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Autore: Adeia Di Elferas    20/09/2015    4 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Davanti alla chiesa continuava a regnare la più totale anarchia. I cavalli si imbizzarrivano, i bambini piangevano, i soldati mulinavano le spade in aria per placare la folla.
 Tutti urlavano a perdifiato ogni genere di cosa, ma la parola più comprensibile, ripetuta da tutti come una preghiera disperata era: “Morto! Morto! Morto!”
 Caterina cercava di difendersi dalla ressa che premeva contro il suo cavallo, facendolo alzare sulle zampre posteriori e facendolo vacillare ogni istante di più.
 “Morto! Morto! Morto!”
 La ragazza non riusciva a vedere il fondo del corteo, perciò poteva solo sperare che Bona avesse capito quello che stava accadendo e che avesse ordinato subito a tutta la famiglia di far ritorno a palazzo.
 Per quanto riguardava se stessa, Caterina si sentiva spacciata.
 “Morto! Morto! Morto!”
 Era nel mezzo dei tumulti e qua e là intravedeva lame luccicare al pallido sole dicembrino e sentiva grida confuse e tutto quanto le fece credere che avrebbe seguito suo padre all'inferno, quel giorno. 
 “Morto! Morto! Morto!”
 Invece qualcosa di inaspettato la fece sussultare. Il popolo da confuso si fece risoluto e tutti cominciarono a concentrare le proprie forze contro pochi soggetti, tra cui quelli che avevano colpito il Duca.
 “Sforza! Sforza! Sforza!”
 Uno di loro, Giovanni Lampugnani, cadde sotto i colpi di un servo degli Sforza, che, il viso coperto di lacrime, continuò a insultare la salma del congiurato per molto tempo, senza più curarsi di quello che stava accadendo tutt'attorno.
 Gli uomini che avevano sperato di sollevare Milano contro gli Sforza, si resero conto del fallimento del loro attentato e così cominciarono a darsi alla macchia.
 “Sforza! Sforza! Sforza!”
 Il moro, il più grosso e prestante dei soldati del Duca, riuscì ad afferare per un pelo Carlo Visconti e Girolamo Olgiati, che, ancora presi dal furore omicida, avevano ritardato la fuga.
 Mentre ancora qualcuno fuggiva e qualcun altro partiva all'inseguimento, tornò una sorta di calma davanti alla chiesa di Santo Stefano.
 Le guardie più fedeli del Duca portarono dentro alla chiesa il corpo e chiusero i portoni, mentre gli altri soldati si affrettavano a diradare la folla, invitando tutti a tornare nelle proprie case.
 Caterina era ancora in sella al suo cavallo, le cui bizze non erano riuscite a disarcionarla, e osservava il popolo di Milano allontanarsi lentamente, con una strana aria funerea.
 Non si capacitava di quello che era appena successo. Aveva visto suo padre morire davanti ai suoi occhi, trafitto in ogni punto del corpo, eppure non riusciva a credere che se ne fosse andato davvero.
 “Mia signora, dobbiamo tornare a palazzo.” le disse un soldato, affiancandola con il suo destriero: “Vostra madre sarà in pensiero e non possiamo essere sicuri che non ci saranno altri incidenti. Dobbiamo sbrigarci.”
 Caterina non lo guardò nemmeno. Annuì e si lasciò guidare al galoppo fino al palazzo di Porta Giovia, senza riuscire a pensare ad altro che al filo di luce che aveva visto nel momento in cui quel pugnale aveva aperto in due la gola di Galeazzo Maria Sforza, il Duca di Milano.
 
 “Dobbiamo prendere subito delle decisioni...” stava dicendo Bona, massaggiandosi le mani tremanti: “Non siamo al sicuro. Nessuno di noi lo è. Il popolo oggi potrebbe non essere insorto per paura, ma adesso... Adesso...”
 Lucrezia la guardava con gli occhi sgranati, incapace di respirare, circondata dai bambini di entrambe.
 Una volta tanto, era Bona quella che sembrava aver tutto sotto controllo, era lei quella che, pur tremando e piangendo di tanto in tanto, aveva ordinato la ritirata e stava già pensando a come arginare i danni.
 “Vai di là coi piccoli.” disse la vedova del Duca, rivolgendosi a Lucrezia: “Appena ti sarà possibile, vai da tuo marito, lui ti proteggerà. Meglio non ricordare la tua vera posizione ai milanesi, almeno per qualche tempo. Vi terremo al sicuro, ma è meglio che non ricordi a nessuno il tuo legame con...” la voce le si ruppe quando stava per nominare il marito.
 Lucrezia non accennava a muoversi. Fissava Bona con il viso contratto in una smorfia di angoscia. Sapevano entrambe il motivo di tale esitazione.
 “Caterina arriverà. Sono sicura che non le è successo nulla. Sa difendersi. Arriverà...” la rincuorò Bona, sforzandosi di sorridere.
 Lucrezia non sapeva cosa pensare, ma decise di fidarsi di quella che era stata per tanti anni un'amica così fidata.
 Portò i bambini in una stanza tranquilla, provò a far smettere di piangere i più piccoli e, con una voragine al posto del cuore, tentò di spiegare – per quel che sapeva – cos'era accaduto quel giorno davanti alla chiesa di Santo Stefano.

