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Autore: GoldenKnight    22/09/2015    0 recensioni
Quando Otello sopravvive al massacro della sua famiglia decide di trasferirsi a Venezia e di condurre una vita tranquilla per rispettare il desiderio della madre, ma il sangue caldo della vendetta scorre ancora nelle sue vene e il destino ha in serbo per lui una battaglia che va ben oltre l'aspetto materiale della vita.
Genere: Angst, Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo II:
Il dolore del Corvo
 
Isabella frequentava le lezioni di farmacologia che il dottore teneva all’università.
I più che la incontravano per la prima volta pensavano subito che fosse una ragazza fragile e delicata; i capelli bruni raccolti in una lunga treccia che si posava sulla spalla destra, gli occhi di uno splendido castano lucente; con un piccolo neo sulla guancia sinistra. Purtroppo quelle persone non potevano essere più in errore, infatti aveva un carattere forte e deciso, non si lasciava abbattere o influenzare da niente e nessuno e non mancava di schernirmi nei momenti in cui le operazioni del dottore mi procuravano la nausea. Si divertiva a tormentarmi, in special modo a farmi sentire male scherzando e giocando con gli scarti degli interventi.
In un’occasione abbiamo assistito il dottor Zano in un’amputazione di una mano in cancrena e lei trovò che fosse simpatico nascondere un dito dell’arto nella tasca del mio soprabito. La cosa peggiore è che mentre tornavo a casa mi fermò un uomo della guardia cittadina insospettito dal cattivo odore del quale ero ormai pregno, quando trovò la falange mi portò in prigione pensando che fossi un assassino o qualcosa del genere. Servì l’intervento del dottore per convincere la guardia dell’accaduto.
Nonostante la sua indole amichevole e ilare, non fu facile entrare in confidenza con lei, anzi, fu piuttosto difficile. Era come se avesse costruito un muro impenetrabile, protetto dalle parole taglienti che pronunciava con tanta naturalezza.
Riusciva a convincere tutti quando parlava, persino sé stessa. Le parole avevano un suono fiero, orgoglioso, convinto.. solo gli occhi la tradivano. Quando li guardavo intravedevo in loro una scintilla di paura che riusciva a scuotermi ogni volta, facendo riaffiorare i ricordi di quella maledetta notte.
 
Il febbraio di quell’anno fu particolarmente freddo, tanto che Isabella si ammalò e non poté partecipare alle lezioni di farmacologia, ne tantomeno svolgere il suo ruolo di infermiera. Per qualche motivo che non riuscivo a capire la sua assenza e la mancanza dei suoi dispetti durante gli interventi del dottore mi rendeva triste, così un giorno andai a trovarla a casa. Mi accolse la nonna, una donna anziana ma ancora arzilla e vivace, dopo averla conosciuta capii da chi avesse ereditato quel suo caratterino esuberante. Venni accompagnato nella camera della ragazza, era sdraiata sul letto con una pezza umida sulla fronte, le coperte di pelle lavorata le arrivava fino al mento e le guance erano rosse e lucide; vederla in quel modo mi fece stranamente sorridere e senza che me ne accorgessi arrossii anch’io. Isabella mi guardò con i suoi occhi marroni, solo per un istante, poi girò la testa e si tirò le coperte fin sopra la fronte mugugnando con tono imbarazzato da sotto le coperte: “Co-cosa ci fai qui?”; io risposi: “Ero preoccupato perché non ti ho più vista e mi chiedevo se stessi bene”. La ragazza fece un cenno col capo e si tranquillizzò, io mi sedetti accanto al letto e incominciammo a parlare, non di medicina come facevamo sempre, ma della nostra vita privata. Mi raccontò che sua madre era morta dandola alla luce e che il padre era morto di tifo quando lei era poco più di una ragazzina; da allora fu cresciuta dalla nonna ed intraprese gli studi di farmacologia per seguire le orme del padre.
Fu in quel momento che cominciai a parlarle del mio passato. Non lo avevo mai raccontato a nessuno prima, ma con lei accadde in modo naturale. Ogni respiro portava con se un ricordo e, ogni ricordo scorreva dentro il mio cuore per poi tramutarsi in parole. Per qualche motivo era facile parlare con lei, era come se la conoscessi da sempre.
Per la prima volta vidi nei suoi occhi qualcosa di diverso, qualcosa che non avevo mai visto prima sul suo volto. Che fosse compassione? In quell’istante la sua attenzione fu catturata dalla collanina argentata che si intravedeva sotto il colletto del mio vestito, così mi chiese cosa fosse; io la sfilai dal collo e gliela porsi in modo che potesse vederla meglio, le spiegai che quella era la collana d’argento che mia madre era solita portare sempre al collo e che io la presi quando la trovai morta sul suo letto. Per la seconda volta, sul suo viso comparse quell’espressione; ora ne ero certo, era proprio compassione. Improvvisamente mi riaffiorò il ricordo di mio padre, il suo ultimo sguardo fu proprio come quello che Isabella aveva in questo momento. Solo Dio sa perché mi piacesse tanto vederglielo sul quel suo viso delicato.
   
 
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