Chapter II
La
notte era ormai inoltrata, ma nella sontuosa villa del giovane
imprenditore qualcuno rifiutava di abbandonarsi all'abbraccio di
Morfeo. Se ne stava sdraiato sul suo letto, con le coperte
leggermente poggiate sul torace nudo, mentre si rigirava tra le dita
un curioso orologio da taschino dorato.
Continuava
a tenerlo chiuso, rimirandone le particolari incisioni floreali.
Glielo aveva dato il misterioso uomo dello specchio e ancora non
capiva cosa dovesse fare. Per un attimo, sentì che la sua
fortuna
stava lentamente scivolando via dalle sue dita e ne ebbe paura, una
paura che proveniva da più profondo del suo cuore e che lo
attraversava come uno stiletto. Non voleva che quel bellissimo
periodo finisse, aveva lavorato fin troppo per arrivare fin
lì, per
far sorridere di nuovo la madre e sostituire, non solo per lei ma per
i tanti lavoratori che dipendevano dalla sua impresa, il defunto
padre. Aveva lottato contro il dolore e la solitudine, contro la
fatica e la paura di perdere tutto, dalla casa alla dignità.
Non
avrebbe rinunciato alla sua vita, non dopo tutti i suoi sforzi.
“Prima
di tutto, mi credi?” aveva poi
chiesto l'uomo, quando lesse sul viso di Len l'incertezza e lo
scetticismo. Il ragazzo aveva scosso la testa e aveva risposto che
magari la sua fortuna era stata una semplice coincidenza,
perché di
tutto ciò che aveva sentito da quell'uomo nulla sembrava
essere
lontanamente possibile; inoltre, da una parte non credeva
nell'esistenza della ragazza nello specchio.
“Lo
avrà sicuramente manomesso...” fece alla stanza
illuminata da una
splendida luna piena, quando nella sua mente apparve l'immagine di
quella giovane. Per quanto ci provasse non riusciva a dimenticarla,
pareva troppo reale perché fosse solo un'illusione: il suo
volto
triste, gli occhi spenti e quasi sul punto di riempirsi di lacrime e
quella sedia a rotelle, spinta non troppo lontana da lei, come a
ricordarle costantemente il suo male, di cui da sola non sarebbe mai
riuscita a trovare la causa.
Len
si disse di provare sicuramente pena per la ragazza, era l'unica cosa
che gli veniva in mente, ma non avrebbe mai osato dire di compatirla,
anche se non era sicuro che le due parole avessero lo stesso
significato.
Chiuse
gli occhi, poggiando l'orologio sul petto: la sensazione del metallo
freddo sulla pelle nuda lo fece sussultare, perciò si
issò a
sedere, ricordando quella strana conversazione.
“In
che senso la scelta è solo mia?” aveva
chiesto, sperando che
ad un certo punto sullo specchio sarebbe tornato a vedere il suo
riflesso. La cosa però non accadde.
“Puoi
scegliere se lasciare che il destino scorra così, dandoti
tutte le
cose belle della vita e lasciando che lei continui a vivere
così,
sola, malata e senza nessuno!”
“Perché
non dovrebbe avere anche lei una vita migliore?”
fece allora, poco convinto dell'esistenza di lei e confuso dalle
strane leggi che quell'uomo diceva di amministrare. La legge della
fortuna e degli opposti, così l'aveva definita. Ad un primo
acchito
Len non aveva capito, ma l'uomo riprese a parlare con quella sua voce
melliflua e allo stesso tempo incredibilmente cinica.
“Come
aveva detto?” si chiese, quasi sul punto di aprire il piccolo
orologio. Si trattenne però dal farlo quando gli tornarono
alla
mente le sue parole. Aveva detto che lo specchio non solo
rappresentava le due facce di una medaglia, ma anche il limite che
esiste tra due universi: aveva precisato che per ogni individuo
esiste un opposto, che come tale era costretto a vivere al contrario
la vita dell'altro, che fosse essa ricca di gioia oppure piena di
dolore e sofferenza. Da quelle parole, Len intuì che se la
sua vita
ora andava a gonfie vele, allora la sua doveva
essere
terribile.