 Bona fece accorrere nelle sue stanze Cicco Simonetta, che si presentò trafelato e scuro in viso.
 “Le vostre spie...” sussurrò Bona, stringendo i pugni.
 “Devono essere state ingannate, mia signora...” si schermì il cancelliere: “Da troppi mesi corrono troppe voci contrastanti... Non è facile, a volte, prevedere certe cose...”
 “Non importa. Mio marito è morto. Non è incolpando voi che lo riporterò in vita.” disse Bona, più a se stessa che non a Simonetta.
 Ci fu un momento di teso silenzio, poi la donna riprese: “Non vorrei spargere altro sangue e creare nuovo odio, ma devo agire, prima di apparire debole. Già saranno tutti convinti di aver decapitato il Ducato, e non mi calcoleranno neppure. Se non agissi in modo deciso, allora sì che sarebbe la fine per me e per tutti i miei figli.”
 Simonetta non potè far altro che convenire con un breve cenno del capo.
 Bona riprese: “Appena arriverà il resto della scorta, voglio sapere se hanno catturato qualcuno degli assassini. Se sì, prenderemo questi individui in custodio, dopo di che li interrogheremo e quando avremo saputo ogni cosa, ogni nome, ogni minimo dettaglio, solo allora verranno giustiziati tutti...”
 Simonetta fece un breve inchino: “Vostra grazia è molto saggia.”
 “E mettete subito al sicuro il mio primogenito. Dio solo sa quanto suo zio Ludovico abbia pregato per un momento come questo.” aggiunse Bona, accigliandosi.
 “Ludovico ha da sempre desiderato il posto di vostro marito, il Duca, ma, mia signora, credete davvero che sarebbe capace di far del male al vostro bambino in un momento del genere?” chiese il cancelliere, sinceramente scettico.
 “Siete davvero così ingenuo e sentimentale?” chiese Bona, sconcertata: “Proprio voi? Poprio voi che avete venduto una bambina di nove anni a un uomo senza morale e senza scrupoli?”
 Cicco Simonetta parve diventare di marmo, il viso pietrificato in un'espressione incredula e imbarazzata.
 Bona lo fissò a lungo e senza alcun moto di pietà: “Badate bene, Simonetta, vi tengo al mio fianco solo perchè mi servite, perchè se dovessi ascoltare quello che mi dice il mio animo, vi farei fare una fine anche peggiore di quella che attende gli assassini di mio marito. E ora andate a spiegare quello che è successo agli altri cortigiani. E fate preparare la torre centrale. Ci trasferiamo lì, fino a che non avrò fatto costruire una torre ancor più sicura.”
 Il cancelliere fece un profondo inchino, più per celare il proprio viso, ora paonazzo, che non per gentilezza e se ne andò senza dire altro.
 
 Caterina arrivò a palazzo dopo quelle che le parvero ore. Il soldato che l'aveva scortata fino a lì prese in custodia il suo cavallo e la lasciò correre dalle madri.
 I soldati rimasti stavano preparando le armi, per difendersi in caso di una deriva anarchica, e i nobili che erano a corte vociavano e piangevano, di certo più preoccupati per il proprio destino che non per la fine fatta dal Duca.
 Caterina non li voleva ascoltare, ma mentre correva nelle stanze private della famiglia, non potè evitare di sentire degli stralci di frase.
 “Era già in chiesa!”
 “...Come un animale, vi dico!”
 “Se hanno ammazzato lui, ora ammazzeranno anche tutti noi...!”
 “...sempre detto che avrebbe fatto una fine del genere...”
 “Dovevamo aspettarcelo, era troppo crudele...”
 “...ma noi che c'entriamo?”
 Fu un sollievo per la ragazzina arrivare nell'ala più tranquilla del castello.
 “Caterina!” esclamò Bona, scoppiando a piangere immediatamente, sollevata dall'aver ritrovato la figlia sana e salva.
 Caterina le corse incontro, lasciandosi cadere tra le sue braccia. Le trovò più forti del solito, sicure, malgrado fossero scosse dal pianto.
 “Vieni, ti porto da tua madre.” le disse, dopo qualche momento.
 Caterina, così come aveva seguito docilmente il soldato, si accodò a Bona, che la portò da Lucrezia.
 La donna lasciò un momento gli altri figli da parte e corse incontro a Caterina, stringendola come aveva fatto poco prima Bona.
 Non riusciva a parlare, anche lei squassata dal pianto e dalla paura. La ragazzina fece del suo meglio per rassicurarla, ma senza troppo successo.
 “Mia signora!” fece una voce alle loro spalle. Le tre si voltarono all'istante, Caterina e Lucrezia ancora strette in un abbraccio serrato.
 Era un soldato. Aveva il viso stravolto e madido di sudore, ma negli occhi brillava la luce della soddisfazione: “Li abbiamo presi. Sono qui. Aspettiamo voi per metterli nelle segrete.”
 Bona annuì e disse a Caterina: “Ci vediamo presto.” e con ciò seguì il militare.

   
 
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