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Autore: CheshireClown    09/02/2009    1 recensioni
Duncan Dunn e Jeffrey Denver sono due investigatori privati, rivali. Il primo, orgoglioso e ormai prossimo alla pensione, detesta con tutto il suo cuore il secondo, giovane timido e impacciato.
Due episodi tratti dalle vite dei due detective, segnate una da un segreto importante, l'altra da un'attenzione opprimente da parte dei giornali.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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lo strano caso di dd e jd capitolo 2
Lo strano caso di Duncan Dunn e Jeffrey Denver

Capitolo 2

La scrivania era ricoperta di fogli. Erano dappertutto: nei cassetti, sugli scaffali, addirittura sotto la sedia. Non c’era neanche un fermacarte che potesse domarli.
Freneticamente, Jeffrey Denver spostava plichi su plichi alla ricerca di chissà quale foglio.
Non era mai stato ordinato e sua madre lo rimproverava sempre per questo, peccato che solo ora il giovane comprendeva perché lo riprendesse riguardo quel suo difetto.
Stava impazzendo solamente nella ricerca di un misero pezzo di carta con su scritte sicuramente delle sciocchezze. Naturalmente, però, quelle frivolezze erano di una certa rilevanza per la signorina Mayer, colei che aveva chiesto a Jeffrey di aiutarla con un problema di cui lui non ricordava nulla. Il bello era che la signorina non si era nemmeno sforzata di recarsi di persona nel suo ufficio, bensì aveva inviato per posta la sua richiesta.
Molto probabilmente non sapeva che dare un qualsiasi foglio a Jeffrey era come buttarlo in un cumulo di altri pezzi di carta tutti uguali.
Il poveretto si era così ritrovato a dover trovare, nel minor tempo possibile, quella dannatissima richiesta, in seguito ad una sollecitazione telefonica da parte della signorina.
Jeffrey si pulì la fronte sudata con la manica della camicia, sbuffando. Stava frugando in quella montagna di fogli già da una buona mezz’ora ormai e ancora non aveva trovato niente.
Il telefono squillò, sorprendendolo.
Si guardò attorno, fino a notare alcuni fogli vibrare sulla scrivania.
Li scostò con noncuranza, rivelando il telefono nero.
Alzò la cornetta, sperando non fosse il maggiordomo della signorina Mayer intenzionato a sollecitarlo una seconda volta.
- Studio investigativo Denver, desidera? -
- Jeffrey caro! -
Il giovane rabbrividì, irrigidendosi. Forse sarebbe stato meglio se al telefono vi fosse stato il maggiordomo di casa Mayer.
- Jeffy, amoruccio, tutto bene? -
Decisamente meglio.
- Sì, mamma. – sibilò in risposta.
- Stai male, piccolino mio? Cos’è quel tono? -
- Niente mamma. Vorrei solo ricordarti che sono al lavoro. -
Non sopportava che sua madre lo chiamasse durante l’orario lavorativo, lo trovava fuori luogo e, in tutta sincerità, anche piuttosto imbarazzante.
- Davvero amoruccio? A proposito, come va? Hai mangiato? -
Jeffrey roteò gli occhi.
- Certo. – rispose secco, deciso a concludere la conversazione al più presto.
- Il Times ti ha citato anche oggi, Jeffy! Sono così contenta! Sei così bravo! Oh, devi tornare qui al più presto, così festeggeremo tutti insieme! -
Il giovane investigatore si vide costretto ad allontanare di poco il ricevitore dall’orecchio per colpa della voce stridula della madre.
- Certo, mamma, un giorno o l’altro vengo a farvi visita. -
- Oh, caro! Ora devo andare, non sai quanto mi dispiace, ma rischio di bruciare il pasticcio di carne per tuo padre. Stammi bene, Jeffy! Ricordati che siamo tanto orgogliosi di te! -
Un sorriso triste si dipinse sul volto del giovane all’udire l’ultima frase.
- Certo mamma, ci sentiamo. Ciao. -
Riagganciò, lo sguardo rimase fisso sul telefono.
Erano orgogliosi di lui…O dell’immagine costruita dal Times?
Sospirò, abbandonandosi sulla scomoda sedia in legno.
Non ce la faceva più, nonostante fosse solamente all’inizio della sua carriera.
E dire che il suo lavoro gli piaceva, e pure tanto!
Ma non riusciva a sopportare il clima che si era venuto a creare.
Erano bastati due casi, neanche troppo importanti, risolti con successo grazie anche all’aiuto di un pizzico di fortuna. Ed ecco che il Times ne aveva subito approfittato per parlare di lui e descriverlo come un ragazzo prodigio dalle incredibili abilità.
Non era passata neanche una settimana dalla pubblicazione sul giornale di un articolo riguardo al suo secondo successo che già una fila di persone attendeva impaziente davanti alla sua porta.
Per non parlare della buca delle lettere, piena zeppa di richieste scritte da parte di riccastri o clienti anonimi.
E Jeffrey non ne poteva più.
Doveva risolvere troppi casi sotto gli occhi vigili dei giornalisti, pronti a riportare nero su bianco un suo successo o un suo errore.
Pareva quasi gli mancasse addirittura il respiro.
Era tutto… troppo.
Non riusciva più a gestire i casi, ad indagare con calma.
Aveva la continua paura di sbagliare, di deludere tutti coloro che credevano in lui, o in colui che credevano fosse Jeffrey Denver.
Con un sospiro, si passò una mano fra i capelli, arrendendosi.
Avrebbe detto alla signorina Mayer che aveva casi urgenti da risolvere, con conseguente rinvio della ricerca di quel maledetto foglio.
Guardò l’orologio, gioendo nel notare che fossero già le sette e mezza, ora di chiusura.
Saltò in piedi, pronto a lasciarsi alle spalle quella dannatissima marea di fogli.


