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Autore: Adeia Di Elferas    18/09/2015    3 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ “Non abbiamo altra scelta. O adesso o mai più. Lo capite vero? Eh, lo capite?” chiese Cola Montano, occhieggiando verso i ragazzi tremanti che gli stavano di fronte.
 L'unico che sembrava davvero determinato era Girolamo Olgiati. Anche se il Duca non gli aveva mai fatto personalmente alcun torto, lo spirito patriottico del giovane lo aveva infiammato tanto da renderlo uno dei fomentatori più determinati.
 “Ma se la folla non ci segue? Se dopo averlo ucciso, loro ci ammazzano a noi?” chiese Giovanni Lampugnani.
 “Sei o non sei stato reso povero da questo sedicente Duca?” chiese Cola Montano, calandosi nella parte a lui congeniale del demagogo.
 Lampugnani annuì, alzando le sopracciglia in modo triste: “Sì.”
 “E allora che cosa ti frena dal cercare vendetta? Il popolo è come noi!” proseguì Cola Montano, infiammandosi: “Ogni cittadino milanese vuole il Duca morto! Spetta a noi dare loro la forza di rivoltarsi! Quando lo vedranno cadere in terra morto, allora ogni uomo, donna o bambino, impugnerà le armi e assalterà il palazzo di Porta Giovia, e tutti gli Sforza verranno spazzati via in un solo giorno!”
 Lampugnani parve in parte convinto da quell'arringa e si mise a sedere accanto a Girolamo Olgiati.
 Il padrone di casa, Tonio Vismara, arrivò dalla stanza accanto con il suo passo ciondolante.
 Era lui, assieme a Cola Montano, la vera mente di quella congiura. Il Duca di Milano gli aveva fatto amputare entrambe le mani qualche anno prima e da allora colui che era stato per tutti il primo console dell'Università degli Armorari era diventato solo uno storpio in cerca di vendetta.
 Aveva trovato assieme all'insegnante fustigato da Galeazzo Maria in pubblica piazza, un'idea perfetta per togliere di mezzo il Duca e per sollevare il popolo contro gli Sforza. Dopo di che erano anche riusciti a trovare dei giovani motivati, una quindicina circa, che fossero pronti a seguire il loro maestro e immedesimarsi nel personaggio di Bruto, che uccise il patrigno Cesare in nome della libertà di tutto il popolo.
 “Questa cosa va fatta.” disse Vismara, la voce arrochita e gli occhi segnati da profonde occhiaie: “Adesso i tempi sono maturi. Loro non si aspettano certo una cosa simile. Il luogo e il momento sono perfetti. E le false notizie su altre congiure che abbiamo messo in giro nei mesi scorsi hanno confuso a sufficienza le spie di quel gran cane di Simonetta.”
 Cola Montano annuì con gravità, mentre gli occhi dei congiurati più giovani si puntavano ora su di lui ora su Vismara.
 “Resta solo da decidere chi darà il primo colpo e chi si piazzerà dove.” concluse Vismara, tirando su col naso.
 “Sarò io a dare il primo colpo.” disse con risolutezza Carlo Visconti. Il suo viso ancora giovane era segnato dalla rabbia e dal dolore che in quattro anni non si erano placati.
 Da quando sua sorella era scomparsa dalla corte di Milano, in una sera che lui non avrebbe mai dimenticato, l'aveva cercata in ogni modo, trovando solo ostilità e frasi secche da tutti gli uomini vicini al Duca. Col passare dei mesi aveva capito che nessuno voleva aiutarlo nelle ricerche perchè tutti sapevano che la povera bambina era stata fatta sparire proprio da Galeazzo Maria Visconti, che di certo aveva sfogato su di lei tutte le sue più truci perversioni e cattiverie.
 “Sei troppo giovane.” lo bollò Vismara, arricciando le labbra in una smorfia di disappunto: “Ci serve uno con la mano salda e la testa ancor più salda.”
 “Girolamo.” fece allora Cola Montano, fissando il suo studente più appassionato, l'unico che avesse  deciso di aderire alla cosa per ideologia e non per motivi personali: “Tu sei un uomo ormai, sei forte e sai mantenere sempre la calma.”
 Girolamo Olgiati sorrise in modo eloquente: “Sarà un onore, maestro.”
 “Bene. Questo l'abbiamo deciso. Ora definiamo gli ultimi dettagli.” sputacchiò Vismara, agitando in aria uno dei moncherini.
 “Ricordatelo bene, figli miei.” disse Cola Montano, gonfiando il petto e cercando di dedicare un'occhiata sufficientemente penetrante a tutti i presenti: “Con domani voi entrate per sempre nella storia. Tra mille anni ancora si racconterà di quel manipolo di giovani coraggiosi e generosi che hanno preso un rischio tanto grande pur di permettere a Milano di liberarsi di un tiranno. Con domani, il mondo saprà per sempre i vostri nomi.”
 
 La serata proseguì frenetica, tra accordi, piccole liti e tanta, tantissima retorica da parte di Cola Montano, che arrivò fino a denudarsi per mostrare ai suoi allievi i segni lasciati dalle fruste del Duca.
 Più le ore passavano, più i cuori nella casa di Vismara si accendevano. Se c'era una cosa che quell'insegnante sapeva fare era agitare gli animi dei suoi studenti e far montare in loro a comando la rabbia, l'orgoglio, la paura e il coraggio.
 Vismara ringraziava il cielo per aver incontrato un uomo del genere, perchè solo uno così poteva permettergli di raggiungere la tanto agognata vendetta.
 Quando alla fine ogni dettaglio fu chiaro a tutti, i congiurati lasciarono alla spicciolata la casa del monco, salutandosi con fare circospetto, sempre temendo di avere testimoni.
 Una volta rimasto solo Cola Montano, Vismara gli fece un cenno con la testa affinché si avvicinasse.
 L'insegnante obbedì e quando fu abbastanza vicino, Vismara sollevò le labbra in quello che doveva essere un sorriso esaltato: “Ci siamo, amico mio. Domani saremo liberi. Finalmente il nostro volere sarà fatto!”
 “Ricorda chi ci protegge e chi ci ha permesso di arrivare a tanto. Sia fatto il volere di Dio. Il volere di Dio, caro Tonio.” lo corresse Cola Montano, ricambiando il sorriso e permettendosi anche di dare una stretta alla spalla del complice.
 “Sia fatta sempre la sua volontà.” concordò Vismara, inclinando il capo, a mo' di concessione.
 “Così sia, Tonio, così sia.” si congedò Cola Montano, uscendo dalla casa ora silenziosa.
 L'aria della notte era fredda e penetrante, ma Vismara non se ne rese conto. Stava sulla soglia a guardare l'ultimo congiurato allontanarsi.
 Quel Natale era stato infinito, un giorno senza pause e senza momenti morti. La sua casa si era trasformata in un vespaio di ragazzi vocianti e agitati, ma sapeva che ne sarebbe valsa la pena.
 “Goditi ancora per una notte la tua vita, Duca.” sussurrò Vismara, guardando nel buio della notte in direzione del palazzo di Porta Giovia: “Domani andrai incontro al tuo destino.”
 Si guardò i moncherini e trattenne a stento le lacrime: “Che Dio abbia pietà della tua anima, Duca. Sia fatta la sua volontà. E così sia...”
 
   
 
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