“È
esattamente come per la luce e l'oscurità: una non
può esistere se
l'altra manca, ma allo stesso tempo esse sono opposte e contrarie...
-aveva detto,
mentre un
sorrisetto compiaciuto inarcava le sottili labbra- Voi
due
non fate eccezione!”
In
quel momento Len sentì che le sue certezze stavano
cominciando a
vacillare, tutte le sue teorie che la sua fortuna fosse stata una
mera coincidenza e un dono del cielo stavano sprofondando
inesorabilmente in un baratro nella sua testa. Ma la cosa che
più lo
fece infuriare, che più aveva alimentato il senso di colpa
nel suo
cuore, misto ad un egoismo di cui non era conscio, fu il motivo che
aveva spinto l'uomo a raccontargli tutte quelle cose: il semplice e
puro divertimento, semplicemente un passatempo di colui che
può
manovrare il corso del destino.
“Perché?”
aveva chiesto poi, con i pugni stretti da fargli male. Il misterioso
ospite aveva ripreso a ghignare e si era avvicinato minacciosamente,
consegnando nelle mani del giovane l'orologio da taschino che ora
rigirava nelle mani. Len fece mente locale, voleva ricordare
esattamente ogni singola parola legata a quello strano oggetto. Come
doveva usarlo? Lui aveva detto che avrebbe potuto cambiare lo
scorrere del destino, che la giovane oltre lo specchio avrebbe potuto
avere una vita migliore, solo e soltanto se
Len avesse deciso di rinunciare alla sua fortuna: dopotutto, entrambi
non potevano avere le stesse cose. L'orologio rappresentava l'unico
oggetto che avrebbe permesso al giovane imprenditore di cambiare il
destino della ragazza nello specchio, ma come doveva usarlo? Len
continuava a non capire, ciò che si era presentato di fronte
a lui
andava oltre al conosciuto e ne aveva paura. Scosse la testa e volse
lo sguardo al cielo, alla luna la cui luce azzurrina illuminava la
stanza e sospirò profondamente.
“Chissà
se anche lei sta guardando la luna...” fece senza accorgersi
che
per lui l'esistenza della giovane stava diventando sempre
più una
certezza. Nella sua testa, continuava a ripetersi che non voleva
essere coinvolto in quel crudele gioco, eppure si sentiva
incredibilmente in colpa, poiché lui sarebbe dovuto essere
la causa
del dolore di quella ragazza.
“Mi
assomiglia tanto...”
I
suoi occhi si posarono sullo specchio appeso nella sua stanza e di
nuovo gli sovvennero quegli occhi azzurri e bellissimi, eppure spenti
e sul punto di piangere. Per qualche arcano motivo, i lineamenti del
suo volto erano quasi identici a quelli dell'imprenditore: la forma
del naso e degli occhi, entrambi molto delicati e ancora immaturi,
gli stessi capelli biondi, che entrambi tenevano legati, ognuno a
modo proprio.
“Pare
davvero il mio riflesso...” fece stendendosi e facendo
scattare il
meccanismo per aprire l'orologio. Ciò che vide lo
lasciò spiazzato:
in esso vi erano quattro lancette, due delle quali ruotavano in senso
antiorario. Si chiese perché quell'uomo avrebbe dovuto
dargli un
oggetto tanto inusuale, ma prima che potesse farsi altre domande, Len
ebbe l'impressione di aver capito cosa esso rappresentasse.
“Sono
contento di non doverti spiegare tutto, sei più sveglio di
quanto
immaginassi!”
A
quella voce tanto cinica, il giovane imprenditore scattò a
sedere e
si ritrovò a pochi metri dal suo misterioso ospite, la cui
capacità
di apparire e scomparire era quasi paranormale. Lui sorrideva ancora,
la mano destra sempre poggiata sul suo inseparabile specchio, mentre
scrutava gli impercettibili movimenti di Len.