Nel minuscolo appartamento buio, sdraiato sul divano, Jeffrey fissava con sguardo vuoto il soffitto.
Tornando a casa aveva evitato di acquistare una copia del Times: per quanto fosse curioso di leggere qualche notizia del giorno, non voleva ritrovarsi davanti un bell’articolo su di sé.
Alla fermata della metropolitana si era guardato bene attorno. Pochi giorni prima un signore lo aveva guardato torvo per tutto il tempo.
Quello sguardo carico d’odio aveva spaventato il giovane Jeffrey, oltre a farlo sentire estremamente a disagio.
Da quel momento, ogni volta che prendeva la metropolitana si guardava attorno per vedere se nella bolgia vi era anche quel signore che pareva detestarlo.
Erano dettagli irrilevanti in fin dei conti, ma Jeffrey era irritato dal pensiero di dover stare attento agli articoli di giornale che leggeva e alle persone vicino a lui alla fermata della metropolitana.
Se solo non fosse stato così famoso… Di sicuro la sua vita sarebbe stata più tranquilla.
Si girò su un fianco, lasciando vagare lo sguardo per la stanza spoglia.
Meritava davvero tutti quegli onori? Molto probabilmente no.
Di sicuro il Times stava sfruttando la sua immagine, idealizzata a dovere, per chissà quale scopo. Forse per rassicurare la gente presentando Jeffrey Denver come un eroe senza macchia e senza paura.
Peccato che in realtà il giovane investigatore non era altro che un ragazzino impacciato e disordinato, spaventato da quell’atmosfera opprimente che pian piano pareva schiacciarlo.
All’inizio ricevere dei complimenti era stato gratificante, doveva ammetterlo, ma il Times aveva cominciato ad esagerare.
Jeffrey portò le ginocchia al petto, raggomitolandosi sul divano.
Rivoleva la sua tanto amata vita tranquilla, voleva tornare ad essere il ragazzo che nessuno conosceva.
Gli sarebbe bastato lavorare in santa pace ai suoi casi, indagando con calma e passione, ragionando su ogni indizio. Aveva sempre immaginato così la vita di un investigatore privato.
Si sbagliava?
In caso contrario per quale motivo la sua carriera si era trasformata in un carosello di persone egoiste e fatti che si succedevano troppo velocemente?
Forse perché il Times, Londra, e chissà chi altro volevano un eroe, un uomo capace di risolvere tutto dimostrandosi un miracolo umano.
Ma Jeffrey Denver non voleva essere l' eroe.





*****


Note dell'autrice: ultimo capitolo della storia. Spero di aver reso entrambi i detective al meglio.
Jeffy è l' "affettuoso soprannome" con cui la madre di Jeffrey si rivolge al figlio, devo ammettere io stessa che è alquanto inquietante.
L'uomo della metropolitana altri non è che Duncan Dunn, ma Jeffrey, non conoscendolo, pensa sia solamente uno sconosciuto che per qualche oscuro motivo (a suo parere legato alla sua fama) lo detesta.

That's all folks.

kiara_chan


  
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