare accanto alla figlia ormai adulta e di condurre insieme a lei l'attacco. Di sbaragliare il nemico. Di prendersi la gloria. Di vincere contro tutti.
 Si alzò con fare rabbioso, perchè, per quanto quel pensiero lo inorgoglisse, detestava credere che fosse quello il futuro che voleva per sua figlia. La voleva davvero in mezzo ai soldati a menare fendenti a destra e a manca?
 Si strinse nelle spalle. Sì. Era ciò che avrebbe voluto. Era quello che più si avvicinava alla natura di Caterina...
 “Oh, padre...” disse piano Galeazzo Maria, richiamando alla mente il volto di Francesco Sforza, del quale sperava, ogni giorno di più, anche ora che non era più un ragazzino, di assomigliare almeno un po', senza successo: “Padre, perdonami per non essere come te. Solo tua nipote è degna del tuo cognome. Padre, perdonami...”

 “Avanti, Caterina, fai il segno della croce...” sussurrò Lucrezia, al fianco della figlia.
 Stavano assistendo a una breve messa voluta da Bona per favorire il pronto ritorno a casa di Galeazzo Maria e delle sue truppe.
 Le pareti della cappella erano molto spesse eppure non impedivano al freddo pungente di partecipare alla messa come un cristiano qualunque.
 Caterina non riusciva a prestare attenzione a quello che il prete stava dicendo. Di solito lo ascoltava solo per sentire un po' di latino, lingua che l'affascinava, ma non per un vero interesse religioso.
 Non era mai stata una fervente cattolica, e dopo il suo matrimonio aveva definitivamente perso fiducia nella chiesa, avendone conosciuti alcuni esponenti come il cardinal Riario.
 “In nomine patris...” stava sussurrando Lucrezia, facendosi a sua volta il segno della croce, per dare il buon esempio alla figlia.
 Caterina eseguì subito, più per continuare nella sua recita che non per buona volontà cristiana.
 Da giorni non faceva altro che pensare a suo padre, che combatteva in Piemonte da tempo. Si domandava come fosse, stare al campo, dormire nei padiglioni, partire all'attacco e tenere la difesa. Conosceva molta teoria, ma le mancava la pratica e questo la faceva soffrire non poco.
 Bruciava all'idea di non poter partire anche lei, di non poter raggiungere suo padre e combattare al suo fianco.
 Sua nonna Bianca Maria combatteva sempre al fianco del marito, dunque perchè Caterina non poteva fare altrettanto con suo padre?
 Non aveva esposto a nessuno questo suo tormento interiore, perchè non si addiceva alla nuova immagine che stava dando di sé. Quando parlava della guerra in Piemonte non faceva altro che limitarsi alle solite frasi da donnicciola ignorante, esprimendo la speranza che non morissero troppi uomini e che tutto finisse per il meglio.
  Ogni notte sognava cariche a cavallo e agguati improvvisi. Immaginava il rumore delle colubrine, il cozzare delle armi, le urla dei soldati...
 Si domandava se mai in futuro avrebbe assaggiato il sapore della battaglia. Nelle ballate e nelle poesie era descritto tutto in modo così idilliaco che anche il più ingenuo dei bambini avrebbe capito che non poteva essere davvero così. Caterina non si aspettava gesti cavallereschi, né che uccidere fosse bello. La sua anima era ormai abbastanza disincantata da aspettarsi dolore, paura e ogni tipo di crudezza, eppure anelava la battaglia.
 Perchè?
 “...et spiritus sancti. Amen.” terminò Lucrezia, seguita a ruota dalla figlia.
 Mentre tornavano nelle loro stanze, Caterina fu tentata di chiedere alle sue madri se avessero notizie di suo padre. Queste la precedettero.
 “Dovrebbero svernare.” disse Bona, soprappensiero: “Per Natale dovrebbe essere a casa.”
 “Se te l'aveva promesso, dev'essere così per forza. Lui le mantiene, le promesse...” aveva risposto Lucrezia, con tranquillità.
 “Speriamo che non gli capiti nulla e che torni a casa sano e salvo.” concluse Bona, giungendo ancora una volta le mani al petto e rimettendosi a pregare in silenzio.
 Non appena fu lasciata sola, Caterina sfiorò con la mano il pugnale che portava sotto le vesti. Non lo toglieva neppure per andare in chiesa. Potevano dirle quello che volevano, per lei nemmeno il suolo cosiddetto 'sacro' era privo di rischi.
 Attese qualche minuto in silenzio, per sincerarsi che non ci fosse poprio nessuno nei dintorni, e poi estrasse la piccola arma e cominciò ad agitarla come fosse stata una spada.
 Si immaginò in mezzo alla battaglia, al fianco di suo padre, e nelle sue fantasie, lo proteggeva da ogni attacco del nemico, salvadogli la vita una, cinque, dieci, mille volte.
 Aveva giurato a se stessa che lo avrebbe fatto soffrire, ma non desiderava la sua morte. Se avesse potuto, sarebbe volata da lui in quell'istante per proteggerlo come stava facendo con la fantasia.
 Sì, sarebbe stata pronta a combattere nel nome di suo padre.
 Sentì dei passi e così rimise il pugnale al suo posto e si sedette accanto alla finestra, cercando di normalizzare il respiro che nello sforzo si era fatto corto.
 Bona entrò nella camera portando con sé due libri, uno in francese per sé e uno in latino per la figlia.
 Porse a Caterina il volume e le sorrise: “Spero che questo ti possa piacere. Parla delle guerra dell'antica Roma.”
 Caterina ringraziò, fingendosi sorpresa per la scelta dell'argomento, ma ringraziando silenziosamente Bona, che la conosceva fin troppo bene e che, ormai l'aveva capito, non credeva più alla sua, seppur impeccabile, recita.
 Mentre Caterina leggeva con attenzione le vicende di quegli uomini vissuti così tanti secoli addietro, non riuscì a evitare di fantasticare ancora... Si vedeva in armatura, alla testa dei suoi soldati, e nelle sue orecchie risuonavano grida di guerra: “Sforza! Sforza! Sforza!”

   
 
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