“Come
sei entrato?!”
“Credi
sia davvero importante? Piuttosto, cosa hai deciso? Non hai molto
tempo...”
Il
ragazzo si irrigidì e puntò lo sguardo sulle
lancette delle ore
dell'orologio. Cinque minuti ed entrambe sarebbero scattate,
sovrapponendosi. Che si riferisse a quello? Len sapeva già
la
risposta, ma non sapeva cosa ciò avrebbe comportato. Cosa
avrebbe
dovuto scegliere? Continuare a vivere la sua vita, ignorando quel
misterioso giocatore del destino e convivere con il dubbio e i sensi
di colpa legati alla ragazza, oppure rinunciare a ciò per
cui aveva
sacrificato tanto e permetterle di rifarsi una vita? Le sue mani si
strinsero con forza attorno all'oggetto d'oro e prese un profondo
respiro. Se solo avesse avuto più tempo per decidere!
Vorrei
che mi avesse spiegato tutte le regole di questa farsa! Cosa devo
fare?,
pensò alzando lo
sguardo. Lo specchio magico
era stato esposto alla luce della luna, il telo che lo nascondeva
giaceva a terra, mentre il suo proprietario gli tendeva la mano
filiforme, quasi ossuta.
Fa
paura, fu
l'ultimo pensiero che
attraversò la mente del ragazzo, poi sentì le sue
gambe muoversi e
scivolare fuori dalle lenzuola, per poi avvertire il freddo del
pavimento a contatto con i piedi.
“Hai
deciso?”
“Non
voglio rinunciare alla mia vita... -disse più a se stesso
che al suo
ospite- Ma non voglio nemmeno essere la causa della sua
sofferenza!”
Len
si alzò facendo cadere le lenzuola a terra e si
passò una mano tra
i capelli biondi, questa volta liberi dal suo solito codino. Cosa
fare? Nello specchio, il suo riflesso scomparve di nuovo e al suo
posto c'era di nuovo lei, seduta a terra circondata dalle sue
bambole. Sul volto aveva ancora quell'espressione malinconica e
spenta, mentre un debole sorriso le inarcava le labbra mentre muoveva
piano le braccia di una figurina di stoffa dai capelli color verde
acqua.
Len
si morse il labbro inferiore, poi decise di interrompere quel
terribile silenzio di tomba, con una decisione totalmente
inaspettata.
“Non
voglio che tu sia l'unico a giocare con la ruota del destino... So
che puoi farlo, quindi dammi il potere per salvarla!”
Nella
stanza, alla luce della luna, venne quindi stipulato un accordo
diverso da quello che il giocatore del destino si aspettava, ma
questo non sembrava esserne dispiaciuto, anzi! Per tutti gli anni che
aveva vissuto, quella era la prima volta che qualcuno decideva di
intromettersi di persona e agire di mano propria...
“Come
desideri... La ruota del destino è nelle tue mani!”
*****
Rin
era come suo solito seduta sul
tappeto, circondata dalle sue numerose bambole, mentre ne fissava una
nuova. Questa era una figurina maschile, con lunghi capelli viola
legati in alto. La ragazza la rigirava tra le dita, spazzolandogli la
particolare chioma, mentre decideva il nome e in cosa trasformare il
suo nuovo alter ego. Buttò un occhio alle figure di Miku e
Kaito e
già dal primo giorno in cui le aveva tenute in mano, aveva
pensato
che fossero una bella coppia e ora la stessa cosa stava succedendo
con Luka. Le piaceva infatti poter immaginare anche delle storie
d'amore, anche se non era sicura di cosa significasse effettivamente
amare. Non aveva amici, non aveva nemmeno un animale domestico su cui
riversare il proprio affetto: aveva solo delle bambole di pezza e per
quanto ci provasse, esse non avrebbero mai potuto rimpiazzare una
persona in carne ed ossa.
Sospirò e poggiò Gakupo, il nuovo
arrivato, vicino alla sua bambolina dai capelli rosa e si
trascinò a
fatica verso la finestra. Il cielo era plumbeo e le nuvole parevano
fatte di ferro tanto erano pesanti e opprimenti. Da quanto non vedeva
una giornata di sole? Rin non lo ricordava nemmeno più.
“Sarò
costretta a stare così per
sempre?” chiese spostando lo sguardo sulle gambe, poggiate
malamente sul tappeto. Le labbra della ragazza si contrassero allora
in una smorfia di disgusto per quegli arti inermi, privi di forza che
le impedivano di vivere una vita normale. Chissà cosa
avrebbe dato
per vivere come le normali adolescenti della sua età!
Il silenzio era opprimente, la
solitudine quasi palpabile, mentre tutto attorno a Rin pareva
immobile e dimenticato da tutti. La ragazza passò ancora in
rassegna
i vari elementi della sua stanza, sperando di trovare qualcosa di
diverso che potesse sollecitare la sua curiosità e magari
divertirla: il suo solito letto matrimoniale era sempre là,
con le
coperte di raso giallo che scendevano sul pavimento senza toccarlo;
accanto il solito vecchio comodino in stile Barocco, esageratamente
decorato come la testiera del letto che affiancava. Tutto nella norma
e tutto assolutamente immutato.
Beh, forse c'era qualcosa che
effettivamente era cambiato: poco più in là,
vicino alla scatola dove conservava i suoi alter ego, era stato
posizionato un lungo
specchio che avrebbe dovuto riflettere una figura intera in tutta la
sua altezza. Rin si era arrabbiata molto con suo padre, aveva urlato
contro la servitù e il corriere che con quella faccenda non
c'entravano nulla. Tutti loro si erano mossi quasi furtivamente per
non svegliare la ragazza, ma quando questa aprì gli occhi,
le sue
labbra si contrassero in una smorfia di rabbia a risentimento: Rin
era indubbiamente una bella ragazza, nessuno avrebbe detto il
contrario, ma ella odiava gli specchi con tutta se stessa. Il
perché?
La ragione era nota a tutti, eppure continuavano a ripeterle che la
sua bellezza sarebbe stata sprecata se almeno lei non l'avesse
apprezzata.
Rin odiava guardarsi allo specchio e
vedere quella ragazza dai capelli biondi seduta a terra, incapace di
alzarsi e magari piroettare nel migliore dei suoi abiti. Chi altri
avrebbe visto, se non quella figura triste e solitaria? Scosse la
testa e immaginò di poter condividere quello specchio con un'amica,
divertendosi a immaginare di essere qualcun altro. A quel pensiero
rise di una risata amara e provò a trascinarsi verso quel
regalo che
aveva accompagnato Gakupo tra le sue bambole.
Almeno
mi ha preso un'altra bambolina,
pensò mentre arrivava di fronte alla lastra di vetro.
Sentiva le
braccia iniziare a fare male, così come le spalle, ma di
prendere la
sedia a rotelle per una così breve distanza non se ne
parlava. Per
quanto fosse costretta, almeno nel suo piccolo mondo avrebbe cercato
di essere il più indipendente possibile.
“Ti
odio...” mormorò di fronte
al suo riflesso, che come il resto della stanza pareva essere
immutato. Di nuovo, udì la pioggia ticchettare sul vetro
della
finestra e un tuono riecheggiare per la stanza. Nemmeno la natura
sembrava volerle dare un minimo di sollievo da quell'opprimente vita
che era costretta a vivere; da un lato, però, era contenta
di non
dover vedere il sole, perché quello sì, sarebbe
stato un duro colpo
da mandare giù: vedere il cielo azzurro e il sole brillare
senza
poterne beneficiare, sicuramente non lo avrebbe sopportato.
La mano destra si alzò quasi
inconsciamente e fece per calare sullo specchio, all'altezza del
riflesso del suo volto, eppure qualcosa mutò. Rin non lo
vide
immediatamente, per un istante sentì come se non fosse
più sola, ma
che ci fosse qualcuno con lei. Si guardò velocemente
attorno, il
cuore iniziò a martellarle nel petto e un brivido le
percorse la
schiena quasi fino alle punte dei piedi, dove credeva di non avere
più sensibilità.
“C-C'è
qualcuno?” chiese con la paura nella voce. Ma
di cosa ho
paura?,
pensò poi, ritrovandosi
per l'ennesima volta da sola. La possibilità che qualcuno
potesse
essere lì con lei e spezzare la monotonia della sua vita la
spaventava, non era abituata alla compagnia e temeva ciò che
sarebbe
potuto seguire.
Dopo
essersi guardata ancora attorno e aver verificato che nessuno fosse
entrato nel suo piccolo mondo, Rin tornò a fissare la sua
immagine
riflessa e ciò che vide la lasciò a bocca aperta.
Oltre lo
specchio, c'era la figura di un giovane ragazzo dai lineamenti
identici ai suoi e dai medesimi capelli biondi, spettinati sulla
fronte e legati dietro da un codino. Il ragazzo era in piedi e la
guardava con un mesto sorriso sulle labbra, mentre le mani spuntavano
da un lungo mantello nero come la notte. Il silenzio calò,
assieme
alla tempesta che infuriava fuori, mentre quei due misteriosi occhi
azzurri guizzavano da un capo all'altro della stanza. In essi, Rin
notò una scintilla di disagio e dispiacere.
“C-Chi
sei?” mormorò la ragazza, confusa e spaventata. Che
significa? Chi è questo ragazzo e dov'è il mio
riflesso?
Lui non rispose, si limitò
semplicemente a guardare le gambe della ragazza che cercò
immediatamente di nascondere sotto la gonna del suo abito. Si
sentì
mortificata da quello sguardo, perché magari quel misterioso
ospite
si aspettava che scattasse in piedi per lo spavento e scappasse via,
ma nemmeno un suono uscì dalla bocca della ragazza. Ella
abbassò
quindi gli occhi e li chiuse, con la speranza che quando li avesse
riaperti, sarebbe tornata a vedere solo l'immagine di se stessa.
Uno...
Due... Tre...
contò
mentalmente, Quattro... Cinque... Sei...
Il cuore iniziò a rallentare, il
respiro a farsi meno affannoso, mentre le mani avevano iniziato a
rilassarsi. Temeva stesse avendo un'allucinazione, temeva che il male
che la costringeva sulla sedia a rotelle stesse degenerando e
cercò
di mantenere il sangue freddo, eppure, quando i suoi occhi si
riaprirono, l'immagine del ragazzo era ancora là.
Lui s'era chinato e poggiava la mano
destra, avvolta in un raffinato guanto bianco, sulla lastra che lo
separava da Rin, mentre questa cercava ancora di dare una spiegazione
a quella strana apparizione. Il suo sguardo era dolce e allo stesso
tempo intenso, così strano da far cedere la ragazza che si
riempì i
polmoni per urlare.
Repentinamente, il giovane si portò
l'indice della mano sinistra alle labbra e le fece segno di fare
silenzio. Stranamente, lei obbedì e per un istante si
sentì a suo
agio.
“Chi
sei?” chiese in un
sussurro.
“Con
questa notte, inizia la 'Notte degli Opposti' e tutti i tuoi desideri
verranno garantiti, in quanto sono un mago venuto a posta per
te!”
Angolo di Zenya ^^
Salve a tuttti, cari lettori! Come va la vita? Io sono già traumatizzata dal ritorno in facoltà e dal piccone che si è portato il prof di storia antica :/ Vabbè, sono stranamente in anticipo con questo capitolo, eppure non so più dove mettere le mani, visto che quello che scrivo mi soddisfa subito... Sarà una cosa buona? Boh, questo sta a voi lettori dirlo e spero apprezzerete alcune piccole licenze poetiche che mi sono concessa u.u